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Autore: MidnightThinker    18/12/2017    1 recensioni
"Non ricordo il giorno esatto, ma era sicuramente estate. Erano le ore della controra ed ero seduto sulla mia comoda sedia a sdraio, in giardino."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ricordo il giorno esatto, ma era sicuramente estate. Erano le ore della controra ed ero seduto sulla mia comoda sedia a sdraio, in giardino. Il tepore del sole amplificava la sensazione di benessere che provavo in quel momento e sentivo la brezza estiva scorrere tra i miei capelli. Sentivo il respiro stanco ed irregolare del mio cane, steso a pochi metri da me. Però c’era qualcosa che non andava. Ascoltando attentamente, c’era questo piccolo e fastidioso rumore che rovinava tutta quell’armonia.

Sembrava avere un ritmo preciso: due secondi di fruscii seguiti da due secondi di silenzio e così via. Provai ad ignorarlo, ma non ci riuscivo. Allora, controvoglia, mi alzai e cercai di capire da dove provenisse. Guardandomi in giro, il mio sguardo cadde su una piccola ragnatela su un albero lì vicino. Mi avvicinai e notai che una piccola falena era rimasta intrappolata in essa. Inizialmente pensai di spezzare, non so, un ramo e rompere la ragnatela, ma qualcosa dentro di me mi disse di lasciar perdere perché, alla fine, era solo una falena. Ma era davvero solo una falena? No, non lo era. C’era qualcosa che mi costringeva a rimanere. Un qualcosa che mi faceva immedesimare nella falena. Insomma, mi sentivo come se fossi io la falena, in quel momento. Così come lei è intrappolata dai fili della ragnatela, io sono intrappolato in una ragnatela di mie convenzioni e convinzioni riguardo la vita. Così come il suo ragno aspetta solo il momento giusto per mangiarla, i ragni che vivono nella mia testa si cibano delle paure da loro stessi create. Così come la sua ragnatela non le permette di volare, le mie non mi permettono di essere ipoteticamente libero.

Però ci sono due piccole differenze tra me e la falena. Prima di tutto, io, le mie ragnatele, me le sono costruite da solo, lentamente e con costanza. E, poi, io conosco il nome del mio ragno: Procida. Ed è qui che viene il bello. Credo di essere vittima di una particolare forma di sindrome di Stoccolma, perché io amo il mio ragno. Ma in un senso totalmente positivo. Sì, perché io so che questo ragno chiamato Procida è la mia casa e, se anche mi fosse permesso di abbandonarla, io non lo farei. E’ difficile da spiegare. Diciamo che se qualcun altro, nella mia stessa condizione, aspettasse l’arrivo di qualcuno capace di uccidere il ragno (per, quindi, scappare da Procida), io, quella persona, la caccerei. Sì, lo so, può sembrare assurdo, ma credo che queste mie convinzioni siano dovute al fatto che questi filamenti setosi, cioè le strade di Procida, mi inducano in uno stato di tranquillità. Ed è per questo che io, per quanto mi sarà possibile, non mi muoverò da qui. Viaggerò ed imparerò, certo, e vedrò cose stupende, ma il mio pensiero sarà sempre “Bello, ma non è Procida”.

La falena era ancora lì, comunque, che si dimenava, cercando di liberarsi. Pensandoci bene, ero il padrone della sua vita. Avrei potuto spezzare le sue catene e farla volare via oppure lasciarla lì, alla mercé del ragno. Fu quello il momento in cui rimasi folgorato da una domanda: e se tutta la mia vita dipendesse da scelte altrui? C’è qualcosa che posso davvero fare senza essere inconsciamente controllato da qualcosa, che sia paura od altro? Ero e sono tuttora terrorizzato dalla risposta. Dovevo fare qualcosa per quella falena, non potevo lasciarla lì, agonizzante. Per questo motivo la liberai. Lei, zigzagando, riprese a volare e scomparve. Non so che fine abbia fatto, così come non so che fine farò io. Forse la vita è solo trovare, per caso, la miglior ragnatela ed il miglior ragno possibili per se stessi e lasciarsi morire.
   
 
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