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Autore: Atlantislux    21/12/2017    1 recensioni
Le avevano insegnato solo a combattere. Ad essere una brava ragazza e ad ammazzare i nemici della Terra.
Per questo Jun il Cigno non aveva saputo che fare, quando era andata in pezzi.
~
Io ho deciso di credergli. Perché altrimenti vorrebbe dire che dovrei sparire da questo mondo, ma non voglio più. Non ora che ho una prospettiva futura che non consiste solo di infinite battaglie contro innumerevoli orde di Galactor.
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Incrinatura



Utoland, International Science Organization, 5 luglio


“La tua amica aveva un bel vestito questa mattina.” 
“Chi?” 
“Il Cignetto.” 
Sylvie Pandora alzò la testa per guardare Erlik, leggermente sorpresa.
Il commento sembrava assolutamente neutrale, però le parve strano. Il Galactor non sprecava mai complimenti per nessuno, men che meno per i Techno Ninja, dai quali si teneva accuratamente lontano.

La stanza era silenziosa, se si escludeva il rumore lieve delle pagine che Erlik stava girando.
Semisdraiato a letto, con nel braccio una flebo dell’ultimo cocktail di medicine della giornata, sfogliava svogliatamente una rivista scientifica. L’unico genere di pubblicazioni che si trovava sparso in giro nei reparti dell’ISO.
Il liquido scendeva con una lentezza esasperante, e Sylvie era stanca, era tardi e avrebbe voluto tornare a casa, in tempo per dare alla sua piccola Sammie il bacio della buonanotte. Ma si era imposta di fare compagnia ad Erlik. 
A parte Nambu, lei era l’unica persona con cui il giovane avesse un minino di rapporto. A chi le chiedeva il perché, Pandora rispondeva dando la colpa al suo istinto materno, anche se non era tanto più vecchia di Erlik. La realtà era che lo compativa. Era malato, solo e prigioniero. La donna non riusciva a pensare ad una situazione peggiore.

“Mi pare di averla intravista… aveva un abito giallo giusto? Ha molto gusto nel vestire” commentò.
“Concordo” il Galactor le rispose. “Avreste dovuto lasciar scegliere a lei la sua uniforme. È orribile.” 
L’uniforme del Cigno. Il chiodo fisso di Erlik. Non ricordava più quante volte gli aveva sentito dire che odiava quella BirdSuit.
“Quella non è certo fatta per essere alla moda” commentò Pandora. 
Erlik fece una smorfia disgustata. “Ma non è neppure pratica. Quella gonna è troppo corta.” 
Un sorriso reclamò le labbra della donna. “È grande abbastanza per indossare una minigonna...” 
“Anche per combattere? Che cazzata. La tua amica è insopportabile, ma non augurerei a nessuna ragazza, soprattutto se così giovane, di essere stuprata.” 
“Non sarà colpa della gonna se le succederà qualcosa, ma dei suoi violentatori” puntualizzò Pandora.
Erlik non alzò nemmeno gli occhi dalla rivista. “Come no. Sarà consolante per lei saperlo, dopo che l'avranno ripassata per bene.” 
“Non succederà mai, è troppo in gamba per farsi prendere.” 
“Sbaglio o due anni fa...”
“E poi, oramai dovrebbero saperlo tutti” chiosò Pandora, interrompendolo. “I suoi fluidi corporei sono altamente velenosi per chiunque.” 
Il commento le guadagnò l'occhiata esasperata di Erlik. “Mi vuoi far andare sul tecnico? Ti devo raccontare in quanti e quali modi si può violentare una persona anche senza toccarla con le mani nude?”
Pandora alzò le mani davanti sé, scuotendole vigorosamente. “No no. Ti ho capito. È che sono solo stupita. Non pensavo ti preoccupassi per lei.”
Gli occhi del giovane tornarono ad immergersi nella rivista. “Non lo faccio. Mi infastidisce solo la sua cecità, come fa a non rendersi conto...”
“Di?”
 La sua domanda incontrò solo un silenzio impenetrabile. Diversi secondi passarono, senza che Erlik riprendesse il discorso. Pandora tentò di stuzzicarlo.
“Dai, confessa che ti piace...”
“Se mi stai chiedendo se mi piacerebbe sbatterla fino a farle perdere i sensi, certo che mi piacerebbe.”
“Ma no! Non intendevo questo.”
“Lo so. Comunque no, non mi piacciono quelle come lei, verginelle con la puzza sotto il naso da Wonder Woman del cazzo. Ciò non toglie che me la farei. Dopotutto a me non succederebbe nulla, giusto?” Erlik soffocò una risatina. “Si può anche tenere la gonnellina, in quel caso non avrei nulla in contrario.”
Il cicalino del dispositivo che annunciava l'esaurimento del farmaco bloccò la risposta acida che era sovvenuta alle labbra di Pandora. Un infermiere, bardato da capo a piedi, fece il suo ingresso e la conversazione si interruppe.

La donna gettò un'occhiata alla sacca del farmaco: un cocktail di antivirali combinati con un antidepressivo. Era sua opinione che non stesse affatto funzionando.
Il loro ospite, prigioniero o paziente che fosse, le pareva sempre più demoralizzato. Non che fin dall'inizio avesse dimostrato chissà che vitalità. Ma con il passare delle settimane l'apatia di Erlik sembrava lentamente scivolare in qualcosa di peggio.
DPTS. Disturbo post-traumatico da stress, diagnosticò Pandora. Doveva consigliare a Nambu di fornire al Galactor una terapia psicologica di supporto. Jun l'aveva avuta, dopotutto.
Lo osservò scendere dal letto con una lievissima esitazione, come se avesse un attacco di vertigini. Il paramedico gli stava accuratamente distante, ben attento a non toccarlo se non strettamente necessario.
“Buonanotte Erlik” lo salutò Pandora. “Ti ricordi quello che ti ho detto prima? Da domani niente più fleboclisi. Potrai prendere l’ultima dose di medicinali tranquillamente in camera tua.” 
L’unica risposta di lui fu blando cenno del capo, che rafforzò in Pandora la giustezza della sua valutazione sul precario stato psichico del Galactor.  
 


L'intuizione sovvenne alla dottoressa Pandora più tardi, mentre stava guidando verso casa. Chiamò subito Nambu, trovandolo ancora in ufficio nonostante l'ora tarda.
“Sai, io credo che Erlik appartenga a qualche famiglia Galactor altolocata.”
“Mi sembra strano. Quelli non mandano i propri figli a rischiare la vita tra i soldati generici.”
“Beh, non era esattamente in prima linea. D'altronde non riesco a spiegarmi in altro modo il suo comportamento. È molto rude, a volte, ma abbiamo notato entrambi come sembri solo un atteggiamento costruito. Anche se quando lo fa è sgradevole. Non ti ripeto cosa ha detto questa sera di Jun.” Pandora strinse il volante. Forse non era il caso di far notare a Nambu come Erlik non sembrasse affatto scherzare. Dall'altra parte il Direttore dell'ISO sembrò percepire il suo imbarazzo, perché tossì come se disagio.  
Pandora riprese cercando di fare finta di niente. “Dunque, come ti dicevo, parla in modo corretto, e conosce perfettamente l'inglese. Forse anche il tedesco.”
“Quello l'ho pensato pure io. Quell'accento lo tradisce...”  
“Un giorno l'ho sorpreso a leggere il bugiardino, tutto in tedesco, di uno dei medicinali che gli stavamo somministrando. E non c'erano figure sopra!”
“Quindi cosa pensi di fare?” Il tono di Nambu tradiva un certo interesse.
“Se è il figlio di qualche pezzo grosso dei Galactor, questo spiegherebbe perché sia l'FBI che l'Europol non abbiano niente su di lui: considerato quanto queste due agenzie sono corrotte, è probabile che abbiano fatto sparire i file. Però le varie polizie locali potrebbero avere qualcosa.”
“Del tipo?”
“Multe per eccesso di velocità, o per schiamazzi notturni. Magari è finito nei guai per essersi fatto beccare con una piccola partita di droga, o per aver picchiato la fidanzata. Se ha passato anche solo una notte in galera, gli hanno sicuramente scattato una foto e preso le impronte. Lo possiamo rintracciare così.”
Dall'altro capo della linea un prolungato silenzio accolse le sue parole. Pensava che fosse caduta la comunicazione, quando il Direttore finalmente rispose.
“Beh... non è una cattiva idea... ma questi database non sono quasi mai condivisi online. Bisognerebbe setacciarli uno ad uno. Un lavoro colossale.”
“Lo so. Ma gli stagisti servono a quello, no?” rise Pandora. “Voglio restringere comunque il campo alla sola Europa continentale, secondo me è da lì che viene.”
“Va bene. Fai pure, ma non dimenticare il tuo impegno principale. Tra un paio di giorni arriverà qui la professoressa Pawar per completare le sue ricerche.”
“Non temere, non mi toglierà tempo.”

Nambu la salutò velocemente, e chiuse la conversazione. Sembrava soddisfatto dell'idea che Pandora aveva avuto, anche se il loro focus era altrove. 
Sapere da dove Erlik arrivava serviva a lei, però. Sperò che la vita che lui aveva avuto prima di arruolarsi tra i Galactor non fosse stata così dura come raccontava. Sarebbe stato davvero triste.
Pandora sorrise tra sé e sé. Forse i suoi colleghi avevano ragione a dire che era troppo buona.
 


Il dottor Nambu l'aveva trattenuto fino a tardi, ma forse era stato meglio così. Ken aveva avuto l'occasione di origliare la telefonata con Pandora. L'idea che lei aveva avuto sulla famiglia di Erlik avrebbe spiegato molte cose, ma non riusciva a togliersi dalla testa un altro particolare della telefonata: cos'è che quel maledetto Galactor aveva detto di Jun?
A lunghe falcate ascese le scale, diretto verso la terrazza. Aveva bisogno di una boccata di aria fresca per calmarsi. L'idea di Erlik che offendeva la sua compagna di squadra era veramente insopportabile. 

Incrociarsi nei corridoi o nei locali dell'ISO era inevitabile, ma Ken badava bene a far finta che il Galactor non esistesse. Joe, al contrario, lo fissava ostile. Ken era sicuro che prima o poi il Condor avrebbe fatto qualcosa di stupido. Jinpei e Ryu invece erano neutrali, il più giovane del team quasi incuriosito, ma Ken gli aveva fatto divieto di avvicinarsi. Voleva evitare il più possibile qualunque incidente. 
Jun, dal canto suo, non aveva mai più parlato al prigioniero da quel primo, disastroso colloquio. A volte la coglieva ad osservare il Galactor mentre Erlik era distratto. Sembrava soppesarlo. 
In un'unica occasione li aveva visti incrociare lo sguardo. Non gli era piaciuto affatto. Aveva avuto la spiccata sensazione che tra di loro stesse passando un qualche tipo di messaggio. Ricordava che era stata Jun la prima ad abbassare gli occhi, nascondendo il volto tra le falde dei capelli scuri.
No, a Ken l'Aquila quel tipo non piaceva per niente.

Imprecò sottovoce quando giunse in cima alla terrazza. L'oggetto dei suoi vituperati pensieri era lì, accanto alla balaustra, sorvegliato da una guardia.
Erlik si girò a guardarlo. Impossibilitato ad andarsene, Ken ingoiò l’acrimonia e si avvicinò, l'espressione ostile.    
“Che diavolo ci fai qui, Galactor?”
“Lo stesso motivo tuo, suppongo.”
Il tono del prigioniero lo colpì. Il sarcasmo non riusciva a mascherare la stanchezza. Ken non si fece impietosire. Aveva ancora nelle orecchie la telefonata di Pandora.
Fece un cenno alla guardia; l'uomo si dileguò nelle ombre. Poi si avvicinò al Galactor, fermandosi davanti al giovane. Delle tante cose che odiava di Erlik, un posto di riguardo l'aveva l'altezza del bastardo. Per una manciata di centimetri il prigioniero era più alto di lui. Come detestava non poterlo sovrastare.
“Stammi a sentire, perché te lo dirò una volta sola” gli sibilò. “Che non ti salti in mente di fare strani pensieri su Jun. Dovessi mai venire a sapere che le hai detto qualcosa di spiacevole, giuro che porterò personalmente la tua testa al tuo padrone Berg Katze, fosse l'ultima cosa che faccio.”
“Di che pensieri parli?” esclamò il suo interlocutore, inclinando la testa di lato. Poi si leccò le labbra, come se si stesse gustando qualcosa di particolarmente delizioso. “Oh, dici quelli dove me la immagino nuda e bagnata nel mio letto, con le sue belle gambe…”
Qualcosa scattò nella testa di Ken, come per un riflesso condizionato. Coprì la distanza tra loro con un balzo e afferrò Erlik per la gola, sollevandolo quel tanto che bastava per…
Si bloccò l'istante prima di fare qualcosa di irreparabile. Lasciò andare il Galactor, che si appoggiò pesantemente alla balaustra dietro di sé. Ken lo guardò quasi con orrore. 
Che cosa stava per fare? Che cosa Erlik stava per fargli fare?     
Fece due passi indietro, scosso nel profondo. Come aveva fatto a perdere così il controllo, lui che aveva affrontato situazioni ben più critiche?

Si era aspettato che il Galactor gli ridesse in faccia, o che lo insultasse come era solito fare quando era messo alle strette. Non stava succedendo niente di tutto questo. 
Davanti a lui, Erlik lo fissava imperturbabile, con quello sguardo inquietante che, a tratti, lui e Jun condividevano. 
“Se vuoi morire” Ken gli disse, facendo uno sforzo erculeo per parlare normalmente. “Non contare su di me. Buttati di sotto da solo, se ci tieni, ma ti assicuro che ti faresti solo un gran male.”
“Sono dieci piani.”
“Jun c’ha provato prima di te.”
Il Galactor incassò la risposta con un’alzata di spalle, come se non gli importasse di non essere riuscito nel suo intento. Ken, dal canto suo, si sentiva ancora smarrito. Lo fu ancora di più quando Erlik riprese a parlare, senza interrompere il contatto visivo con lui. 
“Tu eri attratto di lei,” esordì il prigioniero, per una volta senza traccia di malizia nella voce. “Ma non gliel'hai mai voluto confessare. Jun era affascinata da te, e aspettava solo un tuo cenno, che non è mai arrivato. E ora non siete più niente, e tu ti senti in colpa verso di lei, e vorresti proteggerla da tutto. In realtà, provi pena più per te stesso, e ti stai chiedendo se con Jun non hai sbagliato tutto.”
Era probabilmente il discorso più lungo che Ken gli avesse mai sentito fare. Guardò il Galactor come se lo vedesse per la prima volta, cercando di non pensare a quello che Erlik gli aveva appena detto, a come l'avesse messo a nudo, pur non conoscendolo. Gli aveva detto cose che Ken aveva rivelato solo a Joe, una sera poco dopo la prigionia di Jun, quando il suo secondo l'aveva costretto a bere e a sfogarsi con lui. 
Ma Erlik era davvero così perspicace? Al Comandante dei Gatchaman non sembrava proprio. 

E quello che era successo prima? Gli faceva paura la spiegazione. C'era stata un'intenzione ben chiara nelle parole del Galactor; qualcosa che aveva fatto scattare Ken come una molla carica, qualcosa che andava ben al di là del laido significato delle parole di Erlik. Qualcosa come un ordine.

Ken aprì la bocca, facendo quasi fatica a parlare, tanto era secca. “Te lo ripeto. Se dovesse accaderle qualcosa, tu sei morto.”
Non rimase ad aspettare una risposta. Girò le spalle ad Erlik e se andò. 
In fondo in fondo, forse Joe aveva ragione, ed erano in un guaio più grosso di quello a cui avevano pensato.
  
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