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Autore: Bloodred Ridin Hood    16/12/2017    1 recensioni
Commedia sperimentale sulle vicende di vita quotidiana della famiglia più disfunzionale della saga.
Immaginate la vita di tutti i giorni della famiglia Mishima in un universo parallelo in cui i suoi membri, pur non andando esattamente d’accordo, non cerchino di mandarsi all'altro mondo gli uni con gli altri.
[AU in contesto realistico] [POV alternato]
[Slow-burn XiaoJin, LarsxAlisa] [KazuyaxJun] [Accenni di altre ship]
[COMPLETA]
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Asuka Kazama, Jin Kazama, Jun Kazama, Lars Alexandersson
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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19
How (and how not) to Open a Door
(Jin)

 

Un tuono rimbomba in lontananza.
Mi raddrizzo sulla schiena, stanco e ansimante. I miei sensi sono offuscati dall’intenso sapore metallico che mi pervade la bocca.
Passo il dorso della mano sulle labbra, asciugando un rivolo di sangue fresco.
Guardo la bestia davanti a me, illuminata dalla luce tremolante dei focolari. La figura mostruosa è inerme, impotente, finalmente sconfitta.
Ho vinto. Ce l’ho fatta.
Sogghigno con soddisfazione, l’odio fermenta il sangue dentro alle mie vene ed è una stupenda sensazione.
Altri tuoni, sempre più vicini e frequenti.
Sento dei passi provenire da qualche parte dietro di me. Mi volto.
Una figura imponente, semi-nascosta dall’ombra, avanza a passi lenti verso di me.
Stringo gli occhi, per cercare di vedere più chiaramente. Conosco questa persona.
Si ferma a pochi passi da me, dove riesco a vedere il volto finalmente illuminato dal bagliore dei fuochi.
Sto per chiedergli cosa ci fa qui, quando solleva un braccio. La sua mano impugna una pistola e ce l’ha proprio puntata su di me.
Non ho il tempo di protestare, nemmeno di pensare.
Uno sparo.
Finisco a terra, cadendo all’indietro.
La mia mente si oscura, la mia coscienza si dilania. L’odio mi avvolge totalmente in una morsa calda infernale, è accogliente e terrificante al tempo stesso. La mia mente compie dei processi illogici e irrazionali, abbandonando ogni lume di sanità.
Altri tuoni, sempre più vividi e violenti.
Mi alzo in volo, e guardo Heihachi digrignando i denti.
Questo briciolo di coscienza annebbiata che è tutto ciò che resta di me. Sono più forte e più potente che mai, infervorato da un’energia che non fa parte di questo mondo.
Ho sete di sangue. Morte e distruzione è tutto ciò che bramo, è ciò per cui vivo.
Sorrido mentre le mie unghie si chiudono sul collo di Heihachi. I suoi occhi traboccano di stupore e terrore.
Lo scaravento contro la parete di mattoni, che si sbriciola davanti alla mia volontà.
Heihachi precipita a terra, ancora cosciente, guardandomi con orrore.
Io rido. Emetto una risata malvagia, crudele, mentre la morsa attorno all’ultima fiamma della mia umanità si fa più pesante, più soffocante. Tutto diventa confuso, come in un sogno febbricitante, e il buio finalmente mi avvolge completamente.
In lontananza, solo il rumore dei tuoni mi ricorda che ancora esisto.


Mi sveglio di soprassalto.
“Ma che cazz…” borbotto sollevandomi dal cuscino.
Ieri notte devo essermi addormentato sopra il libro che stavo leggendo, di cui ho stropicciato una pagina. Sono crollato per stanchezza in una posizione tanto stupida, quanto scomoda.
“Svegliati stronzo! Apri subito questa dannata porta!” sento urlare da fuori.
Qualcuno pesta violentemente contro la mia porta. Quelli che sentivo rimbombare non erano tuoni.
Mi metto faticosamente a sedere, mi sono addormentato su un braccio e ce l’ho completamente intorpidito.
Ancora questo stupido sogno!
Prendo il libro e lo chiudo, mettendolo via. Niente più storie violente prima di dormire.
“Jin, sto perdendo la pazienza. Sai benissimo che non scherzo, apri immediatamente questa fottutissima porta!”
Sembra ancora meno amichevole del solito.
“Che cazzo vuoi?!” chiedo a voce alta roteando il braccio nel tentativo di recuperare la sensibilità.
Che diavolo ha Kazuya da urlare alla mia porta alle…
Mi allungo per leggere l’orario sulla mia sveglia elettronica, che emerge dalla montagna di oggetti sul mio comodino.
… le otto e un quarto del mattino.
Non dovrebbe essere già uscito per andare al lavoro invece di stare a rompere le palle a me di primo mattino?!

“I miei dannati auricolari. Li hai presi di nuovo!” ringhia con rabbia.
Oh merda!
“Ti sbagli, paranoico del cazzo!” rispondo osservando da lontano i suoi auricolari da centomila yen sulla mia scrivania “Controlla meglio! Non te li ho presi io!”
Sono un idiota. Questa me la sono decisamente cercata.
Kazuya, che ama isolarsi dal mondo almeno quanto me, si è comprato questi stratosferici ultracostosi auricolari l’anno scorso. Non so se valgano davvero tutti i soldi del prezzo, ma sono una vera bomba! E sono fantastici per giocare ai miei videogiochi! 
Peccato che ieri notte ero così cotto che ho dimenticato di riportarli nel suo studio. Ovviamente lui non approva che io li usi e, manco a dirlo, si incazza sempre come una iena quando scopre che invece glieli ho presi.
“Non cercare di prendermi per il culo, coglione!” urla lui “Li hai presi tu e ti conviene non farmi incazzare ulteriormente!”
Pesta ancora contro la porta, che vedo vibrare pericolosamente.
Fortunatamente ho spostato il comò contro la porta, così da evitare le incursioni indesiderate di Asuka o di Lars.
“Li avrai lasciati a lavoro!” rimango al gioco.
Devo riuscire a farlo allontanare per potermi infilare nel suo studio a metterli a posto.
Si ferma improvvisamente dal pestare alla mia porta. 
Senza dire niente inizia a camminare velocemente lungo il corridoio, sento i suoi passi allontanarsi e scendere per le scale.
Se ne va?
Sono davvero riuscito a convincerlo con così poco?
D’accordo. 
Mi sdraio e torno sotto le coperte. Proverò a dormire ancora per un po’.
Mi sto addormentando sempre più tardi questi giorni, mi farà piacere recuperare qualche ora di sonno.
Tutto sommato non è poi così male la vita da sospeso. Hai un sacco di tempo per fare i cavoli tuoi, non sei obbligato a vedere gente e puoi anche permetterti il lusso di stare sveglio fino a tardi a giocare al pc o a leggere fumetti. Tanto puoi sempre dormire la mattina.
Sembra quasi di essere in vacanza, e forse avevo proprio bisogno di prendermene una.
Mentre sono immerso nei miei pensieri e molto vicino a riprendere sonno, vengo distratto dai passi di Kazuya che sta camminando nuovamente sulle scale e poi lungo il corridoio.
È tornato?
Apro gli occhi e mi siedo sul letto, tendendo le orecchie.
Sento che si ferma di nuovo davanti alla mia porta.
“Apri la porta adesso, o giuro che te ne pentirai amaramente.” dice minaccioso.
Che cosa ha in mente?!
Non rispondo, rimango in silenzio ad ascoltare.
“Conto fino a tre.” annuncia. 
Guardo ancora il comò. Qualsiasi cosa abbia intenzione di fare dubito che riuscirà ad aprire la porta finchè c’è un comò di duecento chili che fa da rinforzo.
“Uno.” 
Forse avrei dovuto aggiungere del peso a quel comò però.
D’altronde Kazuya non è un tipo qualunque. In effetti potrebbe anche riuscire a spostarlo.
“Due.”
In effetti io sono riuscito a spingerlo lì davanti senza non troppi problemi. Può riuscire a spostarlo anche lui. 
Cazzo, avrei davvero dovuto mettere qualcosa di più pesante.
Mi guardo intorno velocemente. Cosa potrei usare?
“Tre.” urla e la sua voce viene subito seguita da un forte rumore.
Proprio quello che sembra un… 
… un colpo d’ascia contro la porta?
“Che cazzo stai facendo?!” scalcio via le coperte e mi alzo in piedi.
Un altro colpo e vedo la lama trapassare il legno della porta.
“Sei pazzo!” urlo “Ti rendi conto che sei pazzo da legare?!”
Lui continua e il legno della porta continua a spaccarsi, finchè non è in grado di staccarne un pezzo intero.
C’è un buco, adesso c’è un dannato buco proprio nel bel mezzo della mia porta e sento di stare per impazzire.
Mi porto le mani sopra i capelli, in preda alla disperazione.
La porta della mia stanza, il più prezioso dei miei confini è stato distrutto.
Addio privacy. Addio tranquillità. Addio mondo.
Kazuya abbassa l’ascia a terra e si avvicina allo squarcio nella porta e ci guarda attraverso. È abbastanza largo per mostrare una buona porzione del suo volto.
Vede gli auricolari, si allontana e infila una mano attraverso la porta.
“Gli auricolari, prego.” dice gelido con il palmo aperto verso il soffitto.
Glieli devo dare o so che non si fermerà qui. È pazzo furioso.
Respirando pesantemente mi avvicino alla scrivania, prendo quei fottutissimi auricolari e mi avvicino alla porta, lanciandoglieli bruscamente contro la mano.
Lui li afferra e ritrae il braccio.
“Sei sempre il solito bambino viziato e capriccioso.” commenta sprezzante a bassa voce “Bisogna sempre arrivare alle maniere forti per farti ragionare.”
Maniere forti?
“Mi hai distrutto la porta, bastardo!” ringhio cercando a fatica di trattenere la rabbia.
Sono talmente arrabbiato da avere quasi voglia di vomitare. Può avere senso tutto questo?
“Sì.” risponde lui mentre lo sento raccogliere l’ascia “E farai bene a non tornare a prendere le mie cose senza permesso se vuoi ancora averla una porta.”
“Tu maledettissimo bastardo…”
“E comunque era già malridotta di partenza.” aggiunge ignorandomi. 
Inizia a camminare lungo il corridoio.
Mi avvicino al comò e lo spingo su un lato per liberare la porta.
Afferro la maniglia ed esco dalla stanza. 
Kazuya è già sceso al piano di sotto. Mi dirigo verso le scale, dai primi scalini lo scorgo davanti alla porta di ingresso. Sta indossando il suo cappotto, pronto per tornare a lavoro.
“Mi hai distrutto la mia porta.” ripeto ancora sconvolto.
Lui si gira e mi guarda con aria di sufficienza.
“Vuoi una porta? Compratela o riparatela.” mi risponde.
“Come cazzo dovrei fare per ripararla?” chiedo “Le manca un dannato pezzo!”
Lui si volta dandomi le spalle, sistemandosi il colletto del cappotto davanti allo specchio.
“Nel capanno in giardino trovi attrezzi e una tavola di legno. Puoi usarli per tappare lo squarcio. Scardina la porta e mettila sul pavimento per lavorarci o rischierai di peggiorare il danno.”
Poi si volta e mi guarda con un ghigno.
“Fai attenzione a non perdere qualche dito, a tua madre dispiacerebbe.” dice prima di aprire la porta di casa e andarsene.
Ritrovandomi di nuovo solo, mi sfogo liberando un urlo di rabbia. Poi un altro e un altro ancora.
Poi mi siedo sulle scale e appoggio la fronte contro le mani, chiudo gli occhi e respiro a fondo, cercando di calmarmi.
Perché non fuggire oggi stesso? Perché non mandare tutto e tutti al diavolo e cambiare vita a partire da questo momento?
Sollevo appena il viso, aprendo gli occhi sotto ai miei polpastrelli. 
Inutile. Non sono ancora maggiorenne, chiamerebbero la polizia e mi troverebbero e non avrei fatto altro che rendere la mia situazione ancora più complicata di come già non lo sia.
Abbasso la schiena all’indietro, sdraiandomi sul pavimento e fissando il soffitto.
A tua madre dispiacerebbe.
Lei ci soffrirebbe un sacco. E anche se spesso litighiamo è pur sempre l’unica persona della mia famiglia con cui ho ancora un rapporto più o meno decente.
Non posso farle questo.
Sento la porta di ingresso che si apre.
È tornato qualcuno.
Sarà ancora Kazuya?
Non mi importa. 
Rimango nella mia stupida posizione sul pavimento persino quando l’ignoto inizia a salire le scale. 
Arriva a pochi scalini di distanza da me e lo sento fermarsi.
Sollevo appena la testa per vedere di chi si tratta e vedo Lars che mi guarda con un’espressione vagamente spaventata.
Torno a rilassare i muscoli del collo e a guardare il soffitto, sogghignando divertito.
Deve sicuramente pensare che sia un pazzo.
Mi cammina accanto a passi lenti senza dire niente. 
Apprezzo il fatto che non mi abbia chiesto niente.
Lo sento andare in silenzio verso la sua stanza e chiudere la porta.
Lars. 
Fatico ancora a capirlo, ma più di tutto, non capisco come faccia ancora a resistere in questa gabbia di matti. Volontariamente.
Mi metto a sedere, alcuni ciuffi di capelli mi cadono davanti agli occhi. Sono ancora in pigiama e devo avere un aspetto disgustoso. Imbarazzante che Lars mi abbia visto in questo stato.
Mi alzo e vado in bagno.
Farò una doccia, mangerò qualcosa per placare un po’ questo fastidiosissimo persistente senso di nausea che la mia stessa esistenza mi provoca e passerò la giornata tra serie tv e videogiochi fino a farmi bruciare gli occhi. Come ieri, come avantieri e il giorno prima di avantieri.
Mentre entro nella cabina doccia sento Lars uscire di nuovo di casa.
Perfetto, sono nuovamente solo.
La doccia è certamente una delle poche cose che mi mancherebbero della vita in questa casa, con l’idromassaggio e la funzione sauna.
Sembra stupido, ma sono cose in grado di rendere un po’ meno spiacevole persino una mattina cominciata in un modo tanto pessimo quanto questo.
Che sia questo il motivo per cui Lars non è ancora scappato?
Rimango sotto l’acqua così tanto tempo che quando esco i vetri e lo specchio sono completamente appannati.
Dopo essermi asciugato alla bell’e meglio, lascio da parte l’asciugamano e mi fermo davanti al lavandino. Con il dorso della mano disegno un cerchio sullo specchio per poter vedere il mio riflesso.
Con le mani sul marmo del piano dei lavandini mi sporgo in avanti per osservarmi meglio.
È così che mi sono ridotto alla fine, sembro il fantasma di me stesso. 
Ho gli occhi arrossati e cerchiati di viola per le poche ore di sonno, il volto sciupato, non mi stupirei se dovessi aver perso un po’ di peso nell’ultima settimana, i capelli iniziano ad essere un po’ troppo lunghi ed è più di una settimana che non tocco un rasoio.
Faccio una smorfia.
Di certo è rimasto ben poco del rispettabilissimo studente modello, dalla sì turbolenta condotta, ma perfettamente in grado di raggiungere il terzo posto della classifica di rendimento dei più secchioni della scuola. 
Adesso assomiglio ad una specie di senzatetto.
“Fanculo.” borbotto. 
Prendo un asciugamano e me lo getto sopra la testa.
“Sono tutte stronzate.” continuo a bassa voce.
Non mi importa di stare parlando da solo, al di là del fatto che non ci sia nessuno che possa sentirmi.
Mi massaggio i capelli sotto l’asciugamano e lascio il bagno, camminando nudo nel corridoio.
Non mi è mai importato di essere uno studente modello dall’apparenza rispettabile. Lo facevo solo per arrivare al mio fine ultimo di poter scappare da questa famiglia, ma pure questo non è servito a niente.
Arrivo davanti alla mia stanza, con la porta bucata spalancata come l’avevo lasciata, e varco la soglia, chiudendomi la porta, bucata, alle spalle. 
Al contrario di tutti gli altri studenti di buona famiglia della scuola, di certo non ho mai avuto l’interesse di tenere alto l’onore di casa.
“Potessero marcire all’inferno.” borbotto recuperando qualcosa da mettermi da dentro i cassetti.
A parte mia madre, ovviamente. Il suo unico grande errore nella vita è stato quello di essersi per qualche ragione infatuata di Kazuya.
Ecco, questo è qualcosa che non capirò mai.
Inizio a vestirmi.
Come fanno persone in gamba e intelligenti a perdere letteralmente la testa quando… 
Storco la bocca al pensiero.
… si innamorano?
Dopo essermi vestito, scendo al piano di sotto e prendo una fetta di pane da tostare dalla cucina e l’addento senza aggiungerci altro condimento.
Ultimamente il mio stomaco è sempre chiuso e dolorante e non tollera praticamente niente, dev’essere per colpa di tutto questo dannatissimo stress.
Spero che mi passi prima di dover andare da un medico.
Apro la porta a vetri della cucina, con la fetta del pane sotto ai denti e mi appresto ad uscire.
Come mi aspettavo, i tre segugi infernali di Kazuya vengono a darmi il benvenuto, ringhiando, con le fauci contratte e gli occhi iniettati di sangue.
Gli rivolgo lo stesso sguardo affettuoso, uscendo in giardino e chiudendo la porta dietro di me con un colpo secco.
Sono sicuro che prima o poi questi tre mostri uccideranno qualcuno e quel giorno per Kazuya saranno cazzi amari. 
Mando giù l’ultimo boccone di pane e mi incammino sul vialetto bagnato dalla pioggia. C’è freddo, ma cerco di ignorare i miei capelli ancora umidi che sembrano irrigidirsi e ghiacchiarsi al contatto con l’aria gelida. Tiro su il cappuccio sulla testa e incrocio le braccia contro l’addome per scaldarmi.
Il capanno degli attrezzi è di fianco alla casa. Accelero il passo per raggiungerlo il più in fretta possibile. Sì, ho decisamente sottovalutato il fattore freddo. Se dovessi prendermi una polmonite dopo questo, non potrei far finta di non essermela andata a cercare.
Arrivo al capanno e apro la porta con un calcio, tenendo le mani al caldo sotto i gomiti.
Senza dover fare alcuno sforzo per cercarli, trovo sullo scaffale più in vista martello, una scatola di chiodi e una tavola di legno delle dimensioni giuste.
Ottimo davvero. 
Senza perdere altro tempo, prendo tutto l’occorrente e torno sui miei passi.
I cagnacci sono ancora lì, che mi guardano famelici immaginando di potermi sbranare e spolpare sotto le loro fauci.
“Via!” ne scaccio via uno con un finto calcio.
Quello si sposta e continua ad osservarmi con un ringhio basso e minaccioso.
Torno velocemente dentro casa e vengo finalmente riaccolto dal tepore dell’ambiente interno. Dopo aver chiuso la porta dietro le mie spalle, mi libero degli attrezzi, appoggiando tutto a terra, e sfrego le mani per cercare di riscaldarle. 
Poi guardo la tavola di legno e sospiro.
Sembra che oggi avrò qualcosa di diverso da fare prima di dedicarmi ai soliti videogiochi. Devo prima recuperare la mia preziosa privacy.
“A noi due.” sussurro guardando quella tavola di legno.
 


Mi scosto alcuni ciuffi dalla fronte con una mano.
Sì, devo decisamente ricordarmi di dare una spuntatina ai capelli appena possibile.
Guardo soddisfatto il mio lavoro.
Non è affatto male, dai.
E devo dire che non è stato neanche poi così male lavorarci su. O forse sono talmente annoiato e disperato che persino un lavoro di fai-da-te è una fuga dalla normale routine.
Però è stato inaspettatamente rilassante.
Nonostante l’intrusione di Lars e Alisa che, dopo essere tornati a casa, hanno deciso di ficcare il naso nei miei affari e di ammorbarmi con le loro stranezze. E nonostante abbia rischiato di colpirmi un dito col martello per essermi fatto distrarre dalle domande di Alisa.
Sì, tutto sommato, anche se non lo ammetterò mai a voce alta, mi sono in qualche modo intrattenuto a martellare quei chiodi attraverso il legno. È stato in un certo senso liberatorio.
Ho rimontato la porta sui suoi cardini e lo squarcio è completamente tappato dalla tavola, affissa sul legno come una toppa in un paio di pantaloni strappati. Certo, esteticamente non sarà il massimo, ma mi sono riconquistato i miei confini ed è questo quello che importa. Ho di nuovo il controllo della mia zona sicura.
Apro la porta e torno nel mio mondo, lontano da Lars, da Alisa, dalle loro assurdità, e da quelle di tutti gli altri.
Sorrido guardando il computer. Ora posso dedicarmi ai videogiochi per il resto della sera, finalmente.

Prendo le mie vecchie malridottissime cuffie, oggi dovrò accontentarmi di queste, me le calo sulle orecchie e accendo il pc, sprofondando sulla sedia girevole.
In realtà non passa neanche un’ora quando sento qualcuno aprire la mia porta.
Metto in pausa il gioco e mi volto.
È mia madre, che mi guarda con la solita espressione preoccupata di questi giorni.
Abbasso le cuffie.
“Quello stronzo di Kazuya mi ha sfondato la porta stamattina.” spiego ancora prima che lei possa parlare “Ho dovuto ripararla perchè aveva un dannato buco. Si vedeva attraverso!”
Lei sorride.
“Sì, so tutto.” risponde “Volevo solo… ecco… salutarti prima di partire.”
Già. Me n’ero dimenticato.
“Oh è… è già il sedici?” chiedo confuso.
Sto perdendo completamente la concezione del tempo dentro la mia personale dimensione.
Sapevo che mia madre e Kazuya dovevano partire per un viaggio inerente agli affari della G-Corp, ma non mi ero accorto che fosse così vicino.
Ottimo, per un po’ non rischierò di incontrare Kazuya in giro per casa. La cosa non può che farmi piacere, soprattutto dopo una giornata come quella di oggi.
Certo che se è già il sedici, ciò vuol dire che tra due giorni dovrò pure tornare a scuola.
“Ovviamente voglio che tu sappia che potrai chiamarmi per qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno.” continua lei con aria apprensiva.
“Sì, certo lo so. Fai un buon viaggio allora.” rispondo evasivo con un minuscolo sorriso.
Torno a girarmi verso il pc, continuando a tenere le cuffie abbassate.
Riprendo a giocare.
“Davvero, Jin.” continua lei “Anche… se ti venisse voglia di parlare un po’.”
Sospiro. 
“Mamma, te l’ho già detto mille volte.” rispondo spazientito “Non ho bisogno di parlare con nessuno.”
Lei rimane qualche secondo in silenzio.
“D’accordo. Volevo solo che lo sapessi nel caso cambiassi idea.” risponde “Ti mando un messaggio quando atterriamo.”
“Va bene.” 
Un’altra piccola pausa.
“Allora ciao.” dice.
“Ciao.”
Chiude la porta.
Sospiro. 
Ok, sono uno stronzo. Mi dà fastidio che si preoccupi così tanto per me, ma in effetti non posso biasimarla. Ripenso alla mia immagine nello specchio di stamattina. Lei vede quello ogni volta che guarda suo figlio, un senzatetto smagrito e trascurato che passa le giornate a procrastinare e a spaccare cose. Come posso darle torto se si preoccupa?
Sospiro. Da domani mi do una sistemata e pulisco anche la stanza.
Farò in modo di tornare gradualmente normale per quando tornerà a casa dal viaggio.
Sì, da domani si torna normali. Più o meno.
Mi rimetto su le cuffie.
Passano circa due ore, nel mentre sia Lars, sia Alisa, sia Asuka sono usciti, quando la vibrazione del mio telefono da qualche parte vicino al mio gomito mi disturba e mi costringe a ricordarmi ancora una volta della realtà.
Guardo il cellulare da lontano senza nemmeno sporgermi per vedere chi mi cerca e decido di lasciarlo squillare.
Mia madre e Kazuya dovrebbero già essere in aereo a quest’ora, quindi non può essere lei. Chiunque sia, può aspettare.
Al mio personaggio serve tirare giù una leva per aprire il portone per poter andare avanti nel gioco ed è sicuramente più importante. 
Ecco la leva! Do il comando azione e il telefono smette di vibrare.
“La leva è rotta!” esclama il mio personaggio, suggerendomi poi di cercare un oggetto per poter azione comunque il meccanismo.
“La cazzo di leva è rotta.” ripeto a denti stretti.
Ironico come sia una perfetta metafora della vita.
Una leva rotta, un portone chiuso, una soluzione da trovare e gli zombie che arrancano verso di te, sempre più vicini, mentre inizi a sentire il loro putrido alito sul collo.
Squilla di nuovo il telefono.
“E porca troia!” sbotto, mettendo in pausa il gioco.
Allungo la mano e prendo il cellulare. 
Sospiro leggendo il nome della persona che mi cerca. Alzo gli occhi al soffitto e accetto la chiamata.
“Sì...” rispondo atono.
“Ah! Finalmente ti sei deciso a rispondere!” commenta indispettita “Non posso credere che mi stai lasciando così nella merda!”
“Julia… non è da te usare questo linguaggio.” commento stirandomi all’indietro.
Non vorrei che i giorni passati davanti al computer senza un minimo di allenamento iniziassero a incasinarmi la postura.
Mi sto veramente trasformando nel fantasma di me stesso.
“Beh, perché non mi capita così spesso di arrabbiarmi così con qualcuno!” risponde.
“Senti, non so che dirti.” taglio corto “Non ho la minima intenzione di perdere altro tempo per  studiare per quella stupida gara! Soprattutto ora che non ho più alcun motivo per doverla fare! Non me ne faccio più niente di quei crediti, lo sai...”
“Jin…” prova a farmi ragionare. 
La voce le trema, è veramente disperata.
È incredibile. Questa storia la sta veramente facendo impazzire.
“Per te non cambierà niente, ma per me…” si blocca “... te lo chiedo per favore, Jin.”
“Non ho tempo!” rispondo.
“Non hai tempo?” ribatte lei scettica “E per quale ragione? Di certo non stai studiando e so per certo che non ti stai neanche più allenando! Me l’ha detto tua madre.”
Guardo il monitor.
“Sì, è vero. Ma ho comunque di meglio da fare.”
“Sei uno stupido egoista.”
“Io sarei lo stupido egoista?!” ripeto infastidito.
Questo suo atteggiamento inizia davvero ad irritarmi. Questa gara sta diventando per lei un’insana ossessione oltre il limite della decenza.
“Hai idea della situazione di merda in cui mi trovo?!” esplodo “Tutto ciò per cui mi sono fatto il culo tutto l’anno non ha più senso e secondo te dovrei perdere altro tempo solo per aiutarti a primeggiare contro un tizio qualunque solo affinché tu non ti senta troppo offesa nel tuo orgoglio?” 
“Ok, non volevo dire…” cerca di ritrattare.
Lo sa benissimo che sono nella merda fino al collo. Chi più di lei può capirmi? Proprio lei che tiene così tanto alla scuola?
“Senti, il punto è che ho altre preoccupazioni al momento!” riprendo, cercando di assumere un tono vagamente gentile “Comunque sono sempre iscritto alla gara e parteciperò con te quando tornerò a scuola, ma non ho intenzione di perdere tempo a studiare più di quel che già so, quindi non chiedermelo più, ok?” 
“Sì, ma non vinceremo mai così.” risponde seccata e indispettita.
“E allora dovrai fare pace con il fatto che Steve Fox è più bravo di te!” sbotto, stavolta mandando al diavolo tutti i tentativi di sembrare gentile.
E che cazzo! Prima o poi dovrà pure accettare la realtà!
“Sei… sei cattivissimo.”
“E tu sei un tantino ossessionata.”
La sento sbuffare.
“Beh, Jin fai come vuoi allora!” sbotta “Ci vedremo quando tornerai, ma sappi che non ho intenzione di perdere!”
“Va bene.” rispondo.
Chiude il telefono e io lo lancio sulla scrivania, tornando a concentrarmi sul gioco.
Speriamo che veramente non me lo chieda più! Ora posso riprendere ad occuparmi di cose più importanti.
Sarò pure stato indelicato, ma non ne posso più di questa sua continua insistenza. Ne sta facendo una dannata malattia ed è ora che qualcuno glielo faccia capire.
Trovo finalmente il pezzo di asta che mi farà da leva per azionare l’apertura del portone, ammazzo tre zombie con tre colpi di fucile, sparati con una precisione da cecchino, e torno sui miei passi, pronto ad andare finalmente al prossimo livello. 
Sogghigno. Sto andando benissimo, di questo passo finirò il gioco prima del mio rientro a scuola.
Squilla ancora il cellulare.
Non ci credo.
Oggi non mi vogliono far aprire questa dannatissima porta.
Guardo il telefono e per un attimo mi viene voglia di prenderlo e lanciarlo da qualche parte, ma basta uno sguardo alla finestra rattoppata con lo scotch per farmi cambiare idea. 
Sono decisamente troppo nervoso questi giorni. Devo cercare di darmi una calmata.
Avevo detto che da domani mi sarei impegnato per tornare normale, no?
Prendo il telefono, abbasso le cuffie, me lo metto tra una spalla e l’orecchio e apro la chiamata senza interrompere il gioco.
“Non avevi detto che non mi avresti più disturbato?!” sbotto, al diavolo lo stare calmi “Adesso sto davvero perdendo la pazienza!”
“Ehm… ok, scusa!” risponde una voce confusa dall’altro capo del telefono.
Alzo un sopracciglio e metto in pausa la partita.
Prendo il telefono e guardo il nome di chi ha chiamato. Risulta un numero che non ho in rubrica e quella di certo non è la voce di Julia.
“Quindi non hai voglia di parlare, mi sembra di capire?” chiede ancora la voce. 
Mi avvicino di nuovo il telefono all’orecchio.
“Pronto?” chiede.
“Pronto.” rispondo. 
Ho riconosciuto quella voce, ho capito di chi si tratta. 
“Non ricordavo di averti dato il mio numero.” ragiono.
“Ricordi bene infatti.”
“E allora chi te l’ha dato?” voglio sapere, sfilandomi le cuffie dal collo.
“È davvero così importante?”
Non rispondo. In effetti ormai cambia poco.
“Cosa c’è? Perché hai chiamato?”
“Beh ecco, volevo… parlarti.” inizia a spiegare “Ma immaginavo che non ne avessi voglia… insomma mi sembri il tipo di persona che si spazientisce all’idea di stare a parlare al telefono e infatti…” ridacchia “Rispondi sempre così quando ti chiama qualcuno?”
“Pensavo che fosse qualcun’altro.” mi giustifico un po’ infastidito “Non sono un incivile, è ovvio che non rispondo sempre così!”
Ridacchia ancora.
“Certo, certo. È ovvio.” risponde e ho tutta l’impressione che mi stia prendendo per il culo.
Sospiro.
“Cosa vuoi Xiaoyu?” la invito a tagliare corto. 
Guardo il monitor.
“Sto… uhm… lavorando ad una cosa in questo momento. Non ho troppo tempo.”
Ho una dannata porta per il livello successivo da aprire.
“Eh, come ho detto non mi aspettavo davvero che rispondessi al telefono quindi sono venuta di persona…” 
“Cosa?!” aggrotto le sopracciglia.
“Sì, sono sotto casa tua che socializzo con i tuoi cani!”
“Cosa hai detto?!” scatto in piedi “Sei pazza?! Allontanati subito da quelle dannate bestie!!”
“Ma che dici?! Sono così teneri!”
In men che non si dica mi ritrovo a correre a perdifiato lungo il corridoio e scendo le scale più velocemente possibile. 
Lo dicevo che prima o poi i cani avrebbero ucciso qualcuno, ma non mi aspettavo che sarebbe successo oggi!
Ma è possibile? Quella ragazza ha un minimo di istinto di conservazione? Come potrebbe mai a qualcuno sano di mente saltare in testa di mettersi a socializzare con quei mostri?!
Apro la porta di ingresso e mi incammino per il vialetto, sfidando l’aria gelida della sera. La vedo, inchinata contro la ringhiera, con una mano che tiene il telefono e l’altra che batte un bastoncino contro il terreno. 
Infilo il telefono in tasca e mi dirigo velocemente verso di lei. 
La prendo per un braccio e la strattono all’indietro, costringendola ad alzarsi e ad allontanarsi.  
“Sei pazza? Seriamente, dico… quale è il tuo dannato problema?!” la rimprovero.
Lei mi guarda confusa e scoppia ridere.
“Che ti prende? A me non sembrano affatto pericolosi.” risponde invitandomi a guardare i cani.
Seguo il suo indice e li vedo, a circa una ventina di metri dalla ringhiera, che sonnecchiano e sbattono la coda a destra e a sinistra in quello che sembra esattamente un tentativo di… scodinzolare.
Mi avvicino sconcertato alla ringhiera e strizzo gli occhi per vederci meglio. So bene che prendo un po’ sottogamba il lieve problema di miopia che ho da qualche anno, ma sono certo che i miei occhi non possono starmi ingannando a questi livelli.
“Che diavolo hanno?” chiedo incredulo.
Xiaoyu ridacchia.
“Sono i tuoi cani, sei tu che dovresti conoscerli.”
Ecco, ovviamente sono io a farci la figura del cretino adesso.
Mi volto verso di lei serissimo.
“Non si sono mai comportati così! Sono le bestie più feroci che abbia mai incontrato, solo stamattina mi guardavano come se volessero sbranarmi vivo…”
Mi fermo nel bel mezzo del discorso e ho di colpo l’impressione che Xiaoyu non mi stia più ascoltando. Sembra più che altro incuriosita da…
“Ca… carino il tuo nuovo look.” commenta con un mezzo sorriso come se niente fosse.
Chiudo la bocca e le rivolgo uno sguardo di sufficienza.
Un brivido di freddo mi percorre la schiena. Sento che dopo questa giornata la polmonite è dietro l’angolo.
“Sì, lo so. Sembro un tossico che chiede soldi alla stazione, ma non è un ‘nuovo look’, da domani avevo intenzione di tornare...” mi fermo con le spiegazioni “Comunque non sono affari tuoi, sei venuta solo per sfottermi per il mio aspetto?”
“Nessuno ti stava sfottendo! Volevo solo dire che sei diverso dal solito.” ribatte lei con leggerezza, poi aggrotta la fronte “Perché devi sempre prendere tutto così seriamente?”
Rilasso l’espressione. Già, forse sbaglio. Perché?
Sarà che dopo una settimana che parlo prevalentemente da solo come un pazzo, mi sto completamente disabituando a interagire con altri esseri umani in modo normale? 
Non che sia mai stato un asso in questo comunque.
Un altro brivido. Sento le calze sul vialetto che lentamente assorbono l’acqua del terreno bagnato. Ho i piedi ridotti a due pezzi di ghiaccio.
“Vieni, entriamo in casa.” dico tornando verso la porta di casa.
“Eh? Sicuro? Non è che volevo autoinvitarmi a casa tua! Volevo solo scambiare due parole!”
“Mi sto cagando dal freddo a stare qua fuori vestito così, se hai intenzione di parlarmi seguimi, altrimenti ciao!” rispondo acido sforzandomi di non battere i denti.
Questo dannatissimo freddo! 
“Sei ancora più antipatico del solito!” borbotta Xiaoyu che mi raggiunge.
Prima di entrare, lancio un’ultima occhiata ai cani, che stanno ancora lì a scodinzolare sul prato come dei rincoglioniti.
“Dannate bestiacce!” borbotto entrando finalmente nell’ambiente riscaldato di casa.
“Wow, ma è bellissimo qui!” esclama Xiaoyu guardandosi intorno con ammirazione.
Alzo le spalle, poco convinto dando un’occhiata distratta all’ambiente.
D’accordo, abbiamo delle belle docce in casa, ma non ho mai dato una grande importanza all’arredamento.
Mi sfilo le calze, ormai luride di fango.
“Torno subito.” dico andando verso la lavanderia a disfarmi delle calze sporche e a prenderne un altro paio pulito.
Intanto mi sfrego le mani per riscaldarmi. C’è davvero freddissimo questi giorni e se anche fossi riuscito a scamparmi l’influenza stamattina, difficilmente potrò evitarla dopo quest’altra uscita.
Sbuffo.
Quando torno in soggiorno trovo Xiaoyu che guarda affascinata la collezione di katane da esposizione.
“Io mi faccio un tè caldo.” richiamo la sua attenzione.
Lei si gira e mi guarda.
“Ho bisogno di scaldarmi. Fuori mi sono mezzo-congelato per colpa tua.” aggiungo enfatizzando le ultime parole “Comunque, ne vuoi un po’ anche tu?”
“Té? Uh, o… ok!” risponde “Ma non è stata colpa mia! Non ti ho mica chiesto io di uscire senza giubbotto e scalzo!”
Sospiro e le faccio un cenno con la testa di seguirmi.
Entro in cucina, con Xiaoyu al mio seguito.
Si muove molto timidamente.
“Uhm sicuro che non disturbo?” chiede guardandosi attorno.
È normale questa reazione, credo. È pur sempre casa di Kazuya dopotutto.
Prendo il bollitore e lo riempio d’acqua.
“Siamo soli.” le faccio sapere “I miei genitori sono da qualche parte all’estero e Lars, Alisa e Asuka in giro, non so dove e non mi interessa saperlo.”
Accendo il fornello e mi volto, appoggiandomi all’indietro al banco della cucina. 
Xiaoyu è ancora davanti alla porta della stanza, che si guarda intorno un po’ timidamente.
Le faccio un cenno verso una sedia.
“Puoi sederti eh!” 
Lei annuisce e va a prendere posto al tavolo.
“Allora, di che volevi parlarmi?” chiedo impaziente incrociando le braccia al petto.
“Beh…” inizia un po’ a disagio “In realtà non è così importante.” 
Ridacchia. 
Io assottiglio lo sguardo.
“Come ti ho detto, non c’era davvero bisogno di farmi entrare e…”
Sembra decisamente a disagio. Deglutisce, poi abbassa lo sguardo.
“È che mi sento in colpa per quello che ti è successo.” spiega finalmente.
Alzo gli occhi al soffitto.
“Non tormentarti, non è colpa tua.” dico voltandomi a guardare il bollitore.
“Sicuro?” mi domanda “Perché l’ultima volta che abbiamo parlato non sembravi proprio dello stesso avviso.” 
Aspetta una mia reazione, ma non rispondo.
Non sembravo dello stesso avviso? Onestamente neanche mi ricordo. Ero appena uscito dalla presidenza e ricordo che lei e Asuka mi stavano parlando, ma le mie uniche memorie di quel momento sono un confuso flusso di cattivi pensieri. Potrei in effetti aver detto di tutto, ma non saprei dire di preciso cosa.
“Hai proprio detto che era colpa mia se ti eri preso la sospensione.” riprende allora ricordando puntigliosa.
“Ho davvero detto così?” chiedo senza voltarmi “Lascia perdere, sarà stata la rabbia del momento. Non penso che sia davvero colpa tua.”
“Ah… sicuro?” chiede diffidente “Ok! Buono a sapersi, suppongo.”
Mi volto.
“Tutto qui?” chiedo critico dopo qualche secondo di pausa.
Intanto prendo due tazze pulite, zucchero, due bustine di tè e una teiera.
“Ehm… beh, più o meno… ero anche curiosa di vedere come stavi…”
Appoggio la roba sul tavolo e la scruto dall’alto.
“Come stavo.” ripeto lentamente “E perché ti interessa?”
“Perché non dovrebbe?” borbotta aggrottando le sopracciglia “Sei finito nei casini per aiutarmi! Che tu mi ritenga responsabile o no, mi sento comunque in debito con te.”
Il bollitore inizia a fischiare. Mi avvicino ai fornelli, spengo il fuoco e lo prendo, per poi tornare al tavolo.
Verso l’acqua bollente dentro la teiera e mi siedo su una sedia sul lato del tavolo opposto a Xiaoyu, ad aspettare l’infusione.
La guardo in silenzio per qualche secondo.
“Sto bene.” dico poi, ma suona molto più ridicolo di quanto non mi aspettassi.
Lei mi guarda scettica.
Certo che poi con il mio terribile aspetto devo fare proprio ridere.
“Tutti quelli che ti stanno intorno dicono il contrario però.” osserva.
Le rivolgo un’occhiataccia.
“Gli altri non mi capiscono. Ho detto che sto bene.” insisto gelido “E non ho bisogno delle attenzioni di nessuno.”
“Perché non ti stai allenando?” chiede cogliendomi di sorpresa “Tu adori allenarti, ma nell’ultima settimana non ti sei fatto vedere neanche una volta!”
“Perché…” non so cosa rispondere e questa conversazione inizia a darmi fastidio “Perchè non ne avevo voglia, ma cosa c’entra?! Non sono...”
“Affari miei.” completa lei per me distogliendo lo sguardo. 
Fa una risatina nervosa.
“Ti sto dando fastidio?” chiede poi di punto in bianco tornando a guardarmi “Se vuoi che me ne vada...”
“Cosa?” chiedo confuso.
“... cosa?” ripete lei goffamente.
A volte questa ragazza è incomprensibile. La osservo con una smorfia di confusione.
“Puoi restare.” rispondo incerto “Ma basta che la smetti di rompermi le palle. Se dico che sto bene, vuol dire che sto bene.”
Lei si mette a ridere.
“D’accordo, ho capito. Riferivo solo quello che ho sentito.” risponde alzando i palmi delle mani “Discorso chiuso.”
Si instaura un imbarazzante lungo silenzio.
Sospiro.
“Avevo bisogno di prendermi una pausa da tutto.” spiego brevemente poco dopo “Solo di una pausa. Non avevo voglia di fare niente, nè di vedere gente. Ma tutti mi stanno sempre con il fiato sul collo che a volte mi sembra di impazzire…”
Xiaoyu non risponde subito, ascolta in silenzio e poi annuisce.
“Capisco.” risponde senza guardarmi “Ha senso.” 
“Certo che lo ha! Tutto ciò per cui stavo lavorando è finito nel cesso!” aggiungo brutale “Volete davvero biasimarmi se per un po’ non ho avuto voglia di ascoltare le stronzate della gente?”
Verso il tè nelle due tazze e racchiudo la mia fra le mani. Sono ancora infreddolito e il tepore del tè bollente è molto piacevole finchè non diventa insopportabilmente caldo da bruciarmi.
Xiaoyu mi guarda incerta.
“Ho paura che forse ti arrabbierai se te lo dico, ma non devi pensare che sia per forza tutto perduto.” osserva.
Le lancio un’occhiata di sbieco.
“Insomma, intendo dire… hai lavorato un sacco e hai un ottimo rendimento.” continua girando il cucchiaino nella sua tazza “Troverai sicuramente altre borse disponibili, altre occasioni. Uno studente con degli ottimi voti come i tuoi può ambire a qualsiasi scuola voglia. Diverso per chi, facendo un esempio a caso, ha la fissa insufficienza in matematica…”
“Stai parlando di te?” chiedo dubbioso.
Fa una smorfia imbarazzata.
“Beh, non per forza ma… odio quella dannata materia.” sussurra.
Sogghigno e sorseggio del tè.
Non ha tutti i torti. In realtà ci stavo già pensando anche io, tra momenti di lucidità e progetti di piani di fuga. Posso aver perso l’occasione per quella specifica borsa, ma potrei sempre trovarne delle altre. O iniziare a mettermi in contatto con università straniere.
Forse non è davvero tutto perduto. Forse è ancora possibile trovare un altro modo per fuggire il più lontano possibile da qui.
E se entro la fine dell’anno non dovessi aver trovato niente di interessante, potrei sempre lasciare la scuola e cercarmi un lavoro che mi permetta di vivere autonomamente. Al diavolo i titoli.
Alla fine di questo mio ragionamento silenzioso, noto che Xiaoyu fruga nella sua borsa e toglie fuori un sacchetto di carta.
“Comunque, non pensiamoci più per ora…” dice con un sorriso appoggiando il sacchetto sul tavolo.
“Cosa… ?” chiedo indicando il sacchetto.
“Sono biscotti.” spiega orgogliosa “Li ho fatti io, come segno della mia gratitudine per avermi aiutato a salvare Panda. Ne ho regalato un po’ anche ad Asuka.”
“Biscotti.” ripeto alzando un sopracciglio “Grazie, ma… io non mangio biscotti.”
Si blocca e mi guarda a bocca aperta.
“Non mangi biscotti.” ripete come se avessi detto la cosa più incredibile del mondo “Come non mangi biscotti?!”
Alzo le spalle.
“Di solito non ne mangio, perché è così strano?”
“Sei… terribile!” mi accusa “Che razza di persona non mangia biscotti?”
“Una persona a cui non piacciono i dolci?” rispondo in tono sarcastico.
Mi guarda a bocca aperta, poi spinge il sacchetto con un gesto deciso verso di me.
“Ecco che finalmente capisco quale è il tuo problema, hai bisogno di più zucchero nella tua vita!” esclama ironica “Prova almeno ad assaggiarli. Non ho passato ore a mescolare quell’impasto per sentirmi dire ‘non mangio biscotti’.”
Ripete la mia frase imitando il mio tono di voce.
“Bastava un semplice grazie, nessuno ti ha chiesto di metterti a perdere tempo per fare biscot…”
“Mangia!” insiste sovrastandomi con la voce “Se ti fanno schifo non ti obbligo a mangiarne altri, ma almeno assaggiane uno.”
Guardo il sacchetto.
Sospiro. Ma sì, dopotutto è stata gentile e un assaggio glielo posso concedere.
Tiro fuori un biscotto dal sacchetto e lo addento.
“Contenta adesso?” bofonchio con il boccone in bocca.
“Allora?” chiede lei impaziente sorseggiando un po’ di tè.
“Pensavo peggio.” ammetto “A guardarti si direbbe che sei una a cui piace abbondare con lo zucchero.” 
Mi guarda con un’espressione un po’ imbronciata.
“Che cosa vorrebbe dire questo?”
“Hai più colori addosso di un negozio di caramelle.” rispondo schietto.
Dal modo in cui mi guarda capisco che non è troppo contenta del mio commento.
“Almeno io non sembro un pipistrello.” borbotta.
Sogghigno. Questa non me l’aveva ancora detta nessuno.
Mastico e mando giù, assieme ad un sorso di tè.
Riappoggio la tazza al tavolo e mi godo il calore della bevanda che mi avvolge dall’interno.
“E comunque dicevo… i biscotti non sono estremamente dolci e con l’amaro del tè il gusto tutto sommato sta bene.” riprendo.
“Tutto sommato…” Xiaoyu ripete con un mezzo sorriso “Beh è una reazione migliore di quello che mi aspettavo.”
Come mando giù il secondo boccone mi rendo conto di aver una gran fame. 
Il mio stomaco, rimasto vuoto troppo a lungo, si contrae dolorante.
Mi piego in avanti, con un verso di sofferenza.
“Cosa c’è? Tutto questo zucchero extra è così terribile che ti sta facendo star male?” chiede Xiaoyu confusa.
“Non è niente.” rispondo con un’espressione contratta di dolore. 
Accidenti, a furia di stare a stomaco vuoto devo aver iniziato un processo di autodigestione o qualcosa del genere. Disgustoso oltre che terribilmente fastidioso.
“Hey! Tutto bene?” chiede Xiaoyu seria, notando la mia espressione.
“Ora passa.” la rassicuro continuando a masticare lentamente “Avevo solo dimenticato di mangiare oggi.”
“Eh?” chiede Xiaoyu spaesata “Come è possibile dimenticarsi di mangiare?”
Sinceramente non so che rispondere.
“Certo che tu sei un tipo pieno di stranezze.”
La guardo, con i suoi codini e i suoi accessori super colorati. La ragazza caramella definisce strano me, ma non mi sento neanche di darle torto.
Lentamente mi raddrizzo di nuovo sulla schiena e torno a rilassare i muscoli del mio volto. La fitta sta diminuendo.
Lei beve ancora del tè, poi guarda l’orologio.
“Comunque, volevo chiederti un’altra cosa, poi è anche ora che torni a casa.” dice tornando seria “Così potrai continuare ad occuparti di quello che stavi facendo prima che ti interrompessi.”
Sorride per un momento.
Io ripenso al mio computer con il gioco in pausa e improvvisamente mi sento patetico.
Sospiro.
“Sentiamo.” la incito a continuare.
“Asuka mi ha detto che… probabilmente ti sentivi in debito con me, per questo hai voluto aiutarmi.” spiega “È… vero?”
Asuka, la solita ficcanaso!
Sospiro e bevo dell’altro tè, finendolo.
“Potrebbe. In… un certo senso.” ammetto riappoggiando la tazza vuota sul tavolo. 
“Per quale ragione?” chiede lei.
Le lancio un’occhiata obliqua. 
Davvero non ci arriva?
Scuoto la testa. 
Dannata Asuka, perché deve sempre infilarmi in situazioni imbarazzanti?!
“Beh, una volta mi hai rivelato che io sono stato la prima persona ad avere incontrato qui.” incomincio guardando un punto indefinito oltre le finestre “So bene che i nostri primi incontri devono essere abbastanza demotivanti.” 
Faccio una breve pausa di qualche secondo.
Non so se sia il caso di entrare nei dettagli.
“Stavo ancora uscendo da una fase particolare della mia vita.” spiego infine “Mia madre si era da poco risvegliata dal coma e i miei unici contatti familiari erano Heihachi e Kazuya. Ero, se possibile, una persona ancora peggiore di quella che sono oggi, con addosso molta più rabbia e cattiveria.” 
Torno a guardarla.
“Veniva molto facile sfogare un po’ di questa rabbia disprezzando una ragazzina che aveva volontariamente deciso di seguire Heihachi.”
Lei ascolta in silenzio, con un’espressione incerta.
“Devi… odiare veramente Heihachi.” commenta lei “Eppure a me non è mai sembrato il mostro che descrivi tu!”
“Lui e mio padre mi hanno rovinato la vita.” rispondo brusco “E credimi, Heihachi è in grado di rovinarla a chiunque gli stia a fianco! Anche tu faresti meglio a non fidarti di lui.”
Xiaoyu ascolta in silenzio, anche se non sembra troppo convinta. Sospiro.
“In ogni caso tu non avevi colpa di quello che stavo passando io, e comportandomi così non ho fatto altro che abbassarmi allo stesso livello infimo di quei due.” spiego tornando a voltarmi verso la finestra “Un po’ in effetti continuo a farlo con Alisa, con Lars.” 
Inspiro a fondo.
“Può sembrare irrazionale, ma non capisco come si possa scegliere di voler avere a che fare con una famiglia come questa senza esserci costretti.” spiego “E questo mi irrita da morire. È più forte di me.” 
Stringo le mani a pugno.
“Un sacco di cose mi irritano in realtà. Sono… costantemente arrabbiato. Per colpa della mia maledetta famiglia.” sibilo “Non… riesco a liberarmi di questa sensazione. È come qualcosa che mi ribolle dentro le vene… ho un sogno ricorrente in cui divento un demone e sfogo la mia rabbia spargendo violenza e distruzione e…”
Sobbalzo e improvvisamente mi rendo conto di quello che sto dicendo.
Vengo immediatamente avvolto da un orribile senso di vergogna.
Porca troia, l’autoisolamento forzato di una settimana ti porta ad incasinarti la testa in questo modo. Perché diavolo ho deciso di parlare di queste cose così personali con qualcuno che è poco più di una conoscente?
Mi volto da Xiaoyu preoccupato. Deglutisco. 
Lei mi guarda e sembra ancora più incerta di me.
Mi schiarisco la voce.
“Scusa, ti prego dimentica quello che ho detto.” biascico “Mi sono lasciato trasportare e…”
“No, tranquillo. Non preoccuparti.” risponde lei con tranquillità “Se avevi bisogno di parlare con qualcuno e hai fatto bene a confidarti.”
Anche lei con questa storia. Come mia madre e la sua fissa di dover per forza parlare con qualcuno.
Per quanto mi riguarda, difficilmente mi sento sollevato dopo aver parlato con qualcuno, ma piuttosto molto in imbarazzo. 
O sarà solo una mia percezione?
Mi alzo in piedi e carico tazze vuote e teiera nella lavastoviglie.

“Adesso penserai che sono uno psicopatico.” commento a voce alta senza un particolare risentimento.
Evito il suo sguardo.
“O dato che hai parlato con Asuka, è probabile che te l’abbia già detto lei. Me lo ripete circa venti volte al giorno.”
“Andiamo, dovrei pensare che sei uno psicopatico solo perché ogni tanto sogni di trasformarti in un demone?” la sento ridere di gusto.
“No?” chiedo alzando un sopracciglio e finalmente cercando un contatto visivo.
“Ovvio che no, idiota!” risponde roteando gli occhi “Tutti noi facciamo sogni di cui ci vergognamo! Non vuol dire un accidenti!” 
Beh, almeno non è scappata spaventata. Per ora. 
“Penso che tu sia soltanto estremamente stressato.” continua “Non riesci a sfogare la rabbia per le ingiustizie che ti capitano ed è del tutto normale, credo.”
Ascolto senza rispondere.
Non so, inizio a non esserne tanto sicuro.
“E… no, non credo neanche che tu sia cattivo o roba del genere.” 
Si alza in piedi e prende il cappotto. 
Ecco, lo sapevo! Fa finta di niente, ma in realtà si è spaventata e non vede l’ora di scappare!
“È vero, eri insopportabile appena ti ho conosciuto!” continua infilandosi un paio di guanti dai colori ovviamente accesi.
“Eri veramente detestabile.” mi guarda con uno sguardo un po’ di rimprovero.
Si abbottona il cappotto.
“Ma ora che ti conosco meglio, nonostante le tue stranezze e il tuo caratteraccio… e il fatto che non mangi biscotti… ” mi rivolge un mezzo sorriso “... non penso che tu sia una poi così spiacevole persona.”
Alzo un sopracciglio.
Non ne sarei poi così certo. Ma probabilmente me lo sta dicendo solo perchè sono troppo inquietante.
Sono certo che persino i miei cosiddetti ‘amici’ mi trovino insopportabile. Sono certo che oggi sicuramente Julia sarebbe di questo avviso.
“Non stai andando via perché ti faccio paura o qualcosa del genere?” mi decido a chiedere schietto.
La sua reazione però mi sembra abbastanza sincera.
Mi guarda prima confusa, poi inclina leggermente la testa su un lato.
“Jin, ti prego.” mi rimprovera.
Inarco le sopracciglia.
“Mi chiami così adesso?”
Sono pur sempre suo senpai. Però non si sarebbe presa questa confidenza se fosse davvero spaventata da me.
Si sistema la sciarpa attorno al collo.
“Non dovrei?” chiede sogghignando “Neanche ora che mi hai svelato il segreto del tuo alter ego demoniaco?”
“Molto simpatica!” commento con sarcasmo. 
Ridacchia mentre l'accompagno alla porta.
“Domani verrai ad allenarti?” mi chiede quando siamo sull'uscio di casa.
“Non lo so.” rispondo in tutta sincerità “Non so se ne avrò voglia!”
“D'accordo!” risponde annuendo “Allora… nel caso non ci vediamo, ‘buon rientro a scuola’!” 
Sorride improvvisando due pollici in su.
“Grazie, suppongo…” rispondo un po’ confuso.
A volte se ne esce con questi comportamenti un po' strani ai quali non so bene come rispondere.

“Beh, allora ciao!” sorride ancora salutandomi con un cenno della mano.
Si gira e si avvia lungo il vialetto.
“Xiaoyu!” la chiamo quando è più o meno a metà strada.
Si ferma e si volta a guardarmi.
“Grazie per i biscotti. Li mangerò.”



 









NOTE:
Per scrivere questo capitolo ho fatto delle interessanti ricerche su Amazon e ho scoperto che cuffie e auricolari possono arrivare ad avere dei prezzi che mai avrei immaginato! 
Quante cose utili si imparano a scrivere queste storie! E a me che sembra solo di perdere del tempo!

Comunque, eccoci all'ultimo capitolo dell'anno, un po' più lungo del solito e anche per qualche ragione più faticoso, soprattutto in fase di revisione. Spero che il risultato finale vi piaccia!
Un ringraziamento a tutti voi che avete letto fin qui e un ringraziamento particolare a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite/ricordate/preferite e a chi trova del tempo per lasciare un commento. 

Buone feste, alla prossima!

 

  
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