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Autore: _Pulse_    19/12/2017    2 recensioni
«Sto bene», mugugnò, voltando il capo. «Tu, piuttosto, che ci fai qui?».
«Avevo bisogno di stare un po' da solo», ammise.
Guardandolo con attenzione, Keith notò che la rabbia era svanita, lasciando spazio a pura e cocente delusione. D'altronde Lance aveva sempre avuto un debole per la Principessa e sapere che in realtà commetteva degli errori, proprio come gli esseri umani, doveva aver mandato in frantumi l'immagine che si era costruito nella sua testa.
«Perché non ci hai mai detto del tuo pugnale, amico?», gli chiese piano, rompendo il silenzio.
Il Paladino Rosso abbassò gli occhi sulla propria mano destra, con la quale stringeva ancora l'arma con lo stemma della resistenza Galra.
«Temevi che ti avremmo additato come un nemico, o che ti avremmo impedito di pilotare il Leone Rosso? Non ti fidavi di noi?».
[Klance - Spoiler Season 2]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi! Oh God, io davvero non so che fare. Perché quando ho finalmente del tempo libero, anziché recuperare le serie in arretrato, ne inizio di nuove? T_T Sono un caso perso.
Ho iniziato Voltron: Legendary Defenders dopo aver sentito parlare della Klance su vare pagine facebook e... diamine, quanto sono belli questi pulcini! *^*
Non ho quindi saputo resistere e ho scritto questa fanfiction ambientata tra gli episodi 2x08 e 2x09, più nello specifico nelle tre ore di vuoto - e del pisolino di Hunk - tra la fine delle prove di Marmora e il piano d'attacco organizzato dai Paladini e i soldati della resistenza Galra.
Spero che il tutto sia plausibile e di non essere andata OOC. E con questo credo sia tutto!
Vi auguro buona lettura e se qualcuno vorrà farmi sapere che cosa ne pensa ne sarei molto felice :)

Vostra,

_Pulse_


Attenzione: la storia non è scritta a scopo di lucro e Voltron: Legendary Defenders appariene alla Dreamworks e a Netflix.


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EYES WIDE OPEN



«Sto bene, Shiro. Come te lo devo dire?».
Il più grande si limitò ad alzare gli occhi e a sospirare prima di spingerlo gentilmente verso la più vicina cella criogenica, la quale si aprì con uno sbrilluccichio magico.
Una zaffata di aria fredda, tanto da creare delle nuvolette di vapore, fece tremare il Paladino Rosso, il quale si voltò, deciso a tornare alla sala di comando.
Shiro però lo afferrò per le spalle e lo guardò intensamente negli occhi: «Keith, abbiamo bisogno di te al cento percento se vogliamo liberarci di Zarkon una volta per tutte. Io ho bisogno di te. Ti prego».
Come poteva dirgli di no, a quel punto? Dire di no al suo più grande eroe, il guerriero che tanto ammirava e che in quelle poche settimane aveva iniziato a considerare un vero e proprio fratello maggiore? Semplicemente non ne fu in grado.
Abbassò il capo mestamente e gli lasciò tra le braccia il pugnale per potersi spogliare del superfluo.
In sola calzamaglia nera, Keith portò una gamba all'interno della capsula di guarigione e rabbrividì di nuovo. Dio, se odiava il freddo. Come poteva Lance guidare il Leone Blu, tra i cui poteri c'era anche il raggio congelante? Erano davvero agli antipodi.
«Avanti, Keith».
Il ragazzo, spronato da Shiro, agitò il capo come a volersi scrollare di dosso quei pensieri. Quello non era proprio il momento.
Entrò nella cella e non appena il vetro si chiuse davanti a lui, separandolo da Shiro e mostrandogli un mondo dalle sfumature azzurre, il Paladino Rosso vi posò sopra le mani e gridò: «Promettimi che mi verrai a tirare fuori da qui non appena inizierete a formulare un piano d'attacco!».
Shiro sorrise con quella tenerezza che lo metteva sempre a disagio e al contempo lo faceva sentire a casa e non furono necessarie parole. Una nebbia fredda lo avvolse e Keith, abbandonandosi al sonno, realizzò quanto in realtà fosse stanco per via delle Prove di Marmora.

*

«Keith, un Galra?».
«Impossibile! Lui è un umano, basta guardarlo per capirlo!».
«Mai giudicare un libro dalla copertina, Hunk».
«Si tratta di un detto terrestre? Affascinante!».
«Coran, la questione è seria. Se Keith è in parte Galra non ci possiamo più fidare di lui. Se solo non fosse uno dei cinque paladini di Voltron, io...».
Allura si interruppe bruscamente, accorgendosi di aver attirato su di sé gli sguardi attoniti di tutti i presenti.
«Che cosa farebbe, Principessa? Lo caccerebbe, come se tutto quello che ha fatto fin'ora non contasse più nulla?», domandò Lance, rompendo il silenzio. Raramente gli amici avevano visto quell'espressione seria sul suo volto e con immenso stupore si resero conto anche che quelle erano le prime parole che pronunciava da quando Shiro aveva finito di raccontare loro ciò che era successo al Quartier Generale della Spada di Marmora, il gruppo di resistenza Galra formatosi per sconfiggere il malvagio imperatore Zarkon.
Nonostante fremesse dalla rabbia, Allura si frenò stringendo i pugni lungo i fianchi.
«Tu non puoi capire, Lance. Zarkon ha distrutto decine di pianeti, ha ucciso tutto il mio popolo... la mia famiglia! Non posso assolutamente permettere che...».
Lance si alzò di scatto e fissò Allura con sguardo truce, il volto contratto dall'ira. Tuttavia usò un tono di voce pacato: «Keith non è Zarkon. Creare tutti quei wormholes ha per caso danneggiato la tua vista, Allura?».
La principessa di Altea gonfiò il petto, pronta a ribattere, ma Shiro si piazzò tra i due con le braccia tese, consapevole che una lite interna non avrebbe giovato a nessuno, specialmente ora che erano ad un passo dallo sferrare l'attacco decisivo.
«Adesso basta», esclamò con tutta l'autorevolezza di cui disponeva. «Lance, non devo di certo ricordarti che stai parlando ad una principessa».
Il ragazzo chinò il capo in segno di scuse, anche se la sua rigidezza e la sua espressione ancora livida rendevano palese il suo malcontento.
Il Paladino del Leone Nero poi si voltò verso Allura e la interruppe prima che potesse ringraziarlo per il suo intervento. Quasi dispiaciuto, le disse: «Principessa, questa volta Lance ha ragione: non può fare di tutta l'erba un fascio».
«E questo che cosa vorrebbe dire?», sbottò lei, contrita. Se anche Shiro le andava contro...
«Vuol dire che non tutti i Galra devono essere per forza malvagli. Ulaz non lo era, si è addirittura sacrificato per noi». Shiro indicò Kolivan e Antok, in piedi accanto al tavolo della sala di comando, ed abbassando ulteriormente la voce aggiunse: «Loro e tutti i soldati della Spada di Marmora non lo sono. E poi Keith ha scoperto solo un'ora fa di avere...».
«Questo non ha importanza», lo interruppe Allura, dandogli le spalle ed incrociando le braccia al petto. «Perché non ci ha mai parlato del suo pugnale? Se non aveva nulla da nascondere avrebbe dovuto essere onesto fin dall'inizio».
«Lo capisco, però...».
«Dacci un taglio, Shiro. Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire», esclamò Lance, gelido come il raggio del suo Leone Blu, passandogli accanto.
«Ah, non ne posso più dei vostri modi di dire terrestri!», gridò la principessa Alteana, incamminandosi a passo pesante verso il corridoio opposto.
Pidge e Hunk li fissarono sgomenti, spettatori silenziosi delle crepe che si stavano formando nel gruppo che fino a qualche ora prima avevano creduto fosse inseparabile.
Nel castello tutte le porte erano a scorrimento, eppure quando si chiusero alle spalle dei due per i tre Paladini rimasti fu come sentirle sbattere.
«Io... Io credo che darò una mano a Kolivan a caricare nel sistema le loro informazioni», squittì Pidge, avviandosi a testa bassa verso i due soldati della resistenza Galra.
Hunk invece si lasciò cadere nella propria poltrona e chiuse gli occhi. «Io mi farò un pisolino allora».
Shiro, rimasto solo, incrociò le braccia al petto e sospirò di nuovo. Si ritrovava a farlo spesso ultimamente e la cosa non gli piaceva. Ma guidare Voltron era anche questo: cercare di tenerlo unito. E ce l'avrebbe messa tutta anche quella volta.

*

Keith fu svegliato all'improvviso dal rumore del vetro della cella che svaniva, segno che il suo corpo era ormai completamente guarito dalle ferite riportate durante le battaglie che aveva combattuto contro gli uomini di Kolivan.
Uscì dalla capsula e si guardò intorno, domandandosi quanto tempo fosse trascorso. Sugli scalini trovò la sua uniforme da Paladino e sorrise al pensiero di Shiro che gliela portava. Se la infilò, sentendosi subito al sicuro e a suo agio, come se quella fosse diventata ormai la sua seconda pelle, e poi raccolse anche il pugnale Galra.
Uscì dall'infermeria e fece per percorrere il corridoio in direzione del ponte, ma dei tonfi sordi e delle grida attirarono la sua attenzione.
Non stava suonando alcun allarme e il castello non sembrava in modalità di difesa, ma non poteva sottovalutare alcunché. Perciò corse nella direzione opposta ed estrasse istintivamente il pugnale Galra, il quale si trasformò, proprio com'era accaduto alla fine delle prove, in una spada di tutto rispetto.
Guardando il simbolo viola inciso sull'elsa gli tornò alla mente il sogno in cui aveva visto suo padre ed era stato a tanto così dallo scoprire qualcosa sul suo passato. L'uomo gli aveva detto di non preoccuparsi dell'armata Galra che stava marciando verso la sua casetta nel deserto, che presto sua madre sarebbe stata lì e gli avrebbe rivelato tutto. Intendeva forse dire che era da lei che aveva preso il sangue Galra? Che quel pugnale apparteneva a lei? Che magari si era addirittura infiltrata tra le file dell'esercito di Zarkon?
Un'altra serie di urla furiose ed esplosioni lo riportarono alla realtà, davanti alle porte della sala di allenamento. Quindi non erano sotto attacco; più semplicemente, qualcuno si stava mettendo alla prova contro il Gladiatore di Coran. Ma chi? Lui trascorreva il novanta percento del suo tempo libero lì dentro, a migliorare le sue tecniche di combattimento o semplicemente a sfogare la rabbia, e mai gli era stato chiesto di sloggiare, perciò aveva dato per scontato che nessun altro sentisse il bisogno di allenarsi. Dopotutto non ce li vedeva proprio Pidge o Hunk in combattimenti corpo a corpo, per non parlare poi di Lance... Un momento. Erano colpi di blaster quelli che sentiva?
Col cuore improvvisamente in gola, Keith si affacciò al vetro da cui poteva vedere all'interno della grande sala e vide proprio il Paladino Blu accucciato dietro un masso-ologramma, con la sua arma tra le braccia e il volto madido di sudore. Da quanto tempo stava lottando?
«Livello Quattro!», gridò Lance e Keith fu costretto ad abbassarsi quando il pilota del Leone Blu si rialzò per riprendere a sparare.
L'aveva visto solo di sfuggita, ma il suo sguardo era stato in grado di ghiacciargli il sangue nelle vene. Sembrava... furioso e deluso. Non l'aveva mai visto in quello stato.
Quando Keith tornò a guardare, spinto dalla curiosità, la nuova ondata di Gladiatori era comparsa insieme a diversi pilastri di metallo che le fornivano scudo e che allo stesso tempo limitavano la visibilità a Lance, impedendogli di capire immediatamente se chi si trovava di fronte fosse un amico o un nemico. I Gladiatori, infatti, non avevano assunto solo l'aspetto dei soldati robot Galra, bensì anche quello degli altri paladini e degli abitanti dei pianeti salvati fino a quel momento. Oltre a non farsi colpire, Lance doveva stare attento a non ferire gli innocenti e Keith non poté evitare di rimanere a bocca aperta per la sua bravura: ovviamente non gliel'avrebbe mai detto, ma era vero che il Paladino Blu era il loro tiratore scelto quando teneva la bocca chiusa.
«E questo sarebbe il livello quattro?!», gridò ad un tratto, saltando la barriera e facendo comparire lo scudo con cui si difese mentre continuava a sparare a tutti i nemici che tentavano di nascondersi dietro i pilastri.
Ad un certo punto il computer, come se si fosse offeso per via delle sue insinuazioni, trasformò i Gladiatori con le sembianze di Shiro e Coran, ormai alle sue spalle, in due nemici. Keith portò entrambe le mani sul vetro ed aprì la bocca per gridare a Lance di stare attento, ma il Paladino Blu lo anticipò e colpì i due col bordo dello scudo, facendo volare le teste degli ologrammi. E fu allora che li vide: i suoi occhi, di solito ridenti e maliziosi, erano ricolmi di rabbia e disprezzo. E sul suo volto non aleggiava il solito sorriso un po' sbruffone, ma un ringhio muto. Che cosa diavolo gli era successo?
Senza nemmeno saperne il motivo, Keith strinse i pugni ed ebbe voglia di unirsi a lui nella battaglia. Voleva fargli sapere che chiunque l'avesse fatto arrabbiare in quel modo, lui sarebbe stato dalla sua parte. Lo voleva davvero, ma sapeva che non l'avrebbe mai fatto. No, Lance avrebbe mal interpretato e avrebbero finito per litigare, come sempre.
I nemici iniziarono a scemare, così come gli amici, e Lance si ritrovò allo scoperto, in mezzo ad una serie di pilastri posti intorno a lui come una specie di prigione. Con lo scudo in una mano e la pistola nell'altra, si guardò cautamente intorno e ad un tratto gridò: «Beh, che succede? Stai avendo paura, ammasso di codici?».
Il computer rispose lanciandogli addosso dieci Gladiatori contemporaneamente e da ogni direzione.
Ecco Lance, l'unico Paladino in grado di far infuriare persino le entità virtuali.  
Quella volta Keith fu davvero sul punto di entrare per aiutarlo, certo che non ce l'avrebbe fatta, ma ancora una volta dovette rimangiarsi tutto. Di solito odiava avere torto, eppure guardando il modo in cui Lance affrontò ogni nemico, senza paura alcuna, riempì il suo petto di uno strano calore, specie quando notò che stava usando le tecniche che aveva provato ad insegnargli.

*

A fiato corto e con le mani posate sulle ginocchia, il Paladino Blu riposò fino a quando non vide nel proprio campo visivo quattro paia di scarpe bianche. Alzò di scatto il blaster e si ritrovò a puntarlo contro il volto di robot-Allura, la quale era stata presa in ostaggio da uno dei cattivi.
«Siamo per caso passati al Livello Cinque e non me ne sono accorto?», domandò al computer, senza grandi aspettative.
«Arrenditi e consegnaci il tuo Leone, Paladino», ordinò con voce metallica il Gladiatore Galra.
«Coooosa?».
«Se non lo farai la ucciderò».
«E come dovrei fare? Il mio Leone non è nemmeno qui, idiota».
Seguendo quel copione senza capo né coda, l'ologramma-Allura ordinò: «Ti proibisco di consegnargli il Leone! Mi sacrificherò con piacere per proteggere Voltron!».
A quelle parole gli occhi di Lance si assottigliarono e la luce di caricamento del suo blaster illuminò d'azzurro la principessa.
«So che non sto parlando con la vera Allura, ma hai comunque un bel coraggio a dire una cosa del genere, lo sai? Mi chiedo se sia vero, se tu sia davvero come ti dipingi: l'altruista e generosa principessa di Altea, pura e buona di cuore. Mi chiedo se noi paladini stiamo lottando per la libertà oppure per spianare la strada ad un nuovo Zarkon. Che saresti tu, se non l'hai capito. Non hai la pelle viola e non hai brutte cicatrici come lui, ma sai... mai giudicare un libro dalla copertina, no?
«Quando il Leone Blu ci ha portati al castello non ci siamo posti molte domande, abbiamo dato per buono ciò che tu e Coran ci avete raccontato, ma chi ci dice che voi siate davvero i buoni? D'altronde è stato tuo padre a costruire Voltron e Zarkon era uno dei paladini, non è così?
«Quanto vorrei che mi rispondessi, Principessa, perché davvero io... io non so più che cosa pensare».
Lance abbassò la pistola laser, così come il capo, e il Gladiatore nemico spinse da parte Allura per sparargli. Il Paladino Blu incassò il colpo senza emettere un suono, incarcando soltanto la schiena e cadendo in ginocchio sul pavimento quando la simulazione cessò, facendo tornare la sala d'allenamento nel solito spazio vuoto ed immacolato.
«Come puoi pensare che Keith sia malvagio? Che non sia degno della nostra fiducia, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme?», disse ad un certo punto, quando le lacrime iniziarono a scorrergli sulle guance per poi cadere sulle sue mani e sul blaster. «In lui c'è del sangue Galra, e allora? Sulla Terra ci sono ancora dei casi di razzismo, io ne so qualcosa, ma pensavo che almeno gli alieni fossero più evoluti di noi. Galra o meno, Keith rimane sempre Keith. Keith ai miei occhi è e rimarrà lo stesso irresponsabile, testa calda, solitario, emo, imbronciato di sempre. Adesso l'ho dipinto come se fosse soli difetti, ma non è così: Keith è anche leale, determinato, un guerriero eccezionale e un amico che si getterebbe in un buco nero per ognuno di noi. Anche per te, Principessa. Dubito che tu faresti lo stesso per lui, ora come ora. Forse saresti sollevata, se...». Lance strinse forte i pugni e rialzò il volto, gli occhi azzurri rivolti verso l'alto soffitto. «Oggi abbiamo scoperto qualcosa di più su Keith, qualcosa di inaspettato e preoccupante, certo, eppure ciò che mi ha sconvolto e spaventato di più è stato scoprire un lato di te che pensavo non esistesse. Nonostante la tua bellezza, non so se riuscirò più a guardarti con gli stessi occhi dopo oggi».
Il Paladino Blu, come sfinito, si lasciò cadere di schiena sul pavimento freddo e si portò il braccio sinistro sugli occhi, nel tentativo di frenare le lacrime.
Aveva parlato davvero tantissimo, tirando fuori tutto ciò che aveva dentro, tuttavia il peso che gli gravava sul petto non si era affievolito di un grammo.

*

Scosso dalle parole che non avrebbe dovuto sentire, Keith si lasciò scivolare seduto a terra, i pugni stretti sulle ginocchia e gli occhi che gli bruciavano.
Lacrime... quand'era stata l'ultima volta che aveva pianto?

E così Allura, dopo aver scoperto le sue origini Galra, aveva cambiato opinione sul suo conto, tanto da desiderare che lasciasse il suo posto da Paladino. Forse... forse avrebbe dovuto.
Non appena il pensiero si affacciò nella sua mente, un potente ruggito gli rimbombò nelle orecchie: il Leone Rosso si stava opponendo e, poteva sentirlo, sembrava piuttosto irritato.
Keith abbozzò un sorriso. «Hai ragione, scusami. Sei stato tu a scegliermi, perciò non ti abbandonerò. Galra o meno, sono un Paladino e lo dimostrerò anche ad Allura, puoi scommetterci».
Con quella convinzione si alzò e raccimolando tutto il proprio coraggio aprì le porte della sala d'allenamento. Lance, ancora steso a terra con un braccio a coprirgli gli occhi, non si mosse. Che si fosse addormentato, provato dal combattimento e da tutto ciò che era successo in quelle ore?
Il Paladino Rosso lo guardò per qualche secondo, incerto sul da farsi, poi gli diede un calcetto sulle gambe. Lance trasalì ed imbracciò immediatamente il blaster, puntandoglielo contro.
«Sono solo io», esclamò Keith, portandosi le mani sui fianchi.
Lance abbassò gli occhi arrossati per il pianto e sforzò un sorriso. «Dannazione, Mullet, ti sembra il caso di arrivare così di soppiatto? Avrei potuto spararti e rovinare quel bel faccino, lo sai?».
Keith corrugò la fronte. Bel faccino?
«Ad ogni modo, che ci fai qui? Non eri in una capsula di guarigione?».
«Sono guarito».
«Hai fatto presto. Sicuro di stare bene?».
Per la prima volta Lance incrociò il suo sguardo e Keith sentì il cuore stringersi in una morsa. Perché lo guardava in quel modo, come se stesse cercando di vedergli l'anima?
«Sto bene», mugugnò, voltando il capo. «Tu, piuttosto, che ci fai qui?».
«Avevo bisogno di stare un po' da solo», ammise.
Guardandolo con attenzione, Keith notò che la rabbia era svanita, lasciando spazio a pura e cocente delusione. D'altronde Lance aveva sempre avuto un debole per la Principessa e sapere che in realtà commetteva degli errori, proprio come gli esseri umani, doveva aver mandato in frantumi l'immagine che si era costruito nella sua testa.
«Perché non ci hai mai detto del tuo pugnale, amico?», gli chiese piano, rompendo il silenzio.
Il Paladino Rosso abbassò gli occhi sulla propria mano destra, con la quale stringeva ancora l'arma con lo stemma della resistenza Galra.
«Temevi che ti avremmo additato come un nemico, o che ti avremmo impedito di pilotare il Leone Rosso? Non ti fidavi di noi?».
Keith rimase in silenzio, cercando le parole. Alla fine Lance sospirò e una volta trasformato il proprio blaster nella bayard si alzò, stanco di aspettare. Posandogli una mano sulla spalla, mormorò: «Non sono affari miei, ho capito. Mi dispiace».
Detto ciò fece per allontanarsi, ma Keith posò la mano libera sulla sua, stringendola forte, e col volto rivolto verso il basso e nascosto dai capelli neri riuscì finalmente a dire qualcosa: «Sono io che dovrei dirlo, Lance. Mi dispiace. Avrei dovuto parlarvene, avrei dovuto... fidarmi di più. Ma sai... è tutta la vita che faccio tutto da solo e adesso che avevo finalmente trovato degli amici, io... non volevo perdervi. Hai ragione, avevo paura che mi avreste allontanato».
La mano di Lance scivolò via dalla sua stretta e Keith pensò di averlo perso, di aver tradito anche lui proprio come Allura con quella verità che adesso avrebbe voluto non scoprire. Alzò di scatto il capo per cercare di fermarlo, pregarlo di non lasciarlo, ma aveva sbagliato un'altra volta: Lance non andò da nessuna parte, anzi si fece più vicino e gli avvolse le braccia intorno alla schiena in un abbraccio.
«Stupido», gli sussurrò all'orecchio, con quel suo tono un po' sbruffone, e Keith fu così felice di sentirlo che lasciò cadere il pugnale e ricambiò automaticamente la stretta.
Per una volta, una soltanto, si lasciò andare.

*

Lance non riusciva nemmeno ad immaginare come doveva essere stata la vita di Keith fino a quel momento. Senza sapere chi fosse, senza un papà o una mamma ad indicargli la via, senza fratelli con cui giocare, ridere e litigare... Solo, sempre e in ogni circostanza.
«Stupido», gli sussurrò all'orecchio, nascondendo un sorriso tra ciocche di capelli neri. Erano troppo lunghi, troppo.
«Non sei più solo, amico. Noi saremo sempre al tuo fianco, anche se dovessi diventare viola e ti spuntassero due orecchie pelose sulla testa».
«Dubito succederà».
«Beh, sempre meglio di quello che hai in testa ora».
Keith lo spinse via, o almeno ci provò; Lance infatti non mollò la presa e si allontanò quel tanto che bastava per guardarlo in volto, trovandolo corrucciato.
«Stavo scherzando», gli disse e per la prima volta da quando lo conosceva vide del rossore colorargli le guance. Keith sapeva imbarazzarsi? Per cosa, poi?
«Potresti... lasciarmi andare?», gli chiese il Paladino Rosso, evitando con cura il suo sguardo.
Lance, notando la vicinanza eccessiva dei loro corpi, ci pensò su. Keith però era così caldo... Non voleva lasciarlo andare, non ancora. Aveva paura di farlo perché sapeva che quando l'avrebbe fatto ciò che c'era stato in quei minuti sarebbe stato spazzato via, cacciato in un angolo remoto delle loro menti per tornare ad essere Keith e Lance, i rivali del team Voltron. (Era già successo, dopotutto). Sarebbero tornati alla realtà in cui Allura ce l'aveva a morte con lui per essere metà Galra e Lance non avrebbe potuto difenderlo come aveva fatto in sua assenza - sarebbe stato troppo, persino per lui.
«Lance!», lo richiamò Keith, iniziando ad agitarsi.
«Aspetta», disse semplicemente il Paladino Blu, tornando a posare la tempia contro la sua. «Solo un attimo ancora, per favore».
«Lance...».
«Keith».
«Se qualcuno entrasse e ci vedesse in questo modo...».
«Gli diremmo che stiamo legando».
«Fuoco e acqua non legano, dovresti saperlo».
«E chi lo dice?».
«Uh, la scienza?».
«E da quando ti interessa la scienza? Dillo, avanti: in realtà ti sto mettendo a disagio».
«A disagio? E per quale motivo?! Se solo lo volessi potrei stare qui tutto il giorno!».
Lance abbozzò un sorriso e avvicinò di più le labbra al suo orecchio. «È una sfida? Io ci sto».
«Sfida accettata!», gridò Keith e tornò a stringere la vita di Lance con le braccia.
Al Paladino Blu mancò per un attimo il respiro, tanta era stata la forza usata dal corvino. Lentamente però si rilassò, allentando la stretta e posando persino la fronte contro la sua spalla.
«È bello, vero?».

*

Ma che cosa sto facendo?
Keith aveva accettato la sfida come uno stupido e, conoscendo la cocciutaggine di Lance, chissà per quanto tempo ancora avrebbe dovuto stargli così vicino! Certo, se gli dava così fastidio poteva sempre lasciarlo andare e perdere, però... voleva farlo? Voleva lasciarlo andare? Le sue braccia erano così accoglienti e rassicuranti, dopotutto. E poi non poteva perdere, assolutamente no.
Cercando di rilassarsi e trovare una posizione migliore, Keith si appoggiò a lui ed abbandonò la fronte contro l'incavo della spalla sinistra. Arrossendo, pensò che sembrava fatto su misura per la sua testa.
Fuoco e acqua non legano. Fuoco e acqua non legano. Fuoco e acqua non legano.
Se lo ripeté ancora e ancora, ma la realtà dei fatti era che lo stavano facendo. Le loro temperature corporee si stavano lentamente equilibrando e Keith si sentì leggero e sereno, come quando si immergeva nella piscina del castello e l'acqua lo sosteneva con gentilezza, accarezzandogli la pelle ed avvolgendolo in una bolla di pace e silenzio.
«È bello, vero?», domandò Lance e il suo respiro gli accarezzò l'orecchio, facendolo tremare. E non di freddo, no.
Sì, era bello. Troppo bello per essere vero. Non era possibile, semplicemente.
«Ma certo, adesso capisco», esclamò il Paladino Rosso, quasi sollevato.
«Che cosa?».
«In realtà sono ancora nella capsula di guarigione. Sto sognando, per forza. Il vero Lance non starebbe qui ad abbracciarmi e di sicuro a me non piacerebbe così tanto».
Il castano si scostò per poterlo guardare negli occhi e una punta di dolore li attraversò, mentre sul suo volto compariva un sorriso che voleva somigliare ad un ghigno malizioso.
«Chiudi gli occhi, Keith», gli disse gentilmente.
«Cosa? Perché?».
«Fallo e quando li riaprirai ti sveglierai. È quello che vuoi, dopotutto».
Keith deglutì e decise di fidarsi. Di tutto pur di uscire da quella situazione imbarazzante che lo faceva sentire ancora più accaldato e al contempo tremante come una foglia.
Chiuse gli occhi, aiutato anche dalla mano di Lance che scivolò leggera dalla sua fronte sulle sue palpebre, per poi scendere sul profilo del naso e anche sulle labbra. Il suo tocco sembrava così reale... E se non si trattasse di un sogno? Se fosse sempre stato sveglio?
Senza fiato, quasi come se due mani invisibili si fossero appena strette intorno al suo collo, Keith aprì la bocca per dirgli di smetterla di prenderlo in giro una volta per tutte, ma la richiuse immediatamente quando sentì le labbra di Lance sfiorare le proprie.
Il Paladino Rosso sentì la presa intorno al suo collo alleviarsi proprio quando le dita di Lance gli sfiorarono il mento e le sue labbra agirono con più convinzione.
Avrebbe dovuto aprire gli occhi, fare in modo che il sogno finisse, ma ne era terrorizzato. Cosa avrebbe fatto nel caso in cui non fosse stato un sogno? Inoltre, il modo in cui Lance lo stava stringendo, con una sorta di disperazione, gli fece capire che forse il Paladino Blu, sogno o meno, non voleva che quel momento finisse.
Spinto da chissà quale istinto, Keith decise di reagire e lo fece aggrappandosi ai suoi fianchi e ricambiando il bacio. Il suo primo bacio.
Le labbra di Lance erano sottili e morbide - sicuramente per via del burrocacao di cui si vantava tanto - e al contrario di tutto il resto erano calde, se non bollenti. Gli piacquero subito.
Abbandonata la ragione, Keith aprì la bocca perché le loro lingue si incontrassero, ma Lance si ritrasse all'improvviso, lasciandolo ansimante e col cuore che gli batteva impazzito nella cassa toracica. Tuttavia non aprì gli occhi.

*

Lance sgranò gli occhi quando sentì le mani di Keith stringergli i fianchi e le sue labbra premere a sua volta sulle proprie, ricambiando il bacio. Il suo primo bacio.
Mai avrebbe pensato che l'avrebbe dato ad un ragazzo, figuriamoci a Keith! Eppure non aveva potuto farci niente. Combattere la tentazione sarebbe stato inutile. Tanto valeva sfruttare il momento e ricavarne qualcosa di positivo, si era detto.
Il Paladino Blu provò a rilassarsi, a godersi quel momento irripetibile per poterlo custodire gelosamente nel suo cuore, ma quello stupido di Keith, irruento ed impaziente, mandò tutto in malora. Lance aveva dovuto raccimolare ogni briciolo di coraggio per baciarlo e non voleva che lui prendesse il controllo, consapevole che se ci fosse stato di più, beh... non sarebbe più riuscito a fare finta di nulla, a reprimere quei sentimenti che col tempo gli erano fioriti nel petto attirando a sé un esercito di farfalle.
Non appena sentì la bocca di Keith schiudersi e la sua lingua sfiorargli timidamente il labbro inferiore si ritrasse, a corto di fiato e col cuore che faticava a reggere il peso di tutte le emozioni che vi affluirono. Quindi guardò il suo volto, trovandolo imbronciato e... ferito? Aveva ancora gli occhi chiusi, stretti, e ad un tratto si morse con forza il labbro.
Lance non poteva vederlo in quello stato.
«Conta fino a tre e poi apri gli occhi. Io me ne sarò andato e faremo finta che niente di tutto questo sia mai accaduto, va bene?».
Lance arretrò, facendo attenzione a non pestare il pugnale Galra di Keith.
«Uno».
Lo stava facendo davvero, perciò voleva dimenticare.
«Due».
Col petto schiacciato da un macigno, si diresse verso la porta senza mai voltarsi indietro. Sarebbe stato troppo doloroso farlo.
«Lance».
Il Paladino Blu si fermò con la mano sul pannello di apertura, in attesa.
«Non rovinare il tuo rapporto con Allura per colpa mia. So difendermi da solo».
Quel brutto... aveva origliato!
Lance non rispose, uscì semplicemente dalla sala d'allenamento prima ancora di sentire la fine del conteggio e corse il più veloce che poté verso la propria cabina, dovrebbe avrebbe fatto del proprio meglio per cancellare i segni delle lacrime e scrollarsi di dosso la sensazione delle braccia di Keith che lo stringevano.

*

«Tre».
Keith aprì gli occhi e si voltò di scatto verso l'uscita, trovandosi solo nell'immensa sala d'allenamento. Si portò le mani sulla faccia e senza farlo apposta le sue dita indugiarono sulle labbra, sentendovi sopra ancora il calore e il sapore un po' salato, simile all'acqua di mare, di quelle di Lance.
Si costrinse a non pensarci, a fare finta che non fosse mai accaduto. Ma come avrebbe potuto, come?
Si girò e si inginocchiò per raccogliere il proprio pugnale. Stringendolo tanto forte da farsi male alle nocche, si maledì per come riuscisse a portare solo guai a tutti quelli che gli stavano intorno. Che cosa diavolo aveva visto in lui Lance per volerlo baciare?
Si lasciò cadere supino sul pavimento e chiuse gli occhi, sperando di riaprirli nella capsula di guarigione e realizzare che era stato davvero tutto un sogno. Uno dei migliori della sua vita.

*

«Lance!».
Il Paladino Blu si voltò ed incrociò lo sguardo preoccupato del team leader, la testa di Voltron. «Ehi Shiro. Che succede?».
«Volevo svegliare Keith, ma non è più in infermeria. Tu l'hai visto per caso?».
Lance fece del suo meglio per mascherare la fitta di dolore che provò all'altezza del petto e scuotere il capo. «No, mi dispiace. Non può essere sparito nel nulla però, sarà in giro da qualche parte».
Fece per girarsi, il collo stretto tra le spalle e le mani infossate nelle tasche, quando Shiro lo afferrò per un gomito.
«Non è che mi aiuteresti a cercarlo? Il castello è enorme e...».
«Adesso che ci penso, ho sentito dei rumori provenire dalla sala d'allenamento. Quel pazzo sarà là di sicuro». Gli rivolse un debole sorriso e liberandosi dalla sua stretta tornò ad incamminarsi verso la sala di comando.
«Lance, aspetta».
Il pilota del Leone Blu si fermò e si trattenne dal sospirare. «Che cosa c'è?».
Shiro si avvicinò e gli portò una mano sulla spalla, guardandolo con quel suo fare paterno. «Ascolta, so che il comportamento di Allura ti ha ferito e voglio che tu sappia che avevi pienamente ragione a difendere Keith. Lui è un nostro compagno e non lo abbandoneremo. Ne ho parlato con la Principessa e le ho ricordato che siamo noi cinque Paladini a formare Voltron. Finché noi ci fideremo di Keith dovrà farlo anche lei».
Lance annuì in segno di approvazione. Quindi, guardando di lato, mugugnò: «Non mi scuserò comunque».
Shiro sorrise. «Non ti ho chiesto di farlo. Adesso puoi andare».
Il Paladino Blu si voltò e riprese a camminare, ma venne fermato ancora una volta dalla voce del più grande.
«Ah, non dirò a Keith che l'hai difeso, stai tranquillo!».
Lance lo ringraziò alzando una mano e poi svoltò l'angolo, dietro il quale poté finalmente trarre un sospiro di sollievo.

*

«Keith? Ehi, Keith, mi senti?».
Keith aprì gli occhi lentamente e come prima cosa vide il volto di Shiro, sentendosi subito rincuorato.
«Che cosa diavolo ci fai qui, Keith?».
Confuso, afferrò la mano del Paladino Nero per alzarsi in piedi e si guardò intorno. Il suo cuore fece una capriola. La sala d'allenamento. Lance. Il bacio. Non era stato un sogno.
«Oddio. Cos'ho fatto?», sussurrò coprendosi il viso con entrambe le mani.
«Keith, ti senti bene? Forse dovresti tornare nella capsula, abbiamo ancora un po' di tempo...».
«No», negò con determinazione, allontanando Shiro con un braccio. «Andiamo sul ponte».
Certo che niente al mondo gli avrebbe fatto cambiare idea, il leader di Voltron sospirò e lo seguì.
Giunti nella sala di comando, Keith cercò subito con lo sguardo la figura di Lance e lo trovò alle spalle di un Hunk addormentato, intento a solleticargli il naso con una matita - o almeno un qualcosa di Alteano che somigliava ad una matita. Si fermò all'improvviso, come congelato, quando avvertì il suo sguardo trafiggergli le scapole. Keith deglutì rumorosamente, ma non si mosse ed aspettò che si girasse. Quando lo fece, Lance aveva quella sua espressione arrogante e il solito sorriso di sempre.
«Bentornato, samurai! Com'è andato il riposino?».
Pidge gli diede una gomitata nel costato, esclamando: «Keith ha combattuto contro decine di soldati tutto da solo per conquistare la fiducia della Spada di Marmora, doveva riprendere le forze!».
«Ti ringrazio Pidge, ma...», iniziò a dire il Paladino Rosso, ma venne interrotto dallo stesso Lance.
«Sì, Pidge, che cosa fai? Keith sa difendersi benissimo da solo!».
La ragazza scosse mestamente il capo e sistemandosi gli occhiali borbottò: «Senti da che pulpito...».
A Keith non sfuggì quel commento e cercò lo sguardo di Lance, senza però trovarlo. Lo stava palesemente evitando, proprio come se non fosse successo nulla nella sala d'allenamento. In fondo l'aveva avvisato che l'avrebbe fatto ed era certo fosse la cosa migliore per entrambi, tuttavia... perché faceva così male?
Coi pugni stretti lungo i fianchi raggiunse il tavolo intorno a cui erano riuniti i due membri della resistenza Galra, Shiro, Coran e Allura. Provò ad avvicinarsi alla Principessa, giusto per rassicurarla che non provava l'improvviso desiderio di dominare la Galassia intera, ma poté avvertire sulla pelle la barriera che aveva eretto nei suoi confronti. Lo odiava sul serio.
Provò a concentrarsi su ciò che stava dicendo Kolivan, indicando alcuni punti sulla rappresentazione olografica della nave di Zarkon, quando ad un tratto percepì un paio di occhi scrutarlo. Alzò il capo e, come temeva, scorse le iridi di Lance dall'altra parte del tavolo. Era appoggiato ad esso con un fianco e teneva le braccia incrociate al petto, il volto alzato verso l'ologramma viola, ma i suoi occhi erano puntati come fari azzuri su di lui. Quando fu certo di avere la sua attenzione, il Paladino Blu sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso. Quella volta non c'erano né malizia né sfregio, ciò che voleva dirgli era semplicemente: "Io sono dalla tua parte, amico". Per Keith fu come ricevere una boccata d'ossigeno e non riuscì a trattenersi: ricambiò, ringraziandolo silenziosamente.
Aveva tutte le ragioni del mondo per odiarlo - era uno sbruffone che si credeva un playboy, lo prendeva sempre in giro per la sua capigliatura e per ultimo l'aveva baciato - eppure nessuna era abbastanza perché potesse farlo davvero. Lance, nonostante tutto, c'era sempre stato per lui e aveva la sensazione che mai lo avrebbe abbandonato. E di questo gli era grato.
«Keith, tu che cosa ne pensi?».
Il Paladino Rosso alzò gli occhi su Shiro, senza sapere di che cosa stesse parlando. Per quanto tempo aveva fantasticato? Non era da lui.
Come se avesse letto il suo disagio, Lance lo salvò per l'ennesima volta. «Ehi, perché chiedi sempre a lui? È il tuo secondo in comando o qualcosa, Shiro?».
Il leader di Voltron sospirò e gli diede la parola. «Tu che cosa ne pensi, Lance?».
Il Paladino Blu mostrò il proprio sorriso più sfrontato e dopo aver gonfiato il petto esclamò: «Scusa, non ne capisco nulla di questa roba. Io sono un pilota, o al massimo un cecchino! Dimmi a chi sparare e io lo faccio, pew-pew!».  
Shiro fu sul punto di portarsi una mano alla fronte, esasperato.
Keith, invece, decise che da quel momento in avanti avrebbe fatto più attenzione a ciò che lo circondava, tenendo gli occhi ben aperti.
Quel giorno aveva imparato tante cose - su se stesso e non solo. Aveva imparato che non sempre le cose erano come sembravano e che spesso ciò di cui aveva bisogno era proprio sotto il suo naso, nascosto dietro sorrisi spavaldi e battutine. 





   
 
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