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Autore: NPC_Stories    22/12/2017    2 recensioni
Dee Dee è una giovanissima elfa mezza-vampira. Quando si rende conto che nel mondo sembra non esserci posto per lei, decide di andare nel luogo che identifica come la patria dei reietti e dei mostri: la città sotterranea e multiculturale di Skullport.
Solo che per arrivarci dovrà affrontare numerose sfide che potrebbero affinare le sue abilità e rafforzare il suo carattere, ma potrebbero anche distruggere il suo spirito. Sulla sua strada incontrerà un riottoso compagno di avventure, un elfo scuro con un attaccamento morboso verso la città sotterranea.
Riuscirà la giovane dhampir a superare le sue prove, e soprattutto a dimostrare al suo nuovo compagno che è abbastanza forte per sopravvivere in una città di criminali? Riuscirà lui a mantenere la distanza che vorrebbe mantenere?
.
Spoiler: niente romance. La differenza di età la renderebbe una cosa creepy.
Nota: come al solito sono tutti personaggi originali, tendenzialmente la storia non tratta di personaggi famosi dei Forgotten Realms, anche se può capitare che vengano citati o che compaiano a spot in un capitolo o due.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1363 DR: Incubi


Dee Dee stese il giaciglio nella tenda, con un sospiro rassegnato. Aveva dormito un po' quando aveva perso i sensi dopo essere rimasta intrappolata nella ragnatela gigante, ma da allora erano successe molte cose. Si sentiva stanca emotivamente e fisicamente, abbastanza da riuscire ad addormentarsi, ma non si faceva illusioni sulla qualità del suo sonno: di solito era funestato da incubi, e non c’era motivo per cui stavolta fosse differente.
Ti vedrò anche stanotte, Clarisse? Si domandò, mentre si spogliava degli abiti da giorno e indossava gli abiti che usava per dormire. Oppure rivivrò la morte di Valaghar? Il mio periodo al tempio di Lathander? O lo sguardo cautamente gentile dei genitori di Maith?
Scosse la testa, scacciando quei pensieri inutili. L’avrebbe scoperto a breve. S’infilò nel giaciglio e cercò di rilassare la mente. Aveva bisogno di dormire, se voleva essere in forma il giorno seguente.

Il drow reggeva in mano una piccola sfera di cristallo, focalizzando il suo sguardo su quei riflessi confusi al centro della pietra trasparente. Presto, sotto il controllo della sua volontà, la sfera cominciò a restituirgli delle immagini di senso compiuto.
Un giovane elfo biondo stava pestando delle erbe in un mortaio. D’un tratto smise di lavorare e si guardò intorno, come se si sentisse osservato.
Il drow lasciò che l’immagine svanisse, poi prese in mano il sottile diario che aveva lasciato aperto sul pavimento accanto a sé. Non era tipo da sprecare tempo con penna e inchiostro, ci scriveva sopra con un carboncino. Anziché una pagina scritta con parole o pensieri, su entrambe le facciate del diario era stata disegnata una tabella.
Trovò la riga contrassegnata dal numero 2, la colonna che recava il numero 7/1363, e nella casella in cui s’intersecavano segnò una lettera V.
Riprese in mano la sfera. Questa volta l’immagine che si formò era molto diversa.
Una ragazza stava tirando con l’arco. Il suo bersaglio era un fantoccio di paglia, quindi era una semplice esercitazione. I suoi capelli castani erano selvaggi come sempre e la pelle abbronzata aveva un colorito sano. Guardandola da vicino, si poteva capire dalle orecchie appuntite e dai tratti delicati che si trattava di un’elfa dei boschi. Era concentrata sul prendere la mira, ma dopo aver scoccato la freccia anche lei cominciò a sentirsi osservata.
Tuttavia evidentemente se lo aspettava perché frugò nelle tasche con gran fretta ed estrasse un foglio di pergamena, più volte ripiegato. L’aprì. C’era scritto, in lettere maiuscole e ben definite: TUTTO BENE. RANDEEF È FUORI PORTATA DIVINAZIONE. ANCORA VIVO.

Il drow indugiò ancora un momento su quell’immagine, poi ripose la sfera e prese in mano il diario. Sotto alla riga n° 2 c’era la n° 6, come se i tre numeri in mezzo non esistessero. Segnò una V anche lì. Indugiò un momento sulla riga n° 7, pensando al giovane incantatore e alla sua tendenza a far esplodere le cose, e alla fine disegnò un punto interrogativo.
Posò nuovamente il diario e riprese in mano la sfera.
In quel momento, un urlo agghiacciante rimbombò per la stanza. Veniva da dentro la tenda della dhampir.
Il drow ripose tutto quanto nello zaino e corse a vedere cos’era successo.

“Ehi!” Esclamò, aprendo i lembi della tenda. “Che hai?”
Dee Dee era sveglia, seduta sul suo giaciglio, e si guardava intorno con aria spaesata.
“Ho... ho folo fatto un incubo.” Lo disse in tono quasi di scusa.
Il drow entrò nella tenda, richiudendola alle sue spalle. Nel farlo, si accorse che il tessuto della tenda era davvero pesante, e che l’aria all’interno era un po’ più calda. Nonostante questo, Dee Dee aveva un giaciglio di pelliccia come quelli che si usano sulle montagne, e indossava abiti pesanti per dormire.
“Anche prima avevi un sonno agitato.” Riconobbe lui, sedendosi accanto alla ragazza. “Preferirei che tu non urlassi in questo modo, potresti attirare l’attenzione di qualcosa. Finché siamo qui il pericolo è relativamente basso, ma se andremo ad esplorare altri luoghi i tuoi incubi potrebbero metterci nei guai. C’è qualcosa che posso fare?”
Dee Dee lo guardò con aria impotente e un po’ spaventata, interpretando quel discorso come una minaccia. Se non smetto di avere incubi mi lascerà indietro? O mi taglierà la lingua?
“Io... cercherò di non fare più incubi.” Promise con un filo di voce.
“Non è una cosa che puoi decidere tu.” Le fece notare lui. “Non hai mai trovato qualcosa che mitigasse i tuoi incubi?”
Dee Dee deglutì a vuoto. “Ecco... quando viaggiavo con Valaghar, gli incubi erano molto più rari. Ma non fo perché... forfe perché era un paladino e aveva intorno una magia facra, o magari era folo perché con lui mi fentivo al ficuro.”
“Forse un po’ e un po’.” Suppose il guerriero. “Mi dispiace, non credo che qui ti sentirai mai altrettanto al sicuro.”
“Vuoi dire che non mi fentirò mai al ficuro con te?” Precisò Dee Dee.
“Se hai un minimo di cervello, non ti dovresti fidare di un drow. Io posso anche dirti che non intendo venderti come schiava, ma tu non puoi basarti sulle parole e sulle promesse. Faresti bene a tenere sempre un occhio aperto e a giudicare gli altri solo in base alle loro azioni.”
“Ho maturato la convinzione che fe tu aveffi voluto vendermi mi avrefti portata fubito a Fkullport. Non hai alcun intereffe ad infegnarmi a fopravvivere, o a combattere meglio.” Spiegò la ragazza, esponendogli le sue deduzioni. “Ma non mi fido di te perché non capifco le tue motivazioni.”
Il drow si strinse nelle spalle. “Ti ho salvata dai sacerdoti di Cyric, seppur accidentalmente. Il mio codice d’onore mi impone di prendermi cura di te, ma questo lo sai già.”
“Perché ftavi combattendo quei feguaci di Fyric?” Indagò lei, giusto per fare conversazione. Voleva allontanare dalla sua mente il ricordo degli incubi.
“Beh, perché...” il drow ci pensò un po’, facendo mente locale. “Credo di avere il ricordo alcolico di essermi vantato che avrei potuto farlo. Io prendo molto sul serio le mie vanterie da ubriaco, non potevo perdere la faccia.”
Dee Dee gli rivolse uno sguardo scettico, pensando che la stesse prendendo in giro.
“E perché un drow ha un codice d’onore?” Domandò a bruciapelo. “Non mi fembri qualcuno che dà valore all’oneftà e alle leggi.”
Lui sospirò, pensando a come rispondere.
“Perché... si deve pur avere una bussola, nella vita. C’è chi è mosso dalle sue aspirazioni, dai suoi amori, dai suoi odii, da un obiettivo oppure dalle sue paure. Tutte queste cose convincono le persone che la loro vita abbia un senso. Io non ho più niente di tutto questo. Non mi resta nient’altro se non i miei pensieri, e le regole che scelgo di seguire per non perdermi nel mare del nulla.”
Dee Dee rimase a guardarlo per un lungo momento.
“Io non capifco.” Ammise infine.
“No, certo che no.” Le scompigliò i capelli e si alzò per uscire dalla tenda.
“Afpetta!” Dee Dee lo richiamò. “Quello che ftai dicendo è che fei depreffo e hai bifogno di me come diftrazione?”
Il drow la guardò incredulo e sbottò in una breve risata, ma più per lo stupore che per allegria.
“Non sono depresso. La depressione è una malattia. Se potessi ammalarmi sarei già morto di cirrosi epatica.” Scherzò, alludendo alle sue abitudini alcoliche. “No, anche se il mio spirito venisse schiacciato come un ragno sotto la ruota di un carro, non avrei mai un’altra scelta se non rialzarmi.”
Dee Dee lo guardò uscire dalla tenda, in silenzio. Tenne per sé i suoi pensieri e le sue considerazioni. Quando finalmente riuscì a riprendere sonno, fece sogni confusi e un po’ ansiogeni, sul suo futuro, sulla possibilità di non essere all’altezza; ma non erano gli stessi incubi terrificanti di prima.

Il drow rimase a lungo seduto fuori dalla tenda. Non riusciva a prendere sonno o a fare la reverie, quindi ricominciò con le divinazioni. Fu un sollievo tornare alla routine. Tuttavia ogni tanto portava la mano ad un ciondolo che teneva al collo, un cerchietto d’argento, e mormorava un incantesimo. Sapeva che quel particolare dweomer avrebbe agito in un raggio di quindici metri, non c’era bisogno di stare così vicino alla tenda, ma voleva restare a portata d’udito per capire fino a che punto stesse funzionando.

           

   
 
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