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Autore: ejirella    27/12/2017    0 recensioni
Chiedo scusa ma non potrò più scrivere su questo sito poiché sono stata vittima di plagio. Se ci tenete a sapere come prosegue la storia seguitemi su https://www.wattpad.com/story/139876793-la-triade!! :)
Lui, il tipico figlio di papà. Nato e cresciuto negli agi, con hobbies costosi e con poco interesse nelle attività familiari.
Lei, di modeste origini. Una vita di sacrifici, sempre pronta a farsi in quattro per gli altri ed uno spiccato senso nel capire le persone.
Non possono essere più diversi, ma qualcosa li lega in modo indissolubile. Che cosa? Leggete e lo scoprirete.
Una storia appassionante e ricca di colpi di scena.
Piano piano i protagonisti si sveleranno ed imparerete a conoscerli.
Non vi rimane altro da fare, STAY TUNED!!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina Lauren si svegliò di buon'ora. Erano circa le sei.

L'ora giusta per sfogarsi in una bella corsetta. Non provò nemmeno a mandare un messaggio a Brenda affinché le facesse compagnia.

La sera prima l'amica era andata alla festa di Brownsville e di sicuro aveva fatto tardi.

Le aveva chiesto se voleva unirsi, ma lei aveva rifiutato. Ultimamente usciva solo per andare a lavoro. I suoi rapporti sociali si erano piuttosto ridotti. All'infuori dell'amica Brenda che tollerava questo suo comportamento chiuso, c'era il suo ragazzo. Se ancora poteva ancora definirlo tale.

Non lo sentiva da giorni e non lo vedeva da ancora più tempo.

Lo sapeva di essere in torto, era semplicemente sparita. Lui continuava a telefonarle e a scriverle, ma lei non rispondeva.

Voleva stare sola e non voleva dare spiegazioni.

Brenda oramai aveva imparato a conoscerla. D'altronde erano sempre state amiche sin da quando lei ne aveva memoria.

Viveva a qualche blocco di distanza da casa sua. Erano cresciute insieme sempre fianco a fianco sia nei momenti belli che in quelli brutti.

La morte del padre, l'abbandono della sorella.

Pensieri troppo dolorosi per le sei del mattino. Lauren, suo malgrado, aveva affinato una tecnica che le permetteva di chiudere in un cassetto ciò che riteneva troppo difficile da affrontare.

Buttava la chiave in un oceano di fantasia. Lo stava facendo anche in quel momento.

Chiudeva il cassetto, afferrava la chiave e la gettava lontano, molto lontano. Quella roteava per aria e si tuffava in acqua. Piano piano raggiungeva il fondo baluginando fioca. Più scendeva e più l'oscurità la inghiottiva e la luce la perdeva.

Poteva quasi udirla che tintinnava. Non a causa delle pietre sul fondo, ma per le altre numerose chiavi.

Lauren Candence possedeva molte chiavi, Lauren Candence possedeva molti cassetti.

La sua corsa prevedeva sempre il medesimo tragitto al termine della quale si ritrovava nel suo piccolo angolo di paradiso: il vecchio pontile.

Non ci aveva mai portato nessuno, era un posto intimo e personale. Lì poteva urlare, sfogarsi, piangere, ridere, essere semplicemente se stessa senza dover indossare la sua inseparabile armatura emotiva.

Su una delle travi di legno oramai marcio, erano state incise parecchi anni prima delle lettere con coltellino svizzero. Suo padre Paul un giorno l'aveva portata su quel pontile. Stava per ripartire per una delle sue missioni e sarebbe stato via per diversi mesi.

Lauren non voleva separarsene e quindi il padre voleva fare qualcosa che le ricordasse che, anche se erano lontani, lei era sempre nei suoi pensieri.

“Guarda che spettacolo!” Le aveva detto “La natura e le sue due facce che si sposano alla perfezione. La vegetazione verde e fiorente dopo un freddo inverno rinasce sopra il tumulto di acque impetuose ed impervie” Il fischiettare di uccellini in sottofondo quasi coprivano la sua voce.

“Vedi laggiù, quell'albero tutto curvo piccola?” Le chiese indicando un punto poco lontano.

La piccola Lauren si mise in punta di piedi per poter vedere meglio coprendosi il volto con la mano dai raggi solari.

Sorrise non appena vide l'albero. “Si si lo vedo!”

Il padre si accucciò vicino a lei “Ecco le radici di quell'albero sono fortissime, lo ancorano al terreno e non gli permettono di cadere in acqua. Il legame che mi unisce a te è forte come quelle radici. Nulla ci potrà mai separare”.

Poi prese il suo fedele coltellino e incise sull'asse di legno le loro iniziali PP e LL: Papà Paul (come era solito chiamarlo lei) e Little Lauren (come era solito chiamarla lui).

Il presente s'impose crudele. Il caldo di quella giornata primaverile mutò nel fresco autunno di quella mattina.

Si inginocchiò per ripassare la vecchia incisione invasa dal muschio col coltellino dal quale non si separava mai.

Non le era più necessario mettersi in punta di piedi per vedere quell'albero.

L'albero non c'era più. Suo padre non c'era più.

Il cielo era nuvoloso ed un acquazzone minacciava di allinearsi con il suo stato d'animo.

Si rimise il cappuccio del k-way prima che le lacrime del cielo si mescolassero alle sue e corse via senza voltarsi.

Tornata a casa si fece una doccia e subito dopo colazione. La madre russava nella sua stanza ed Hiro doveva essere andato a caccia perché in giro non si vedeva.

Si vestì e partì alla volta del bar. Non aveva più visto Colin Futol da quella mattina in cui aveva dato quella risposta infelice che quasi le aveva fatto rischiare il licenziamento.

Quando parcheggiò la bici, diede uno sguardo allo schermo del telefono. Un altro messaggio da parte del suo ragazzo. Non lo aprì neanche e lo infilò nella borsa con aria colpevole.

La giornata trascorse tranquilla. Soliti inconvenienti del lavoro, nulla di speciale.

Sulla strada di casa decise di aprire i messaggi che nel frattempo si erano moltiplicati.

Brenda le chiedeva come stava. Si scusava per non essersi fatta sentire, ma la sera prima si era parecchio divertita e non aveva più guardato l'ora. Lei rispose che lo aveva supposto mentre se la immaginava ballare al centro della piazza.

Poi c'era il suo presunto ragazzo che le chiedeva se le andava di conoscere un suo amico.

Poverino, si ritrovò a pensare, le stava tentando tutte pur di parlarle.

Lei gli doveva delle spiegazioni. Non tutti la potevano capire come Brenda e quindi doveva dargli la possibilità di confrontarsi.

Rispose al messaggio con un secco “Ok, per me va bene”. La sera dopo avrebbe scoperto se la sua storia sarebbe potuta andare avanti o se era il caso di chiudere per non soffrire troppo entrambi.

 

 

Colin la osservò per un po' e finalmente si decise a prendere il frammento di ossidiana nera tra le mani. Costituiva la metà di una pietra. All'esterno era completamente liscia e lucida. Lungo la linea di frattura invece era ruvida e presentava delle vivide venature color bianco antico. Passò la mano su entrambe le superfici e chiuse gli occhi per memorizzare la sensazione che gli dava al tatto.

Guardò l'orologio ed imprecò sottovoce. Si era fatto tardi, doveva uscire.

Chiuse il portatile frettolosamente e nascose la foto sotto il letto, nel caso la madre fosse venuta a ficcanasare in camera sua.

Era già fuori di casa quando si ricordò di aver lasciato la pietra sul tavolo, rientrò velocemente in camera e se la ficcò in tasca sentendo qualcuno che entrava in cucina.

“Colin rimani a cena?” Gli chiese il padre.

“No esco con degli amici. Non mi aspettare alzato!” Chiuse il portone ridendo della sua ultima frase. Al padre importava poco di lui tanto era concentrato sul suo lavoro e sulla sua posizione di sindaco. Colin fingeva che non gli interessasse, ma in cuor suo ne soffriva molto.

Quella sera doveva fare da terzo incomodo.

Il suo istruttore/amico lo aveva inchiodato in una specie di terapia di coppia. La sua ragazza nell'ultimo periodo era un po' distante e quindi lo aveva costretto ad uscire tutti insieme per vedere se riusciva a riavvicinarla.

“Ma perché diavolo ho accettato!” Si lamentò a voce alta mentre camminava lungo il marciapiede.

Colin non capiva come potesse essere d'aiuto considerato che in relazioni serie non aveva alcuna esperienza.

Decise comunque di aggregarsi per non abbandonare l'amico e soprattutto per farsi perdonare.

Si incontrarono al bar, il più frequentato della cittadina. Matt lo aveva scelto apposta, così per la sua ragazza sarebbe stato più difficile defilarsi.

Non appena Colin arrivò, Matt lo prese d'assalto in evidente stato d'agitazione.

“Amico le ho provate davvero tutte, tu sei la mia ultima speranza” cominciò a parlare senza freno. “Le ho scritto decine, che dico centinaia, di messaggi. Per non parlare delle chiamate! Ma lei nulla, nada, nisba”. Continuò sconsolato. “Allora ho cominciato a seguirla, non ne vado fiero”. Aggiunse vedendo la faccia contrariata di Colin “Pensavo ci fosse qualcun altro. Ma non mi è parso dai suoi spostamenti. E allora ho pensato, ma se non c'è nessun altro significa che semplicemente si è stufata di me?” Era un' amara conclusione che stava realizzando solo in quel momento.

“Sono io il problema vero? Lauren si è stufata di me è questa la cruda verità” Si accasciò sullo sgabello.

“Scusa hai detto La...”

“Lauren sei venuta!” Esclamò Matt entusiasta correndole incontro.

La abbracciò calorosamente. Lei non rispose al saluto con altrettanto trasporto tant'era impegnata a fissare Colin.

Lui mascherò la sorpresa bevendo un generoso sorso del suo drink che quasi gli andò di traverso.

“Bene passiamo alle presentazioni” riprese a dire Matt.

“Lauren questo è Colin, gli faccio da insegnante di tennis giù al club. Colin..”

“Futol” concluse lei.

“Beh amico allora è vero che sei conosciuto” sorrise Matt. “Lei invece è La..”

“Lauren” finì Colin.

Matt lo guardò stupito. “Che tu fossi famoso non mi stupisce, ma non pensavo lo fosse anche la mia ragazza” si domandò. Nel pronunciare l'ultima parola Matt guardò timoroso Lauren.

“Ci siamo conosciuti al club tesoro” tagliò corto lei.

“Ah giusto” rispose lui sollevato dall'essere stato chiamato tesoro.

“Bene direi di partire col secondo giro, o meglio il primo”. Si corresse Matt schiarendosi la voce. Si avvicinò al bancone per ordinare.

Colin lo guardava incuriosito. Il suo comportamento era piuttosto buffo: cercava di impressonarla in ogni modo possibile. Forse era vero che si riteneva l'unico responsabile per il loro distacco. Dai discorsi che gli aveva confidato non aveva mai ipotizzato la possibilità che la colpa potesse essere di lei. Era davvero così perfetta? Così irraggiungibile da giustificare il comportamento ridicolo di Matt?

Lui, al contrario, non si era mai posto il quesito. A dire il vero si sentiva un pò triste. Significava che non aveva mai provato un sentimento così grande. Ripensò alla scia dell'aereo.

“Quindi gli ho insegnato come fare un backspin decente” Matt stava raccontando uno dei suoi allenamenti ai bambini più piccoli. “Non credo che il piccolo Trevor se lo dimenticherà tanto facilmente. La palla ad effetto lo ha colpito in piena faccia”.

Lauren non era di molte parole, per le poche volte che l'aveva vista non riusciva a stabilire se fosse così di carattere o lo fosse soltanto quella sera.

“Sono un pò pieno” disse Matt toccandosi la pancia. “Farò un salto ai servizi igienici” Colin si mise a ridere consapevole che l'amico non era solito esprimersi in quella maniera.

Lauren guardava ovunque tranne che nella direzione di Colin, sembrava particolarmente interessata ad un porta-ombrelli al di là della sala.

Dopo qualche minuto, approfittando dell'assenza di Matt, fu proprio Colin a rompere il silenzio “E quindi sei tu la famosa Lauren, Matt mi ha fatto una testa così su di te”.

“Di te invece non mi ha parlato”. Tagliò corto lei riportando lo sguardo su di lui per un breve istante.

“Forse perché non vi siete parlati molto di recente”. Replicò diretto.

Lauren stava per ribattere quando sopraggiunse Matt, di ritorno dal bagno.

“Ora va decisamente meglio” guardò l'orologio. “Però ho paura che debba tornare a casa, domani la sveglia suona presto. Devo allenare i junior per il torneo. Ciascun genitore è convinto di aver un Nadal o una Willams in famiglia, quindi è meglio non contraddirli sulle reali possibilità dei figli” diede una gomitata d'intesa all'amico.

“Già è meglio che vada anche io”. Ragionò Colin.

“Ragazzi mi è proprio piaciuta questa serata. Dovremmo farlo più spesso”. Matt era decisamente più disteso.

Al contrario aleggiava una strana tensione tra Colin e Lauren che Matt non aveva colto tanto era contento di aver riallacciato i rapporti con la sua ragazza.

Colin si avvicinò impacciato per salutare Lauren, quando le guance si sfiorarono avverti un brivido che da quel punto si diramò in tutto il corpo. Fu singolare.

Lauren lo guardò intensamente portandosi le mani sul ciondolo che aveva al collo. Colin lo osservò per qualche istante, ma poi si separarono senza dirsi nulla.

Quando Lauren fu abbastanza lontana, Matt lo ringraziò “Ti sono debitore amico, chiedimi qualsiasi cosa sul serio. Qualsiasi. Non ti romperò più su di lei, almeno ci proverò”. Era davvero sincero. Lo si vedeva dagli occhi e dal sorriso che gli riempivano il viso.

“Matt stai di nuovo straparlando. Non ho fatto nulla veramente”. Replicò imbarazzato.

“Non dire stupidaggini, Stasera mi hai salvato!”.

Lui non sentiva di aver salvato nessuno. Anzi si sentiva colpevole per lo sguardo che si era scambiato con la ragazza del suo amico. Non che un semplice sguardo potesse significare qualcosa, in modo particolare per lui. Ma si sentiva ugualmente in torto, sporco.

Aveva un brutto carattere, lo riconosceva, ma la lealtà verso le poche persone che poteva considerare amiche era inattaccabile.

Si avviò verso casa, un po' di aria fresca lo avrebbe fatto ragionare.

Si mise le mani in tasca e tirò fuori la pietra. Si era dimenticato di averla portata con sé. La fece rimbalzare sulla mano perché emanava calore. Si avvicinò alla luce di un lampione per poterla vedere meglio e poté giurare che per un attimo fulmineo le venature da bianche diventarono di un arancione vivido. Sbatté gli occhi più volte per assicurarsi di aver visto bene.

Nulla era cambiato, le striature erano dello stesso colore. Forse si era trattato di uno strano gioco di luci. Scuotendo la testa la lanciò per aria e la riprese al volo.

Quello che non vide fu che il frammento di pietra, quando intercettò la luce lunare, ripropose quelle particolari iridescenze arancio.

“Devo proprio smetterla di bere!” sentenziò, mentre fischiettando, imboccava il vialetto.

  
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