ANNI SABBATICI
Ho trascorso il mio primo anno
sabbatico
affacciato sull’Adriatico,
a Cesenatico,
a pensare a quello che
avrei voluto fare, perché
in fondo non sapevo nulla di me,
volevo riflettere,
dovevo pensare,
volevo capirmi,
a tentoni intuirmi.
Invece il primo anno è corso via,
veloce;
ah, che sofferenza atroce!
Nulla avevo deciso,
inviso
alla vita,
ardua e ritrita.
Mi sono messo a riflettere durante un
secondo anno;
trascorso sugli Appennini,
tra le vette che hanno
qualcosa di dolce, e odorano di vini,
divini,
discese amorevoli
contro i miei piani deplorevoli.
Il secondo anno è corso via in
fretta;
ah, la vita, che maledetta!
Ancora nulla sapevo di me,
non mi conoscevo; per me,
solo per me,
castigo, per me,
gioco di parole,
che non sa di coccole,
che non mi fa pensare,
che alla notte mi faceva svegliare
e stavo in piedi a riflettere,
a fantasticare
su un futuro che sapevo di non amare,
che non sapevo già apprezzare,
e che non avevo la forza di
contrastare.
Tra notti insonni
e giorni monotoni,
il secondo anno filò via,
accettandone un terzo;
per il terzo anno ho soggiornato in
pianura,
credevo di aver trovato la cura
ad ogni male interiore,
esplosione e terrore
nel mio povero e provato cuore.
Avevo paura di osare;
paura che mi ferma,
che mi frena,
che mi sofferma,
osare come cadere,
parole sinonime,
pantomime,
e allora anche il terzo anno se ne
andò,
e pace all’animo mio, il che bastò
a prolungare la mia riflessione
per un altro anno;
quasi religione,
quattro e più anni di sospensione,
e non so ancora che dire,
che fare,
è forse meglio il mare?
Stare al mare,
sulla battigia
d’inverno grigia
ad attendere l’alta marea
affinché mi sommerga
e con sé per sempre mi tenga?
O stare in montagna,
che magagna,
d’inverno con la neve,
sempre lieve,
ma che ansia la possibile valanga.
A stare in pianura
sembra di vivere una grande
avventura;
troppa gente, troppe grandi città,
che dominano paesaggi e intere
realtà,
non mi piace, non mi ispira,
e allora
che fare?
Me ne starò ad aspettare il mio
giorno,
a volte tremo ancora, nel sonno,
nel sonno di mezza estate,
mille mancate risate,
nei miei falsi ricordi ormai
raffreddate.
La vita in fondo è solo un battito di
ciglia,
bisogna accontentarsi,
dalla sua fonte dissetarsi,
perché il tempo scorre e non ritorna
più,
così attenderò che la mia porzione di
tempo
scorra, lento,
e che io mi conceda a lui,
che viva fino in fondo,
non esibirmi in un girotondo
di cose fatte e di cose andate a
rotoli,
a giocare a monopoli
con i miei anni migliori,
rendendoli i peggiori.
Per questo mi accontenterò,
e ciò che il futuro mi passerà, lo
raccoglierò.
NOTA DELL’AUTORE
Una poesia che contiene molto di me, della mia lentezza
esistenziale e del mio sentirmi parecchio particolare. Naturalmente, non è del
tutto autobiografica, ma penso che contenga tantissimo della mia fragile e
marginale esistenza.
Spero vi abbia piacevolmente intrattenuto, nonostante tutto,
e grazie per gradire sempre i miei piccoli scritti ^^