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Autore: Nat_Matryoshka    20/12/2017    1 recensioni
"A volte dopo tante cadute si ottiene finalmente qualcosa, non credi?”
Rey è una giovane reporter, che si innamora di Venezia e del suo Carnevale. Ben, il fotografo che la accompagna, di notte sogna di un ragazzo misterioso e di un mondo che non conosce.
Forse le loro anime si assomigliano più di quanto immaginano.
[Modern AU || Scritta per la Reylo Fanfiction Anthology 2017, "Celebrate the Waking"]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Luke Skywalker, Maz Kanata, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4
 
 





“Il mondo è un’alchimia di corpi e luci senza nome
e la paura poi diventa amore.”
- Lost in the weekend, Cesare Cremonini
 
 
 





Le sue mani erano coperte da un paio di guanti neri come l’abito che indossava, pelle morbida e liscia che avvolgeva un involucro altrettanto morbido, ma bianco come la neve. I capelli che tanto l’avevano colpita quando lo osservava da lontano erano mossi come piccole onde, arruffati sulle punte e piegati con delicatezza sul collo, i ricci ribelli di un bambino dagli occhi adulti. Le aveva rivolto un inchino come se avesse avuto davanti una nobildonna qualunque e non una ragazza dei vicoli, nervosa e poco incline a seguire l’etichetta. Poi le aveva chiesto se le piaceva la festa, se desiderava ballare, e per quanto la ragazza non avesse mai mosso un passo di danza in vita sua aveva accettato prima ancora di potersene accorgere.

“Scusate se vi ho spaventata prima… eravate lì, sola, e qualcosa mi ha spinto verso di voi. Anche io mi sento smarrito durante eventi del genere, anche se ormai mi sto abituando, ma avevate il mio stesso identico sguardo di qualche anno fa.”
“Non mi avete spaventata. Ero solo… confusa. Non frequento quasi mai le feste” si giustificò, ma per quanto non si fidasse mai di chi non conosceva sentiva che non aveva da temere nulla da quell’uomo. Era immerso in un’oscurità personale ma inoffensiva, che non si attaccava a ciò che lo circondava, come la notte che lascia il posto alle stelle.

Seguire i suoi passi non era difficile: il Principe si muoveva con la grazia studiata di chi è stato abituato fin da piccolo a farlo. I nobili intorno a loro volteggiavano, un gruppo di uomini vestiti come lui lo osservavano da un lato della sala, senza perderlo un attimo di vista. Erano sei, e anche i loro volti erano coperti da maschere che impedivano di vederne i volti e la sommità delle teste.
“I miei Cavalieri” spiegò il giovane, notando lo sguardo della ragazza. “Non mi perdono un attimo di vista… come se potesse succedermi qualcosa qui, durante una festa”. Rise brevemente mentre continuava a condurre, il peso della mano sul fianco della ragazza. I capelli sciolti di lei arrivavano quasi a toccargli le dita, ma lui non ne sembrava infastidito. La risata non gli aveva toccato gli occhi, quelli erano rimasti seri come li aveva sempre visti.
Ballarono per due volte, un tempo che alla ragazza sembrò brevissimo: quasi non sentiva più le gambe, né il tocco gentile del Principe sul suo corpo, il suo respiro che le sfiorava appena la pelle. La musica terminò poco dopo per lasciar tempo ai ballerini di riposare un momento. Il Principe le rivolse un nuovo inchino e si allontanò per raggiungere la terrazza: non l’aveva invitata esplicitamente, ma rimase fermo quell’attimo che bastava a farle capire che un po’ di compagnia non gli sarebbe dispiaciuta. La ragazza si avviò insieme a lui in un frusciare di vesti, l’abito che si muoveva come le piume di una colomba.
 


*
 

Maz li aveva portati in un negozio completamente stipato di abiti, busti, gonne, cappelli, giacche e maschere  in ogni angolo perché scegliessero degli abiti da noleggiare per il ballo della sera successiva. Non era stato un processo semplice, ma dopo un tempo che poteva andare dalla mezz’ora alle due ore ne erano usciti ciascuno con un abito adatto all’occasione, che avrebbero dovuto restituire mercoledì, prima della partenza.
Rey aveva osservato a lungo il suo prima di posarlo nell’armadio, avvolto nel cellophane trasparente per non impolverarlo: le sembrava incredibile che un tipo come lei potesse avere l’occasione di indossare una meraviglia simile. Il vestito, di un bel grigio perla, aveva una gonna ampia e gonfia e un busto ricamato di piccole perle, che si spingevano anche sullo scollo e intorno alle spalle. La gonna era formata da tanti strati di veli e crinoline cuciti assieme, e le maniche lunghe erano bordate da una serie di merletti che le rendevano più sontuose. La donna al negozio le aveva anche lasciato un diadema di perline bianche che scendevano in fili perché lo mettesse tra i capelli, e una maschera bianca con dei sottili rametti d’oro dipinti completava il travestimento.     Le sarebbe stato bene, o si sarebbe sentita a disagio vestita in quel modo, come ad interpretare un ruolo che non era il suo? Non lo sapeva. Il desiderio di provare, di sentirsi per un giorno diversa dalla Rey che ogni giorno si guardava allo specchio e non si era mai preoccupata di questioni come l’eleganza e le feste, era troppo forte…
Si ritrovò seduta sul letto senza nemmeno accorgersene. Quei giorni con Ben sembravano essere andati meglio di quando avrebbe mai potuto immaginare. Sorrideva, scattava fotografie, era rilassato, così tanto da sembrare una persona totalmente diversa da quella che conosceva. Era forse un segno? Una specie di presagio positivo che avrebbe aperto la strada a qualcosa di nuovo, un segnale per farle abbassare la guardia e aprire il cuore perché ormai lui aveva aperto il suo? Poteva crederci davvero, senza avere paura di sbagliare, senza sbilanciarsi? Se fosse caduta ancora avrebbe sopportato il dolore di un nuovo passo falso, o stavolta avrebbe rinunciato per sempre?
Le dita nervose tamburellavano sul copriletto. Rey si lasciò andare distesa, l’unghia dell’altro pollice che tracciava segni sull’osso del fianco scoperto dalla maglia, tormentandolo. Quel gesto le fece tornare alla mente le mani di Ben, i suoi polpastrelli attenti, la premura che metteva nello sfiorarla. Quasi avesse paura di romperla, come una scultura troppo preziosa per essere maneggiata senza guanti. Il modo in cui le aveva sfiorato la mano qualche giorno prima, al Guggenheim. La desolazione nel ricordare il suo passato, che veniva fuori con tristezza dalle sue labbra ma che le aveva confidato senza fermarsi un attimo, come se in cuor suo sapesse che solo Rey avrebbe potuto capirlo.  Alla fine, non faceva anche lei la stessa cosa? Affidargli piccoli pezzi della sua anima, sicura che solo con lui sarebbero stati al sicuro?

C’era stato un momento tra loro che aveva quasi paura a rivivere con la mente, un attimo così fuori dal tempo e immobile da restare bloccato nella cassaforte dei suoi ricordi più belli come una gemma che brilla così tanto da provocare soggezione. Erano nella sua stanza, non impersonale come quella di un albergo ma bianca allo stesso modo, il nero era solo su alcuni dei poster, sull’armadio, sulla cornice che ospitava un gruppo di foto che aveva scattato tempo prima. Avevano bevuto? Non lo ricordava, ma Ben le sembrava più fragile e allo stesso tempo più furioso, come se stesse lasciando andare tutto insieme quello che provava da anni, da un’eternità intera. Non ricordava come né perché, cosa avesse fatto iniziare quell’attimo, la scintilla, ma ricordava che si erano avvicinati abbastanza perché lui le posasse le mani sulle guance e la baciasse. All’inizio l’aveva fatto con foga, senza controllare particolarmente i movimenti, con la fame la rabbia il desiderio di chi finalmente può esprimere quello che prova senza venire ostacolato. E, con sua grande sorpresa, Rey aveva risposto al bacio con la stessa foga, dopo un minuto di sgomento e l’impaccio iniziale. Forse l’aveva sempre desiderato ma non si era sentita in diritto di farlo. Aveva sentito le labbra di lui toccare le sue e poi lasciarle andare, sostituite dai denti, un piccolo morso al labbro inferiore e la sua lingua che esplorava gentilmente l’interno della sua bocca, Ben che non voleva lasciarla andare e la stringeva a sé sempre di più, sempre di più.
Si accorse appena di accarezzarsi la pancia sovrappensiero mentre riportava alla mente quel ricordo. I loro gesti erano goffi ma pieni di una passione acerba, e intensa. Ben era rimasto fermo mentre lei faceva correre le mani sulla sua t-shirt, la sondava delicatamente e infine la alzava per invitarlo a toglierla. Era come se una forza fuori da lei glielo stesse ordinando, e probabilmente era la stessa forza che portava Ben ad accarezzarle la schiena, a sbottonarle la camicetta bottone dopo bottone per incontrare il reggiseno verde e i suoi piccoli seni soffici, nascosti dal pizzo dell’indumento intimo. Anche quello era finito sul pavimento. Si erano guardati, entrambi senza maglietta, e nessuno aveva trovato imbarazzo negli occhi dell’altro. Rey l’aveva aiutato a sfilare i pantaloni, li aveva visti scivolare per terra con un suono morbido e raggiungere il resto dei suoi vestiti, mentre anche lei sfilava i suoi jeans e restava a guardarlo, gesti lenti e misurati che sembravano parte di un rito che stavano sperimentando entrambi per la prima volta. Quando solo due pezzi di stoffa erano rimasti a coprirli, Ben l’aveva stretta tra le braccia.

Erano quasi nudi, in piedi al centro di una stanza che aveva ancora tanti segreti da rivelare a Rey e che aveva raccolto tutto quello che Ben Solo potesse affidarle. Nel silenzio che le martellava le orecchie, si era sentita prigioniera di un’intimità così nuova che la rassicurava e la spaventava insieme. Le braccia di Ben la stringevano, i seni di Rey premevano contro la pelle del suo torace. Poteva sentirlo fremere in quella stretta, un piccolo sospiro di… sollievo? che lo pervadeva e faceva fremere anche lei. Una mano di lui l’aveva accarezzata dolcemente tra le gambe, sfiorando il suo sesso già bagnato, facendola scuotere dal desiderio. Perché lo desiderava, ormai se ne rendeva conto, lo avrebbe divorato e allo stesso tempo si sarebbe lasciata divorare, e tutto ciò che voleva era che continuasse ad accarezzarla, a spingere quelle dita ancora più in profondità, sfiorarla e cedere ogni parte di se stesso e accettare quello che lei voleva cedergli. Ma non sarebbe bastata una sola notte…
Aveva sentito la sua erezione premere contro la sua coscia, protetta dal tessuto dei suoi boxer, e aveva trattenuto il respiro. Era stata lei a cominciare un nuovo bacio, ad affondare le dita nei suoi capelli e ad approfondirlo perché percepisse il suo bisogno. Ben aveva risposto, si era lasciato condurre… ma non erano andati avanti. Avevano condiviso quella nudità gentile nel tepore dell’estate che avanzava, scaldati dai raggi del sole che entravano dalle stecche della tapparella abbassata per metà, mentre Ben le sfiorava la pancia, un capezzolo e poi l’altro, i fianchi, le labbra con dita esitanti. Si era fermato su ogni parte del suo viso, l’aveva venerato, memorizzato nelle sue dita. Aveva scolpito le labbra solo toccandole. La paura di rovinare tutto era troppa per lasciarsi andare davvero.

“Rey”, aveva sussurrato. Il suo nome col tono di una preghiera le aveva fatto venire la pelle d’oca. Eppure Ben aveva accettato le sue attenzioni, quel piccolo bacio che gli aveva lasciato sulla guancia giorni prima, abbastanza vicino alle labbra perché sembrasse una promessa. Significava davvero qualcosa? O era lei ad immaginare tutto senza frenarsi?

Si alzò e si spostò i capelli dal viso, poi chiuse l’armadio e scese al piano di sotto: Maz li aspettava per trascorrere con loro il pomeriggio. Voleva portarli a bere qualcosa in un locale che si affacciava direttamente sul Canal Grande e il pensiero di potersi godere altro sole e la vista del mare bastava da solo a farla sentire meglio.
 


*
 

Un gabbiano si era tuffato nell’acqua della laguna veloce come un missile, per uscirne poco dopo con un pesce nel becco. Consumato lo spuntino rapidamente, l’animale rimase a galleggiare tranquillo sull’acqua, le ali ripiegate lungo i fianchi. Rey lo osservava dalla balconata del bar, in silenzio, fermando temporaneamente il flusso dei pensieri che non l’aveva abbandonata nemmeno durante la pausa caffè con Maz.
Ben era rimasto dentro, a finire il suo macchiato insieme a Luke. Lei era uscita un attimo a prendere una boccata d’aria: certe volte era impossibile restarsene ferma nello stesso posto per più di cinque minuti, soprattutto quando la sua mente non ne voleva sapere di starsene tranquilla. Per fortuna non tirava vento e, per quanto il cielo si fosse leggermente annuvolato rispetto ai giorni precedenti, la pioggia non sembrava voler turbare le loro giornate.
Fissò l’acqua e il suo colore in costante cambiamento, che passava dal verde al blu cupo nelle zone d’ombra, per poi tornare al verde acqua sotto al sole. Chissà dove abitava la ragazza del suo sogno, in quale epoca era vissuta. E il suo Principe, il ragazzo a cui era finalmente riuscita ad avvicinarsi, al ballo? Venezia li legava tutti, come le trame di un tessuto più grande. Socchiuse gli occhi…  e non sentì Maz avvicinarsi.

“Hai l’aria di chi vuole stare sulle proprie per affrontare qualcosa che lo affligge… o sbaglio?”

La donna sorrideva avvolta in uno scialle pesante e ricamato. Non invase i suoi spazi, rimase semplicemente accanto a lei ad osservarla come se volesse assicurarsi che tutto andava bene. Rey voltò piano la testa per guardarla e le sorrise a sua volta.

“Più o meno… ho tanti pensieri. Li avevo anche prima, ma questo viaggio…”

Non proseguì. Maz scosse appena la testa come per dimostrarle che aveva capito. “Ti ha portato qualcosa che non ti aspettavi. Nuovi orizzonti, idee… sogni, magari? Più strani del solito?”

La ragazza la fissò per un attimo, sbalordita. Aveva già avuto l’impressione che la donna sapesse molto più di quanto esprimeva a parole, e quel tono rilassato, la tranquillità con cui aveva pronunciato l’ultima frase confermavano quel sospetto. Sorrideva in maniera enigmatica, una sfinge dai grandi occhiali e dalla pelle bruna che le ispirava fiducia. Profumava di antico, emanava una saggezza che era la stessa dei luoghi silenziosi e pieni di storia, le grandi cattedrali che osservavano gli uomini e ne conoscevano i segreti e i desideri.

“Ho fatto dei sogni, in questi giorni. È da quando sono arrivata qui che non faccio altro che sognare” confessò Rey. “La prima volta è stato un flash, ho visto una ragazza vestita di bianco che osservava il sole… ho pensato ad una fantasticheria troppo vivida, mi capita di farne.” Si lasciò scappare un piccolo sorriso.
“Ma dalla notte successiva sono diventati sogni veri e propri… e ho visto ancora questa ragazza, ha partecipato ad un ballo in maschera e ha incontrato un ragazzo, un giovane malinconico che lei chiama il Principe. Era come se… percepissi le sue emozioni, e potevo capirla anche se non parlava la mia lingua. Come è possibile? Nei sogni succedono cose assurde, è vero… ma sono così reali che a volte nemmeno mi sembrano sogni. Forse significa qualcosa per me, vuole dirmi qualcosa, guidarmi? Non lo so. E ogni sera aspetto con ansia di viverne uno nuovo.”

“Immaginavo si trattasse di qualcosa di simile. Venezia ha questo potere, dopotutto… non sei la prima a cui succede e non sarai nemmeno l’ultima. È normale che persone sensibili come te ne vengano influenzate” Maz pulì le lenti con una pezzuola e si rimise gli occhiali sul naso. “Me ne sono accorta, sai? Hai una luce dentro, qualcosa che appare ogni volta che parli, che ti muovi. Sei gentile, e non te ne vergogni. Sei curiosa come una bambina, ma hai la saggezza di un’adulta, di qualcuno che ne ha passate tante e ha imparato qualcosa da tutto e da tutti. Non ti conosco bene, bambina… purtroppo ti ho sotto gli occhi solo da qualche giorno, ma mi è bastato per capire perché Ben sia così attratto da te.”

Rey pendeva dalle sue labbra: quell’ultima frase la fece restare per un attimo a bocca aperta. Faticò a trovare una risposta adatta, mentre i pensieri e i ricordi le frullavano in testa come impazziti.   Ben le aveva detto di no, di lasciar perdere. Avrebbe sofferto come suo padre e sua madre, lui non la meritava ed era troppo impegnato ad inseguire i suoi demoni per aver cura di qualcuno.  Ben l’aveva baciata, aveva accarezzato il suo seno come si sfiora la corolla di un fiore. Ogni volta che provava a farlo ridere arricciava le labbra e stringeva gli occhi, sembrava felice, ma qualcosa ancora lo tormentava. Si portava un compito gravoso sulle spalle: rendere orgogliosa la sua famiglia, dimostrare la sua grandezza, perché valeva anche lui come suo nonno e li avrebbe fatti commuovere tutti, tremare il mondo intero… ma a fine giornata, si accorgeva di essere solo un ragazzo. E la sua frustrazione bruciava.  
Ben era ancora quel bambino triste che aspettava che suo padre tornasse a casa e lo prendesse in braccio per ascoltare le sue storie, e non riusciva a lasciarselo alle spalle. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma come fare se lui non glielo permetteva? Durante il loro ultimo scontro lui le aveva detto di andarsene, l’aveva pregata di farlo e dopo che era uscita dalla stanza, sconfitta, aveva tirato un pugno contro il muro con rabbia. Un attimo dopo l’aveva sentito piangere.
Ben, che aveva stretto le sue dita due pomeriggi prima, al Guggenheim…

“Ben? A-attratto da me?”. Ripeterlo ad alta voce lo rendeva più concreto, in qualche modo.
“Ma certo. Non te ne eri accorta?” Maz sorrise ancora, appoggiandosi alla ringhiera di ferro che separava l’esterno del locale dal mare. “Si vede che ti sta cercando e aspetta un tuo segno, anche se magari è lui il primo a non rendersene conto… ma conosco bene quel ragazzo, così come ormai so leggere da anni nel cuore dei suoi genitori. E dal modo in cui gli si illuminano gli occhi quando è con te, capisco che tiene alla tua presenza. Forse le cose tra voi non sono sempre andate bene, ma se siete qui… se quei sogni ti stanno raggiungendo, significa qualcosa. Possono guidarti. Aiutarti.”
“Hai mai fatto un sogno così reale da portarti a pensarci per ore?” le aveva chiesto Ben il giorno prima. Se nulla accadeva per caso, allora le sue parole erano più di una semplice confidenza. E se i loro sogni fossero stati in qualche modo collegati? Provò ad esporre la sua teoria a Maz, e la donna annuì con convinzione.
“È come se le vostre menti fossero collegate su un livello profondo, lontano dalla vostra comprensione. Quando siete svegli provate piano a riavvicinarvi, un passo dopo l’altro, quando dormite non controllate la ragione e siete avvolti da qualcosa che riporta le vostre anime a toccarsi. Sono stati dati molti nomi a questo fenomeno, negli anni, c’è chi ci crede e chi lo ritiene impossibile. Io credo che una forza più grande ci unisca tutti, e porti alcuni individui predestinati ad intrecciare una relazione che va al di là dello spazio, del tempo, di ciò che consideriamo possibile. La ragazza e il Principe potrebbero anche essere solo due fantasmi portati dalla magia nascosta di Venezia… ma se fossero qualcosa di più, invece? Se le vostre vite si fossero davvero intrecciate in passato, in un luogo e un tempo lontano dal vostro presente?”
Come aveva fatto a non pensarci prima? Non si era riconosciuta in quella ragazza che correva per Venezia – non nell’aspetto, almeno – ma la tristezza del giovane, quegli occhi sempre in ombra, il suo restarsene in disparte erano così familiari…
“In un’altra vita…” scandì lentamente la ragazza, quasi avesse timore di dire qualcosa di sbagliato.
“ ‘In un’altra vita’, già. Tra l’altro è anche il nome di uno dei miei pezzi preferiti al piano” tradusse rapidamente in italiano Maz. “Tutto è possibile, bambina… ma i sogni restano sogni finché non ti svegli e li rendi reali, lo ha detto qualcuno di cui non ricordo il nome. Ora sta a te decidere se ascoltarli o lasciar perdere. A volte dopo tante cadute si ottiene finalmente qualcosa, non credi?”

Le strinse la mano gentilmente e le lanciò un’altra occhiata saggia e affettuosa, lasciando Rey sola coi suoi pensieri, in piedi a guardare il mare e le sue onde piccole e tranquille.
 


*
 


Ben aveva bisogno di lei. La chiamava, tratteneva i sentimenti come se avesse paura della loro forza e dell’effetto che avrebbero potuto avere sulla sua vita. Debolezze. L’uomo per cui lavorava pretendeva il massimo da lui e, se da una parte lo gratificava, dall’altra lo aveva portato progressivamente ad allontanarsi dalla sua famiglia. Luke ne soffriva, ma faceva finta di nulla… almeno ora, in passato avevano discusso molto, Rey ricordava lo sguardo stanco del suo mentore e i gesti frettolosi, lui che la congedava dopo nemmeno un’ora di lavoro per ritirarsi a pensare. Ma Ben proseguiva testardamente lungo la sua strada, non ascoltava nessuno: voleva diventare grande, Snoke glielo aveva promesso e lui si attaccava a quella promessa come se ne andasse della sua intera vita. Ogni giorno sembrava più stanco e più lontano dal suo obiettivo, ma non gli importava.

Da quanto tempo aveva iniziato a lasciarsi alle spalle quell’involucro vuoto? Snoke non doveva più esercitare un controllo così forte su di lui, eppure quel distacco faticoso gli aveva segnato l’anima nel profondo, Rey ne era sicura. Sembrava essere tornato quel bambino fragile che lei non aveva mai conosciuto ma che era stato il piccolo Ben Solo, con una famiglia che lo amava troppo per comprenderlo davvero. Stava cambiando. Cambiavano entrambi, crescevano.
 


*
 


Venezia scintillava nella luce delle candele: c’erano lanterne ovunque. Grandi, piccole, dipinte, candele di cera profumata, grandi lampadari di vetro disseminati di piccole fiammelle calde e luminose. Fuori, in strada, e nella vastità della sala. Eppure il Principe era stanco di esserne circondato, voleva ritirarsi per un attimo nell’oscurità accogliente della notte, e la terrazza era l’unico luogo che l’avrebbe accolto senza fare domande.
Si appoggiò alla balaustra di pietra bianca, baciata dalla luna. La ragazza lo raggiunse, ammirando come quella luce perlacea si riflettesse sulla superficie nera del mare, facendola brillare in più punti come se la stesse accendendo. Le capitava spesso di girare per la città di notte, ma non l’aveva mai vista così luminosa, così splendida.
“Sapete cosa si dice di Venezia?” il giovane si rivolgeva a lei e a forse anche a se stesso. Nella semi oscurità, i rubini sulla sua maschera sembravano quasi gocce di sangue cristallizzate dal freddo. “Che sia come un caleidoscopio: è difficile staccare gli occhi da quello che si vede per concentrarsi sulla propria vita, una volta che ci si è immersi nelle sue strade. Vivo qui da quando ero un bambino, eppure non mi sento mai tanto libero come quando sono da solo, sotto la luna.”
La ragazza si voltò verso di lui e gli sfiorò il viso con dita esitanti. Non voleva che se ne andasse, che si ritraesse, ma allo stesso tempo non poteva resistere. Lui non oppose resistenza, le sembrava quasi fremere di gioia, come se non avesse ricevuto attenzioni di quel genere da ormai troppo tempo. Erano legati da qualcosa che li teneva fermi sul posto, immobili, come due magneti che non possono far altro che attirarsi. Guardò le sue labbra arricciarsi appena, l’abbozzo di un sorriso rischiarare quel viso bianchissimo come neve e stanco, estenuato da qualcosa che nemmeno lui comprendeva.
Chissà se era stata la sua solitudine a portargli l’appellativo di “Principe Solo”, il principe solitario, o se era un nomignolo che aveva scelto per sé. Le prese la mano e se la portò alle labbra con delicatezza, sfiorando le nocche come se avesse paura di romperle solo soffiandoci sopra. Le toccò piano, quasi a volerle studiare, tratteneva il respiro e una nuvoletta leggera di vapore le solleticava la pelle, riscaldandola. All’interno, l’orchestra continuava a suonare, il ballo ricominciava.
“Voi siete come me” sussurrò il Principe, con voce roca. “E io sono come voi. Ci apparteniamo senza saperlo.” Non aggiunse altro. Rimase fermo, la mano della ragazza stretta nella sua, senza dire nulla. Lei non rispose, non ce n’era bisogno: la sua mente giocava con una serie d’immagini. Vedeva la storia del ragazzo, e qualcosa dentro di lei la invitava a lasciarlo raccontare in silenzio, senza interromperlo. Erano le loro anime a parlarsi.
                                                                                                        
Rey si svegliò con il cuore in bilico tra la serenità e una sensazione di urgenza, quasi avesse da fare qualcosa e dovesse assolutamente farla per tempo.
 








***

Ed ecco anche il quarto capitolo.
Quando, parlando con le admin dell'Anthology, ho scoperto che sarebbe stato possibile utilizzare il Carnevale di Venezia come festività a cui abbinare una storia Reylo, ho saltato di gioia: è una delle mie città preferite in assoluto, e trascorrere anche solo qualche ora a passeggiare tra calli e ponti mi rende profondamente felice. Spero di essere riuscita a trasmettere il mio amore per la coppia, e quello per la città, anche a voi lettori.

Qui trovate il link alla storia in inglese: come sempre, se aveste voglia di lasciarmi un cuoricino per incoraggiarmi, ne sarei contentissima ;W; <3

Vi abbraccio forte e... buone feste a tutti!
Rey

 
   
 
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