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Autore: Nadja_Villain    04/12/2017    0 recensioni
Astrid non è un'eroina e non si aspetta che gli altri la acclamino come tale. Dopo la sua cattura, si troverà a scegliere tra due prigionie differenti: una gabbia in vibranio in fondo all'oceano o unirsi agli Avengers, sotto contratto vincolante. Una sola potrà costituire un'occasione per riscattarsi. Tra i battibecchi col Capitano e le esortazioni ambigue di Tony Stark, dovrà fare i conti con la minaccia di un sadico Dio degli Inganni, una coscienza ipercritica e le falle di un'infanzia dissacrata.
▸ Ambientazione e contesto:
Post battaglia di New York: Loki è fuggito senza lasciare tracce di sé. La Stark Tower si è tramutata nella dimora degli Avengers.
Post "Iron Man 3" - pre "Capitain America: The Winter Soldier"
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nave e Cenere | Marvel

25 . Tattiche di fuga

 

Si mossero con cautela nell'ospedale. Astrid riuscì a passare inosservata, mimetizzandosi dietro una famiglia, tra una coppia di fratelli adolescenti che camminavano tutti imbronciati dietro i propri genitori. Una volta dentro, il Capitano salì verso il primo piano. Astrid gli andò dietro a passo meno spedito, fingendo di non essere assieme a lui e accertandosi ad ogni metro che nessuno li stesse osservando.

-Smettila di guardarti attorno in questo modo. Attirerai l'attenzione. - la rimproverò lui, a bassa voce, tirandola in un angolo nascosto.

-È pieno di soldati.

-Li ho visti anch'io.

Steve si affacciò al muro. Il corridoio brulicava di agenti dello SHIELD armati e imbracati. Molti circondavano la sala in cui Fury doveva essere stato portato d'urgenza.

-Lo stanno operando là dentro.

-Dobbiamo pensare alle tue ferite. Vieni.

Steve seguì un medico che si dirigeva verso l'ala speculare.

-Scusi?

L'uomo si voltò accigliato, continuando per il suo tragitto. Sembrava aver fretta.

-Sì? Ha bisogno?

-Lei è un chirurgo?

-Sì, sono un chirurgo...

Steve lo acchiappò violentemente da un braccio e lo spinse in una camera che si scoprì fosse un ambulatorio di scarsi metri quadri con un lettino, una scrivania, una libreria, alcuni poster di anatomia appesi agli spazi vuoti dei muri bianchi assieme a una moltitudine di disegni infantili, qualche attrezzo vario piazzato agli angoli, una pianta, uno scaffale con cassetti e ante di vetro da cui si poteva intravedere faldoni e libri vari.

-Ma... Ma cosa fa? Come si permette?! Mi lasci subito! - si ribellò l'uomo, che non sapeva ancora con chi aveva a che fare.

-Chiudi la porta. - ordinò Steve ad Astrid, ignorando completamente il balbettio indignato del dottore.

-Ma cosa fate? Cosa volete fare? Questo è sequestro di persona! Potrei denunciarvi!

-Lo faccia pure, ma prima deve ricucire il ventre della ragazza.

-Io non faccio proprio niente! Ora chiamo la sicurezza! - Si impuntò l'illustre chirurgo. Fece per prendere la porta, ma Astrid gli bloccò il passaggio con la sua persona, braccia conserte, sguardo severo.

Steve lo prese dal camice e lo appese alla porta per intimidirlo, alzandolo di venti centimetri da terra.

-Non amo ripetermi. Quindi vede di fare ciò che le dico. Adesso. - Lo rimise a terra solo quando lo vide spiantato.

-Mi serve un filo da sutura, un ago sterile e un anestetico locale...

-Li abbiamo. - Fece Astrid che nel frattempo aveva rovesciato mezzo scaffale. Agitò in aria le confezioni sigillate.

-Dove stanno gli anestetici?! - ruggì Steve.

-Potrei andare a recuperarli...

-Niente anestetici! - decretò Astrid affogando tra le trame della maglietta. La felpa che si era appena sporcata all'interno, la ripiegò velocemente e la appese alla sedia, la canottiera zuppa la appallottolò sulla scrivania. Rimase con la pancia e i solchi nella pelle incrostata e umida completamente scoperti.

-Buon dio! Come ti sei procurata quei tagli?! - Sbottò il dottore.

-Come "niente anestetici"? - domandò uno Steve avvampato, indeciso su dove guardare. Decise che il pavimento fosse meno rischioso.

-Devo rimanere vigile.

-Sei sicura?

-Sicura. - accertò lei. Guardò il chirurgo annichilito sotto l'imposizione del Capitano. - Allora, mi rattoppa?

-Sis-sisì... - Biascicò quello, sollevato di potersi allontanare dal muro di muscoli che lo schiacciava alla porta.

-Torno quando avrete finito. - informò Steve. Poi, non contento, rivolse all'uomo un'ultima fulminata e con voce intimidatoria, lo avvertì. - Non faccia l'errore di sottovalutarla. Ha ucciso dieci soldati speciali in meno di un'ora questa notte. A mani nude.

***

L'ago bucò per l'ultima volta la carne. Lo spago frizionò nel foro microscopico. La forbice tagliò l'eccesso. Astrid cercava di distrarsi, pensando a qualsiasi altra cosa che non fossero le mani del dottore, che non riusciva a vedere, ma che sentiva mentre facevano piccoli, ma precisi movimenti per assemblarle le viscere. In particolare, un borbottio aldilà della porta attirò la sua attenzione. Affinò l'udito e catturò un timbro femminile. Forse un'infermiera nei paraggi stava cercando il dottor "L. Devis", com'era scritto sul cartellino appuntato al taschino del camice verde. Si chiese per la decima volta se avesse chiuso a chiave la porta. In realtà, su quel lettino da cui aveva paura di cadere e da cui non vedeva l'ora di scendere, perché la sua mente ostinata la proiettava continuamente in un altro luogo e lei stava letteralmente lottando contro l'impulso di prendere per il collo quel poveruomo e distruggere l'intero ambulatorio. Ancora riusciva a sentire le vene sfrigolare come se il sangue si fosse trasformato in acido.

-Ho finito. - Disse il dottore, pulendosi le mani su una salvietta.

Astrid potè riaprire gli occhi e smettere di mordersi le labbra. Si toccò la pancia con le mani e la trovò rugosa e frastagliata. La sutura era completa e decisamente fatta meglio di quella precedente. Alzò la schiena faticando.

-Cerchi di non fare movimenti bruschi, altrimenti i punti salteranno di nuovo. L'ideale sarebbe un mesetto di riposo completo.

Astrid rise. Diete una pacca sulla spalla al dottore, al quale dopodichè, si tenne per scendere dal lettino.

-Continui a ripeterlo ai suoi pazienti.

-Ho capito chi è lei. È una di quegli esseri che c'entrano con il disastro di New York!

-È informato, dottor Davis. Mi dica, questa brillante intuizione le è venuta prima o dopo che il mio amico la appendesse alla porta come fosse uno di quei quadretti inquietanti? O ci ha meditato durante il tempo in cui trafficava sulle ferite che avrebbero dovuto dissanguarmi? - Lo pungolò Astrid, mentre pensava dove potesse trovare dei vestiti puliti.

-Durante. Penso... - Fece l'altro ignorando il motivo per cui stesse alla presa in giro. - Quell'uomo che stanno operando in sala, è dei vostri? Cosa gli è successo?

Astrid sospirò spazientita. Gli piaceva di più mentre faceva andare le mani e annodava la lingua. Per non parlare del fatto che ultimamente non sopportava gli uomini in camice.

-C'è un assassino a piede libero. Niente di cui deve preoccuparsi. Infondo non è all'ordine del giorno? - Gli fece un sorriso falso mentre tirava su la zip della felpa. - Stia tranquillo. Ci pensiamo noi.

-Lei è dei buoni, quindi?

-Emh... Certo. Siamo i buoni.

-Ah, bene.

-Sì... bene. - Astrid sperò che la finisse lì, ma la mente dell'uomo fu scosso da un atroce dubbio.

-Ma se lei è dei buoni, perché il suo amico ha detto che lei ha ucciso...

Un colpo secco in testa lo stese a terra e lo zittì temporaneamente. Nello stesso momento la porta si scontrandosi contro la schiena di Astrid: no, non l'aveva chiusa a chiave. Astrid si voltò e inquadrò una chioma fiammeggiante. Natasha guardò l'uomo a terra, la lampada da scrivania col fusto che ciondolava all'ingiù, rotto durante una botta violenta, in mano alla ragazza.

-Nat! - Astrid rimise l'arma contundente al suo posto, cercando di farla stare in piedi, ma dopo la terza volta che ricadde su sé stessa, la lasciò sdraiata. Finse disinvoltura. - Dov'è il Capitano?

-È stato trattenuto.

-Ah. E Fury? Come sta?

Natasha si morse la lingua. Fissò il volto ingenuo di Astrid che non sapeva nulla.

-Non... non ce l'ha fatta. - enunciò con gli occhi lucidi.

-Ah...

-Devi cambiarti. - fece bruscamente Natasha, deviando l'argomento. Entrò nella stanza, chiuse la porta alle sue spalle. - Non puoi andare in giro ricoperta di sangue. Mettiti questi. - Le porse una breve pila di indumenti ben piegati. E un paio di scarpe. - Spero siano della tua taglia.

-Dove li hai presi?

-Non chiedere. Non vorresti saperlo.

Astrid fece come le aveva consigliato, poiché stava cominciando a temere che chiunque avesse indossato per l'ultima volta quei vestiti, non fosse più in grado di rivendicarli. Si cambiò in fretta e si rese conto che il vecchio proprietario non aveva avuto poi dei gusti così spiacevoli. Avrebbe perdonato la taglia extralarge della maglia solo per la vistosa stampa del dragone argentato sul davanti. Le mancava giusto una catena al collo, il pizzetto, un po' di mosse da rapper...

-Sembro un gangster del ghetto. - Commentò la ragazza tra il deluso e il divertito, mentre si specchiava nella vetrina dello scaffale. Peccato fosse ancora riconoscibile.

-Ah, anche questi. - Natasha le aveva lanciato una cuffia di lana e un paio di enormi e tondi occhiali da vista. Astrid li guardò da un'angolazione all'altra inorridita.

-Io questi non li metto.

-Ogni soldato dello SHIELD ha la tua faccia come sfondo del proprio palmare. Se non vuoi che ti catturino prima di rimettere piede fuori da qui, ti tocca mascherarti. Avete già rischiato grosso a venire qui. - Ribattè Natasha grave, mentre spiava le strade dalla finestra.

-Gliel'ho detto anch'io che era un'idea stupida. Ma lui ha insistito a farmi medicare.

-Dovresti ringraziarlo... - La voce di Natasha si seccò, alla fine della frase, in uno sforzo: si era piegata sul corpo dell'uomo svenuto e lo rialzò da terra afferrandolo dalle braccia. - Aiutami con lui.

Astrid lo prese dalle gambe e riuscirono a farlo sedere dietro la scrivania. Il collo molle, sembrava stesse schiacciando un pisolino.

-Gli hai dato una bella botta, eh?

-Si stava prendendo troppe confidenze.

Rimaserò lì ad osservare il dottore svenuto, pendente su sé stesso in equilibrio precario. Dopo qualche secondo buono in cui si trovarono senza saper cosa farne di lui, Natasha si mise una mano nella tasca.

-Ti va una gomma?

L'altra accettò l'offerta, perché nel suo immaginario, con un chewingum in bocca sarebbe entrata meglio nella parte del gangster. Riprese il berretto e se lo schiacciò sul capo, infilò dentro i capelli e si mise gli occhiali che per sua sorpresa erano montati con delle lenti finte.

-Come sto? - Chiese, non troppo speranzosa.

-Sembri un ragazzo.

Astrid fece una smorfia amareggiata.

-Sei carino! - Esclamò Natasha, rimediando simpaticamente alla gaffe facendole un buffetto sul naso.

-Lasciamo perdere... Allora, qual è il piano? - Domandò Astrid, ma Natasha era già guizzata via: aveva messo il naso fuori dall'ambulatorio e si era incamminata nel corridoio. Astrid la rincorse e la vide dirigersi verso il Capitano, il quale si era fermato davanti al distributore automatico e guardava dubbioso il suo riflesso nel vetro. Quando Natasha le apparve alle spalle, la trascinò di peso nel gabbiotto degli infermieri. Astrid pensò che fosse impazzito. Ebbe l'impulso di correre verso di loro, ma si frenò per non dare nell'occhio. Si fece il corridoio passeggiando, anche perchè la gamba non era del tutto guarita. Quando entrò nella stanza, Natasha era con la schiena al muro, il volto crucciato del Capitano tanto vicino al suo, ma entrambi non parevano affatto rilassati. La guardarono colpevoli, quasi stessero parlando di qualcosa di grave e segreto. Steve cacciò le mani dalla russa quasi con rabbia.

-Il piano, Rogers? - lo riprese Natasha.

-Qual è il posto più affollato in cui possiamo usare un computer e una connessione a Internet senza essere localizzati? - domandò l'altro, ragionando rapidamente.

-L'intercettazione è inevitabile, ma possiamo raggirarla. Ci serve una rete pubblica per disperdere facilmente il segnale.

-Il centro commerciale. - trovò Astrid. - È affollato e ci sono i negozi di elettronica e la WI-FI libera.

-Bene, muoviamoci.

***

-La prima regola di quando si scappa è non correre, ma camminare. - Informò la spia russa sottovoce. Camminavano tutti e tre in riga. Nonostante gli abiti anonimi nessuno dei tre si sentiva completamente mimetizzato all'ambiente.

-Com'è ironico... - borbottò Astrid che stava cercando di non ondeggiare troppo l'andatura da zoppa.

-Se corressi con queste scarpe me le perderei. - commentò Steve.

-Se corressi, con questa gamba me la perderei assieme all'apparato digerente. - rettificò Astrid pungente, alle sue spalle. Steve le lanciò un'occhiata seria. - Che c'è?

-Resta seduta qui. - le ordinò lui, davanti all'entrata dello store di elettronica: c'era un divanetto rosso che percorreva il plexiglass della vetrina.

-Ancora non hai imparato, eh, Cap? - lo schernì lei, che nel sedersi provò un piacevole sollievo in tutto il corpo.

-Abbassa la voce. E controlla se arriva qualcuno di losco.

-Sissignore.

Natasha si mise a smanettare davanti ad un pc portatile sul banco di prova, Steve a fianco che continuava a lanciare occhiate alla ragazza seduta dietro a un gruppetto di bambini chiassosi, tutti ammassati davanti al modello di un telefono di ultima generazione in esposizione.

-Sei tu che le hai dato quei vestiti? - sussurrò Steve a Natasha.

-Sì... Perché?

-Potevi trovarle qualcosa di meglio.

-La preferivi in mutande?

-Era in reggiseno, non in mutande. - la corresse puntigliosamente lui, evitando di rispondere.

-È uguale. Tanto tu ti imbarazzeresti anche con una caviglia.

-Non ha pudore.

-Sì, be', è un valore che si è piuttosto assottigliato nell'ultimo periodo.

-Si è denudata davanti a due uomini come se niente fosse!

-Un sacco di ragazze al giorno d'oggi si denudano davanti agli uomini senza vergognarsi. Alcune si fanno persino filmare...

-È increscioso.

-Rilassati. Stai facendo troppo rumore per nulla. Lei non si è nemmeno accorta di aver creato tutto questo scompiglio di emozioni dentro di te.

-Scompiglio di emozioni?

-Sì, sì... Continua a fare finta di niente. Io non me la bevo, Rogers. Le ho notate certe occhiate, certi comportamenti... All'inizio pensavo che fosse solo la premura del Capitano verso il membro più fragile, invece ti sei preso una bella cotta!

Steve alzò gli occhi verso la figura della ragazza che se ne stava con gli occhi aggrappati a chissà quale pensiero. Quando lei si accorse di essere fissata, non sviò lo sguardo, ma anzi, lo mantenne caparbiamente. E anche quelle poche ombre che passavano tra di loro non riuscirono a tagliare il filo che li unì per un istante breve, ma permanente come una fotografia. Solo un pensiero riuscì ad infiltrarsi in quel fulmineo legame. Fu spazzato via da un palpito oscuro e Astrid venne portata via dai soldati, in un momento di guarda abbassata, era di nuovo immobile su quel divano, fredda come il ghiaccio, aveva gli occhi blu della prigionia di un artefatto alieno. Steve esortò Natasha a sbrigarsi. Proprio in quel momento si accostò un capellone biondo dalla faccia rubiconda.

Astrid spiava la coppia da lontano, alternando l'attenzione alla massa di gente che affluiva nell'androne ampio, tappezzato di lucine natalizie, pupazzi colorati e sorridenti, campanelli e canzoncine allegre. Si voltò quando Natasha finse una risata e la vide mettere in atto una scenetta di copertura, mentre il Capitano forzava un sorriso, spingendo gli occhiali fasulli sulla gobba del naso. Si ricordò di averne un paio anche lei e che dovesse sembrare un'idiota conciata in quella maniera. Si ricordò della sua tuta, dei suoi pugnali, dei suoi poteri. Le venne un'irrefrenabile bisogno di fondere o bruciare qualcosa. Si guardò attorno, assicurandosi che nessuno potesse incuriosirsi, si aggrappò alla gamba del tavolo davanti a sé e la strinse con tutta la forza che aveva, concentrandosi sul pensiero più caldo e rabbioso che le veniva in mente. Ma prima di poter contemplare la forma delle sue dita sul metallo, Steve la fece alzare con un "andiamo" irrevocabile dei suoi.

-Ora che facciamo? - Domandò mentre annaspava, cercando di stare al passo nervoso degli altri due.

-Prendiamo in prestito una macchina.

-Per andare dove?

-Lo vedrai. - Rispose Steve, ovviando al rischio che qualche microfono registrasse le loro voci.

-Dovremo dividerci. - Constatò Natasha. - Siamo facilmente individuabili tutti e tre insieme. Qualcuno potrebbe averci già puntato.

-Non so se ci hanno puntato, ma di certo ci stanno cercando. Ne abbiamo due dietro, due ai lati, due diretti verso di noi.

Astrid inquadrò i due agenti in borghese, le pupille che scattavano leste da una parte all'altra studiando la zona, a caccia di volti. Girò il capo verso i banchi luminosi di una gioielleria, proprio mentre Steve portava un braccio al collo di Natasha e gli scagnozzi dello SHIELD corrotto passavano loro accanto senza calcolarli. Il Capitano si voltò discretamente per controllare che il trucco avesse funzionato. Dopodichè si diressero verso le scale mobili. Natasha mise piede per prima e scese di un gradino davanti a loro. Steve prese Astrid per mano per non perderla, perchè la fila dietro si addensava e lei sembrava piuttosto distratta, agitata.

-Tutto a posto?

Astrid annuii, ma non incrociò i suoi occhi.

-Le ferite?

-Sento un po' tirare.

-Ti fa male ancora?

-Poco.

In quel momento, la mano del Capitano si strinse. Era un segnale d'attenzione: un agente stava salendo le scale dalla parte opposta. Natasha gli voltò immediatamente le spalle. Guardò i compagni serissima.

-Svelti. Baciatevi.

-Cosa?! - Esclamarono Astrid e Steve all'unisono.

-Manifestazioni d'affetto in pubblico. Mettono la gente in imbarazzo.

La mano del Capitano si era fatta sudata, la morsa troppo serrata, ma Astrid la teneva ancora, seppur senza troppa convinzione. Si guardarono negli occhi lungamente, indecisi e terrorizzati da ciò che sarebbe potuto accadere negli attimi a venire.

-Al diavolo!

Natasha tagliò i tempi. Se avesse atteso che uno dei due facesse il primo passo, rischiava di morire di vecchiaia e false speranze. Allungò gli artigli e tirò la stampa del dragone verso di sé. Astrid dovette tenersi allo scorrimano per non capitombolare. Si ritrovò le labbra tenere e carnose della Russa tra le sue, una mano sulla nuca a premere dolcemente, invogliandola ad assaporare l'oleoso burrocacao alla ciliegia, misto allo zucchero della cicca intrappolato nelle rugosità della lingua.
Quando Natasha ruppe l'unione, i lunghi occhi verdi si allontanarono, brillando di un sottile sorriso burbesco. Il Capitano, sconvolto dalla saffica effusione scoppiata sotto il suo naso puritano senza preavviso, si era impietrito a bocca aperta. Anche ad Astrid ci volle qualche secondo per recuperare.

-Allora, Capitano... Sei imbarazzato?

   
 
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