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Autore: heartbreakerz    26/12/2017    0 recensioni
[ Magnus/Will | what-if, angst natalizio ]
A Magnus non piace tanto il Natale. Gli ricorda qual è il suo posto.
Dal testo: “Torno in serata, c’era scritto. E non era un aspettami, non era un arriverò in tempo; era solo un torno in serata, forse presto, forse tardi, forse l’indomani, ma era un “torno”, e Will manteneva sempre le sue promesse.
Solo, a volte le manteneva in ritardo.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Magnus Bane, William Herondale
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Tutti i personaggi e le ambientazioni contenuti all’interno di questa storia non mi appartengono. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e non intende infrangere il copyright dell’autore originale.


 

Il quarto, l’ultimo 

 

« All without your touch I suffocate

I could asphyxiate, but I kind of like the pain. »

Chokehold, Adam Lambert

 

Magnus aspettava.

Davanti al camino, perso ad ascoltare il crepitio del fuoco, Magnus aspettava che il tic toc, tic toc asfissiante dell’orologio si trasformasse in un lungo, profondo dong, dong, dong.

Tre colpi sarebbero bastati.

Il primo, dong, un semplice avviso.

Preparati, è quasi finita.

Il secondo, dong, un sorriso amaro.

Lui non è qui.

Il terzo, dong, l’apice del dolore.

È con loro.

Il quarto dong sarebbe scemato in silenzio, solitario, seppellito dal battito rapido del suo cuore. Zoppicava sempre, in quei momenti. Si preparava a essere sorpreso di nascosto, quell’ingenuo, e perso tra le aspettative dimenticava di prepararsi una rete di salvataggio. E poi dong: il quarto, l’ultimo rintocco.

La colonna sonora del suo cuore spezzato.

Ricordava la prima volta che l’aveva sentito, due anni prima, quando le parole il Natale si passa con le persone che ami ancora gli fischiavano alle orecchie. Ricordava la prima volta che aveva aspettato, senza sapere quanto dovesse aspettare, e le preghiere sussurrate con la voce spezzata soffocata tra i palmi delle mani. Ricordava il loro primo Natale – il primo Natale insieme, passato l’uno lontano dall’altro.

Non molto era cambiato.

Sentì il petto andargli a fuoco.

Era solo un’impressione, una semplice proiezione dei suoi inutili pensieri. Magnus lo sapeva; continuava a ripeterselo a bassa voce. Ma ogni volta che sollevava lo sguardo, le fiamme celesti del camino parevano cantare il suo nome. Come lingue di sirene, lo attiravano a loro, urlando in coro: strappati il cuore e gettalo a noi.

Magnus fece un lento passo indietro.

Si lasciò ricadere a terra, sull’antico tappeto persiano, e abbassò lo sguardo sulle sue mani. Tra di esse vi era un biglietto stropicciato. Gliel’aveva lasciato Will quella mattina, prima di scomparire nell’alba, silenzioso come un vampiro, lasciandosi dietro solo il suo profumo tra le coperte e qualche scarabocchio affrettato.

Torno in serata, c’era scritto. E non era un aspettami, non era un arriverò in tempo; era solo un torno in serata, forse presto, forse tardi, forse l’indomani, ma era un torno, e Will manteneva sempre le sue promesse.

Solo, a volte le manteneva in ritardo.

Tic toc.

La sera era arrivata silenziosa, solitaria, e Magnus aveva cominciato a contare le ore, i minuti, i secondi che mancavano alla mezzanotte. Lo faceva ogni giorno. Will arrivava dopo il tramonto, bagnato dalla luce della luna, avvolto nel mantello scuro della notte. Davanti alla porta d’ingresso, sotto il lume di una candela a olio, con i capelli spettinati e un sorriso spezzato sulle labbra, brillava di un colore proprio, luminoso e abbagliante come una stella.

Ma, proprio come una stella, appassiva durante la notte, e svaniva con i primi raggi del sole.

Magnus c’era abituato. Ma le giornate di festa erano le peggiori.

Gli ricordavano qual era il suo posto.

Tic toc. Tic toc.

Dopo un ultimo sguardo all’orologio, strappò il biglietto in due, quattro, otto pezzi, e continuò a contare fino a che le sue mani non furono piene di coriandoli macchiati, le dita tagliate dalla carta, e le sbavature delle sue lacrime non furono che un brutto ricordo.

Tic toc. Tic toc. Tic to—

La porta d’ingresso si spalancò. Magnus distolse lo sguardo dal camino e lo puntò verso la figura alle sue spalle. Ansimava, Will, come se avesse corso, e il suo viso era bagnato dal sudore. No, si corresse mentre Will si avvicinava, non dal sudore: dalla pioggia.

«Pensavo avesse smesso di piovere.»

«Scusa,» lo interruppe Will con il respiro spezzato «Cecily mi ha trattenuto.»

Dong.

«Jem?»

Dong.

«È a casa con Tessa.»

Dong.

Magnus distolse lo sguardo.

Dong.

Il quarto, l’ultimo.

Ancora una volta.

«Perdonami,» disse Will cadendo in ginocchio; ed era un perdonami se l’ho fatto ancora, un perdonami se lo farò anche domani. Magnus glielo leggeva nella voce ansante, nelle mani tremanti. Era il suo modo per dire: lo so che non mi puoi perdonare ma, ti prego, fallo lo stesso.

«Stavo pensando» mormorò Magnus «che il Natale è sopravvalutato.»

«Volevo esserci. Lo volevo davvero! Ma—.» Si passò una mano tra i riccioli bagnati e li tirò, con forza, fino a trovare le parole giuste da dire. «Tessa ha preparato il pranzo di Natale, e ha invitato i Lightworm, e poi Jem è comparso – lo sai come fa, arriva dal nulla quando riesce a scappare ai Silenti – e prima che potessi saperlo era troppo tardi, e a Cecily mancava casa, e io...» Ansimò, come colpito da una frustrata di sensi di colpa. «E io sono arrivato in ritardo.»

Magnus fece un lento, amaro sorriso. «Mi hai pensato?»

Will lo studiò un attimo prima di dire: «Ogni istante».

«Sei pessimo a mentire.»

Will non lo corresse.

E allora Magnus chiese ancora: «Mi hai pensato, Will? Quando ti sei allontanato da Tessa e Jem, quando hai lasciato Cecily. Mi hai pensato?».

«Loro sono...»

«Lo so» lo fermò Magnus. «Il tuo cuore, la tua anima, la tua debolezza. Ma io, Will? Cosa sono, io?»

«Tu sei la mia libertà.»

«Ma che loro stiano bene è più importante.» Non era una domanda. «Sei crudele, Will.»

Will distolse lo sguardo. Lo faceva spesso, in quei momenti. Accettava il dolore di Magnus come fosse il suo, con il capo chino, le spalle tese, le mani dietro la schiena. E poi diceva: «Dovrei lasciarti andare».

Lo diceva sempre.

Non lo faceva mai.

Con Magnus, Will diventava un codardo: lo torturava con crepacuori, tradimenti, litigi a tarda notte e addii di prima mattina – e poi chiedeva perdono, a bassa voce, mormorando parole che Magnus moriva dalla voglia di sentire, e che ogni volta faceva finta di dimenticare.

Non riusciva ad andarsene.

Non l’avrebbe fatto nemmeno quella volta.

«William?»

«Sì?»

«Festeggia con me.»

Will sollevò lentamente il capo. «Anche se il Natale è già passato?» E sorrise, il sorriso tremante di un bambino che cerca di sfuggire a una punizione. Era il sorriso che gli rivolgeva ogni volta, ogni anno, ogni Natale. Era il suo modo per dire: ti è passata?

A Magnus non era passata. Le sue mani tremavano per la mancanza di rassicurazioni, il suo cuore minacciava di creparsi da un secondo all’altro per la gelosia. Ma quel dolore era Will, era la sua presenza, il suo passaggio, e se soffrire era l’unico modo per averlo, avrebbe sofferto in silenzio.

«Allora non dovresti sprecare un istante di più.»

Will rise. Gettò la testa all’indietro e rise, con la voce acuta per la paura, per le lacrime trattenute, e si fece avanti, gattonando, per aggrapparsi alle spalle di Magnus e trascinarlo in un bacio affamato. «Buon giorno-dopo-Natale, Magnus.»

Non era tanto.

Il suo posto era il quarto, l’ultimo.

Ma, a differenza degli altri tre, aveva un giorno tutto suo.

   
 
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