Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: L0g1c1ta    23/12/2017    0 recensioni
Settembre 1939, cade la resistenza polacca. La Polonia svanisce dalla cartina geografica. La città di Varsavia viene distrutta, mattone dopo mattone dai tedeschi e dai russi.
Polonia è morto e Lituania non riesce a superare la morte dell'amico. Con la morte nel cuore, lentamente viene guidato verso la follia e gli verranno aperti gli occhi sulla sua vita.
Polonia, fantasma e defunto, accompagnato da un insolito pulcino, osserva, fra le mura della villa di Russia, il dolore di Lituania.
Entrambi ripercorrono un cammino, entrambi si rendono conto di ciò che avevano e di ciò che hanno perso, per sempre...
...
Luglio 1952, la Polonia rinasce sotto una nuova bandiera. Polonia è morto, ma viene accompagnato nel suo viaggio da Toris e da una nuova presenza. Lituania vive la sua nuova vita con freddezza, nonostante i cambiamenti avvenuti in casa di Russia. Ma ogni cosa cambia con una scoperta avvenuta in una casetta abbandonata nel bosco.
Polonia, in questo mondo cartaceo, osserva i ricordi e gli anni che lo hanno separato dalla sua patria. E si rende conto di quanti sbagli abbia commesso in vita.
Entrambi percorrono un secondo cammino. Chi in un treno per Varsavia, chi con frammenti di ricordi perduti.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Baltici, Lituania/Toris Lorinaitis, Polonia/Feliks Łukasiewicz, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

America esce dalla stanzetta dell’anagrafe facendo schioccare le ossa delle spalle, con un’aria soddisfatta. Gli occhiali brillano sul suo naso. Stiracchiandosi fa scoprire sotto alla camicia una vecchia maglietta blu e rossa che Lituania gli aveva regalato pochi giorni fa, a Natale, durante lo scarto dei regali a casa loro. Si vede la scritta Superman sotto la camicia bianca. Inghilterra lo segue, con lo sguardo alto e un libro sotto braccio, fiaccamente infilato sotto l’ascella. Non riesce a leggere il titolo. Francia pare raggiante, dietro di loro, appena uscito anche lui.

“Che bello avere un nome, finalmente!” esclama America, risistemandosi la camicia dentro i pantaloni. Inghilterra scuote la testa.

“Io non ho ancora capito perché ci servano dei nomi… proprio ora che sta per iniziare l’anno duemila…” America non si lascia demoralizzare, abituato ormai, fin troppo orgoglioso di se stesso e della sua idea geniale. Si volta, senza scemare la scintilla entusiasta nei suoi occhi.

“Perché così potremmo essere qualcuno!” esclama, inibito da tanta ignoranza del suo vecchio padrone. Inghilterra alza un sopracciglio “Immagina un po’: potrai camminare per strada, così, tranquillo, qualcuno ti chiede come ti chiami… anche una ragazza carina” Francia ammicca alle spalle di Inghilterra, lui finge di non notarlo “E potrai presentarti come un umano! Del tipo: Hi! I amAlfred Jones

Inghilterra scoppia in una risata acida. America si indispettisce. Il suo fratellone lo guarda con un’espressione compassionevole, scuotendo la testa, come faceva quand’era bambino e combinava i suoi piccoli pasticci. A Francia, dietro di loro, sfugge un sorriso genuino. Sospira tra sé e sé. Inghilterra riapre gli occhi e aguzza i denti sotto il suo sorrisaccio da cattivo.

Alfred! È così che ti sei chiamato?” all’americano si fanno le guance rosse.

“Sì! Come il maggiordomo di Batman e perchè…” Inghilterra ritorna a ridere, come se non riuscisse veramente a smettere. America diventa rosso come un pomodoro “…e perché così potrete chiamarmi Freddy!” il più grande decide di continuare ad ascoltarlo, più per dargli il suo momento di gloria che per altro.

“Perché proprio Freddy?” chiede Francia, vagamente interessato. Decide che si sarebbe vantato del suo nuovo nome coi due in seguito. America sgonfia le guance e invece si gonfia il petto.

“Perché è un nome importante: pensa a Freddy Krueger e a Freddie Mercury…” Inghilterra alza un sopracciglio, non credendo ad una singola parola di quello che dice il più giovane. America capisce di non averlo convinto. Mostra un broncio, si chiude in un guscio “…mi sono sempre presentato così ai colleghi del mio capo” Inghilterra sghignazza, soddisfatto di sé stesso e della sua intuizione. Francia dietro di lui decide di prendere la palla al balzo.

“Io invece non ho ancora capito perché non ti sia opposto all’idea di America, Angleterre” Inghilterra sobbalza, preso alla sprovvista, come pugnalato allo stomaco. Trova una scusa in pochi secondi, regola il respiro, mostra uno sguardo disinteressato alla Nazione francese e agli occhi curiosi del fratello. Alza le sopracciglia, con indifferenza.

“Ho un cottage da qualche anno, ma la legge dice il contrario. Così, ora che ho un nome e dei documenti di proprietà, potrò dimostrare di averne la proprietà. Mi sono stufato di chiedere aiuto al mio capo per queste faccende…”

“Certo, certo… nominandoti come il famoso Arthùr?” sogghigna divertito il francese, osservando minuzioso il libro sottobraccio, leggendo chiaramente ‘King Arthur and…”. D’istinto, Inghilterra cerca di nascondere il volume dentro la tasca della sua uniforme. Il libro è troppo grande, non entra. Ora anche America lo legge.

Scoppiano entrambi a ridere, mentre Inghilterra inizia a sbraitare minacce. Lituania sorride di riflesso e scuote la testa, facendo scrollare i capelli scuri nel codino. Due ciocche si sono liberate, come al solito. Le tiene ferme dietro all’orecchio. Alla sua sinistra qualcuno attira la sua attenzione: la minuta Repubblica Ceca gli mormora qualcosa, interessata al corridoio alla loro sinistra: Lituania, c’è Polonia.

La porta del corridoio si apre con sicurezza. I suoi passi fermi tintinnano sul pavimento, senza far rumore. Non rimbomba alcun eco. Ungheria vede l’amico con la coda dell’occhio. Nota un sorrisino da parte della donna. Vorrebbe salutarlo, ma si blocca, così come Austria e Italia e le altre Nazioni slave, germane e mediterranee. Repubblica Ceca alla sua sinistra sembra trattenere un’esclamazione meravigliata, Slovacchia, più in fondo, mostra un’espressione perplessa. Italia saluta Polonia, lui ricambia. Occhi allegri e occhi smarriti lo scrutano, ma non sembra importargli. Da anni ha dimenticato la paura di chi non conosce. Vede Liet, si avvicina e si siede alla sua destra.

“Ti ho fatto tipo aspettare?”

“No, sei in anticipo. Ora inizia l’Europa centrale e il Mediterraneo” Polonia annuisce e si abbandona sulla sedia, sospirando di sollievo.

Spagna viene chiamato, così come Portogallo, Germania e Svizzera. Diligenti, entrano nella stanzetta. Lituania vede i loro posti vuoti. Ha quasi paura di entrare dalla porta d’ebano. Inghilterra, America e Francia, nonostante abbiano compiuto il loro dovere, continuano ancora a discutere. Immagina che presto, ogni Nazione, finita la marcia dall’anagrafe, incomincerà a fare domande su nomi e futuri mestieri. America gli aveva accennato di voler studiare per diventare astronauta, a Natale. Gli brillavano gli occhi, non ha avuto il coraggio mostrare il suo dubbio riguardo il suo sogno. I quattro escono dopo una decina di minuti. Italia, suo fratello, Repubblica Ceca e Slovacchia entrano. La piccola donna non ha staccato gli occhi da Polonia per tutto questo tempo. Entrambi se ne sono accorti.

“Ultimamente ti fai notare parecchio” afferma Lituania, più divertito che indispettito di ciò. Non è più geloso dello spirito del suo amico. Polonia rigira gli occhi, più seccato che rallegrato di ciò. Osserva il braccio, dove una quarantina di anni fa mostrava sei zeri allineati col ferro sulla sua carne. La sua pelle è ancora inflessibile come cuoio, ma ormai i numeri sono nascosti dietro ad un tatuaggio. L’ago e l’inchiostro non li ha uditi affatto. Il tatuatore era sbigottito nel vedere i numeri. Ripensando a tutto questo… non gli da alcuna sensazione. Lituania capisce i suoi pensieri e annuisce fra sé, con una vena di orgoglio. Polonia lo vede come un uomo e non più come un ragazzo “Com’è andata questa volta?”

“Una donna soltanto mi aveva chiesto di fare ricerche sulla sua famiglia, anche dopo cinquant’anni” Lituania lo osserva interessato “Secondo i suoi documenti era nata in Germania, ma ovviamente non era totalmente vero…”

“Era una bambina polacca rapita durante la Guerra?”

“Certo” Lituania sospira. Polonia fa questo lavoro da quando ritornò in vita, quella lontana sera di luglio. Non avrebbe mai immaginato che avrebbe potuto aiutare così tante persone. Non avrebbe mai sospettato che durante la Guerra fossero accadute così tante disgrazie: bambini polacchi rapiti dalle culle, fucilazioni di generali e uomini di cultura, le camere a gas… Polonia le ha scoperte da solo, come se avesse sempre saputo di ciò e ha incominciato a lavorare, per far riemergere dalla cenere ogni segreto e documento nascosto. Lituania non ha aperto mai bocca sui suoi dubbi “Conoscevo già quella donna e la sua famiglia, non è stato tipo difficilissimo”

“Davvero? Ha trovato almeno… qualcuno dei suoi famigliari?”

“No, tutti morti. Klara Lukasiewisz ormai non ha più una famiglia polacca. Ha deciso di rimanere in Germania. Aveva dei figli grandi, sai? Stava per diventare nonna, mi aveva detto. Sembrava sapere che fosse tutto totalmente inutile…” Polonia pare più amareggiato che triste del suo racconto.

Lituania annuisce ancora, sa che nasconde qualcosa. Ormai sa come riconoscere la verità e la finzione. Osserva la cicatrice biancastra lungo il labbro di Polonia. È quasi invisibile adesso, ora che il suo amico è ritornato in salute, nonostante una fetta di labbro scenda leggermente in basso, seguendo il taglio, che cade fino alla mascella. Polonia è cambiato molto in pochi anni, anche se immagina che non sia diventato un uomo diverso da com’era in passato. Polska capisce i suoi pensieri, accenna ad un sorriso, che coi suoi occhi pare quasi una tigre.

“Poi ti racconto tutto, ok?”

“Ok”

Italia e suo fratello discutono, uno entusiasta, l’altro perplesso. ‘Hai scritto bene il nostro cognome?’, ‘Ovvio! Non lo sbaglierei mai!’. Repubblica Ceca saltella verso il suo posto, orgogliosa di se stessa, Slovacchia sospira, come se si fosse tolto dalle spalle un gigantesco peso sullo stomaco. Manca poco al loro turno. Belgio, Olanda, Grecia e Turchia entrano. Lituania incomincia a ritornare ragazzo. Osserva il foglio che ha fra le mani con vari nomi, cognomi, sbavature e cancellature. Non riesce a credere di non essere riuscito a trovare un nome per sé. Polonia capisce e osserva il foglio, ritornando anche lui come un tempo.

“Ma dai, non hai ancora trovato un nome!”

“No, solo il cognome…” dice, mostrando un Laurinaitis scribacchiato con cura, differentemente dagli altri, cancellati e macchiati da sbavature di matita. E sudore e nervosismo. Decisamente, Liet non è cambiato affatto. Polonia scuote la testa, indispettito “Q-Quale dovrei scegliere?” mostra il foglietto all’amico. Polska lo afferra e con attenzione scruta il pezzo di carta. Lo apre: si rivela una lista completamente imbrattata di inchiostro e matita. L’amico lo guarda con sufficienza, Liet ricambia grattandosi la testa con imbarazzo. Polonia ritorna a leggere.

“Rufas è brutto da morire…”

“Sì, lo penso anch’io…”

Ritorna a leggere.

“Mikas?”

“E’ troppo da bambino, secondo me”

“Lukas?”

“Poco lituano… anche i Nordici hanno questo nome”

“Jurijus?”

“No!”

“Gintis?”

“Dai, Polska!”

“Fredas? Faustas? Eimis? Bernardas? Ah! Ecco uno totalmente perfetto: Brunonas!” gli strappa dalle mani il foglio, staccando anche lo stesso. Si ritrovano fra le mani due pezzi di carta logora. Lituania, con un’aria tra l’arrabbiato e l’indignato, e Polonia, divertito e irrisorio. Lituania guarda il suo lavoro distrutto, ma affatto scoraggiato. Era un lavoro di due giorni ed era anche pessimo. Polska ritorna serioso. Vengono chiamati i Nordici, lasciando fuori solo il giovane Islanda, già entrato prima insieme ad Inghilterra. Attende con pazienza, insieme alla sua pulcinella di mare in grembo, intenta a gracchiare qualcosa di simile a fusa tra le braccia del suo padrone. Lituania sa che manca poco. Tamburella le dita con nervosismo.

“        Che ne pensi di Toris?” Lituania sente una voce senza ilarità e ne rimane basito. Sbatte le palpebre, osservando l’amico “Non so se te lo ricordi… ma quando eravamo piccoli avevamo parlato tipo dei nostri nomi particolari. Mi ricordo anche del nome Toris… mi era piaciuto tanto. A te no?” Lituania sente un bisbiglio alle sue orecchie, un sesto senso che ha sviluppato in questi anni: sta mentendo. Polonia lo guarda fisso negli occhi, avendo imparato a mentire senza vergogna. Lituania capisce che è una semplice menzogna innocente, tira un sorriso e scuote la testa.

“Polska, questo nome non esiste in Lituania e… credo in nessun altra Nazione” Polonia sbatte le palpebre, come spezzato qualcosa dentro di sé “Credo che avessi sentito Tolys o Taurys, ma Toris… non l’ho mai sentito”

Negli occhi di Polonia cala un’ombra disillusa. Sembra aver realizzato qualcosa di importante e crudele. Lituania osserva la mascella rigida, i capelli diventati scuri, gli occhi vuoti e i pugni nelle mani. Ha detto qualcosa di inaspettato, crede. Polska perde in un attimo la sua fragilità e i pugni deboli. Stende la schiena sulla sedia, guarda di fronte a sé, ma resta ancora l’aria mortificata. Rimane in silenzio, a contemplare un ricordo. Liet si sente anch’egli ferito.

“Però mi piace tanto” Polska non lo guarda, ma lo ascolta “Toris Laurinaitis… suona anche bene, non credi?” l’amico sorride come un adulto, con occhi fermi e guance bianche.

“Sì, soprattutto su di te” Lituania osserva quel sorriso enigmatico e si sente come un bambino premiato inaspettatamente. Non arrossisce, ma il cuore perde un battito.

I quattro Nordici ritornano, chi entusiasta, chi serioso. Islanda annuisce al richiamo silenzioso di Norvegia e a quello estasiato di Danimarca. Si alza dal suo posto, composto e maturo, e i cinque si dirigono verso la fine del corridoio. Vengono chiamati altri nomi: Austria, Ungheria, Romania e Polonia. Polska si alza in piedi, lasciando Lituania con la sua perplessità. Bulgaria fa segno a Romania di tenerlo d’occhio, adocchiando l’occhiata di scherno dell’amico verso la donna appena entrata. Il piccolo Moldavia si agita tra le sue braccia. Polonia lascia Lituania ed entra nella stanzetta. Lo lascia perplesso. Scuote la testa, decide di lasciar stare. Quella spina fra di loro sembra rigirarsi nella carne del lituano.

Il corridoio sembra quasi deserto senza i Nordici, i fratelli Italia, Spagna e Germania, andati nel bar fuori. Estonia è uscito insieme a Finlandia, conoscendolo rientrerà appena in tempo per scrivere il suo nome e poi andarsene. Senza salutarlo. Lettonia entra nel corridoio, si volta come sperduto in un ambiente completamente nuovo. Lituania fa un cenno con la testa, lo invita a sedersi. Il più piccolo lo vede e corre al posto di Polonia. Lettonia è l’unico che lo tratti da fratello, dopo Polonia.

“Lituania! Sono arrivato in tempo?”

“Fra poco tocca a noi”

Non si vedono spesso i tre Baltici, ma per Lituania è sempre un piacere incontrare il piccolo Lettonia. Si parlano, Lituania carezza i riccioli del più piccolo, Lettonia regala al più grande due caramelle. Gli racconta di aver trovato un amico, un po’ più piccolo di lui, che passerà il Capodanno a casa sua, in Inghilterra. Lituania ne è felice. Racconta della nuova casa in campagna che hanno acquistato il mese scorso, della neve che ha toccato la villetta già i primi di settembre e dei gatti che Polonia ha trovato. Lettonia si interessa e chiede di loro.

“Polonia aveva trovato una banda di gatti poco dopo esserci sistemati nella nuova casa. All’inizio se n’era presentato solo uno: era bianco con delle macchie marroncine. Non so il perché, ma non ne voleva sapere di aprire gli occhi, faceva anche uno strano verso. Si era presentato all’ora di pranzo, quando Polska stava provando a cucinare la pasta…” Lettonia pare affascinato “Gli abbiamo lasciato un piattino con degli spaghetti al pomodoro e se n’era andato, felice. Poi hanno incominciato a comparirne altri e altri ancora, sempre in modo strano. Ad esempio, quando Polska stava provando il pianoforte in soggiorno ne era sbucato un altro dalla finestra, con il pelo scuro e un ciuffo ribelle. Guardava Polska compiaciuto, ascoltando la musica…” lo aveva inquietato molto questo episodio “Abbiamo incominciato anche a dargli dei nomi. Sai, la cosa è veramente strana…”

“Perché è strana?” chiede Lettonia, trovando la storia tutt’altro che stravagante o deludente.

“Perché… sarà strano, ma assomigliano molto a persone che conosciamo. Il primo gatto l’abbiamo chiamato Italia, poi Austria e Ungheria. C’era anche un gatto simile a Prussia, col pelo bianco e un taglio sull’occhio. Credo che mi detesti: un giorno l’ho trovato sul tettuccio della mia macchina in una posa… erm, egocentrica… e non ha fatto altro che drizzare il pelo non appena mi avvicinavo. Polska l’ha tolto da lì, come se niente fosse e quel coso non ha fatto resistenza!” Lettonia ride di gusto.

“Sembra che Polonia ci sappia fare più di te coi gatti!”

“Già, io li odio…” Lettonia continua a ridere, estasiato. Lituania non lo sentiva ridere di gusto da tanto. Gli carezza i capelli, come un antico istinto. Nemmeno lui sente Estonia da tanto tempo. Ne hanno discusso, ma Liet ha difficoltà a parlarne. Da quando ritornò dalla Polonia, insieme a Bielorussia, suo fratello non ha più voluto parlare con lui. È sempre distante, come tradito. Non ha accettato veramente il ritorno di Polonia. Non immaginava che potesse essere tanto geloso del suo amico. Un decennio fa, dopo la caduta dell’Unione, incominciò a frequentare Finlandia. Sembrano andare d’accordo. Gli altri Nordici lo accettano, anche se con perplessità. Non sa cos’abbia in mente, ma non lo tranquillizza vederlo sempre in compagnia dei cinque, sempre dietro di loro. Sempre in qualche modo ignorato. Lituania pensa che non abbia alcun diritto verso di lui, ma non riesce a fare a meno di osservarlo da lontano, con occhi scuri. Ha vissuto con lui nella stessa casa e ha mangiato con lui dalla stessa tavola. Un giorno vorrebbe parlargli veramente, da uomo a uomo. Da fratello a fratello.

Lettonia si volta e anche lui, istintivamente. Dalla porta del corridoio sente una voce di donna fin troppo alta e dura. Attraverso il vetro vede Ucraina, con occhi severi, eppure tremuli. Lituania vede delle mani chiuse sul cuore, dei capelli disordinati e una camicia strappata dal lato della manica sinistra. Ucraina se la passa male in questo periodo. Sembra sul punto di piangere, come suo solito in questi anni. Lituania vede una mano estranea, decisamente più robusta di quella della donna, avvicinarsi alla sua guancia. Lei si esaspera, impedisce alle dita dell’uomo di asciugarle la lacrima e spalanca la porta, lasciando Russia all’entrata.

Ucraina si siede, afferra con tremore un fazzoletto dalla tasca e si asciuga le lacrime con irritazione. Repubblica Ceca e Slovacchia la osservano anch’essi, interessati e tremolanti. Russia entra nel corridoio e immediatamente ogni sguardo su di lui si ritira, come terrorizzato. Russia ha perso tutto il potere che aveva, ma la paura che si rialzi dal suolo è comunque tangibile. Lituania e Lettonia non abbassano gli occhi. Russia sembra molto più anziano, coi capelli decisamente troppo lunghi e arruffati, il cappotto scuro sgualcito. Si accascia alla sedia affianco alla porta del corridoio, lontano da chiunque, separato da loro da una decina di sedie vuote. Lituania vede occhi stanchi e… tristi. Sente qualcosa creparsi dentro di sé.

La porta si apre, è il loro turno. Polonia ritorna da loro, salutando Lettonia, rifiutando la proposta di cambiare posto. Il più piccolo nota dei cambiamenti nel biondo e ne rimane meravigliato. Inghilterra, non l’ha notato, si è seduto e legge il suo libro, attendendo qualcosa che non riesce ad immaginare . America chiede a Slovacchia il suo nuovo nome, volendo la sua firma e quella di Repubblica Ceca. Francia decide di alzarsi e di andare al bar. Saluta Inghilterra e America e si avvicina a Polonia.

“Oh, comunque, cher, bei capelli”

E scompiglia la nuova chioma bionda di Polska, corta, arruffata, ribelle, completamente diversa dalla sua precedente. Repubblica Ceca, come nominata, si alza in piedi, scattante come una molla ‘Infatti! Ora sei carinissimo, meglio di prima!’, con assenso di Ungheria e Lettonia. Slovacchia, ancora perplesso, decide di far sentire la sua voce ‘Per me stavi meglio prima…’, Austria approva con un breve cenno della testa. Ucraina alza gli occhi dal suo fazzoletto e osserva la nuova figura di Polonia. La vede sorridere leggermente, con occhi gonfi e rossi.

Lituania vede con la coda dell’occhio Russia in fondo al corridoio, troppo lontano da loro, ancora più solo, mentre altre Nazioni si avvicinano interessati al suo amico. Non è cambiato nulla. Resta immobile e angosciato, come un cane abbandonato.

A Lituania sembra che quelle cinque sedie vuote siano ben più di cinquecento chilometri di distanza.

 

 

 

 

 

Lituania legge il messaggio sul cellulare.

 

Mi dispiace, Lituania.

Non posso venire con te.

Ho il mio amico a casa in questi giorni. Sarà per la prossima volta.

 

Lituania sospira sconsolato. Avrebbe voluto almeno la presenza di Lettonia accanto a sé. Estonia non gli ha ancora risposto. È da ore che non risponde. Immagina che non voglia farlo e basta. È troppo abituato alla sua indifferenza per prendersela. Ucraina l’ha deluso anche lei, anche se la comprende. Ricorda i suoi occhi rossi il pomeriggio del giorno seguente e si intristisce ‘Mi dispiace, caro, ma certe cose non possono essere perdonate’. Aveva annuito a lei, salutata e aveva riattaccato. Fa scivolare il cellulare nella tasca e stringe le mani sotto le ascelle. Non nevica, ma fa freddo nel loro giardino. Il grano è stato tagliato mesi prima e ora non c’è altro che una distesa di neve interrotta dalla foresta in lontananza.

“Vorresti andare da lui?” Polonia interrompe i suoi pensieri. Alza gli occhi, il suo amico è ancora seduto sui gradini di pietra, con tutti quei gatti ai suoi piedi, come fosse il loro capo. Ovunque si volti vede gatti. In pochi mesi ne sono arrivati una cinquantina, tutti con pellicce e particolarità distanti fra di loro. Ha sempre immaginato che avessero così tanta compagnia perché la loro casa fosse la sola in chilometri di distanza. Inoltre Polska dà anche da mangiare a quei batuffoli di pelo colorato, aumentando ancor più l’attenzione dei felini verso il biondo.

“Sì, vorrei chiarire delle cose con lui… se non ti dispiace” Polska riflette, carezzando il pelo nero e bianco di un micio più piccolo degli altri, con una coda a batuffolo, come quella di un coniglio. Il piccino fa le fusa in grembo a Polonia, beato. Lituania riconosce quel gatto come un tipetto amante del pesce in scatola. Questa volta non si sente inquietato. Polska non sospira, né batte ciglio.

“Non mi dici mai un granché di cosa è successo quando abitavi con lui” pare più una riflessione che un’accusa, eppure Lituania sente un brivido lungo la schiena. Ha sempre immaginato Polska iracondo verso Russia, eppure non ha mai visto l’amico di tali pensieri, quando lo vedeva insieme al suo vecchio padrone, in passato. Pareva piuttosto che Russia fosse spaventato da lui, aveva notato Liet, con i suoi nuovi occhi. Un altro gatto, battezzato come Germania, osserva il suo compagno sdraiato e pasciuto e pare come scuotere la testa.

“Già…” un altro gatto, in fondo al giardino, peloso e scuro, lo osserva compiaciuto. Non l’ha mai visto prima, ma non si domanda nulla: non vuole nemmeno immaginare quanti gatti possano esserci e quanto cibo dia loro Polska. Questo è grassoccio, spintona gli altri, fa abbassare le code e le orecchie agli alcuni. Altri scappano, terrorizzati da quanto sia grosso. Ricorda più un cucciolo di orso che un gatto. Lituania batte le palpebre, affascinato: non ne aveva mai visto uno così tondo. A malapena vede le sue zampette condurlo verso le scale.

“Comunque, non sono arrabbiato. Te l’avevo già detto, tipo anni fa”

“Se lo sei dimmelo”

“Non lo sono per niente” pare che Polska abbia imparato a fingere, anni dopo essere ritornato in vita. O forse non prova davvero rancore verso Russia. Per Lituania è qualcosa di assurdo e sospetto. Non provare ira verso chi ha spezzato la tua vita è ridicolo. O forse Polska non gli ha mai voluto dire nulla più di quel che sa. La sua mano carezza ancora il gattino, mentre un altro, battezzato Italia, sembra interessarsi al trattamento del suo amico. Scivola sotto le gambe di Polonia, intenzionato ad avere quel che desidera, benché il gatto Germania non pare apprezzare tutto ciò. Lituania gonfia il petto, ricordandosi di molte cose.

“Polska, chi è Toris?”

Polonia volta la testa. I suoi occhi vorrebbero essere seriosi, ma vi è un tentennamento. Lituania non abbassa gli occhi e non cede, come faceva da ragazzo. Che Polska gli nascondesse qualcosa gli era chiaro da anni, che gli fosse accaduto altro mentre era morto è quasi una certezza per lui. Il nome con cui il suo amico l’ha battezzato non gli dice niente, ma come desiderava quel nome su di sé gli era parso fin troppo bizzarro e impossibile da dimenticare. Lituania ha coraggio ora e desidera risposte. Il gattino vede l’espressione severa di gatto Germania e abbassa il capo, come scusandosi. Scende gentilmente dal grembo di Polska e ritorna dai suoi amici. Polonia, adulto d’animo, riflette e decide.

“Ti racconterò tutto dopo che tornerai da Russia” Lituania rimane basito “Partirai subito, no?”

“Sì…”

“Bene” si alza con uno scatto, tale da lo sobbalzare e si dirige in casa. I gatti non entrano, è proibito per loro entrare. Liet lo segue. Lo vede entrare nel salotto e nella cucina e arraffare qualcosa su un piano alto. Lo tira giù e glielo conficca fra le mani, con un’infantile rudezza. Vodka. Lituania lo guarda sorpreso. L’amico arriccia le labbra e le braccia “In casa di un russo devi sempre portare qualcosa, eh! Tipo anche vodka e regali fichi e…” lo abbraccia con un sospiro sconsolato e contento. Il biondo rimane paralizzato, ma si scioglie e ripete anch’egli il gesto.

“Resto lì solo per poco, se lo vuole…”

“Lo so”

“Tu puoi chiamare qualcuno anche… Italia può stare qui da noi”

“Chiamo Ungheria e Austria, gli ho promesso una cosa”

Sciolgono l’abbraccio. Liet abbozza un sorriso. Rimane perplesso guardando Polska. Sembra che avesse già architettato tutto da sé. Incrina le sopracciglia, interessato.

“Cosa?” Polska aguzza i denti e indica con un cenno del capo fuori. Liet osserva dalla finestra tutti i gatti nel giardino. Chi litiga, chi si stiracchia, chi dorme e chi si azzuffa con altri nella neve. Paiono loro Nazioni, sempre in pena fra di loro, ad attaccar briga come gattacci di strada e a ronfare nei giorni di pace. Polonia li osserva così come si osservano dei bambini abbandonati a se stessi.

“Sto chiamando qualcuno che possa adottare i gatti . Hanno bisogno di una casa, Liet” dice con tristezza “Ho chiamato anche le Nazioni. Molti sono totalmente interessati a loro” e allunga il sorriso, perdendo la tristezza “Non sarebbe tipo fantastico se ognuno di noi avesse un gatto totalmente uguale a noi? Allora… ho chiesto a Giappone. Lo vuole tipo immediatamente. Poi ad Italia, che vuole gatto Romano. A Romano, che vuole gatto Italia e gatto Spagna… Ah, sì, anche a Grecia e a Germania, però lui ha già dei cani e ha detto no…” sospira “Ungheria vuole quello che somiglia a Prussia. Oggi pomeriggio viene…” guarda tristemente sulle scale, dove si è accampato gatto Prussia, col pelo bianco e la cicatrice sull’occhio, orgoglioso di se stesso.

“Ti dispiace?” Polska apre gli occhi, scuri.

“Sì, è sempre stato un amico”

“Che cosa?” esclama Lituania, incredulo. Gatto Prussia, fuori dalla finestra, lo adocchia. Sbadiglia di fronte a lui e miagola rumorosamente, sfidandolo. Fa uscire i denti e, con i baffi all’insù, sgattaiola via, lontano dalla finestra. Liet si sente inquieto dalla risposta di Polska e attende, quasi oltraggiato da aver sentito qualcosa del genere. L’amico ghigna, capendo i suoi pensieri. La cosa lo diverte.

“Il gatto, Liet. Il gatto è stato un amico” rilassa le spalle, sospira rincuorato “Credo che dovresti prendere il treno tipo ora”.

Lituania in poco tempo preparò per sé una valigetta, ci mise lo stretto necessario per una o due notti e buttò tutto in macchina, con la bottiglia di vodka e le bustine piene di semi di vari fiori. Un regalo per Russia. I gatti lo hanno rincorso come tanti bambini attorno alla maestra. Non ha cibo per loro, eppure i mici continuano ad assaltarlo, chiedendo carezze e premure. Polska lo ha seguito fino alla macchina. Ora capisce perché ci siano così tanti batuffoli di pelo. Lo abbraccia un'altra volta, immaginando che possa essere difficile per lui tutto questo. Eppure sbaglia, Polska non gli ha mentito su questo. Ma Liet non lo sa ancora.

“Ci vediamo a Capodanno, Liet” lo saluta e saluta tutti i gatti. Entra in macchina, allaccia la cintura e parte, senza rendersi conto di avere un compagno in più sui sedili posteriori, grasso e peloso che, indifferente all’andata di quello che considera il suo padroncino, inizia a dormire.

Lituania trascorre ore interminabili nel treno e trova il cancello della casa di Russia spalancato e rugginoso.

Continua a camminare, chiedendosi se il padrone di casa accetterà mai una sua visita. Il giardino è spoglio e trascurato. Non vive un fiore nella neve di Russia. La casa è ugualmente grande, ma come trascurata: le finestre sono appannate dalla brina, i mattoni paiono sul punto di cedere, la porta cigola appena viene aperta.

Russia è ancora alto e forte. Lituania lo guarda come se lo vedesse per la prima volta. Lo ricordava coi vestiti stirati e i capelli ben tagliati. Vede una leggera barba incolta, dei ciuffi più grigi che biondi e occhi stanchi. I vestiti sono stropicciati, così come li ha visti quando si era presentato all’anagrafe con le altre Nazioni. Quando i suoi occhi incontrano quelli del ragazzo si fanno come meravigliati ed increduli. Non lo aspettava. Lituania non gli ha detto nulla e Russia non aspettava nessuno.

Lituania si sforza di sorridere, ignorando la stretta che ha al cuore nel vedere il suo vecchio padrone in questo stato. Il ragazzo non sa, ma anche Russia lo sta guardando così come lo guarda lui. Russia ricordava un ragazzo con occhi bassi e timidi, poi diventato gelido e severo. Russia ricordava una divisa perfetta, che stonava pericolosamente su quel ragazzo, una disgrazia che l’aveva trasformato in male. Russia ora vede qualcosa di diverso e meraviglioso. Questo ragazzo che gli sorride è un Lituania dolce e col petto in fuori, coi capelli raccolti e gli occhi fermi.

Russia non alza una mano, non apre bocca, non sembra volerlo far entrare, ma nemmeno farlo scappare.

Rimane lì a fissare quel che sembra per lui un’apparizione e non Lituania, mentre sta per nevicare.

 

 

 

 

 

Lituania riapre gli occhi. Batte le palpebre annebbiate e vede il soffitto della casa di Russia. Non ricorda cosa dovrebbe fare oggi. Immagina che sia domenica, l’unico giorno a disposizione per riposare. O forse è festa e lui, come al solito, se l’è dimenticato. Immagina di non dover continuare a poltrire nel letto, mentre altri saranno già svegli. Alza il busto. Si rende conto di non essere nella sua stanza da letto, ma sul divano del salotto. Vede il cammino spento, ma di sicuro era stato acceso la sera prima. Gli viene in mente qualcosa.

Una mano si aggrappa alla sua spalla, un istinto antico gli fulmina il capo e lo avverte di un pericolo, inarcandogli i nervi “Dove te ne vai?” dice la voce di Russia, divertito e anche abbastanza stanco, costringendolo a cadere di schiena di nuovo sul divano. Lituania ricorda ora e gli viene in mente il vero motivo per cui si trovi lì. Non ricorda bene ciò che è successo, in verità. Russia si è creato un letto affianco al divano, con delle coperte accantonate a terra, che con fatica coprono i suoi piedi. Vede in un angolo la bottiglia di vodka e le bustine coi semi. Comincia a capire.

“Ahi… cos’è successo?” Russia gli risponde dopo qualche secondo.

“Beh, è stata una serata… interessante” Lituania non vede il sorrisino da bambino “Hai provato anche a spogliarti di fronte a me” nella testa del moro scatta un campanello d’allarme. Il cuore gli salta in gola. Guarda il suo vecchio padrone completamente in balia dal terrore.

“Cosa?!”

“Scherzetto!” e scoppia a ridere di gusto. Liet aspetta che i tremori scompaiano prima di offendersi. Russia non pare volerlo vedere in difficoltà. Smette quasi subito, riempiendosi le guance di un sorriso sincero “Piuttosto, non devo più farti bere vodka: crolli subito a dormire” Lituania si rilassa, ritorna a sbattere la testa sul cuscino del divano. Questo lo sa, immagina di aver completamente dimenticato quel che è accaduto la sera prima. Quasi si vergogna.

“Capisco… in effetti non dovrei” dice, continuando ad osservare l’altra Nazione ai piedi del divano, in quel giaciglio creato in meno di cinque minuti. Lituania continua a notare i capelli troppo lunghi e grigiastri, le ombre sotto agli occhi, le mani strette alla pancia. Tutto questo per lui è sbagliato “Avreste potuto dormire in camera vostra. Non era necessario starmi vicino” Russia riapre gli occhi, più lucenti di come ricordava.

“Non potevo. Le ho chiuse a chiave”

“Come mai?”

“Mi trasferirò il prossimo anno in città. Una casa così grande non mi serve più. L’ho già venduta” il ragazzo sente come una leggera scossa al cuore. Russia ha detto la verità, capisce. Eppure quasi fatica a credere che sia realmente così. Lituania alza il collo, per avvicinarsi all’altro. Sente una vena di dispiacere stringere sulla sua schiena.

“Davvero?” Russia lo guarda, senza alcuna tristezza e annuisce come un anziano. Lituania sente come un violino stridere nelle mura della casa, leggendo la sua angoscia. Casa loro… non è più casa loro. Ha più ricordi tristi che felici in questo luogo, ma la malinconia dentro di sé nasce ugualmente. Per Lituania questo posto era importante. Come una scuola severa ed ingiusta, ma che gli ha regalato forza dalla apatia e dalle prepotenze. È come veder morire un insegnante freddo, ma che gli ha regalato molto alla fine del suo percorso. Russia nota tutto questo e allunga una mano sul suo braccio, stringendolo rassicurante.

“Ho comunque apprezzato il regalo. Avrò un balconcino per piantare i girasoli” sbuca un sorriso anche al ragazzo “Sono felice che tu sia qui. Credo che dovrei prepararti qualcosa, prima di partire”

In effetti ho un po’ di fame, ricorda la pancia a Lituania. Non crede di aver cenato o forse non se lo ricorda. Russia si alza con fatica, lo stesso fa Liet. Si siede e si stropiccia gli occhi, togliendosi i residui di sonno. Russia si passa una mano sui capelli, gettando le ciocche all’indietro, che con facilità rimangono nella loro posizione. Non si fa nemmeno la doccia.

La porta d’ingresso si muove e cigola nel tentativo di aprirsi. Lituania osserva con attenzione e rimane spiazzato. Sobbalza, affatto impaurito, ma piuttosto incredulo e inquieto. Quel micio grosso e grasso, scuro, con la pelliccia che lo rende ancora più tondo, lo ha seguito fino a Mosca. Lituania lo vede passeggiare nel salotto come se fosse casa sua, completamente sicuro di quel che sta facendo. Lo vede e annuisce, felice di fronte al suo sguardo quasi arrabbiato. Gattona verso il divano, salta e gli si adagia sulle sue ginocchia. È pesante, è bagnato di neve, è peloso. Anche Russia lo nota, sinceramente sorpreso.

“Ma che ci fai tu qui?! Dovresti essere a casa!” Russia ritorna sui suoi passi, dimenticando di chiedersi come abbia fatto un gatto ad entrare in casa sua, piuttosto questo lavoro lo lascia a Lituania, che tenta di far cadere questo bestione dalle sue gambe. Fallisce e la palla di pelo sembra più che contento di ciò. Tutto questo fa innervosire il ragazzo.

“E’ un tuo amico?” chiede Russia interessato. Allunga una mano verso il micio e questo fa le fusa per le sue coccole. Liet è ammirato e tradito da un alleato. Il gatto si lascia sollevare, senza alcuna fatica e senza alcune preghiere, come se conoscesse Russia da sempre. Continua a farsi coccolare. Lituania è l’unico con occhi scuri verso quell’ammasso di pelo nero. I gatti lo odiano, ma non immaginava nemmeno che Russia li adorasse. Si sente ancor più tradito.

“E’ uno dei gatti di Polonia… e non dovrebbe essere qui” il micio gigante fa le fusa, come se gli avesse appena detto un complimento “E adesso come facciamo a tornare a casa noi due?”

“Perché? Non ha una casa tutta per sé?” Lituania spiega che il treno non dovrebbe accettare animali, che il loro giardino è decisamente troppo piccolo per ospitare così tanti gatti, incluso questo nuovo appena apparso quel giorno, che Polonia non riuscirebbe a gestire anche questo. Che lui lo trova inquietante. Russia riflette, forse ricordando qualcosa a cui aveva ponderato già da tempo “Posso adottarlo io?”

“Lo vuole davvero?” chiede Lituania, sinceramente sorpreso. Il gatto scuro continua a pretendere coccole dal suo nuovo padrone, incredibilmente simile a lui. Continua a fare le fusa sotto le mani gigantesche di Russia.

“Mi farà compagnia”

Russia continua a guardare oltre il gatto. Lo osserva e scruta i suoi occhi, come timido o indeciso. Abbassa le palpebre e sospira. Lituania nota un pollice sfregiato da un taglio netto. Immagina che non debba chiedergli come se lo sia procurato. Anche l’altro capisce i suoi pensieri e gli sorride di rimando. Lituania, di riflesso, lo guarda con sospetto.

“Cosa?”

“Niente…” alza gli occhi e riflette “Stai diventando un bel uomo, Lituania. Sei quasi più alto di me”

Lituania lo guarda meravigliato, senza alcun bruciore alle guance, mentre il gatto continua a chiedere coccole.

 

 

 

 

 

Aveva lasciato la stazione come se avesse lasciato per sempre alle spalle un mondo intero, senza più alcuna possibilità di ritornarci. Lituania sentiva che sarebbe tornato a Mosca solo dopo molti anni, ma che avrebbe rivisto Russia e il suo nuovo amico prima che avesse mai immaginato. Il treno aveva anticipato i suoi passi, l’aveva abbandonato alla sua macchina e poi al suo giardino.

Gli innumerevoli mici continuavano ad azzuffarsi e a dormire vicino alla porta di entrata, al caldo. Lituania non vede il gatto bianco con la cicatrice e il portamento da signore. Non lo insegue e non tenta di scalare il tettuccio dell’automobile. Ricorda di averlo visto per l’ultima volta il giorno in cui partì. Nota che altri gatti non si mostrano. Non c’è il gatto che ama la pasta e che fa versi strani. Non c’è nemmeno l’altro che lo assomiglia molto, sempre irritato, e un altro ancora, col pelo sporco di pomodoro appassito. Nemmeno il piccoletto con la coda a batuffolo, né il micio che amava il piano di Polska. Per qualche ragione sente un dispiacere in sé. Alla fin fine erano suoi amici. Entra in casa e un cinguettio lo accoglie.

Un uccellino canta in cima alle scale, al secondo piano. Polonia non c’è. Avanza, abbandonando le scarpe all’ingresso. Il pigolio continua imperturbato fino in cima, nella soffitta, nella futura stanza di Bielorussia. Lei abitava con loro subito dopo aver lasciato la sorella Ucraina. Era diventata una sorellina, come ai vecchi tempi. L’anno prossimo tornerà ad infestare casa loro come una principessa capricciosa. Tutto ciò non lo mortifica, ma lo fa ridere.

Sale le scale, vede Polonia al lavoro coi pennelli. Ha coperto con i vecchi lenzuoli il letto e i mobili e sta già incominciando a lavorare. Ha completato solo un muro. La stanza di Biela dev’essere ridipinta. Lituania lo saluta, lui annuisce, concentrato. Gilbird è sul telo del cassettone, continuando a canticchiare la sua melodia. Polonia lo aveva avvisato: Ungheria glielo aveva ceduto per qualche giorno, visto che sarebbe partita per Capodanno. E loro invece festeggiano da soli, in tranquillità. Probabilmente non si sentiranno nemmeno i fuochi d’artificio in città, tanto sono lontani. Polonia continua ad armeggiare col pennello, con un’insolita abilità.

“Non credo che a Biela piacerà il rosa” afferma Lituania, scettico, notando il color confetto. Polonia alza le spalle.

“Dovrà abituarsi. Ormai l’ho tipo completata e poi gli ho promesso di dipingerla di rosa”

“A chi?” Polonia abbassa il pennello, ultimato il secondo muro. Alza il secchio e la sedia e incomincia con un terzo angolo di stanza. Gilbird si alza in volo e si poggia ora sul letto, più vicino al polacco.

Lituania osserva il lavoro, il pennello, Polonia e ricorda quel che avevano dovuto buttare nel camino quando comprarono la casetta. In soffitta c’era una culla, mangiata dalle tarme e dalla muffa. C’era un barattolo di vernice già aperto e completamente inutilizzabile. La stanza era già in parte dipinta malamente. Questa casa l’aveva scelta Polonia, prima ancora che aprisse bocca. Non immaginava nemmeno che potesse esistere. Polonia sapeva che esisteva. Gilbird cinguetta una melodia più energica, Lituania prende un respiro profondo. Guarda il braccio tatuato dell’amico e prende coraggio.

“Polska, chi è Toris? Ora me lo dici?” Gilbird continua a canticchiare, come se la domanda non avesse modificato assolutamente nulla nell’aria. Per Liet è come se gli si fosse stato tolto un coltello inchiodato nel fianco. Sente un gran sollievo. Per Polska è come se stesse per strapparsene uno con le proprie mani. Lo sente deglutire.

“Sì, ora ne possiamo parlare” dice, buttando il pennello nel barattolo e tirandosi le maniche della maglietta “Però è una storia lunga. Credo che prima dovrei parlare di come ti sei sentito dopo che io morii e di come si comportò Russia con te…”

“P-Polska, questo in realtà dovrei raccontartene io. Hai sbaglia-…”

“No, Liet. No” interrompe pacificamente la sua frase. Polonia alza gli occhi sui suoi e non riesce a credere che abbia così tanta calma e pazienza riflessa nelle sue iridi. Lituania è l’unico veramente spaventato di tutto ciò. Il cuore gli balza in gola. Polska aveva la chiave per strappargli dal corpo la sua armatura e non l’ha mai usata. Si sente nudo ed indifeso. Il ragazzo è ancora confuso e vuole spiegazioni. Polska si siede a terra e Liet tentenna nel fare lo stesso.

“Prima ti parlerò di Mosca, poi della famiglia Lukasiewisz, poi di Prussia” Prussia!?, sussulta Liet dentro la sua anima “e di come entrai in un campo di concentramento. E ti parlerò anche di Toris… no, cioè, Feliks. È il suo vero nome” e Gilbird continua a cantare.

L’occhio di Lituania cade sul braccio scoperto di Polska. L’aveva notata la prima volta con incredulità e rabbia, vedendo la carne bruciata da sei numeri 0. Anni più in là l’aveva osservata con indifferenza, ora la scruta come se fosse stata la chiave di tutto e mai avrebbe giurato che fosse stata tanto importante.

Tra i numeri, con mani esperte, è stato inciso elegantemente un nome: Feliks Łukasiewicz. Polska ha voluto battezzarsi come il suo angelo, ma non col suo intero cognome. Giusto una stacca nella L, per ribadire che egli non è e mai sarà veramente parte di quella meravigliosa famiglia, che gli ha salvato la vita, l’anima e la Nazione.

Polska incrocia le dita, la scritta sul braccio brilla mentre racconta la sua storia.

 

 

 

 

 

 

 

 

“E’ iniziato tutto con una dormita totalmente fantastica, una cartina gigante e un pulcino che non ne voleva sapere di lasciarmi ronfare…”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO DI L0G1

Questa è la fine della nostra avventura, che forse per molti è durata anche troppo, ma ammetto di essermi divertita come non mai. Ho tentennato molto per l’università e, soprattutto, perché volevo darvi un finale reale e nemmeno troppo dolce alla mia storia.

È emozionante concludere questo papiro dopo, accidenti, più di due anni dalla pubblicazione. È la seconda volta che concludo una long, ma questa è speciale per me. È stato un onore scrivere per voi e avere così tante persone che leggono ancora la Fenice d’Argento. Grazie a voi, per averla conclusa con un sorriso.

 

Ringrazio in particolar modo i recensori

Feliks the Phoenix

Dimonios_

Russia_love

mary_manga01

Pochaka o Gozli

Le vostre parole mi hanno fatto aprire il cuore ancor di più alla scrittura di questa fanfiction. Vi ringrazio di cuore J.

 

Chi l’ha portata tra le Preferite:

Davos

Feliks the Phoenix

mary_manga01

Nhikaoru

Rosa Verde_Blu

_Dreamer97

 

Chi nelle ricordate

Davos

 

E chi nelle seguite

anaFuZy14

Briciole_di_Biscotto

Dimonios

Davos

Fay_Fay

Girasole98

Imetta

LaRagazzaAsociale16

LB Shadow

mary_manga01

Moonflower95

 

 

E tutti coloro che hanno letto in silenzio.

 

Senza di voi tutto questo non sarebbe stato possibile. Spero di rivederci in un’altra avventura, forse lasciando finalmente in pace Lituania e Polonia XD.

Un abbraccio e questa volta con un bel ‘Storia Completa’, e un Buon Natale a tutti voi!

L0g1

 

 

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: L0g1c1ta