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Autore: Angie96    24/12/2017    0 recensioni
Seconda classificata e premio "Non sono cattivo, è così che mi disegnano" al contest “Cuore d’Ombra” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp.
[Webcomic!Spoilers]
L'ascesa verso l'oblio, ogni passo che ha portato Garou a diventare il cacciatore d'eroi, fino alla conclusione che, più o meno, conosciamo tutti.
Dalla prima shot:
"Si sentì scuotere ancora più forte, tanto da costringerlo a girarsi verso la fastidiosa presenza accanto a lui
«Vuoi essere mio amico?»
Una richiesta accompagnata da un sorriso raggiante, che lo fece rimanere immobile, con gli occhi spalancati dallo stupore, perché era una cosa che nessuno gli aveva mai detto: la sua maschera d'indifferenza si stava spezzando nel momento in cui ogni fibra del suo corpo, a parte la propria voce, stava gridando “Sì!”.
Così tanto che, quando annuì in modo affermativo con una timidezza che non aveva mai saputo di avere, gli occhioni scuri del bambino accanto a lui si erano illuminati dalla gioia
«Sono così felice, sei il primo amico che riesco ad avere a scuola! Come ti chiami? Io sono Taichi, ma se vuoi puoi chiamarmi Tacchan!»"
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bang/Silver Fang, Garou, Saitama
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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2 – Playing heroes
L'autunno, con la messa in onda dell'anime di Justice Man, all'inizio, aveva portato qualche cambiamento ai suoi rapporti con gli altri bambini: se all'inizio erano solo lui e Tacchan a passare i pomeriggi insieme a giocare, quando il supereroe che il suo amico amava tanto aveva cominciato a raccontare le sue avventure ogni domenica mattina, il loro gruppo aveva cominciato ad espandersi.
Prima cinque persone, poi solo i maschi, tutta la classe e, infine, buona parte della scuola aveva cominciato a rispettare Tacchan, a voler giocare con lui: ironicamente, quello che solo un mese prima era bollato come uno dei bambini "strani", era diventato così popolare da essere conosciuto anche tra i senpai.
E giocare agli eroi era diventata la routine: Garou, insieme ad altri due bambini, facevano gli aiutanti, Tacchan era Justice Man mentre un povero malcapitato scelto dal piccolo eroe doveva fare il mostro.
Le vittime erano sempre bambini piuttosto tranquilli ed emarginati, che fossero più piccoli, coetanei e più grandi non importava: erano sempre i più deboli a dover fare il "cattivo di turno", all'inizio magari beccandosi solo uno spintone e basta, neanche tanto forte.
Ecco, era quello il problema: nessuno reagiva. Non importava quanto fosse fastidioso, nessuno osava opporsi a Tacchan tanto che, a lungo andare, quelle "innocenti" spinte erano diventate calci, pugni e schiaffi, anche abbastanza forti; capitava che le povere vittime scappassero via piangendo, sotto lo sguardo dell'eroe che guardava la scena con lo sguardo trionfante
«Perché lo hai fatto?»
Garou lo trovava ingiusto: perché gli altri erano arrivati a far venire un'epistassi a un bambino del terzo anno con un calcio senza alcun motivo? Credeva che quello fosse un gioco, non una rissa ai danni del più debole: stava cominciando a dargli fastidio vedere quello scenario.
«Eh? Perché lo chiedi? Ho solo dato al mostro la lezione che si meritava!»
Tacchan sembrava convinto di quello che diceva, per lui sembrava tutto un gioco.
«Perché è pericoloso, gli hai fatto male!»
Degli sguardi delusi puntati addosso e Tacchan, davanti a loro, a pronunciare una sola frase
«Non sei divertente, Garou»
 
I suoi tentativi di far smettere Tacchan lo avevano trasformato in una delle vittime: ogni volta che se ne presentava l'occasione, Tacchan trovava il modo per farlo giocare a quello stupido gioco, finendo per essere pestato in ogni caso. L'eroe era quello che aveva sempre ragione e non importava quanto fossero discutibili o scorrette le sue azioni, la massa lo avrebbe sempre accettato ed acclamato.
E Garou sapeva che Tacchan non aveva nulla di eroico, per quello, quella stessa mattina, aveva deciso di scontrarsi con lui: sperava in tutti i modi che, così facendo lo avrebbe lasciato in pace, non gli importava se sarebbe stato odiato dai suoi due leccapiedi e da tutta la classe, non ce la faceva più a subire.
Ed era finita malissimo: tutta la classe si era messa contro di lui, mentre Tacchan se la dava a gambe, e lui si era reso conto che la maestra non aveva avuto alcun interesse ad ascoltare la sua versione, finendo per fargli chiedere scusa e chiamando i suoi genitori.
E quello che era peggio, fuori da scuola si era beccato tante di quelle botte che se Tacchan non fosse stato così lento a correre, probabilmente sarebbe ancora lì a "pagare" per quello che aveva fatto.
Quando si era fermato ai piedi di quella scalinata, si era finalmente accorto di quanto gli facessero male tutti quei lividi, di quanto, effettivamente, quel ginocchio sporco di sangue fosse la prova di quanto Tacchan fosse spaventoso.
Se quello è un eroe, allora non voglio diventare come lui!
Tremando, non faceva altro che guardarsi intorno con le lacrime agli occhi: non voleva più andare a scuola, e non aveva neanche voglia di sentirsi rimproverare dai suoi genitori quando lui era solo la vittima.
Voleva solo scappare.
Rimase con il viso premuto sulle ginocchia per cercare di smettere di singhiozzare: in quella via, nonostante fosse ancora pomeriggio, non passava nessuno.
Perché nessun passante si era fermato a chiedergli come stava, com'era successo con le altre volte al parco.
Quel posto era così tranquillo da risultare quasi inquietante tanto che, quando cominciò a sentire un rumore di passi avvicinarsi verso di lui, si raggomitolò ancora di più su se stesso, sperando che chiunque fosse lì si allontanasse il prima possibile
«Oh!»
Non ho voglia di essere consolato
«Ehi, piccolo»
La voce e i passi non facevano altro che avvicinarsi, insieme ad una voce abbastanza roca dal tono gentile.
Alzò il viso per qualche secondo, prima di tornare alla posizione di prima: davanti a lui, con un'espressione a metà tra il sorpreso e il preoccupato, c'era un signore anziano con dei folti baffi che lo stava fissando con un sacchetto per la spesa in mano.
Lo sentì borbottare qualcosa su un bambino spaventato a bassa voce, prima di sentirlo parlare di nuovo
«Non aver paura, non ho intenzione di farti del male»
Non rispose, alzando la testa di nuovo verso la persona che si era accucciata alla sua altezza
«uhm... non va bene: sei pieno di lividi e ferite, se i tuoi genitori ti vedessero conciato così sarebbe un bel problema»
Non era come le altre persone, non stava facendo finta: per qualche strano motivo, quel vecchio era sinceramente preoccupato per lui.
Lo vide alzarsi e riprendere il sacchetto della spesa, facendo cenno di seguirlo
«Può sembrare lunga all'infinito, ma sono solo mille gradini!» lo sentì dire ridacchiando: Garou, in tutta risposta, strinse le bretelle dello zaino e deglutì.
«Non riuscirò mai ad arrivare in cima» disse, a bassa voce.
Erano mille scalini, avrebbe fatto meglio a trovare una scusa per svignarsela e tornare a casa, magari cercando di pensare a che scusa usare con i suoi genitori sia per le ferite che per le bugie che la maestra aveva raccontato a loro.
Sì, avrebbe fatto così.
«Beh, se non ci provi non puoi esserne sicuro. E poi, se ci riesce un vecchio come il sottoscritto, non credo ci saranno problemi per un giovanotto come te»
Gli mise una mano tra i capelli, arruffandoglieli in un modo che gli diede abbastanza fastidioso, facendo per incamminarsi a passo lento senza guardarsi indietro, quasi come se fosse sicuro che l'avrebbe seguito.
Ormai era evidente che era stato incastrato, ed aveva anche un ottimo udito, se era riuscito a sentirlo prima.
«Ah, scusa se non te l'ho chiesto prima, ma qual è il tuo nome?»
Sentì ancora una volta quella voce parlargli, questa volta con lo stesso tono di qualcuno che si era appena ricordato di fare una commissione importante.
Esitò per qualche secondo, prima di pronunciare solo «Garou» sottovoce, mentre saliva le scale abbastanza velocemente da arrivare accanto al vecchio che era partito prima di lui
«Io sono Bang, piacere di fare la tua conoscenza! Garou, lo vedi quell'edificio sopra di noi? Quello è il mio dojo, e sarà anche la nostra destinazione»
 
«Vado a prendere il kit di primo soccorso, tu siediti pure dove ti pare» gli era stato detto dal vecchio di nome Bang, mentre spariva in tutta fretta verso l'unica porta che aveva visto tra le quattro mura dell'enorme palestra del dojo in cui erano entrati: Garou cominciò a guardarsi intorno, camminando per la stanza con un'espressione visibilmente curiosa, cercando di capire come mai non ci fosse alcun materiale o qualsiasi cosa utile a quella sorta di "sport" perché, effettivamente, gli era capitato di vedere gente in grado di distruggere tavole di pietra con le mani o con i piedi, e i combattimenti erano belli da vedere nonostante non fosse stato realmente mai interessato ad imparare.
«Adesso è spoglio perché oggi non ci sono gli allenamenti, ma di solito è un posto parecchio affollato»
Il vecchio si era avvicinato a lui con un kit di primo soccorso in mano, invitandolo a sedersi mentre prendeva il disinfettante e un po' di cotone, cominciando a metterlo a contatto con una ferita sul ginocchio sinistro; bruciava così tanto da fargli quasi lacrimare gli occhi e la cura con cui lo stava medicando era tale da sembrare che avesse tanta esperienza con quel tipo di ferite
«Quanti allievi hai?» chiese, mentre vedeva Bang applicargli l'ennesimo cerotto, questa volta all'altezza della fronte.
«Non saprei, non li ho mai contati, ma credo siano più di duecento in tutto» fu la risposta del vecchio, che aveva parlato con un tono pensieroso e con una calma che lo aveva fermato dall'urlare "così tanti?", lasciandolo infine con un'espressione tra il sorpreso e il perplesso «A giudicare dalla tua espressione non sembri credermi, e questo non va bene» lo vide continuare, mentre applicava una benda all'altezza del ginocchio che aveva disinfettato per primo «Con questa abbiamo finito. Vuoi vedere qualcosa di bello?»
Garou cominciò a guardare Bang con interesse, mentre lo vedeva mettersi in posizione: in un attimo, lo vide fare un movimento preciso con le braccia e le mani, così veloce che gli sembrò di vedere dei fasci muoversi insieme ad esse, quasi fosse acqua. Rimase quasi incantato a guardarlo, perché oltre ad esprimere calma, dava l'impressione di essere una tecnica estremamente letale, un flusso d'acqua corrente in grado di rompere qualsiasi cosa
«Questo era il Flowing Water Rock Smashing Fist, una tecnica che ho inventato e migliorato io stesso: pare che sia una tecnica difficile da imparare, dal momento che non c'è stato allievo che sia stato in grado di eseguirla correttamente, ma almeno se vuoi avere nuovi iscritti funziona»
Lo guardò rapito, vedendolo ridacchiare mentre parlava: il nome di quella tecnica era famosissimo, si diceva che colui che l'aveva inventata fosse il maestro d'arti marziali più forte al mondo e che, nonostante avesse centinaia di allievi, la maggior parte finiva per mollare per via degli allenamenti duri.
Quel vecchio era una sorta di leggenda in quel panorama.
«Pare che io sia riuscito ad ottenere l'effetto desiderato anche con te. Se vuoi, la prossima volta puoi tornare con i tuoi genitori: per i bambini sotto i dieci anni c'è uno sconto del 30% su tutte le lezioni»
Ancora incantato da quello che aveva visto in precedenza, l'unica cosa che era riuscito a dire fu un «Va bene» quasi sottovoce, prima d'incamminarsi verso l'uscita di quell'enorme stanza.
 
Spero di rivederti ancora!
Le parole di quel vecchio, per quanto fossero state solo un saluto, gli erano rimaste impresse nella mente per tutto il tempo, insieme a quella tecnica che aveva finito per provare ad imitare per strada mentre correva verso casa: di solito le povere vittime erano dei pali della luce o qualche povero albero che, per propria sfortuna, si erano trovati sulla sua strada, mentre immaginava di farli cadere solo con la forza delle proprie mani.
Quando varcò la soglia di casa, nonostante si aspettasse una strigliata da parte dei propri genitori, la prima cosa che ricevette fu un abbraccio commosso dalla madre e un sorriso sollevato del padre, dopo aver scoperto di essere tornato alle otto di sera e di averli fatti preoccupare così tanto da averlo quasi dato per disperso.
Nei giorni seguenti, Garou riuscì a convincere i suoi genitori a iscriverlo in quel dojo in periferia dove quel vecchio strambo gli aveva mostrato quella tecnica tanto affascinante quanto letale
«Oh, bentornato!»
   
 
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