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Autore: _Kalika_    18/12/2017    2 recensioni
La storia non tiene conto dei fatti ne "Le Sfide di Apollo"
Will è in preda ai sintomi di una terribile malattia, una maledizione che colpisce alcuni figli di Apollo… le possibilità di sopravvivenza sembrano scarse, ma Nico non intende perderlo. Riuscirà il figlio di Ade a superare le prove proposte, compreso lo scontro con un odiato nemico?
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«Che intendi dire?» Nico strinse il Ferro dello Stige, alternando lo sguardo tra la figura che si dimenava debole e l’ombra.
«Ti sarà richiesto soltanto un sacrificio. Devi scegliere tu se sei disposto ad accettare»
«Di cosa stai parlando?» Chiese ancora, irritato. L’ombra non rispose. Si mosse appena, poi scomparve con un risucchio nel terreno.
*
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«Sono ancora uno stupido, Raggio di Sole?»
Il figlio di Ade sbuffò, riappoggiando il capo sulla maglietta arancione del biondo. «Sì, moltissimo. Anche se non è stata tutta colpa tua.»
«Ah, no?»
«No. Probabilmente gli dei avevano già deciso che avresti fatto la stupida azione che hai fatto.»
«Mh. Quindi ti sei sbagliato a darmi uno schiaffo, prima.»
«No, non sto dicend…»
«E ti devi far perdonare.»
«Non…»
«Facciamo così: se farai un’azione più stupida della mia, allora potrò restituirti il torto.»
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cupido, Eros/Cupido, Nico di Angelo, Nico/Will, Nuovo personaggio, Will Solace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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Il Frutto del Sacrificio – Cap 2
 
 
 
All’inizio Nico pensò che si trattasse di una riunione privata. Poi, mentre sbocconcellava la brioche che gli aveva preso Helen, vide i capi delle altre case entrare uno dopo l’altro in sala assemblea e guardare stupiti prima lui, poi Will semisdraiato su una barella trasportabile accanto, con indosso la tunica dell’infermeria e la carnagione pallida. All’appello mancavano Percy ed Annabeth – dato che erano a marzo, loro ed altri ragazzi vivevano nei loro appartamenti con i genitori mortali -, ma per il resto sembrava un’assemblea come tutte le altre.
Parteciparono anche Helen e Kayla Knowles, quest’ultima nominata in fretta e furia Capo provvisorio della casa di Apollo al posto di Will. A Nico tale cambio suonò tanto come una condanna a morte, ma preferì starsene ben zitto.
Non appena furono tutti presenti, Chirone iniziò a parlare, riferendo gli ultimi avvenimenti – o perlomeno, la versione che conosceva. Finito il racconto si rivolse ad Helen, che finora aveva ascoltato rabbuiata senza mai interrompere.
«Helen, mi sembra di capire che voi ragazzi della casa di Apollo sappiate di cosa si tratti questo malore.» Le lanciò un’occhiata come se fosse parte di un copione. Probabilmente avevano già parlato in privato, pensò Nico.
La semidea si fece più avanti, annuendo gravemente: «È così, almeno per chi di noi è qui da molto ed ha potuto studiare alcune delle leggende di nostro padre. Non mi è stato difficile capire. Non si tratta di una semplice malattia. È una sorta di…» Fece saettare lo sguardo sui presenti, soffermandosi su Nico e poi su Will, che la ascoltava attento pur sapendo, come si intuiva dallo sguardo, cosa volesse dire. Per qualche istante si sentì solo il rumore della mascella di Grover che masticava nervosamente una lattina. «..di maledizione, che colpisce guaritori figli di Apollo. Non è eccessivamente rara, ma è molto pericolosa.»
Un mormorio si diffuse nella sala. Si sentirono un paio di imprecazioni, Clarisse lanciò un croccantino a Seymour con un po’ troppa foga, mentre Nico sbiancò e voltò la testa di scatto verso il suo ragazzo, che tuttavia non stava guardando verso di lui.
«Non è possibile curarla con i medicinali divini o la magia, questa è la regola. E beh, temo che di qui a poco non sarà possibile farlo neanche con le tecniche mortali.» Proseguì cauta Helen.
Lou Ellen, capo della casa di Ecate, si schiarì la voce titubante: «Non è possibile per opera di qualche magia o perché la malattia è troppo potente?»
La figlia di Apollo la guardò in silenzio, rimuginando sulla domanda. «Vorrei risponderti che è solo a causa di una magia» dichiarò infine «ma in tutta la mia vita, rispetto alle altre poche manifestazioni che ho visto, questa è di gran lunga più violenta. È solo questo il motivo per cui la maggior parte del campo non ne è al corrente, poiché non sembrava mai più di una semplice influenza. Ma questa volta temo che, anche a causa della natura divina del malanno, dei medicinali mortali non siano in grado di estirpare la malattia.»
Molti degli sguardi dei presenti si fissarono su Will, che pareva essersi estraniato in un’altra dimensione.
«Ma perché gli dei vogliono fare una cosa del genere?» Chiese una voce timida da una parte imprecisata della sala. Alcuni dei semidei, compreso Nico, fecero una breve ed amara risata.
Helen sospirò impercettibilmente, ma anche questa volta aveva la risposta pronta. «Perché è una sorta di punizione. Avere il potere di guarire le persone… richiede una sorta di contro-azione divina. Da quel che penso, potrebbe essere stato deciso direttamente dalle Parche.»
Nella stanza piombò il silenzio, fatta eccezione per le dita di Leo che tamburellavano nervosamente sul bordo della sua sedia. Clarisse, prima seduta con i piedi appoggiati al tavolo da ping pong, si rimise composta riflettendo su quelle parole. Piper si strinse angosciata a Jason, senza staccare lo sguardo da Nico.
Non era giusto. Niente di tutto quello che la figlia di Apollo aveva detto era giusto. Ma d’altronde, la giustizia era un argomento estraneo agli dei.
«C’è un modo per levare la maledizione?» Connor Stoll guardò speranzoso insieme al gemello Helen, che esitò. I fratelli Stoll erano sempre stati molto legati a Will, ed il loro tono non fece altro che aumentare l’aspettativa nella stanza.
«In teoria, bisogna lasciare che il malore passi da solo. In genere non dura più di due settimane, ma la febbre e tutti, tutti gli altri sintomi non smettono di peggiorare sino all’ultimo giorno, in cui scompaiono all’improvviso. Se davvero oggi è il primo giorno della malattia, e non ho dubbi che lo sia…» guardò Will con voce rotta, e lui d’istinto strinse appena la mano di Nico posata sul lettino accanto a lui. «Io… ecco, io non credo che.. possa sopravvivere…» abbassò subito lo sguardo, con gli occhi lucidi che minacciavano di lacrimare.
«Stai dicendo che non c’è altro modo se non fargli passare le pene del Tartaro – e so di cosa sto parlando -, senza neanche avere la certezza che alla fine sopravvivrà?!» Nico si alzò di scatto, schiumante di rabbia.
Helen, come molti dei presenti, sussultarono intimoriti. La semidea borbottò incerta: «Io.. i-io non…»
Chirone la interruppe autorevolmente. «Nico, per favore siediti.»
«Forse c’è un modo.» La voce di Kayla, rimasta in silenzio fino a quel momento, animò un poco i presenti. «Anch’io ho avuto modo di leggere varie leggende a riguardo, diverso tempo fa. In una versione ci fu un dio che, contrario alla maledizione, creò un frutto in grado di guarire all’istante la malattia.»
«Chi era il dio?» Chiese subito Nico.
Il centauro lo interruppe di nuovo. «La leggenda non è completa. Per ottenere il frutto, era necessario un…»
«Non mi interessa! Chi era il dio?» Insistette il figlio di Ade quasi ringhiando. Chirone lo guardò in silenzio alcuni secondi prima di rispondere: «Il suo nome è Cupido.»
Nico si irrigidì sulla sedia. Da come gli altri lo guardavano, capì di essere impallidito. Lanciò una rapida occhiata a Jason, che sembrava il ritratto della preoccupazione. Si guardarono in silenzio, poi ognuno distolse lo sguardo con un velo d’inquietudine negli occhi.
Nico non aveva esattamente un buon ricordo di Cupido. Quando, l’anno scorso, lui e Jason l’avevano incontrato, per poco non ne era rimasto ammazzato, e comunque non era stato più il ragazzo di un tempo. A ben pensarci forse la svolta non era stata del tutto negativa, ma se c’era una cosa di cui era sicuro, era che odiava quel dio con tutto sé stesso.
L’idea di essere in debito con lui gli fece venire il voltastomaco, ma d’altronde non avevano scelta.
«Va bene. Posso guidare io la missione, se l’oracolo è d’accordo» Decise «Come compagni scelgo…»
«Non ci sarà nessuna missione, ragazzo.»
Nico guardò Chirone come se fosse un alieno appena sceso sulla Terra. «Come?»
«Conosco anch’io la leggenda. Cupido creò il frutto, ma gli Dei Maggiori non ne furono contenti. Zeus stesso, con l’aiuto delle Parche, distrusse l’operato del dio dell’amore e vietò a chiunque, dio o mortale, di interferire con le punizioni di questo genere.» Un tuono risuonò in lontananza.
«Quindi…» Il figlio di Ade trattenne a stento la rabbia che gli ribolliva nelle vene, sentendosi gli occhi di tutti puntati addosso. «..mi stai dicendo che non c’è una cura? Che non c’è niente da cercare?»
«Ti sto dicendo che, se anche il finale della leggenda sbagliasse sul conto della distruzione del frutto, cercandolo si andrebbe contro il volere degli dei maggiori, anche di tuo padre. Tu soprattutto dovresti comprendere il valore delle punizioni divine. Quello che voglio dire, comunque, è che come custode e istruttore del campo non posso appoggiare una missione del genere. Pertanto non ci sarà nessuna impresa.» Concluse con tono irrevocabile. Irrevocabile per qualsiasi persone normale, s’intende.
«Sta scherzando?» Nico scattò in piedi furente, facendo sussultare buona parte del consiglio. La sua mano destra si arpionò con rabbia nervosa al bordo del lettino di Will. «Anche andare nelle Antiche Terre era contro il volere degli dei! Anche la collaborazione tra Greci e Romani! Eppure..» «Ne andava della salvezza del mondo intero, ragazzo. Con tutto il rispetto, non credo che la situazione sia dello stesso spessore.»
Per qualche istante nella sala regnò il silenzio. Nico sentì un ronzio salirgli nelle orecchie fino alla testa. Di lì a poco, con tutta la rabbia accumulata, sarebbero iniziati a spuntare scheletri dal terreno.
Il figlio di Ade strinse i pugni e si preparò a ribattere. La questione non era dello stesso spessore? Certo che no, Will era molto più importante della salvezza di stupidi mortali. Le guance andarono a fuoco, non seppe dire se per la rabbia o per il pensiero appena fatto.
Passarono probabilmente pochissimi istanti, ma per lui sembrarono un’eternità. Poi delle dita sottili gli strinsero debolmente il polso. Si voltò stranito, mentre la presa di quelle dita lentigginose si rafforzava un poco e Will gli sussurrava: «Calmati, Nico, per favore.» Il pollice abbronzato gli accarezzò debolmente il dorso della mano. «Ne.. ne parliamo dopo insieme, ok?»
Il figlio di Ade sollevò lo sguardo, che si era fissato sulle loro mani intrecciate. Incontrò gli occhi azzurri del ragazzo, non più allegri come era abituato. Erano lucidi e lo fissavano intensamente. Ma soprattutto, emanavano paura a dismisura. Forse non tutti se ne sarebbero accorti, ma Nico era bravo a leggere le emozioni altrui.
Will era terrorizzato, e questo bastò a fargli scemare la rabbia.
«Ok» rispose mesto, risedendosi al suo posto. «Ok.»
Nessuno commentò. Non era da lui fare scenate del genere, ma del resto chi lo conosceva bene sapeva della sua relazione con Will, mentre chi non lo conosceva... beh, non lo conosceva e basta. Probabilmente lo trovava semplicemente inquietante.
«Ribadisco che non ci sarà nessuna missione» Riprese Chirone scuro in volto, per poi voltarsi verso Kayla ed Helen. «Voi figli di Apollo terrete d’occhio Will, e se serviranno medicinali dei mortali farò in modo di farveli avere. Se aveste bisogno di interventi chirurgici, o attrezzatura adeguata…» Si grattò pensieroso la barba curata, come se stesse riflettendo solo in quel momento dell’ipotesi. «Probabilmente possiamo fare in modo che Solace venga portato in un ospedale di New York e affidato alle cure dei medici mortali. Dovrete essere voi a discuterne e decidere se è il caso.»
Con quelle parole la riunione sembrò concludersi, e i capi delle diverse case iniziarono ad alzarsi dalle sedie per raggiungere l’uscita della sala. Fu allora che andò tutto per il verso sbagliato.
Ancora prima che una sola persona potesse lasciare la casa grande, Will si chiuse a riccio iniziando a tossire ripetutamente, con spasmi sempre più violenti che fecero voltare verso di lui tutti i presenti. Se non fosse stato già semidisteso probabilmente sarebbe caduto a terra, poiché le braccia gli si adagiarono autonomamente sul ventre scosso dai sussulti e sembrò incapace di controllarle. Subito le due figlie di Apollo nella stanza gli andarono accanto, affiancando Nico che ancora una volta era pietrificato vicino al biondo, e lo fecero stendere sul lettino cercando di tranquillizzarlo. Impresa vana, perché non appena la lunga crisi di tosse terminò, Will iniziò ad agitarsi scompostamente sul lettino, boccheggiando con aria terrorizzata.
«Non.. respiro» Quelle due parole ebbero il potere di far sbiancare Nico e di accendere un chiacchiericcio allarmato nella sala. Will fece vagare lo sguardo dalle sorelle a Nico, mentre le semidee facevano allontanare tutti gli altri per lasciargli spazio. «Non entra… l’aria non..»
«Calmati, Will.» Kayla gli posò piano una mano sul diaframma, tentando di aiutarlo ad effettuare il giusto movimento.
Il biondo parve non ascoltarla, perché continuò a sussultare, i battiti che aumentavano vertiginosamente. Nico tremò di fronte a tanta paura, la paura che leggeva negli occhi del ragazzo e che percepiva nel suo animo. «Sta avendo un attacco di panico.»
Kayla annuì, osservando di striscio Helen che si dava da fare per far uscire tutti gli altri semidei dalla Casa Grande e chiamare alcuni dei fratelli. «Will, ora ascoltami.» Gli si avvicinò, portando la mano libera accanto al viso lentigginoso in una tenue carezza. «Ascolta quello che ti dico. Calmati, respira lentamente.»
«I-io.. io non…»
«Calmati.» Lo ignorò lei con tono dolce. «Lascia entrare l’aria. Gonfia prima la pancia… così…»
La situazione sembrò attenuarsi un poco. I battiti del figlio di Apollo erano ancora accelerati e gli occhi pieni di terrore, ma per un istante il petto sembrò muoversi in un movimento uniforme che gli permise di prendere aria. Boccheggiò ancora, mentre Kayla aiutava i movimenti diaframmatici con la mano senza lasciarlo un istante.
Dopo pochi secondi Helen tornò di corsa, gridando alla sorella di essere pronti. Pronti a cosa, per Nico un mistero. Fatto sta che seguì gli ordini di Kayla senza battere ciglio: la aiutò a trasportare la barella fuori dalla Casa Grande, dove trovò un manipolo di figli di Apollo che presero il controllo della situazione.
Per diversi minuti fu tutta una successione di eventi sfocati: ordini, imprecazioni, respirazioni artificiali e somministrazione di sostanza sconosciute. Nico si rese solo conto di aver camminato affianco al lettino di Will fino all’infermeria, dove gli chiusero la porta in faccia.
 
Ci mise un po’ a rendesi conto di trovarsi, dopo chissà quanto tempo, ancora irrigidito con il volto verso la porta, gli occhi sbarrati ed i pensieri assenti. Probabilmente si riprese solo grazie alle urla di Jason, Piper e Leo alle sue spalle.
Si voltò giusto in tempo per trovarsi davanti gli sguardi preoccupati dei ragazzi.
«Nico! Stai bene?»
Il figlio di Ade ignorò la domanda. «Avete novità?»
«Noi?» Piper fece una faccia confusa. Probabilmente stava per aggiungere altro, ma Leo la precedette: «Amico, non siamo noi quelli che sono rimasti un’ora di fronte all’infermeria senza dare segni di vita. Credevamo che le novità ce l’avessi tu.»
«Un’ora?»
I nuovi arrivati si scambiarono un’occhiata basita, ma mai quanto quella di Nico. Lanciò uno sguardo al cielo. «È ora di pranzo?»
Jason sorrise appena. «Sì, per questo ti siamo venuti a chiamare.»
Il moro sembrò accorgersi solo ora della presenza del figlio di Zeus. Doveva avere proprio un’aria stralunata, perché il sorriso del ragazzo si spense. Jason si voltò verso gli altri due: «Scusate, io e Nico dobbiamo parlare. Vi raggiungiamo fra un attimo, voi andate pure a mangiare.»
Leo, paradossalmente, parve comprendere al volo. «Contaci, bello! Andiamo, Pip, sennò ci perdiamo gli hamburger. So che oggi hanno cucinato quel bel cinghiale..!»
«Ma io sono vegetariana…»
 
Jason attese che Leo e Piper si allontanassero un po’, poi si voltò preoccupato verso Nico, che sembrava ancora assente. Gli posò una mano fra le scapole, spingendolo ad allontanarsi appena verso il boschetto.
Nico fu sorpreso di sentire le gambe così irrigidite. Si passò una mano fra i capelli e poi sugli occhi, lasciandosi guidare dal biondo.
«Come stai, Nico?»
Paradossalmente, una delle persone con cui il figlio di Ade aveva legato di più durante l’anno era proprio Jason. Era naturale che si preoccupasse per lui, dopo la scoperta su Cupido.
«Non lo so.» Rispose atono seppur sincero. Andò dritto al punto. «Non posso credere che Chirone non voglia appoggiare una missione per quel frutto. E non posso credere che Cupido sia la persona che potrebbe salvare Will.»
«Hai paura?»
«Sì.» Ammise lui stringendosi nelle spalle. «Non per me.»
Jason annuì in silenzio. Per un istante, si rese conto di quanto quel ragazzo si stesse aprendo a lui. Le loro braccia si sfiorarono, ma Nico non si ritrasse. Il figlio di Zeus ricordò quando, il giorno del loro incontro con Cupido, aveva osato toccarlo per inseguire in volo la loro traccia, e di come il moro si fosse lamentato.
«Cosa intendi fare?»
Nico esitò. «Non.. non ci ho pensato. Non ho pensato a nulla, a dir la verità. Vorrei prima parlarne con Will..»
Jason si mosse nervoso, adocchiando con lo sguardo le tavolate della mensa. «Comunque volevo dirti che la decisione di Chirone… beh, lo capisco, è il custode del campo e tutto… ma in ogni caso sappi che appoggerò qualsiasi decisione tu prenda.» Accennò un sorriso.
Il figlio di Ade si mordicchiò la guancia pensieroso. Poi annuì ed iniziò ad avviarsi verso la mensa. «Grazie.» Sussurrò solo quando si avvicinò a Jason abbastanza da farsi sentire. Lui sorrise, poi trotterellò dietro il figlio di Ade fino a raggiungerlo in silenzio.
 
Il resto della giornata passò confusamente in fretta. Nico ignorò le poche occhiate che ricevette – la scenata di quella mattina non aveva giovato alla sua reputazione –, e si limitò ad allenarsi nella scherma ed evitare Chirone, che tuttavia non sembrava aver l’aria di voler parlare dell’assemblea.
Verso le sette di sera cercò di entrare nell’infermeria. Nella sala d’attesa non c’era nessuno, così si prese la libertà di vagare per l’edificio.
Di per sé non sembrava un luogo molto grande, ma i figli di Atena lo avevano strutturato in modo che utilizzasse al meglio anche il più piccolo pezzo di muro, ed entrando ci si rendeva conto di quanto fosse spazioso. La sala d’ingresso aveva alcune seggiole per chi aspettava ed un bancone che avrebbe dovuto fungere da reception, se non fosse stato sempre pieno di armi o medicinali. Chi entrava vedeva quindi numerose serie di sedie ed armadietti disposte lungo il muro della stanza, il tavolo zeppo di utensili vari sulla parte sinistra e sulla parete in fondo, accanto alla porta che conduceva in un corridoio, un lungo tabellone di sughero con gli appunti più strani sopra. Erano presenti orari di turnazione ed avvisi importanti mischiati insieme a semplici disegni, frasi d’incoraggiamento o preghiere, il tutto condito da pezzi di spartiti, spille e decorazioni colorate tipiche dei figli di Apollo.
Attraversando la porta all’interno, il luogo si diramava in due corridoi dal verso opposto piuttosto larghi, adatti a far passare agevolmente barelle attorniate da medici. Anche qui le pareti erano coperte da tabelloni e poster colorati, anche se si respirava un’aria meno familiare.
Nella parte sinistra del corridoio, separato da due grandi porte con una parte di vetro in alto, c’era la zona per gli interventi e le visite; Nico sapeva che all’interno c’era un’ulteriore suddivisione tra le stanze per le visite più semplici – cose come un piede rotto o giù di lì – e un’altra parte per gli interventi che richiedevano maggiore attenzione. Aveva visto poche volte i figli di Apollo precipitarsi dentro trasportando una barella imbrattata di sangue con un corpo moribondo sopra, e anche se non ci aveva mai messo piede dentro di persona, aveva capito che quella parte dell’infermeria racchiudeva un lato oscuro della vita dei figli di Apollo. Sapere che probabilmente Will era stato portato lì con la stessa veemenza a cui aveva assistito da lontano non lo tranquillizzò per niente.
Nella parte destra del corridoio, invece, Nico lo sapeva bene, c’erano le stanze per il riposo dei pazienti. Ce n’erano una mezza dozzina di molto grandi, con tanti letti poco distanziati e molte sedie; chi doveva passare soltanto qualche ora nell’infermeria stava lì, in una sorta di spazio comune. Ai tempi della guerra, le sale erano state in grado di accogliere tutti i feriti non gravi alla fine della battaglia.
Oltre a queste erano presenti anche una decina di camere private, con sofisticati apparecchi per la rilevazione dei battiti e altre cose che il figlio di Ade non conosceva. Aveva passato in una di quelle i tre fatidici giorni in infermeria con Will, nonostante fosse così sicuro di non aver bisogno di tutta l’attenzione che il figlio di Apollo gli aveva dato. Sorrise impercettibilmente al ricordo.
Poi la sua espressione si rabbuiò quando realizzò che forse Will era proprio in una di quelle sale private. Si guardò attorno: non c’era molta confusione, diversi figli di Apollo andavano e venivano indaffarati come al solito, e nessuno sembrò fare caso a lui.
Avanzò con passo indifferente lungo la parte destra del corridoio, superando con fare disinvolto le sale comuni. Quando arrivò alla zona delle salette private, iniziò a far vagare l’occhio sulle porte di queste. Non ci mise molto ad individuare l’unica chiusa. Si avvicinò alla finestra che la sala dava sul corridoio, scostando appena le tapparelle.
Il suo cuore perse un battito.
Nella stanza c’era effettivamente Will, intubato e collegato a diverse flebo. Un piccolo capannello di figli di Apollo gli stava accanto. Uno di loro, che non avrà avuto più di tredici anni, gli passò una pezza sulla fronte borbottando con cipiglio preoccupato. Una ragazza più grande gli rispose con qualcosa che non arrivò oltre il vetro della finestra, chinandosi per passare un batuffolo di cotone sull’avambraccio di Will e poi iniettandogli un liquido attraverso una siringa. La mano del biondo si artigliò alle lenzuola in un movimento confuso.
Nico non avrebbe saputo dire se fosse cosciente o meno. Sapeva solo che non avrebbe mai voluto staccare gli occhi da lui, come se farlo potesse provocare un istantaneo peggioramento delle sue condizioni. Fu però costretto a voltarsi quando una voce lievemente sorpresa alle sue spalle lo fece sussultare.
«Nico?»
Si girò talmente in fretta che per poco non si scontrarono. Dopo qualche istante mise a fuoco il volto tirato di Helen, e deglutì senza parole. «I-io…»
«Dobbiamo parlare.» La ragazza si diresse con passo sicuro verso una delle altre stanze private e, quando il figlio di Ade la seguì dentro, si chiuse la porta alle spalle.
Sospirò, socchiudendo gli occhi e poggiando le spalle contro la porta. «Avrei dovuto aiutarti, questa mattina.»
Nico a stento riuscì a capire di cosa parlasse. «Che.. che cosa?»
«All’assemblea. Qui in infermeria siamo tutti molto preoccupati per nostro fratello, Nico. Non si era mai verificata una cosa del genere da quando la nostra generazione di figli di Apollo è qui al campo, capisci?»
Il figlio di Ade tremò: «Will è peggiorato?»
Helen si concesse un sorriso: «No, grazie alle cure tempestive siamo riusciti a ripristinare buona parte dei suoi parametri vitali. È rimasto incosciente per quasi tutto il giorno, salvo pochi minuti in cui si è ripreso.»
Nico sentì un ronzio nella testa. Fu in quei radi secondi che prese la sua decisione. Ne parlò ad Helen senza esitazione, e lei si limitò ad annuire gravemente.
«Capisco» disse infine «posso dirlo a Will, quando si risveglierà?»
Il moro esitò, ma poi guardò negli occhi la ragazza e rispose deciso: «Decidi tu se credi che sia il caso. Preferirei di no, ma non voglio che si preoccupi inutilmente, ok?»
La semidea si limitò ad annuire mestamente, aprendo poi la porta e facendolo uscire proprio quando il suono di una conchiglia riecheggiava per la cena.
 
Il pasto fu rapido anche per i suoi standard. L’unica cosa su cui si soffermò fu il momento in cui buttò un pezzo del suo hamburger nel falò. Chiuse gli occhi, evocando suo padre. “Ti prego, non portartelo via prima del tempo. Non anche lui.”
Dopo aver mangiucchiato qualcosa, si allontanò furtivo dal falò attorno al quale i semidei avevano già iniziato a cantare. Entrò nella sua cabina, in cui non metteva piede da quella mattina, e si sedette sul letto con sguardo perso.
“…in ogni caso, sappi che appoggerò qualsiasi decisione tu prenda”
Ricordò gli occhi lucidi di Helen durante l’assemblea. Erano passate solo poche ore, eppure sembrava trascorsa un’eternità. “Io… ecco, io non credo che.. possa sopravvivere…”
Aveva preso la sua decisione, e l’avrebbe mantenuta. Prese uno zaino di tela scura e vi mise dentro un cambio, nettare, ambrosia, dei soldi e del cibo.
Si assicurò il ferro dello Stige alla cintura, poi trasse un lungo respiro ed uscì dalla cabina.
Arrivò in pochi minuti al pino di Talia. Si voltò indietro, osservando le luci del falò e delle torce illuminare il manto scuro che dominava la valle. Lanciò un’occhiata verso l’edificio dell’infermeria, non stupendosi di notare le luci accese. Non era riuscito a parlare con Will. Il pensiero gli provocò una stretta allo stomaco.
Chiuse gli occhi un istante. Poi si girò di nuovo ed attraversò il confine del campo.
 
 
 
 
 
 
***Angolo dell’Autrice***
Salve!
Come avrete capito, questo è stato più che altro un capitolo di passaggio. È servito a spiegare parte della situazione, impostare la storia, cose così… dal prossimo capitolo inizieranno le peripezie vere e proprie.
A proposito del continuo, conto di aggiornare dopo le vacanze Natalizie. Non assicuro niente, potrei aggiornare prima come molto dopo, ma più o meno cercherò di attenermi ai tempi. E sì, ho una certa passione per le conclusioni piene di suspense (più avanti ce ne saranno di peggiori, fidatevi ^^)
Non ho nient’altro da dire: spero vi sia piaciuto. Ovviamente vi invito a farmi sapere cosa ne pensate con una recensione.
Prima di salutarvi, volevo ringraziare Panna_Malfoy che ha recensito lo scorso capitolo!
A presto,
_Kalika_
   
 
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