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Autore: Rossella Stitch    19/12/2017    1 recensioni
Dieci capitoli. Dieci parole. Due donne. Un unico amore.
Questa Medieval Supercorp è una sorta di continuo della shot "A night to love a life to stay".
Dieci capitoli nei quali verrà esplorato il rapporto di Kara e Lena in un arco temporale che spazia dal passato, al presente e chissà, forse anche al futuro.
Dieci momenti che raccontano di un impavido cavaliere e della duchessa che le ha rubato anima e corpo.
Una fanciulla che non ha mai avuto bisogno di essere salvata da alcun cavaliere, soltanto amata e questo Lady Zor-El lo ha capito dal primo istante.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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WORD III
 





 
Cwtch – Gallese
L’abbraccio in cui ci sentiamo protetti, il posto sicuro che ci dà la persona che ci ama, un posto che conferisce una sicurezza che solo quelle braccia sanno dare.
 
 



 
“Ci vuole coraggio per crescere e diventare ciò che si è veramente, senza compromessi.”

Sua madre era solita ripeterlo spesso quando era bambina. 
Ricordava tante notti buie e malinconiche, rannicchiata sotto spesse coperte di lana, aggrappata alla sua veste alla ricerca di calore e sicurezza. Nei momenti di titubanza la donna le parlava di coraggio, di ambizione, di quanto bisognava essere forti e impavidi nella vita se si volevano ottenere dei risultati. Soprattutto per le donne, apparentemente troppo docili e fragili, ma che invece serbavano dentro molto più di quanto nessun uomo avrebbe mai potuto immaginare. E sua madre, in quanto donna, sapeva esattamente cosa si provasse a vivere la vita di una donna.            
Forte, coraggiosa, intelligente e arguta. Quella era sua madre. Tanto arguta da far credere a chiunque, persino al suo stesso marito, di non avere potere su nulla. Quando invece lei, di potere, ne aveva in quantità inimmaginabili e sin da bambina aveva imparato a sfruttarlo nella maniera migliore.

“Ci vuole coraggio per crescere e diventare ciò che si è veramente, senza compromessi.” Le sussurrava all’orecchio, il tono convinto e sicuro di una madre che conosce il suo stesso sangue e sa che in assenza di moderazione è capace di ribollire fino a raggiungere temperature elevatissime. “Ricordalo sempre Lena: per le donne come noi c’è sempre un prezzo da pagare, ed anche piuttosto altro, se vogliamo vivere la vita che Dio ci ha concesso. Sii saggia figlia mia e non credere che le scelte più facili siano sempre le più soddisfacenti. Le scelte difficili invece, quelle sofferte e sentite e devastanti… per quelle ci vuole coraggio. Perché ti distruggeranno, ma spesso questo è il prezzo da pagare se si vuole vivere veramente, senza compromessi.”

Lena non aveva mai capito fino in fondo quelle parole, nonostante il tempo trascorso e la vita che incominciava a correre inesorabile. In quindici anni o poco più, non era stata ancora in grado di trasformare in fatti gli insegnamenti di sua madre.
Poi però era arrivata Kara, si era affezionata a Kara, voleva bene a Kara e d’improvviso tutte le parole che da anni le vorticavano senza sosta nel cervello - insinuandosi in ogni fibra del suo essere - avevano assunto forma e significato.            
Il coraggio e la forza con cui sua madre l’aveva nutrita durante la sua infanzia non aveva idea di come poterli utilizzare a suo piacimento. Sapeva soltanto che, a prescindere i mezzi utilizzati, voleva arrivare al suo scopo: far capire i suoi sentimenti alla fanciulla che le aveva rubato anima e cuore.

Un lieve bussare la distrasse dai suoi pensieri e precedette l’entrata della domestica nelle sue stanze.

“Duchessa, scusate il disturbo.” Sussurrò con delicatezza la donna, avvicinandosi al letto di Lena per cambiarne le lenzuola. “Credevo foste già nelle stalle con il cavaliere, altrimenti sarei pass-“

“Non preoccuparti Jane, fa ciò che devi.” Rispose brevemente la bruna, mentre finiva di intrecciare i lacci dei suoi stivali da cavallo. “Lady Zor-El non credo mi sottoporrà ad alcun allenamento oggi, per cui pensavo di andare a cavalcare nei boschi. E’ da troppo tempo che non dedico attenzioni a Marte.”

Marte era un bellissimo clydesdale, una delle razze equine  più prestigiose esistenti al mondo. Le era stato regalato da King George al suo arrivo nel Wessex come segno di benvenuto in famiglia. Ricordava di essersi recata nelle stalle quasi nell’immediato, assieme allo stalliere, per incontrare il suo ‘regalo’ e quando gli occhietti vispi e scuri di lui avevano incontrato quelli brillanti di lei, pregni come non mai di aspettativa,  entrambi avevano capito subito di aver trovato nell’altro un fedele compagno di vita.         
Il suo Marte era il cavallo più affettuoso del regno, di un’eleganza ineguagliabile e un’agilità che avrebbe fatto invidia a qualsiasi altro cavallo presente nelle stalle. E proprio come Lena, possedeva un animo diffidente a primo impatto, che però con il tempo sapeva trasformarsi in profonda fiducia e sintonia con l’altro. Lena lo aveva definito sin da subito come un cavallo pieno di risorse e da quando le loro strade si erano unite, poteva affermare con fermezza di aver vissuto in compagnia dell’animale alcuni dei momenti più belli della sua giovane esistenza.

Lasciando Jane alle faccende domestiche, non ci volle molto prima che Lena raggiungesse la stalla e successivamente la postazione di Marte, il quale al suo arrivo era profondamente immerso in una goduriosa sessione di coccole da parte dello stalliere, che – ridendo di cuore ad ogni verso dell’animale – lo spazzolava ritmicamente ogni giorno alla stessa ora.

“Buon pomeriggio, Duchessa.” Incalzò subito il giovane, porgendo i suoi omaggi alla mora non appena la vide varcare le soglie della stalla. “Marte è impaziente di stare con voi oggi, sta scalciando da almeno dieci minuti come un forsennato.” Continuò poi, ridendo di gusto ogni volta che il cavallo impattava bonariamente con il muso sulla sua spalla.

“Salve Robin, è un piacere vedere quanto siate sempre così divertito da questo birichino qui presente.” Rispose gioviale lei, avvicinandosi velocemente ai due e prendendo a sua volta una spazzola, recandosi poi al fianco opposto rispetto a quello su cui stava lavorando lo stalliere ed iniziò a spazzolare con vigore il cavallo. “Pensavo di portarlo a passeggio oggi, che ne pensate? Si respira un’aria così frizzante e non potevo di sicuro lasciarlo qui tutto solo.”

Robin alzò leggermente gli occhi per osservare la sua interlocutrice, sorridendo di cuore quando lesse negli occhi e nei gesti di lei solo e soltanto immenso affetto per il suo fedele compagno. Ma l’ora della frutta per la Duchessa era trascorsa decisamente da tempo e Robin spontaneamente si domandò come mai la fanciulla fosse sola in quel bellissimo pomeriggio, invece che essere accompagnata da quella che oramai era definita da tutti come la sua ombra, ovvero Lady Zor-El.

Insicuro sul da farsi, decise però di soddisfare in qualche modo la sua curiosità e in maniera che a suo parere riteneva piuttosto sottile, decise di palesare le sue perplessità. “E’ strano vedervi senza il cavaliere… sembrate essere una sola grande entità oramai. Cosa vi porta a dover riempire la sua assenza, visto il bellissimo pomeriggio che il Signore ha voluto regalarci oggi?”

Per qualche istante la mano di Lena si fermò, suscitando subito fastidio nel povero cavallo, il quale stava godendo amabilmente del trattamento della sua padrona. Lena non credeva fosse così evidente il suo legame con l’altra, ma evidentemente se pure uno stalliere era stato in grado di notarlo, del vero doveva pur esserci in quelle parole.

“Non vi facevo così perspicace Robin, sono impressionata.” Rispose quindi, cercando di dimostrarsi quanto più tranquilla possibile. Non voleva affatto apparire turbata dalla domanda, anche perché non era turbata affatto. Piuttosto era infastidita, perché non voleva che l’intero regno pensasse a lei come ad una fanciulla indifesa, che senza la dovuta sorveglianza e il dovuto aiuto non sarebbe stata in grado di giostrarsi nel mondo. Aveva sempre odiato quel genere di donne e la infastidiva non poco il sol pensiero che anche il suo stalliere la vedesse quasi come una sottomessa donnicciola. Lei non era fragile, indifesa o sottomessa e di sicuro non aveva bisogno di lei per vivere pienamente e serenamente le sue giornate. Affatto.

“Perdonate la mia irruenza Duchessa, è solo che…”

“Parlate chiaramente mio caro, non avrete mica timore di me?” Incalzò la mora con tranquillità.

“N-no, ci mancherebbe. Ma sapete, non sono abituato a conversare così pacificamente con qualcuno del vostro rango. Non sono sicuro neppure di essere in grado di esprimermi nella maniera appropriata, per cui perdonate qualsiasi nefandezza dovesse eventualmente fuoriuscire dalle mie labbra.” 

“Oh suvvia, non siate così severo con voi stesso. In fondo credevo di avervi dimostrato più di una volta che io non sono una comune fanciulla… come posso dire, del mio rango, ecco. Potete stare tranquillo.” Lo rincuorò lei, poggiando poi la spazzola su uno sgabello poco distante dal cavallo e recandosi subito dopo verso una balaustra in legno sulla quale erano poggiate varie tipologie di selle.

“Beh mia Signora, facciamo così.” Propose lui, sporgendosi subito per aiutare Lena quando la vide intenta a preparare il cavallo per l’imminente passeggiata. “Diciamo che se lei volesse fare una passeggiata in particolare, io potrei darvi un posto specifico dove son sicuro che troverete ciò che state cercando oggi.” Continuò, stringendo bene le cinghie che avvolgevano il cavallo nella sua interezza.

Una volta sellato il cavallo, Lena non esitò ulteriormente e salì con agilità in groppa all’animale, aggiustandosi subito dopo il corpetto di spesso cotone che – indossato al di sopra di una camicia bianca anch’essa di cotone – le fasciava amabilmente i fianchi e le permetteva di mantenere fermi i suoi prosperosi seni durante le cavalcate. “Ditemi, quindi…” Rispose, prendendo tra le mani le spesse redini in cuoio e avvolgendosele strette ai polsi.

“Alla spiaggia, sicuramente amerete la spiaggia. Fidatevi, anche se sono soltanto uno stalliere.” Terminò Robin e senza ulteriori parole sfoderò un generoso schiaffo sul sedere all’animale, il quale senza troppe cerimonie partì per la sua passeggiata, portando con sé una Lena pensierosa e sicuramente curiosa di sapere a cosa avrebbero mai potuto alludere i suggerimenti di quel criptico stalliere.



 
                 ****




 
Arrivare nei pressi della costa era stato piacevole e rigenerante. Poter cavalcare in tranquillità e respirare l’odore intenso della natura che l’avvolgeva era appagante come nessun’altra esperienza. Aveva sempre avuto uno spirito selvaggio e il Wessex le aveva permesso di abbracciare questa parte di sé stessa fino ad allora celata persino ai suoi stessi occhi.    
Wessex per Lena era sinonimo di libertà, di indipendenza, di amor proprio e orgoglio. In quel regno aveva trovato ciò che da sempre stava cercando e non aveva intenzione di rinnegarlo a nessun costo, piuttosto avrebbe preferito perdere la possibilità di parlare, ma non avrebbe mai permesso a nessuno di portarle via ciò che era riuscita a conquistare con così tanto duro lavoro e perseveranza.

Quando gli zoccoli di Marte iniziarono a calpestare la sabbia, tirò leggermente a sé le redini. Quel gesto fece capire all’animale che era giunto il momento di arrestare la corsa per lasciare spazio ad un po’ di riposo. Ci volle poco prima che la fanciulla riuscisse a scorgere un appiglio roccioso al quale agganciare il cavallo, per evitare appunto che potesse prendere alcun tipo di iniziativa e fuggire inesorabilmente via.

Esperta, saltò giù dalla sua postazione e mentre accarezzava teneramente il muso scuro del suo fedele compagno, si accorse che agganciata alla parete rocciosa – circa cinquanta passi più avanti da dove sostavano loro al momento – era legato anche un altro cavallo. Conosceva benissimo quel manto bianco e gli occhi grigi di quell’animale, inconfondibili tanto quanto lo erano quelli della sua padrona. Kara era lì, non sapeva esattamente dove, ma era lì a fare solo Dio sapeva cosa.

Dopo essersi sincerata delle condizioni di Marte ed aver depositato un delicato bacio in mezzo ai suoi occhi, decise di incamminarsi verso il bagnasciuga e godersi il meraviglioso spettacolo naturale che solo un tramonto sul mare poteva donare. La fortuna evidentemente le era amica quel giorno, perché appena riuscì a superare le sporgenze rocciose oltre le quali si trovava la spiaggia, scorse l’unica e sola protagonista dei suoi pensieri distesa sulla sabbia.            
La brezza si insinuava armoniosamente tra le ciocche bionde di lei, come una carezza leggiadra dalla quale potersi sentire quasi coccolati. Una casacca marrone abbandonata poco distante dal suo corpo faceva compagnia a calze scure e scarpe di pelle, che un tempo dovevano essere state di un nero brillante. Con indosso soltanto dei pantaloni neri arrotolanti fino alle caviglie e quella che doveva essere una vecchia sottoveste maschile anch’essa scura, Kara in quel momento era pura perfezione agli occhi di Lena. Nessuna vergogna scaturita da quei vivaci pensieri,  poiché solo grazie a quel momento rubato era stato possibile ammirare ogni piccolo dettaglio di lei.  
Anche se da lontano, anche se non aveva alcun permesso per poterlo fare. Ma non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, perché farlo avrebbe significato perdersi il modo in cui i timidi raggi del sole impattavano sulla sua pelle nivea, colorandola di varie sfumature aranciate; farlo avrebbe significato smettere di guardarla mentre – immersa in quelle che doveva essere un’impegnativa composizione scritta – velocemente premeva la punta della piuma sulla carta ruvida che teneva tra le mani. Distogliere in quel momento lo sguardo, avrebbe significato perdersi l’istante preciso in cui Kara aveva alzato gli occhi verso l’orizzonte e - accompagnata da un sospiro malinconico - aveva lasciato scivolare con dignità un’unica, singola lacrima sulla sua guancia sinistra.

La mora iniziò a muoversi automaticamente nella sua direzione, consapevole di star per interrompere un momento intimo e solitario che forse Kara desiderava da tempo. Ma Kara stava male, lo poteva percepire con ogni fibra del suo essere e non poteva permettere a sé stessa di compiere un atto di codardia così immenso, lasciandola lì in pasto a chissà quali demoni interiori soltanto perché aveva timore di affrontare la realtà. Non lo avrebbe fatto.

Quando solo una quindicina di passi separavano le due, Kara si accorse di non essere più sola. Lasciò andare velocemente la piuma che impugnava saldamente con la mano sinistra e altrettanto velocemente si passò una mano sul volto, sperando di poter cancellare con quel solo gesto i segni dei suoi turbamenti. Voltò leggermente il capo verso est, dove un’ombra longilinea aveva oscurato con la sua presenza i suoi effetti personali posti proprio di fianco a lei e quando alzò lo sguardo per fronteggiare il nuovo arrivato, strabuzzò gli occhi in preda a totale sconcerto.

“Posso sedermi?” Sussurrò flebilmente Lena, cercando di non prestare attenzione allo sguardo spaesato che l’altra le aveva rivolto non appena aveva incrociato i suoi occhi.

Un velo di imbarazzo cadde tra loro, impedendo per qualche attimo l’avanzare della conversazione. Kara si sentiva vulnerabile ed esposta come mai le era capitato in tutta la sua vita e non sapeva esattamente se essere felice o rammaricata dalla consapevolezza che la fanciulla di fianco a lei sarebbe stata la prima, sicuramente l’unica, a poter assistere ad uno scenario del genere.

“N-non credo di volerti qui in realtà.” Sussurrò a sua volta Kara, poggiando poi al suo fianco gli strumenti di scrittura per portarsi le gambe al petto, abbracciandole con le braccia. Poggiò il mento sulle sue ginocchia e rivolse ostinatamente lo sguardo verso il panorama. Non voleva guardarla, non adesso, non lei che rappresentava da giorni il motivo di ogni suo malessere.

“Lo so.” Annuì con comprensione l’altra, cercando di rimanere calma e ponderata nelle sue azioni. “Ho capito da giorni che non gradisci la mia presenza, da quando…”

“Già…” Ribadì velocemente Kara, cercando di evitare in tutti i modi di aprire l’argomento. Non voleva parlarne, soprattutto tenendo conto dello stato emotivo in cui si trovava in quel momento.

Lena prese un profondo respiro, prima di staccare gli occhi dal profilo di lei e rivolgerlo a sua volta al tramonto. “Credo che dovremmo parlare.”
“G-già…”

“Kara io…” Iniziò Lena, sicura di doverle delle spiegazioni e sicuramente delle scuse. Ma al solo sentir pronunciare il suo stesso nome, l’altra sobbalzò spaventata, tesa come la corda di un arco. “P-posso parlare?” Si trovò a domandare, cercando di rispettare il suo volere e in qualche modo iniziare già dai piccoli gesti a rimediare ai suoi errori.

“Non potrei impedirti di parlare neppure se volessi…” Si ritrovò a dire la bionda, in modo decisamente più tagliente di quanto volesse. “Se vuoi parlare… ebbene, parla.” Continuò.

“Ti chiedo di perdonarmi.” Parlò dolcemente Lena, imitando la posizione di lei e intrecciando le dita per evitare di gesticolare e rendersi ridicola. “E’ stato sciocco da parte mia pensare che tu potessi in qualche modo contraccambiare i miei sentimenti. Quel gesto avventato dell’altro giorno al fienile… Kara, vorrei soltanto che tutto tornasse come prima e che tu possa perdonare questa povera, sciocca fanciulla che – con il cuore in pezzi – ti sta chiedendo di dimenticare quanto accaduto.”

“Io non voglio dimenticare.” Ribatté Kara, voltandosi di scatto verso l’altra per inchiodare i suoi occhi chiari in quelli liquidi di lei. “Io non voglio dimenticare niente, anche se non nego di averlo desiderato in questi giorni. Ho desiderato tante cose in questi giorni, cose che non sono disposta ad ammettere neppure a me stessa al momento.” Disse ancora, un velo di terrore ad increspare la limpidezza delle sue iridi.

“E allora dimmi cosa vuoi…”

Kara stette per qualche attimo ferma, immobile nella sua indecisione. Vestita soltanto di un’enorme insicurezza che – come uno spesso mantello – l’avvolgeva interamente, non lasciando alcun respiro al suo animo desideroso di chiarezza. Alternò brevemente lo sguardo tra la fanciulla ed il sole - che oramai era diventato un’enorme palla infuocata di un’arancione che sfociava quasi nel rosso - cercando di capire cosa fare.

Che cosa voleva?

 Kara, che cosa vuoi?

“V-voglio capire cosa sta succedendo… cosa mi sta succedendo.” Esalò flebilmente, timorosa come un cucciolo abbandonato al suo destino e assolutamente inerme dinanzi alla vastità del mondo che lo circonda. “Aiutami a capire perché mi sento sempre febbricitante quando sei al mio fianco, perché spesso mi fermo a contemplare la tua figura e il respiro mi si blocca in gola, perché la sera – al sicuro tra le mura delle mie stanze – tra tutti i pensieri che potrei fare alla fine ci s-sei sempre tu in p-prima linea.” Si fermò per qualche secondo, adesso insicura perfino del suo stesso tono di voce. Si schiarì la gola per cercare di riacquistare almeno un brandello di amor proprio e poi riprese a parlare. “Lena, spiegami perché ogni volta che guardo nei tuoi occhi io mi ci perdo, come se mi immergessi ogni volta in viaggi entusiasmanti che mi fanno tremare le gambe e sentire lo stomaco sussultare.”
E mentre quell’enorme sfera incandescente qual era il sole si allineava perfettamente all’orizzonte delimitato dal mare a vista, una lacrima solitaria in contemporanea scivolò lentamente lungo la guancia candida di Lena, che alle parole di Kara non aveva saputo rispondere in altro modo se non con profonda commozione.       

In maniera assolutamente poco dignitosa, cercò di darsi un contegno e mettere insieme alcune frasi di senso compiuto che potessero soddisfare le aspettative dell’altra, ma di parole sembrava che il suo cervello non riuscisse più a produrne. Dove era finito il suo buon senso? Che fine avevano fatto tutti i buoni propositi di cui si era armata nei giorni precedenti? Da quando non riusciva ad esprimere a parole le sue emozioni, facendo invidia ad una bestia mitologica senza coscienza?

“I-io…” balbettò poi, assolutamente inerme dinanzi all’intensità di quella situazione. “N-non sapevo che scrivessi.” Continuò poi. Di cosa diavolo stava parlando, neppure lei lo sapeva.

Colta alla sprovvista, Kara non collegò subito l’allusione al materiale da scrittura che era adagiato di fianco a lei, ma appena riuscì ad emergere dal volo pindarico che Lena aveva appena fatto, si limitò ad annuire lievemente con il capo.

“Posso… potrei leggere qualcosa? Se me lo permetti ovviamente.” Domandò rispettosamente la mora, timorosa di essersi spinta troppo in là.
In un baleno, un plico di fogli le venne scaraventato sul petto e nel modo più agile di cui disponesse, Lena cercò di non farne cadere nessuno. “B-bene… grazie.” Rispose poi, allungando le gambe sui granelli biancastri e poggiando il plico sulle sue cosce.

Appena i suoi occhi poggiarono lo sguardo sulla calligrafia di Kara, in quel preciso istante Lena capì che per il suo cuore non c’erano assolutamente più speranze. Neppure se avesse voluto provare a cercarne ne avrebbe trovate. Era perdutamente innamorata di quella giovane fanciulla così forte e impavida, ma anche così timida e impaurita, che al sol pensiero le girava la testa.

C-che cosa vedo in te?” Iniziò quindi a leggere, il cuore in gola e mani tremanti. “Tutti sono convinti che l’amore di una persona si debba meritare, ma non credo sia veritiero: l’amore che nasce dentro di noi non lascia decidere direzione alcuna, altrimenti sarebbe tutto molto più semplice, meno doloroso.” Continuò Lena, insicura delle sue azioni.

“Volevi leggere… c-continua, su.” La esortò Kara, occhi puntati verso il mare e brividi incessanti che la percorrevano da capo a piedi.
“L’amore nasce e basta: scoppia, ti agguanta a suo piacimento e ti toglie ogni possibilità di scelta. Ed io non capisco però, cosa ci vedrà in te una come me, che sta attenta ai dettagli e a non ferire gli altri, che non riesce ad essere superficiale anche se ci prova praticamente ad ogni ora. Che ci vedrà una come me, razionale ma sognatrice, ambiziosa e generosa, in qualcuno che non è altro che l’opposto di me? Tutti credono che non si possa fare affidamento su di te, che sei egocentrica e calpesti chiunque intralci la tua strada e non importa se nel contempo sotto i tuoi piedi ci finisce anche qualche cuore spezzato.” E a quel punto niente poté più impedire a Lena di singhiozzare senza ritegno, cercando di asciugarsi subito dopo le guance per evitare di bagnarle i fogli. “I-in te ci vedo un’altra te ferita, che dopo le p-percosse e il dolore alla fine non ha potuto farne a meno, ed è cambiata. In… in te ci vedo il coraggio di r-rischiare e nessuna paura di quel che gli altri potrebbero pensare, c-ci vedo l’ironia per combattere ogni mostro che si cela n-nel tuo animo e che per questo ti spaventa anche solo a guardarlo. In te ci vedo qualcuno che non è m-mai stato ascoltato e che non ha a-avuto mai quello che desiderava, qualcuno che ha costruito un muro intorno al suo cuore per non farvi entrare nessuno e che invece ha creato una porta in quel muro, apposta per me.”

Lena dovette fermare la sua lettura, perché di funzionare i suoi polmoni non volevano davvero più saperne ed il respiro era prima diventato irregolare, poi assolutamente inesistente. Annaspava, alla ricerca di aria, che però le veniva tolta ad ogni parola che leggeva, sempre un po’ di più, sempre più asfissiante.

Un corpo caldo all’improvviso si fece strada tra la miriade di sensazioni che stava provando e nel bel mezzo di quell’accumulo di emozioni, riuscì a capire che il calore di quel corpo apparteneva a Kara, la sua Kara. E non pensò alle conseguenze, non pensò ai fogli che probabilmente avrebbero potuto stropicciarsi sul suo addome, non pensò a come avrebbe potuto reagire Kara e non pensò al buio che lentamente stava avvolgendo entrambe. Si buttò tra le sue braccia, sicura che a prescindere tutto, l’altra l’avrebbe stretta. Non appena la sua vita fu avvolta da braccia muscolose ma al contempo delicate, in quello stesso istante Lena ritornò a respirare di nuovo, come se i polmoni avessero ripreso la loro normale funzionalità e fossero riusciti ad incamerare nuovamente tutta la quantità di ossigeno necessaria che le serviva per vivere. Esatto, vivere.

“In te scorgo i miei occhi spalancati, stupefatti, ammutoliti, incantati, persi e proprio perché tu mi vedi, so perché riesco a vedermi anch’io. E fa paura. Perché ci vedo anche una me senza più rabbia in quegli occhi, senza rancore e senza paure, con il petto ricolmo di scoperte e brividi che solcano ogni parte del mio corpo.” Kara continuò a sussurrare all’orecchio di lei, stringendola spasmodicamente al petto come se ne andasse della sua stessa vita. Unite in un bozzolo fatto di insicurezze, dolore e passione, ad occhio esterno non avrebbero saputo distinguere quale parte del corpo appartenesse a chi. Ma loro sapevano che nonostante vivessero in due corpi separati, oramai andavano avanti grazie ai battiti di un unico grande cuore. Un cuore che pompava linfa vitale per entrambe ed era alimentato dall’amore che – anche se inespresso – entrambe sapevano di provare per l’altra.

“Io credo forte… che non sia tanto quel che vedo in te a farmi paura, ma forse quel che vedo in me quando guardo te, quello mi terrorizza. Nei riflessi dei tuoi occhi, per la precisione nella luce forte dei tuoi occhi accesi come stelle nella notte, io se mi ci specchio ho paura, perché ci vedo una me felice.[1] Concluse la bionda, scoppiando poi in lacrime e rifugiandosi nell’incavo del collo di Lena, che in quel momento come mai, le sembrava un riparo perfetto dal mondo intero.

“K-kara no… non f-farlo…” sussurrò Lena, la voce spezzata e attutita dai vestiti dell’altra, arpionando la veste sottile di lei in pugni chiusi, stretti come se sapesse che avrebbe potuto perderla da un momento all’altro. “T-ti prego non avere paura di me. N-non averne.” Continuò, disperata ed afflitta.

Dopo qualche istante immerse l’una nelle membra dell’altra, Kara prese il viso di lei tra le mani, imponendole di guardarla negli occhi. “M-mi hai baciata Lena… t-tu hai… cosa potrebbe mai significare tutto questo per noi?”

“Preferirei bruciare tra le fiamme dell’inferno per l’eternità piuttosto che negare ciò che provo per te Kara.” Ribatté Lena con rinnovato vigore. “Anche io ho paura, sono terrorizzata da ciò che questo potrebbe comportare, ma non ci riesco. Non voglio. Tu sei… mi sei entrata così profondamente dentro che pur volendo non potrei, anzi non riuscirei a mandarti via da me. Io t-“

“N-non dirlo, ti prego…” Sussurrò Kara, un sospiro di distanza a separare le loro labbra. “Voglio… ho bisogno di capire Lena, di abituarmi a tutto questo. Io… noi non dovremmo.”

“E perché mai non dovremmo?” Domandò sconcertata Lena, scansandosi poi dal volto di Kara per inserire anche solo una minima distanza tra loro. “Perché sono una donna? Perché Dio non lo vorrebbe?” Continuò, le sue parole guidate oramai dalla collera che provava e che per troppo tempo aveva lasciato sopita. “Credi che non sappia che non è normale, che non è giusto e che non dovremmo? Ma io lo voglio, lo desidero come non ho mai desiderato nulla in tutta la mia giovane vita Kara e voglio te, non mi interessa di nient’altro. Voglio… v-voglio poterti stringere, baciare e voglio avere paura con te. Lo voglio Kara, tu… t-tu sei la mia migliore amica, sei l’altra metà di me. Lo so come so di essere viva in questo momento. Ti prego…”

“Non pregare me.” Le rispose la bionda, attirandola nuovamente a sé e accarezzandole le guance con i pollici. “ Prega soltanto che almeno se finiremo all’inferno ci f-finiremo insieme…” Esclamò, per poi tuffarsi con impeto sulle labbra piene e rosse di Lena.

Con quel bacio, Kara seppe di essersi assicurata di diritto un posto d’onore tra le prime file dell’inferno. Ma che la sua anima sarebbe bruciata tra le fiamme infernali o sarebbe stata accudita da una schiera di cherubini, niente e nessuno avrebbe mai potuto ripagarla delle sensazioni che stava provando in quel momento, tra le braccia di lei, mentre la baciava per davvero per la prima volta.    
Proprio grazie a quel solo, singolo momento, aveva capito di non poter fare a meno di Lena. Ne era innamorata e non sapeva esattamente come agire o cosa dire, ma Lena si e lei si fidava ciecamente di Lena. Si sarebbe fidata sempre.


















NOTE AUTRICE:
Buonasera a tutti. 
Mi rendo conto di essere stata assente per una quantità infinita di tempo e di non aver rispettato i tempi di pubblicazione che inizialmente mi ero prefissata, ma purtroppo la vita e i cambiamenti hanno avuto la meglio su di me e questo ultimo paio di mesi sono stati pressocchè allucinanti. 
Sono contenta però di essere tornata con questo terzo capitolo. Ricco di elementi nuovi, di riferimenti alla shot zero dalla quale ha preso vita il tutto e soprattutto ricco di sviluppi che permettono di capire come si è evoluto il sentimento che unisce Kara e Lena in questo universo. Questo particolare momento raccontato, è collegato al ricordo inserito nella oneshot (link nel caso qualcuno volesse rileggerla:
 https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3672685&i=1), precisamente alle conseguenze che ci sono state relative al gesto spontaneo di Lena avvenuto nel fienile. 
Ringrazio ovvimente tutte le persone che - con pazienza immensa - leggeranno questo capitolo e soprattutto ci tengo particolarmente a ringraziare tutti coloro che hanno letto, inserito nelle preferenze la storia e soprattutto chi ha avuto un attimo di tempo per lasciarmi due parole nei commenti. Questa storia è davvero importante per me e davvero mi farebbe piacere conoscere i vostri pensieri a riguardo. Capire con voi se l'atmosfera è di vostro gradimento, capire se la caratterizzazione dei personaggi - nonostante la differenza spazio temporale - sia sempre la stessa e se in qualche modo sono riuscita a mantenere fede all'anima delle Supercorp. Insomma, fatevi sentire e discutiamone *-*
Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo prima della fine dell'anno, ma purtroppo non posso fare promesse. Vi ringrazio tutti ancora e spero che possiate trascorrere della mangifiche vacanze natalizie <3 <3 
BUON NATALE A TUTTI <3 <3 <3

NB: vi ricordo che, nonostante i salti temporali che intercorrono tra i vari capitoli, il tutto ruota sempre intorno alla shot zero di cui ho messo il link poco sopra. E' tutto collegato, ogni storia e ogni microcontesto, basta soltanto restare al passo con i saltelli tra passato, presente e futuro. Tutto prendendo sempre in considerazione quanto accade nella shot zero. 
 

[1] Liberamente tratto da uno scritto già esistente, anche se inedito. 
  
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