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Autore: Nadja_Villain    25/12/2017    1 recensioni
Astrid non è un'eroina e non si aspetta che gli altri la acclamino come tale. Dopo la sua cattura, si troverà a scegliere tra due prigionie differenti: una gabbia in vibranio in fondo all'oceano o unirsi agli Avengers, sotto contratto vincolante. Una sola potrà costituire un'occasione per riscattarsi. Tra i battibecchi col Capitano e le esortazioni ambigue di Tony Stark, dovrà fare i conti con la minaccia di un sadico Dio degli Inganni, una coscienza ipercritica e le falle di un'infanzia dissacrata.
▸ Ambientazione e contesto:
Post battaglia di New York: Loki è fuggito senza lasciare tracce di sé. La Stark Tower si è tramutata nella dimora degli Avengers.
Post "Iron Man 3" - pre "Capitain America: The Winter Soldier"
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Neve e Cenere | MARVEL

56 . Trovare la propria strada


Una macchia fine volò dal finestrino, rotolando per qualche metro finchè non andò a schiacciarsi sotto le ruote di un camioncino che li seguiva. Steve seguì il percorso dallo specchietto retrovisore. Lanciò ad Astrid uno sguardo di rimprovero che solo la plastica rumorosa del pacchetto di patatine, che lei custodiva contro il ventre come un grosso uovo, potè coprire in quanto rumorosità. Gli aveva domandato ripetutamente se l’avesse pagato, davanti al bar della fermata di benzina, perché non era sicuro che avrebbe adottato la sua stessa politica: atteggiarsi da persone comuni e oneste anche con una taglia sulla testa, un po’ per scampare ai sospetti, un po' perché era giusto così. Lei, come di consueto ad una delle sue domande inutili, gli aveva risposto alzando gli occhi al cielo. Non era riuscito a non lasciarla andare, mentre lui faceva il pieno: la scusa del bagno era stata incontestabile. Era convinto che l’avesse fregato sotto gli occhi, ma nella mente sembrava non passasse neanche un dubbio o un ripensamento, nemmeno quando aveva abbassato il finestrino per affidare un paio occhiali alla Natura.

-Ti sembra normale?

-Che cosa?

-Lanciare cose dal finestrino.

Astrid fece spallucce. Imboccò una mano di patatine e continuò a masticare. Steve proprio non capiva come lei potesse prendere la cosa così alla leggera.

-La gente lo fa di continuo. Pacchetti di sigarette, fazzoletti, pezzi di carta, plastica…

-Bè, la gente sbaglia. Non è che se lo fanno tutti devi farlo anche tu.

Astrid poggiò la testa al finestrino proprio mentre la scritta bianca sulla sfondo azzurro del cartello “Welcome in New Jersey” piantato nel prato al bordo della strada, scivolò confusa alle loro spalle. Natasha si era separata da loro appena usciti dal centro commerciale. "Stanno cercando tre persone. Se ci separiamo sarà più difficile rintracciarci" aveva detto. Ed era svanita tra la folla con la sua infallibile tecnica di mimetizzazione. Astrid la maledisse per averla lasciata sola assieme al perfettino moralista, ora improvvisato naturalista.

-Mi sembra familiare quel cartello.

-Ci siamo già venuti. Quando è uscito il gigante dall’oceano e ha distrutto mezza cittadina sulla costa. Eravamo in New Jersey.

-Ah, giusto. Alla fine si ritorna sempre negli stessi posti.

-Spero sia solo una coincidenza.

-Lo spero anch’io. - Concordò lei, scrocchiando una patatina sotto i denti.

-Devi per forza mangiare quella roba?

-Ho fame. Tu hai mangiato? Io non mangio da stamattina, sai?

-Stai facendo briciole ovunque.

Astrid abbassò gli occhi e spolverò i pezzettini sulle gambe e sulla maglia che andarono irrimediabilmente a sovesciarsi sul tappetino. Steve trattenne il respiro.

-Pensavo che me lo dicessi perché il cibo spazzatura fa male, non perché sporco una macchina che hai rubato.

-L’ho presa in prestito.

-La riporterai indietro davvero? Credevo l’avresti abbandonata in un fossato.

-Lasceremo l'indirizzo al proprietario, così potrà ritrovarla.

-Sei proprio un perfettino.

-Si chiama "essere onesti".

-Se fossi così onesto mi avresti denunciato a Fury quando ti sono piombata in casa con la scena del crimine spalmata addosso. – Lo rimbeccò lei, riempendosi di nuovo la bocca.

Steve non rispose. Non poteva darle torto, era stata una debolezza, benché più tardi si fosse rilevata la scelta giusta. Astrid gli sventolò il pacchetto aperto sotto il naso. Il pungente odore salato gli intasò le narici. Trattenne a fatica una smorfia di disgusto.

-Ne vuoi una?

-No. Grazie. Sono a posto.

-Potevo prendere qualcos’altro, ma non mi hai dato tempo.

-Ci eravamo esposti troppo.

-Dovresti mangiare. Anche i supersoldati devono riprendere le forze, lo sai?

-Sono a posto, come ti ho detto.

-Mi sembri un po’ pallidino.

-Come mai ti preoccupi così tanto?

-Non mi sto preoccupando “così tanto”! Ti sto solo chiedendo se hai fame, perché non mi sembri in forma.

-È strano da parte tua.

-Cosa? Preoccuparmi per gli altri è strano da parte mia?! Mi ritengo offesa! – Puntigliò lei, incrociando le braccia, in una scenetta comica. Steve sorrise impercettibilmente.

-No… nel senso che non ti ho mai vista sotto questa luce.

-Perchè, sotto quale luce mi hai sempre vista, Capitano? – Fece lei, al limite dell’ironia, con voce più seria, più provocatoria. - Sotto quella della principessina in pericolo, o sotto quella della stronza di turno che pensa solo a sé stessa?

-Cosa?! No! Nessuna delle due!

-E quale allora?

-Intendevo solo che mi sembra strano che ti preoccupi per me! Non l’hai mai fatto o non l’ho mai notato. Tutto qui.

-Bè, non farti tanti castelli mentali… E poi ho un cuore anch’io, cosa credi?

-Non lo metto in dubbio!

Astrid infilò la mano nel sacchetto e scoprì che stesse per finire.

-Comunque anche tu sei un po’ strano, ultimamente.

-Io?

-Già. Ti sto studiando da un po’.

-Mi stai studiando?

-Mh-mh! Te l’hanno mai detto che sei un interessante oggetto di studio socio-psicologico?

-Per la verità nessuno mi aveva mai chiamato “oggetto di studio socio-psicologico” fin ora. - Steve la guardò e notò che aveva la stessa espressione di chi ne sa molto di più di quanto dia a vedere, di qualcuno che ha buttato lì una frase spiccatamente intelligente e ha timidamente tirato indietro la mano. - Parli come se avessi una laurea. Avevo capito che non eri mai andata a scuola.

-Ho sempre letto tanto. Nella scuola per gli orfani c'era una biblioteca molto ampia. È l’unica cosa che rimpiango da quando me ne sono andata.

-Ti piace la psicologia?

-Un po'. Non lo so. Cioè… Conosco qualcosa per ciò che ho letto in giornate di noia, ma non ci ho mai messo la testa seriamente. Ci sono capitata dentro solo perché la mia coinquilina studiava quelle cose. Mi usava come cavia per ripetere gli argomenti d'esame.

Steve non si addentrò oltre. Si limitò soltanto a indovinare chi fosse la coinquilina in questione. Tutto quel distacco dalla sua figura per poi parlare di particolari, faceva sembrare l'immagine distante e astratta. Quasi come se non fosse così fondamentale da dover approfondire, ma nemmeno così marginale da riuscire a sorvolare l’argomento. Tutto faceva capire che non fosse importante, ma un bagliore in quegli occhi lucidi, in cerca di un ricordo che non sarebbe più tornato in vita, la tradiva pietosamente.

-Era brava. Pur di pagarsi gli studi portava avanti due lavori. Doveva diventare una dottoressa, una psicologa o una ricercatrice un giorno, qualcosa di importante. Avrei potuto farlo anch’io, ma avevo altro per la testa.

-Non è troppo tardi per iniziare.

-Non ho finito nemmeno l’High School. E dalle suore non ci torno.

-Potresti prendere un diploma serale ed iscriverti al college.

-Lo terrò presente. Sarebbe la prima cosa buona che faccio nella vita.

-La prima?

-Non ho la vocazione da salvatrice, Capitano. Dovresti averlo capito da te già un po’ di tempo fa. Non sono tagliata per questo lavoro. E poi è nella mia indole combinare guai. Non posso farci niente. Il Sistema mi sta stretto. - Fece Astrid, un po' scherzosa, mentre si sistemava il bordo dei pantaloni sotto l'ombelico. La cicatrice che si era formata cominciava a non farsi più sentire, ma l’elastico dei jeans urtava fastidiosamente le garze.

-Io non ti vedo così. Sei stata molto brava nelle ultime missioni. A parte l’ultimo incidente…

-A parte quello… - Passò qualche secondo di gelo. - Sai niente di Stark?

-So che presto tornerà a casa. Starà da Pepper per un po’.

-Ah…

Astrid deglutì un grumo di delusione più grosso di quanto pensasse. Non si era mai reputata una persona gelosa. Non sapeva nemmeno perché avrebbe dovuto esserlo. Una notte non le dava il diritto di sentirti gelosa. Eppure percepì una leggera minaccia da parte di quella donna tutta tailleur e buona educazione. La immaginò accogliere il capo di Stark sulle sue cosce magre, tra le sue braccia materne. Le labbra di cui conosceva il sapore, la consistenza e il tocco, trovare consolazione in altre più delicate, curate, dolci, posate e rassicuranti rispetto ad un paio mangiucchiate, disordinate, volgari, secche e amare per l’alcol e altri vizi.

Steve lo aveva notato subito. Aveva notato che la luminosità del volto di Astrid si era spenta all’improvviso come una lampadina rotta, per lasciare spazio ad uno sguardo grigio e freddo. Strinse il volante tra le dita, quasi per volerlo staccare e piegare sotto la rabbia insolente che non poteva che reprimere.

-Tu mi credi, vero? Mi credi ancora? Sul fatto di non averlo congelato di mia volontà. – chiese lei quasi come se gli stesse chiedendo di non tradirla almeno lui, che era l’unica persona che le era rimasta dalla sua parte, oltre a Natasha. Steve ci pensò un istante. Voltò il capo verso il viso di una bambina che si aspettava solo una risposta affermativa.

-Non ho mai smesso di crederti.

Astrid percorse i lineamenti duri e concentrati dell’uomo, per capire se fosse la verità o le stesse dicendo solo quello che voleva sentirsi dire.

-Fury mi credeva. Mi ha coperta per tutto il tempo.

-Non devi sentirti in colpa anche per questo.

-Continuo a pensare che l’abbiano ucciso perchè qualcosa non quadrava anche a lui.

-Il tizio mascherato che lo ha ferito… Hai detto di conoscerlo.

Nella testa di Astrid si mostrarono di nuovo le immagini che aveva visto nel sogno comatoso. Esse si sovrapposero al ricordo di qualche ora prima. Gli occhi di pietra, i capelli scuri davanti al viso, il braccio d’argento, la stella rossa sulla spalla… E due parole…

“Come si dice?
H e i l  H y d r a . . . ”

-È solo un’impressione. – Affermò brusca, rendendosi conto che stava sudando. Non voleva mostrarsi preoccupata, altrimenti il Capitano avrebbe iniziato a farle domande alle quali non era pronta a rispondere.

-Pensi che lui e Loki non sono collegati?

-Veramente non avevo ragionato su questo particolare…

-Ragionaci adesso. Chi è che potrebbe trarre più vantaggio dalla morte di Fury? Se Loki vuole morto qualcuno, o vuole vendicarsi o divertirsi a dar fastidio, lo fa personalmente. Manda i suoi scagnozzi ipnotizzati solo per i piccoli ruoli.

-Qualcosa mi dice che Fury era più vicino allo “SHIELD corrotto” che ad un attacco da parte di Loki, sebbene non sappiamo niente su come agisce, su cosa pensa, su cosa vuole fare…

-E gli agenti che hanno mandato per catturarti? Non è una coincidenza che sia stata mandata una squadra speciale e poi un unico soldato potenziato, visto i risultati della prima.

-Che cosa hai saputo di loro?

-So che non è stato Fury a dare l’ordine.

-Quindi avevo ragione. Volevano spodestarlo perché poteva essere di intralcio. Dici che stanno cercando di fare fuori pure me?

-Farti fuori forse no. Catturarti, metterti in una cella di isolamento, probabile.

-Torturarmi, cancellarmi la memoria, trasformarmi in un’arma vivente…

-Io non volevo essere così tragico…

-È quello che vorrebbero fare tutti quelli che non sono come noi. Possederci, impossessarsi dei nostri poteri per i loro comodi. Soffrono di un ossessivo complesso di inferiorità. Non è solo paura la loro… è desiderio di potere, di distruzione. L’ho visto negli occhi dell’uomo per cui sono entrata a far parte del progetto Avengers, l’ho visto oggi in quelli di colui che mi avrebbe trasformato in una marionetta da guerra se Loki non si fosse messo in mezzo. – e mentre lo diceva, realizzò quante parole del dio avesse riutilizzato senza farlo apposta, quanta verità si racchiudeva in esse e il pensiero le regalò un brivido rischioso.

-E in Loki cos’hai visto? Avete avuto numerosi contatti. Mi piacerebbe sapere come mai viene sempre da te.

-Perché sono la pecora nera. E perché sa che mi voglio allontanare.

-Ti vuoi allontanare?

Astrid prese un respiro profondo.

-C’è una cosa che ho detto a Stark prima che succedesse tutto. È rimasta in sospeso, non l‘ho smentita e mi è rimasta qui.

-Cosa gli hai detto?

-Che siete solo un ripiego. – Confessò lei, gonfiando il petto come per prepararsi ad un contrattacco. Eppure Steve non parlò, quasi per accettarlo, comprensivo. – Non era esattamente quello che volevo dire.

-No, immagino. Avete litigato?

-Qualcosa del genere. Ormai siete la mia famiglia, è ovvio… Ma non tutti i membri della famiglia sono destinati a rimanere tutti insieme, nello stesso luogo, giusto?

-Giusto.

-Devo trovare la mia strada. Non so cosa farò dopo tutto questo. Insomma… scopriamo chi è il tizio mascherato, cosa succede all’interno dello SHIELD e che cosa sta combinando Loki. Li troviamo, li fermiamo, noi siamo liberi e tutti sono felici e contenti. Poi che facciamo?
 
-Tu cosa vuoi fare?

-Non lo so. Forse sparire… Tu? Continuerai a stare negli Avengers?

-È il mio lavoro.

Astrid lo fissò come se da quegli zigomi potessero fuoriuscirgli tutti i pensieri che stava censurando.

-È il tuo lavoro? Tutto qua? Sei riuscito ad inventarti solo questo?

-Volevi che ti dicessi che nemmeno io mi sento al mio posto?

-Sì. Così ti avrei contraddetto, dicendo che sei nato per questo lavoro, per combattere i criminali, rischiare la vita per il pianeta, eseguire la legge, fare ramanzine, gli autografi, i video educativi per i bambini…

-Tant’è che ho tradito lo SHIELD e mi sto per infiltrare in un luogo con interdizione militare, su una macchina rubata, assieme ad una criminale perseguitata dal governo.

-Okay, forse sei un tantino nei guai anche tu, ma tu sei Steve Rogers, Capitan America. Sei la giustizia fatta persona. Se tu sei fuori dagli schemi, allora sono gli schemi ad essere sbagliati!

Sul volto di Steve si aprì un sorriso silenzioso, pieno d’orgoglio.

-Perchè quella faccia?

-Niente. Solo... Non mi aspettavo che pensassi questa cosa di me.

-Stai scoprendo tante cose di me tutte insieme… e ti piacciono tutte… Attento, potresti innamorarti! – Scherzò lei.

Steve fu preso da un attacco di tosse improvviso mentre ridacchiava.

-Potevo prendere dell’acqua… - borbottò Astrid battendogli un palmo sulla schiena. - O del bourbon… che sarebbe stato di gran lunga meglio. - aggiunse a bassa voce.

-Grazie. È passato. – fece lui battendosi un pugno sul petto.

Svoltarono in una vietta sterrata e del tutto anonima. Ben presto scoprirono che fosse per la maggior parte in salita. L’assenza di cartelli fece capire a Steve che erano sulla strada giusta.

-Siamo quasi arrivati.

-Come fai a saperlo?

-Le basi militari sono installate solitamente lontano dai centri abitati e la via per arrivarci è lunga, tortuosa e senza indicazioni, così da scoraggiare i curiosi. Se è come credo, fra poco conoscerai la base in cui mi hanno addestrato.

E infatti, molti metri più tardi, Steve frenò di fronte ad un cartello che sembrava parecchio usurato dal tempo, ma ostinatamente minaccioso:

“LIMITE INVALICABILE
ZONA MILITARE
VIGILANZA ARMATA”

Astrid guardò Steve con un paio di occhi atterriti.

-Tranquilla, non ci spareranno. – assicurò Steve, facendo ripartire la macchina. - A meno che non farai briciole sul tappeto d’ingresso.

-Mi fai venire voglia di rovesciarti il sacchetto in testa. Ti chiamerò "Capitan Patatine".

Steve scosse la testa, ma non riuscì ad evitare di sorridere all’immagine buffa. Come le venivano certe idee? E come se non bastasse, percepiva lo sguardo attento di Astrid pesare sulla sua figura, come se lo stesse studiando, ancora.

-E adesso cosa c'è?

-Hai un bel sorriso, Capitano. Dovresti indossarlo più spesso. E levarti quell’aria arrogante da so-tutto-mì incazzato.

Steve non poteva tenere la testa voltata a lungo perché doveva assicurarsi che non capottassero nel fossato, ma si sarebbe volentieri lasciato scivolare nel tepore di quelle iridi ambrate, illuminatesi all’improvviso, invase da quel sorriso pieno che stava lì solo per lui, stampato su un viso che mai più avrebbe voluto rivedere imbrattato di sangue o solcato dalle lacrime. Pensò che nonostante tutto ciò che avrebbero trovato dentro quella base, nonostante tutto ciò che avrebbero scoperto, nonostante tutto ciò che era successo e che sarebbe accaduto di conseguenza, avrebbe fatto di tutto perché anche lei indossasse più spesso quella luce che lo riempiva di speranza, che gli donava un posto in quel tempo che non era suo, che dava un senso all’aver lasciato la sua vita, il suo mondo e il futuro che aveva immaginato congelati in un blocco di ghiaccio, senza poter dire loro addio. Ora tutto aveva un significato.

   
 
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