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Autore: TheSlavicShadow    21/12/2017    3 recensioni
Sei mesi dopo essere deiventata Iron Woman, qualcosa inizia a non andare come dovrebbe.
{Earth-3490; sequel di Wherever You Will Go}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Maggio 2006

 

Steve sembrava essere diventato ancora più protettivo nei suoi confronti. Negli ultimi due giorni le era stato attaccato molto più del solito. Così attaccato a lei che gli aveva interdetto l’ingresso in officina. E non era mai successo per qualcosa che Steve aveva fatto. Di solito metteva in lockdown l’officina quando era lei stessa il problema.

“Signorina Stark, il capitano Rogers mi ha chiesto di portarle il pranzo.”

Aveva alzato lo sguardo su Natalie Rushman che era appena entrata in officina. A lei non aveva messo alcuna restrizione. Neppure a Pepper, Happy o Rhodes se avessero avuto bisogno di vederla. A Steve sì.

Non riusciva a sopportare di vederlo con lo sguardo di uno a cui avevano appena strappato il cuore dal petto. Si sentiva così anche lei, ma cercava di non farlo vedere. Mentre sul viso di Steve traspariva tutto il suo dolore ogni volta che la guardava. Ed era strano. Di solito era lei quella che lasciava intendere all’altro i propri sentimenti dalla sola espressione. Questa volta era Steve. E lei non riusciva a guardarlo.

“Ha mandato te e non ha cercato di venire giù lui?” Si era alzata dalla postazione su cui stava lavorando e aveva preso uno straccio per pulirsi le mani. Non sapeva cosa fosse più sporco in quel momento; se le sue mani o lo straccio che aveva usato.

“Ha cercato, ma mi sembra di capire che avete discusso quindi l’ho convinto a lasciarla stare per il momento.” Natalie aveva appoggiato il vassoio su uno dei tavoli liberi e Natasha aveva osservato cosa Steve le avesse preparato. C’era anche un’enorme tazza di caffè.

“Non abbiamo discusso. Non veramente, ma forse abbiamo bisogno entrambi di schiarirci un po’ le idee.”

“Il capitano Rogers mi ha detto che ha passato la notte qui sotto e che non succedeva da molto tempo.”

“Steve dovrebbe imparare a tenersi le cose per sé.” Aveva subito agguantato il caffè e ne aveva bevuto un lungo sorso. Il caffè che preparava Steve era sempre meglio di quello che preparava lei. E non sapeva come fosse possibile. Le caffettiere erano sempre le stesse, come del resto lo era il caffè stesso. Comprava sempre quella determinata marca, sin da quando aveva iniziato a frequentare l’università. E dio, se le era mancato il caffè mentre era in Afghanistan.

“Penso che il capitano Rogers sia solo preoccupato per lei dopo quanto è successo a Monaco. E se posso permettermi, lei ha fatto una cosa davvero stupida decidendo di partecipare alla gara.”

Aveva osservato la donna che le stava di fronte. La guardava dritto negli occhi e sorrideva lievemente.

“Devo ammettere che sto ancora faticando ad inquadrarti, Natalie. E di solito sono brava nel farlo.” Si era buttata a peso morto sul divano, stando ben attenta a non rovesciare il caffè nel mentre e non togliendo gli occhi dalla sua nuova assistente.

“Credo non ci sia nulla da inquadrare, signorina Stark.” Natalie le sorrideva ancora. “Sto solo cercando di svolgere al meglio il mio lavoro.”

“Farmi da baby-sitter? Sicura di non volerti licenziare?”

“Lei è una persona molto interessante, non vedo perché non dovrei voler continuare a lavorare per lei. Ritengo in ogni caso che almeno poteva avvertirmi di quel suo stunt a Montecarlo. Guardi il suo viso. Ha ancora una ferita sulla guancia e tra pochi giorni ci sarà la sua festa di compleanno.”

“Che non sono neppure sicura sia giusto fare. Sai che Vanko è evaso?”

“L’ho saputo, sì.” Natalie le aveva porto il vassoio precedentemente appoggiato sul tavolo e le sorrideva. Sapeva benissimo che non le piaceva quando qualcosa le veniva porto direttamente. Solo un paio di persone lo potevano fare. E non sapeva neppure lei da dove venisse tutta questa avversione. Forse era solo un modo per dare fastidio agli altri e cercare di fuggire dalle responsabilità che spesso comportava. “Coraggio. Mangi.”

L’aveva guardata male e aveva preso in mano il vassoio dopo qualche attimo. Il profumo delle lasagne di Steve le riempiva le narici e avrebbe tanto voluto dire a Natalie di riportarle di sopra, ma era debole. E il suo stomaco vinceva sempre quando si trattava di buon cibo.

“Tu non pranzi?” Si era riempita la bocca senza troppi problemi, lasciandosi sfuggire un gemito di puro godimento. Non sapeva dove Steve avesse imparato a cucinare così, ma quelle lasagne erano la fine del mondo. Erano quasi meglio di quelle che aveva mangiato in Italia.

“Ho pranzato con il capitano Rogers.”

A quelle parole Natasha aveva inarcato un sopracciglio. Non doveva essere gelosa. Avevano solo pranzato assieme, e la colpa era sua che si era rinchiusa in officina senza permettere al proprio compagno di poterla raggiungere. Perché si conosceva bene. Se anche Steve fosse arrivato fin sulla porta dell’officina, non gli avrebbe permesso di entrare.

Perché aveva paura.

Steve sembrava nutrire ancora qualche speranza sul suo, sul loro futuro. Ma lei non ne aveva più.

“Abbiamo solo pranzato, signorina Stark. Il capitano Rogers non fa che parlare di lei, quindi non deve preoccuparsi.”

Aveva abbassato lo sguardo imbarazzata quando Natalie le aveva sorriso. Si sentiva davvero stupida ad essere così gelosa di chiunque si avvicinasse a Steve.

“Non è che sono davvero preoccupata. E’ che quando sei me ci sono solo due possibilità. Tutti ti scoperebbero perché sei una bambolina carina, oppure perché semplicemente sei Stark. Steve no. Steve è sempre stato diverso.” Si era passata una mano sul viso. Parlare di Steve e di lei con una quasi sconosciuta era strano. Non ne parlava neppure con Pepper, solo con Rhodes. “Devo ammettere che vi ho spiati in palestra e non credevo fossi così brava con le arti marziali. Sei tipo whoa, dovevo assumerti come bodyguard e non segretaria. Ma perché fai questo lavoro? Guardati! Potresti fare la modella o l’attrice senza alcun problema!”

“Non credo faccia per me. E poi sono felice del mio lavoro.” La giovane donna le aveva sorriso ancora. “Per questo vorrei ricordarle di controllare la lista degli invitati per il suo compleanno. Poi dovrebbe leggere e firmare quei documenti che le ho consegnato ieri. Ha telefonato il senatore Stern chiedendo di parlare con lei, presumo per quanto successo a Montecarlo, ma gli ho detto che sta lavorando a dei nuovi progetti per la sicurezza mondiale. Ha ricevuto anche una telefonata da parte di Tiberius Stone, ha lasciato detto di richiamarlo.”

“Cosa che non farò e lo sappiamo tutti.” Aveva finito il pranzo a metà e si era alzata dal divano. Andava tutto di male in peggio. Se Stern le telefonava, voleva dire che l’avrebbero richiamata di nuovo a Washington per una qualche udienza nella speranza di toglierle Iron Woman. La comparsa di questo Vanko non le ci voleva. Il fatto che fosse evaso di prigione peggiorava la situazione. Ed era impossibile che Stern non ne fosse a conoscenza. Non era una notizia di dominio pubblico, ma chi di dovere ne era sicuramente stato informato. Anche solo per una questione di sicurezza.

Non aveva onestamente mai pensato di passare i suoi ultimi giorni tra i vivi a preoccuparsi di un pazzo psicopatico assetato di vendetta per qualcosa di cui lei non aveva alcuna colpa. Era qualcosa che doveva ricadere su Howard, non su di lei. Il reattore era una sua invenzione. Lei l’aveva solo miniaturizzato e perfezionato. Chissà come avrebbe reagito suo padre di fronte ad una minaccia simile. Probabilmente avrebbe pagato fior di quattrini il suo staff di avvocati e questi si sarebbero occupati di tutto. Sapeva che Howard aveva più volte risolto i suoi problemi con i soldi. E se fosse stato possibile lo avrebbe fatto anche lei. Solo che questa volta non sembrava qualcosa di risolvibile con i soldi.

Vanko voleva vederla distrutta. Solo che non sapeva quanto in realtà lei lo fosse già. Psicologicamente e fisicamente. A lui, come a molti altri, forse non sembrava così, ma l’opinione pubblica aveva tutti i riflettori puntati su di lei dal momento in cui aveva aperto gli occhi e ogni suo passo falso veniva messo alla gogna. E nessuno se ne dimenticava mai.

Anche ora. Soprattutto ora.

In quel momento, in cui lei aveva appena dichiarato di essere l’unica in possesso di una tecnologia avanzata come il reattore arc la comparsa di questo Whiplash non era quello che ci voleva. I giornalisti si erano di nuovo sbizzarriti e lei era per l’ennesima volta sulle prime pagine di tutti i giornali. Ogni suo errore era di nuovo sotto i riflettori.

Ci si poteva fidare di una donna che ha dimostrato di essere psicologicamente instabile? Una donna che più volte era stata ricoverata per uso eccessivo di sostanze stupefacenti? Che non aveva mai superato la morte dei suoi genitori? Che cambiava partner ogni volta che usciva di casa? Era sicura che se fosse stata un uomo non avrebbero parlato troppo del suo passato. O del suo stato mentale. Ricordava dei vecchi articoli di giornale su suo padre. Esaltavano il suo saltare da un letto all’altro. Essere un playboy era sempre un vanto. Appena lei veniva fotografata con qualcuno ecco che iniziavano a rivangare tutte le sue avventure passate. E c’era anche la costante idea che le donne dovevano rimanersene a casa, a badare ai figli e ai bisogni dei mariti.

“Credi che dovrei annullare la festa di compleanno? Troveresti più adatto, in questo specifico momento, rapire Steve e portarlo da qualche parte per il weekend?”

Natalie le aveva sorriso. Sembrava un sorriso dolce.

“Per essere una donna a cui piace la sua autonomia non crede che il suo mondo ruoti troppo attorno a Steve?” L’aveva guardata male, ma Natalie le sorrideva ancora. “Trovo tuttavia che sia una cosa bellissima che lei riesca ad avere accanto una persona simile, soprattutto dopo quello che le è successo l’anno scorso. E dopo tutte le avventure che l’hanno vista coinvolta.”

“Te l’ho detto. Steve è diverso dagli altri e non è solo una frase fatta perché sto con lui. E’ diverso dagli altri in tutto. Sai che cucina ascoltando Vera Lynn? E noi siamo troppo giovani per sapere chi sia Vera Lynn. Ma Steve se ne sta lì, in una cucina che per anni veniva usata solo per tenere in fresco la birra, e mi prepara le lasagne. Con la stessa ricetta che tra le altre cose usava il maggiordomo a casa dei miei.” Si era fermata e aveva guardato Natalie. La donna le sorrideva ancora.

“Signorina Stark, lei deve solo fare quello che si sente di fare con chi vuole farlo. Sa che il mondo avrà sempre qualcosa da ridire per il suo comportamento. Se fa la festa verrà considerata come una persona insensibile. Se non la fa diranno che ha sicuramente qualcosa da nascondere.”

Aveva camminato ancora. A volte camminando in tondo per l’officina riusciva a fare chiarezza nei propri pensieri. Sapeva che Natalie la stava osservando. Percepiva il suo sguardo che la seguiva. Avrebbe potuto tranquillamente mandare tutti a quel paese e partire anche da sola su un’isola caraibica e rimanere lì fino a quando non arrestavano Vanko o fino a quando il suo cuore non avesse deciso di smettere di battere. Tutto era solo questione di poco tempo.

“La festa deve essere qualcosa di molto Tasha Stark Style. L’anno scorso non ho potuto festeggiare i miei 25 anni come si deve, quindi quest’anno deve essere grandioso. Voglio che ci sia anche un fotografo ufficiale della serata. Vestito nero che copra petto e collo ma che abbia le spalle scoperte. Le scarpe quelle rosse col tacco dorato che mi ha regalato Pepper come scherzo. Potrei anche prenotare una manicure.” Aveva guardato le proprie mani. Sua madre glielo diceva sempre che doveva curarle di più, che non era un volgare meccanico. Lei ci provava. Ma ogni volta che aveva anche solo cercato di far crescere un po’ le unghie, finiva per spezzarle mentre lavorava. Molti ritenevano che sarebbe stato più congeniale che lei si occupasse solo della progettazione e non anche della costruzione. Ma costruire era la cosa più divertente del lavoro. Stare davanti ad un programma di progettazione aveva per lei lo stesso appeal della partecipazione ad un funerale. Nessuno. Lavorare. Costruire. Sporcarsi e a volte farsi male. Questo era ciò che le piaceva fare. La sua officina esisteva per questo. Non era un semplice capriccio come molti erano portati a credere. Quella era la sua vita.

“Prenoto una manicure allora.” Si era alzata anche Natalie. “Le lascio qui le lasagne e la pregherei di finirle. La signorina Potts mi ha raccomandato di stare attenta che lei mangi ogni giorno.”

“Tranquilla, con Steve è impossibile non mangiare. Anche volendo.” Aveva sorriso questa volta. Si era avvicina alla scrivania con il computer e aveva velocemente aperto un nuovo file. Forse poteva provare ancora una volta tutti gli elementi della tavola periodica. Magari mescolandone più di due allo stesso tempo. Magari facendo dei mix che nessuno aveva pensato prima poteva trovare il cocktail giusto da mettere nel nucleo del reattore. Aveva provato tutte le combinazioni possibili di due elementi alla volta. Di certi aveva provato anche tre alla volta. Ora doveva forse osare di più. “Credo che resterò qui a lavorare ancora un po’. E non voglio essere disturbata da nessuno.”

“Come desidera, signorina Stark.” Natalie si era avvicinata alla porta e si era fermata. Natasha lo aveva notato con la coda dell’occhio perché era troppo concentrata a guardare le simulazioni di J.A.R.V.I.S.. “Le porterò la cena.”

“Sì, sì. La cena va benissimo.” Non l’aveva neppure guardata e solo dopo che Natalie se n’era andata aveva pensato che forse quello era un comportamento maleducato. Uno di quelli che spesso sua madre le rimproverava.

Si odiava. Sempre più spesso si ritrovava a pensare ai suoi genitori e alle loro parole. Per lo più rimproveri di vario tipo. Le parole di Howard erano sempre rimproveri. Non è abbastanza. Potevi fare meglio. Sei una Stark, comportati di conseguenza.

Non era mai abbastanza. Per suo padre nulla di quello che faceva era mai abbastanza. Scolasticamente e lavorativamente. Per sua madre non lo era socialmente.

Con entrambe le mani si era coperta il viso per soffocare un verso di rabbia verso sé stessa e i propri genitori.

“J.A.R.V.I.S., ti prego, dimmi che almeno qualcosa qui può funzionare.”

“Mi dispiace, signorina Stark. Sembra che più elementi si cerchino di combinare più i risultati siano pessimi. Proprio come aveva previsto all’inizio.”

Questa volta non aveva soffocato il verso di frustrazione che le era uscito dalla gola. Era arrabbiata. Era frustrata. Le sembrava di avere la soluzione a portata di mano, ed invece continuava a sfuggirle ogni volta che sembrava averla agguantata.

Mancava una settimana al suo compleanno. Una settimana e avrebbe compiuto 26 anni. Era giovane e aveva tutta la vita davanti. Doveva averla. Era sopravvissuta ad una prigionia in una caverna, con un elettromagnete collegato ad un accumulatore per far battere il suo cuore. Era sopravvissuta ad un combattimento contro un’altra armatura quando non era pronta per combattimenti simili. Era sopravvissuta ad una vita di eccessi ed era ancora su questa Terra per raccontarlo.

“J, quanto è egoistico desiderare continuare a vivere? La gente del resto muore ogni giorno e a qualsiasi età. Cristo, quanti bambini muoiono ogni giorno senza che nessuno possa farci nulla.”

“Non c’è nulla di più egoistico del desiderio di vivere, signorina Stark. E’ così per ogni essere umano. Per lei, per il Capitano Rogers, per la signorina Potts. Per tutti. Giovani o vecchi che siano. Nessuno vuole morire e tutti si aggrappano alla vita con i denti e con le unghie. Il suo desiderio di continuare a vivere non dovrebbe farla sentire egoista. Sono altre cose per cui dovrebbe sentirsi tale.”

Aveva fatto una smorfia e voleva smontare la scheda madre dell’intelligenza artificiale.

“L’ho detto a Steve. Gli ho detto tutto. Eri presente mentre scopriva tutta la verità sull’ultimo anno.” Aveva preso in mano il pranzo abbandonato poco prima e si era seduta dentro ad una delle sue decappotabili preferite. Era una delle macchine d’epoca su cui aveva messo le mani per metterla a posto e di cui andava orgogliosa per il lavoro svolto. Avrebbe finito di pranzare e poi si sarebbe occupata di altre cose che avevano bisogno della sua attenzione. Aveva dei progetti da revisionare, per quanto questo non la entusiasmasse. Doveva anche telefonare a Fury e pregarlo in ginocchio di mandare qualcuno a controllare la Stark Expo, perché il suo sesto senso le diceva che Vanko avrebbe colpito quella per prima. Voleva vederla fatta a pezzi dalla stampa, dalla politica, dalla gente. E quello era il modo migliore. Da quando avevano inaugurato l’Expo, ogni giorno vi passavano migliaia di persone. Al mattino era pieno di scolaresche. Nei weekend era pieno di famiglie. Stava mettendo in pericolo troppe persone e non poteva fare nulla. Non poteva chiudere l’Expo. Troppe persone avevano investito molto per la riuscita di quel progetto.

Aveva acceso la tv. Parlavano di nuovo di lei. Era sicura che presto si sarebbe diffusa anche la notizia dell’evasione di Vanko. E quella sarebbe stata davvero la fine. L’avrebbero fatta davvero a pezzi e non era più neppure sicura se le importasse.

Aveva solo paura per gli altri che avrebbero dovuto subirne le conseguenze. Pepper per prima. Tutti sapevano che negli ultimi anni era sempre stata lei a gestire l’azienda. Era lei che sceglieva quali erano i progetti da far approvare. E Natasha si era sempre fidata del suo giudizio. Per questo l’aveva posta come amministratore delegato dell’azienda. Il suo non era mai stato un semplice lavoro di assistente personale. Ed era giusto darle una promozione. Anche se ora in molti si stavano chiedendo quali competenze avesse per poter gestire un’azienda simile.

E Pepper era in diretta telefonica con uno di quei programmi che lei di solito odiava tanto. E di solito lei non dava mai interviste a quel tipo di presentatori televisivi. Se ne occupava sempre Pepper. Anche ora. Anche se non era più un suo lavoro. Poteva tranquillamente delegare quel lavoro a Natalie che avrebbe risposto in modo neutrale, presumeva.

Monaco non era colpa sua. Non poteva essere colpa sua. Doveva essere solo un weekend rilassante per presentare una macchina da corsa. Un weekend con Steve a fare la stupida coppia innamorata mentre venivano immortalati per le prime pagine di tutti i giornali. Doveva essere solo una scusa per far parlare di sé e del suo misterioso compagno di cui nessuno sapeva niente e non riusciva a trovare informazioni. Come poteva sapere che qualcuno avrebbe cercato di colpirla? Sapeva di avere molti nemici, ma non credeva di essere seguita passo per passo in tutto quello che faceva. Monaco ne era stata la prova. Nessuno sapeva che sarebbe stata su quella pista. Non lo sapeva neppure lei stessa fino a pochi minuti prima della gara. Come poteva Vanko saperlo? Qualcuno l’aveva seguita dal ristorante? C’era qualcuno del suo staff che era in realtà una spia? Vanko era stato ingaggiato da Stern? Era qualcuno all’interno del direttivo?

Si era passata una mano sul viso. Non stava neppure più ascoltando la televisione. Sembrava tutto una pagliacciata pazzesca. Si cercavano capri espiatori dove non c’erano e la verità era lontana dagli occhi di tutti. Lei stessa non sapeva cosa fosse vero e cosa fosse bugia. Doveva fidarsi di Fury? Poteva essere certa che Anton Vanko fosse una spia e che Howard lo avesse allontanato per questo? Ma non lo sapeva. Non poteva esserne certa e non aveva modo di interpellare suo padre al riguardo. Howard sapeva essere un crudele imprenditore. Ed era sempre lei a pagarne le conseguenze. Bastava vedere cos’era successo quando Howard aveva mandato in fallimento gli Stone. Tiberius aveva minacciato lei. Continuava a minacciare lei con l’espansione dei suoi nuovi affari, anche se non lo faceva direttamente. Non poteva farlo direttamente per non rovinare sé stesso con le proprie mani.

Non vedeva Tiberius da dieci anni. E sarebbe stato meglio non vederlo per altri dieci almeno. Non era una persona che voleva ancora nella propria vita. Nemmeno lavorativamente, eppure aveva dovuto cedere quando al consiglio d’amministrazione era arrivata la richiesta dell’azienda di Stone a partecipare all’Expo. L’avevano fatto per i soldi. Solo per questo. Anche se lei si era opposta.

Steve era quello che si era arrabbiato di più. Trovava inaccettabile che non ascoltassero ciò che lei aveva da dire, ma lei ricordava bene come si era alzata dal lungo tavolo della sala riunioni e li aveva mandati tutti a quel paese prima di uscire e tornarsene nel proprio ufficio. Uno dei suoi soci l’aveva seguita ricordandole la sua posizione molto incerta all’interno della sua stessa azienda. Molti erano insoddisfatti di lei. Le ricordavano che l’azienda andava meglio quando a guidarla era Obadiah Stane. Erano insoddisfatti anche per tutte le teste che erano saltate con Stane.

In quegli ultimi mesi la situazione era insostenibile. Con la promozione di Pepper tutto era peggiorato. Lei faceva finta che non gliene importasse, che aveva tutto sotto controllo, ma in realtà stava crollando. Era stanca e non aveva più nemmeno voglia di combattere per la sua posizione all’interno dell’azienda, per le proprie idee, per nulla.

“Ehi, c’è Pepper di sopra, non vai a salutarla?”

Non si era neppure voltata quando aveva sentito la voce di James Rhodes dalla porta dell’officina. J.A.R.V.I.S. l’aveva informata che il suo migliore amico era entrato nella proprietà e sapeva benissimo che nessuno gli avrebbe impedito di raggiungerla nella sua tana. Rhodes aveva sempre un trattamento speciale.

“Sta parlando al telefono, non credo sia il caso di disturbarla.” Aveva spento la tv olografica e aveva sospirato. Se Rhodes era lì, non credeva fosse una buona notizia. Ma del resto c’erano state buone notizie in quei giorni? “Sei qui per lavoro o per una visita di cortesia?”

“Entrambe le cose.” Lo aveva sentito sospirare e poi le si era avvicinato. “Hai davvero una pessima cera, Tasha. Pepper mi aveva detto che in questi giorni non sembra tu stia tanto bene.”

“Ti senti con Pepper alle mie spalle?”

“Mi sento sempre con Pepper alle tue spalle, dovresti saperlo.” Si era fermato accanto alla portiera della macchina. “Anche Rogers sembra preoccupato. Come stai?”

“Ti ricordi quella volta che sono finita su tutti i giornali per quella storia di orge e cocaina? Ecco, questo sembra dieci volte peggio.” Aveva aperto la portiera della macchina. Respirare stava diventando pesante e non era per un attacco di panico. Doveva cambiare nucleo al reattore. Avrebbe dovuto farlo prima, non appena Natalie se ne era andata, ma credeva che avrebbe resistito un altro po’. Si era alzata. Sapeva di dover arrivare il prima possibile alla sua postazione di lavoro. “Non andare nel panico, Rhodey, ma avrei bisogno di una spalla su cui poggiarmi. Letteralmente.”

Si era aggrappata al suo braccio ancora prima che l’uomo potesse risponderle qualcosa.

“Tasha, ma cosa..?”

“Scrivania. Scatola di sigari.” Rhodes l’aveva aiutata a raggiungere la scrivania e si era lasciata cadere sulla sedia mentre lui apriva la scatola di sigari. Aveva alzato un po’ la maglietta per togliere il reattore arc.

Il nucleo fumava. Era completamente andato. Sembrava quasi corroso da una sostanza acida e non era sicura che non fosse veramente così. Lo aveva sostituito più velocemente possibile con uno dei nuclei di riserva che teneva nella scatola di sigari e aveva reinserito il reattore nel petto.

“Avevi questa roba dentro di te?” Aveva guardato Rhodes prendere delle pinze e con quelle alzare il nucleo per osservarlo meglio. “Steve lo sa?”

“Non gli ho fatto vedere in che stato si riducono i nuclei, ma lo sa.”

“Quindi quel tatuaggio tecnologico che hai sul collo non è solo il risultato di un raptus?”

“Non ho ancora fatto tatuaggi. Buchi alle orecchie sì, ma tatuaggi no. Ma forse dovrei iniziare. Mi tatuo la tua faccia su una chiappa.” Aveva chiuso gli occhi per un secondo perché Rhodes era serio. Fin troppo serio. E questo non le piaceva molto.

“Quando smetterai di fare le cose da sola e inizierai a chiedere aiuto agli altri? Sai che non fai mai una bella figura come pistolero solitario.” Rhodes si era voltato verso le sue armature. “Stern ha chiamato il mio capo. Vogliono togliermi il posto allo sviluppo armamenti a seguito dell’udienza e del mio intervento a Washington. Aspettano solo un tuo passo falso per entrare qui e prendere tutte le tue armature.”

“Non possono averle e non le avranno. Se mi dovesse succedere qualcosa si autodistruggeranno. E finché sono viva non esiste che entrino qui e portino via le mie cose. Se non lo ha fatto lo S.H.I.E.L.D. che ti assicuro non va molto per il sottile, non lo farà nemmeno il nostro caro Stern.”

Si era alzata dalla sedia ed era andata verso le armature. Ora stava benissimo. Ogni volta che cambiava nucleo sembrava che stesse meglio, ma era ovviamente solo una sensazione provvisoria e durava sempre di meno.

“Sperano che io riesca a convincerti a cambiare idea e collaborare allo sviluppo di nuove armi.”

“Niente armi. Non per l’Esercito.”

“Iron Woman è un’arma, e lo sai meglio di me. Cristo, Tasha, mi sono esposto per te in prima persona! Non puoi liquidarmi così! Vogliono la mia o la tua testa su un piatto d’argento e non voglio dargli nessuna delle due, ma tu devi venirmi incontro per una volta!”

“Ho una cosa per te. Ci sto lavorando da qualche tempo e volevo aspettare ancora prima di dartela.” Aveva preso un telecomando premendo un pulsante per aprire uno sportello nel pavimento. Ne era uscita un’armatura completamente argentata. “E’ praticamente pronta. Manca solo il colore. Rhodey, ti presento War Machine. Un vero nome da macho, non trovi?”

Rhodes aveva guardato prima l’armatura e poi lei. L’aveva vista lavorare su quell’armatura ma credeva fosse un’altra Iron Woman.

“Ora che la guardo bene ha le spalle larghe ed è più alta.”

“E’ fatta sulle tue misure. Questo vuol dire che Stern avrà un’armatura nel taschino, solo che non sarà Iron Woman. E non è replicabile, ovviamente. Hammer cercherà sicuramente di metterci le mani sopra per poterla replicare, ma sai quanto sono paranoica sulle mie cose. Non potrà mai copiarla. E’ piena di dispositivi di difesa.”

Aveva osservato Rhodes che si avvicinava all’armatura e la guardava meravigliato. Sembrava un bambino a cui Babbo Natale aveva appena portato un giocattolo nuovo. Natasha aveva iniziato a costruire quella armatura poco prima del combattimento contro l’Iron Monger. Era una distrazione. Era egoismo. Voleva proteggere Rhodes e sapeva che le armature potevano farlo. In quel momento non le importava di altri, voleva solo proteggere il suo migliore amico che fin troppo spesso si trovava in situazioni pericolose. Molto più pericolose di quello che lei aveva mai vissuto prima dell’Afghanistan.

Quasi la divertiva come la sua vita si potesse dividere in pre e post Afghanistan. Era sempre la stessa persona, sempre quella irresponsabile, quella che faceva soltanto ciò che voleva. Ma qualcosa era profondamente cambiato.

“Mi hai costruito un’armatura e non mi hai detto nulla? Come hai fatto a mantenere il segreto proprio tu?”

“A volte so mantenere i segreti.”

“Tasha, tu sei quella che è corsa di notte in camera mia per comunicarmi che tuo padre aveva trovato Capitan America e da quello che mi risulta questo è ancora un segreto di Stato.”

“Ho detto a volte.” Lo aveva guardato e Rhodes le sorrideva. Era preoccupato. Lo si poteva capire dalla curva che prendevano le sue sopracciglia quando era preoccupato. Ma le stava sorridendo. “E tu sei un’eccezione. Sai che sei sempre stato un’eccezione a tutto.”

Rhodes si era mosso verso di lei e l’aveva inglobata in un abbraccio forte. Senza pensarci si era aggrappata alla sua maglietta. Quello era il suo migliore amico. Quello era l’uomo che era sempre stato al suo fianco da quando era una ragazzina. Rhodes sapeva sempre quando qualcosa non andava. Era sicura che sapesse anche del palladio, non tutti i dettagli, ma qualcosa sicuramente sapeva. E’ solo perché era sempre stato davvero attento a lei.

E lei per lui non faceva mai nulla. Solo metterlo nei guai.

“Steve vuole davvero sposarmi.”

“Sì, lo so. Mi ha chiesto consiglio per l’anello di fidanzamento.” Natasha lo aveva guardato e Rhodes le sorrideva. Le aveva accarezzato una guancia. “Sul serio a Las Vegas e prima della fine del mese? E senza dire nulla a nessuno?”

“Beh, tu lo sai ora.” Aveva alzato le spalle. “L’idea è di partire subito dopo la mia festa di compleanno. Questo vuol dire che saremo a Las Vegas il giorno del mio compleanno e cercheremo uno vestito da Elvis affinché ci sposi. Sono indecisa su quale canzone voglio in sottofondo.”

“Love me tender. Con quella con sbagli mai.”

Aveva sorriso e lo aveva abbracciato con più forza. Non era sicura che ci sarebbe arrivata. Si sentiva anche fisicamente più debole e la frequenza con cui cambiava i nuclei del reattore la spaventava. Ma Rhodes, il suo Rhodey, sembrava felice per lei, per quel matrimonio che probabilmente non ci sarebbe mai stato perché mancavano ancora diversi giorni al suo compleanno e non sapeva cosa potesse succedere. Conoscendola di tutto.

Ma Rhodes le sorrideva e la stringeva a sé come faceva quando erano più giovani. E lei ne era felice di conseguenza.

 
   
 
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