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Autore: Nat_Matryoshka    29/12/2017    2 recensioni
"A volte dopo tante cadute si ottiene finalmente qualcosa, non credi?”
Rey è una giovane reporter, che si innamora di Venezia e del suo Carnevale. Ben, il fotografo che la accompagna, di notte sogna di un ragazzo misterioso e di un mondo che non conosce.
Forse le loro anime si assomigliano più di quanto immaginano.
[Modern AU || Scritta per la Reylo Fanfiction Anthology 2017, "Celebrate the Waking"]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Luke Skywalker, Maz Kanata, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5
 
 



“Now that you've seen what I'm really like,
can you still bear to look at me?”
- 1984, George Orwell
 
 




Martedì Grasso.

Venezia si svegliava ogni anno sommersa da una pioggia di coriandoli: che ci fosse il sole o che piovesse, nessuno avrebbe rinunciato a sfilare per le vie della città indossando il proprio abito migliore. Dai bambini per mano ai genitori agli anziani, tutti sembravano volersi divertire. Si vedevano abiti straordinari, vere e proprie opere d’arte in movimento sotto forma di costumi e gondole, maschere dipinte nelle forme più strane, lune e soli,  animali sorridenti, visi bianchi, rosa, blu,verdi. Le epoche più disparate si confondevano tra loro, dame in costumi ottocenteschi camminavano a braccetto con signori in abiti usciti direttamente dal Seicento, seguiti da bambini e bambine infilati in vestiti più moderni, appena acquistati al centro commerciale più vicino. Per un giorno intero la città si trasformava in qualcosa di totalmente diverso, diventava un mondo fatto di colori e tessuti preziosi, porcellana e sorrisi enigmatici.

Era meravigliosa.

Rey si svegliò con l’immagine della giovane e del Principe impressa nella sua mente: le loro mani che si sfioravano, quell’attrazione che li legava tanto profondamente da ricordarle fin troppo il rapporto che univa lei e Ben. In un’altra vita, le aveva detto Maz. Le loro anime si erano già incontrate in passato, Venezia le aveva solo conservate per poi restituirgliele e aiutarli a riallacciare quella connessione che credevano di aver perduto.  E ora erano arrivati al culmine, all’evento che sembrava legare entrambe le esperienze, la loro e quella dei due giovani veneziani: il ballo di Carnevale. Il tessuto iniziava a mostrare un disegno preciso, ed erano le loro decisioni a tracciarlo.
Gettò un’occhiata al suo vestito nell’armadio prima di scendere a fare colazione: era lì ad aspettarla, meraviglioso e spaventoso al tempo stesso. Non sapeva ballare, ma non era quello a preoccuparla, quanto piuttosto l’idea che qualcosa sarebbe successo quella sera, se lo sentiva. E lei non avrebbe fatto altro che seguire i suoi sensi e quel filo invisibile che li legava e sembrava stringerli con tutte le sue forze senza lasciarli andare.
 


*
 


Il ballo si sarebbe tenuto in un palazzo storico non distante da Piazza San Marco, una splendida residenza d’epoca usata come albergo ma che, nel periodo del Carnevale, tornava direttamente ai fasti del Settecento e ospitava feste a tema ed altri eventi simili. Maz aveva passato a tutti loro dei cartoncini con l’invito ufficiale, tutti vergati in una calligrafia impeccabile con l’ inchiostro nero: l’organizzatrice li convocava per le otto in punto, specificando che subito dopo le prime danze sarebbe stato allestito un buffet. Dopo l’iniziale scetticismo, Luke le sembrava decisamente più curioso e bendisposto.

Il resto della giornata trascorse tranquillamente, immerso in una sorta di anticipazione elettrica e serena allo stesso tempo: il pranzo, una visita al Giardini della Biennale per trascorrere qualche ora all’aria aperta, poi il ritorno all’albergo per prepararsi. Era seduta nuovamente sui sedili di plastica del vaporetto, ma questa volta Ben era accanto a lei e poggiava le mani sulle ginocchia, le sue dita sottili che sembravano troppo grandi per quelle ginocchia magre, quasi sproporzionate. Il sole invernale faceva capolino dal finestrino, le sfiorava i capelli come se volesse prendersi cura di lei e Rey sentiva Ben respirare, vivere. Ce la stava facendo, stava vincendo la battaglia contro se stesso, era coraggioso. Il suo principale non avrebbe potuto più dire nulla, Snoke non aveva potere sul ragazzo fragile che si affidava a chiunque gli promettesse attenzioni, cura. Rey gli strinse una mano piano, e dopo un attimo sentì che Ben la ricambiava come era già successo più volte durante quel viaggio, le puntava addosso gli occhi scuri e pieni di sentimenti non confessati, paure che lo cullavano fino a che non si addormentava. Le sorrise, e non lasciò la stretta finché il vaporetto non toccò il molo di Salute.
Indossò quell’abito da sogno come una sfida, allacciandolo con attenzione per non rovinarlo, si sciolse i capelli dalla solita acconciatura arruffata in cui li pettinava di solito e vi appoggiò il fermaglio con le perle, che li accompagnava come se fosse stato disegnato apposta per lei. Indossò le scarpe. Si guardò allo specchio, e la Rey che le sorrise di rimando era nuova, quasi una sconosciuta. Quando fissò la maschera sul viso, quella sensazione di sorpresa ed estraneità aumentò, ma non la faceva sentire a disagio. Piuttosto, la intrigava come l’inizio di una nuova avventura. Scese al piano di sotto per cercare Luke e Ben, e li trovò esattamente dove le avevano promesso di trovarsi: nella hall, appoggiati al muro nell’area delle poltrone, entrambi vestiti di tutto punto. Luke indossava un abito dai toni simili a quelli del suo, un misto di beige e panna molto sobrio con una bella giacca ricamata in più punti e un paio di pantaloni lunghi fino al ginocchio. Si era già calcato in testa il cappello nero che faceva parte del travestimento e il mantello di panno, ugualmente nero, che lo copriva del tutto. Ben era vicino a lui, le spalle al muro come se non volesse farsi notare… solo quando si avvicinò per salutarla Rey poté finalmente vedere bene il vestito che aveva scelto per sé.

Il nero era il colore che gli donava di più: per quanto all’apparenza potesse sembrare una scelta malinconica, indossato da lui acquistava la dolcezza della notte, il mistero delle ore più buie ma anche più tranquille. E lui sapeva bene quanto gli donasse, quanto la sua pelle brillasse come la luna, facendo risaltare i capelli scuri e mossi, la delicatezza delle labbra, i nei che gli coprivano le guance come una costellazione. Indossava una giacca lunga e semplice, decorata solo sulle spalle da ricami argentati molto elaborati, ma la bella foggia della camicia bianca che spuntava al di sotto e all’altezza dei polsi, la piega morbida che prendevano i pantaloni di velluto intorno al ginocchio rendevano il costume meraviglioso. Era la prima volta che lo vedeva con addosso dei pantaloni di foggia antica e calze bianche abbinate, ma quell’accostamento non gli stava affatto male, anzi. Anche le scarpe con un leggero tacco e la fibbia argentata aggiungevano un bel dettaglio all’insieme. Aveva pettinato i capelli, e stringeva in mano la maschera bianca con una timidezza che le fece quasi tenerezza. Larva, l’aveva chiamata la donna del negozio, e gli aveva detto che era una delle più usate anticamente durante il periodo del Carnevale. La maschera si indossava assieme al cappello e al mantello nero che aveva preso Luke, ma Ben aveva rifiutato il cappello: la maschera e il mantello lo avrebbero coperto a sufficienza, aveva detto. Il tono sembrava scherzoso, solo Rey poteva trovarci quell’abitudine a confondersi con la folla, nascondere il viso e la testa perché nessuno vedesse chi fosse davvero. Era la sua difesa principale.

Luke si fece avanti con un sorriso e si levò il cappello per salutarla. “Buonasera, signora maschera!” esclamò in un italiano piuttosto buono, tutto allegro: si era fatto insegnare da Maz quell’espressione di saluto e non vedeva l’ora di sfoderarla per fare pratica. “Allora, siete pronti per vivere la serata clou dei festeggiamenti? Forza, ci stanno aspettando a San Marco… cerchiamo di essere in ritardo quel tanto che basta per risultare solo affascinanti.”
Rey non poté fare a meno di sorridere. Con la coda dell’occhio si accorse che anche Ben la imitava.
 

 
*
 


Arrivarono al palazzo e una Maz vestita di blu e bianco li accolse sulla soglia, felice di vederli tutti in tiro. Sia Ben che Luke le baciarono la mano, Rey si inchinò e varcarono in quattro la porta della sala dove era ospitato il ballo.

Una volta dentro, la sensazione di essere precipitati in un’altra epoca si fece sentire come non mai: la stanza era disseminata di invitati in costume. Erano una replica in piccolo dell’allegria e del colore che aveva riempito le strade per tutto il giorno, impressi nelle voci e nei gesti di donne e uomini mascherati. Una piccola orchestra suonava non lontano dalle grandi finestre, e un buffet molto ricco aspettava i ballerini che terminavano di danzare all’altro capo della stanza. Alcune coppie avevano smesso di ballare, altri invitati chiacchieravano all’esterno, in terrazza, o sui divanetti sistemati nell’ingresso, appartati rispetto alla sala da ballo. Maz, che aveva già capito che a Luke non andava granchè di ballare, lo trascinò con sé per presentargli l’organizzatrice. Rey e Ben rimasero soli ad osservare la festa, un po’ impacciati come se non facessero davvero parte di quell’insieme così colorato e chiassoso. Prima che Rey potesse farsi avanti, fu Ben a inchinarsi appena e porgerle il braccio.

“Mi concederebbe un ballo, signora maschera?”

Un attimo dopo, l’orchestra suonava un valzer e Rey cercava di tirare su l’orlo del vestito quel tanto che le sarebbe bastato per non calpestarlo. Ben aveva calcato la sua maschera sul viso, ma attraverso il bianco dell’oggetto spuntavano gli occhi scuri, caldi, familiari. Le prese una mano con le dita guantate e le posò l’altra sul fianco per condurla.

“Sai ballare?” gli sussurrò Rey. Non aveva idea di come muoversi: non aveva mai ballato in vita sua, ma qualcosa nella gentilezza dei gesti di lui la tranquillizzava. Forse avrebbe dovuto davvero rilassarsi e seguire l’istinto, affinché fosse solo quello a guidarla, invece della mente. Cedette al suo tocco e provò a imitare i passi del ragazzo, guardando solo di sottecchi i piedi di entrambi per memorizzarne il movimento. Non era facile, ma era decisamente piacevole. Giro dopo giro, iniziò a prenderci la mano.

“Dove hai imparato?” chiese, curiosa.  La mano di Ben le abbracciava il fianco facendole scendere un brivido lungo la schiena, ma quell’intimità non le dispiaceva affatto.

Era diversa e allo stesso tempo simile a quella che avevano già sperimentato nella sua stanza: nonostante fossero vestiti e circondati da una folla di persone, percepiva lo stesso fremito, la trepidazione di vivere qualcosa di unico che non riusciva a spiegare nemmeno a se stessa. Le piaceva sentirsi stringere da Ben, che la reggeva come se avesse paura di vederla sparire nella folla. Le piaceva il suo respiro che le solleticava l’orecchio. Amava averlo così vicino, e sapere che stava parlando con lei, ballando con lei, che le stava offrendo un nuovo lato di sé perché potesse scoprirlo pian piano. Si sentì improvvisamente privilegiata e avrebbe voluto dirlo a tutti, gioire con qualcuno per essere riuscita a farlo sorridere e sentire a suo agio nei confronti del mondo… ma nessuno avrebbe capito davvero, probabilmente. Ben le rispose dopo un attimo.

“Da mia madre. Quando ero bambino, le piaceva insegnarmi… lei e mia nonna non perdevano occasione” sorrise appena, forse ripensando ad entrambe le donne. “Così ho imparato da tutte e due, anche se non ho mai avuto occasione per esercitarmi. Non sono un granché, ma dubito che qualcuno se ne accorgerà.”

“Invece te la cavi bene. Sicuramente meglio di me!” Rey rise, incoraggiandolo. “E il vestito ti sta benissimo.”

“Anche a te” sussurrò lui. L’orchestra aveva finito e attaccò un nuovo pezzo. I ballerini si salutavano con un inchino, alcuni cambiavano partner, i due giovani nemmeno se ne accorsero: rimasero vicini, uno di fronte all’altra, a riprendere fiato in attesa di ricominciare. Questa volta era un ballo più lento: la ragazza gli poggiò la testa sul petto, e sentì Ben stringerla di nuovo, questa volta alla vita, con la stessa cura di prima. Aveva un buon profumo. Gli batteva il cuore con forza, poteva sentirlo agitarsi attraverso le costole la pelle e gli strati di stoffa fino al suo orecchio, un suono ritmico, confrontante.

Le danze ricominciavano: l’orchestra aveva riattaccato a suonare. Il Principe era rientrato, lei l’aveva seguito e ora ballavano di nuovo insieme. Senza che se ne accorgessero, i nobili attorno a loro si erano fatti da parte, lasciando che il Principe Solo e la bella sconosciuta vestita di bianco conquistassero il centro della sala. Era incredibile come si sentisse a suo agio nonostante non avesse mai ballato in vita sua, il ragazzo la guidava perfettamente e la faceva sentire leggera come se potesse volare. L’aveva stretta per la vita, tirata a sé, spinta in avanti. Una giravolta, poi altri due passi, la sua gonna che si allargava e fluttuava come le ali di un uccellino felice. Poi aveva sollevato la giovane, e dalla folla era partito un mormorio di sorpresa. Qualcuno applaudiva. La donna che aveva accompagnato il Principe giorni prima durante il viaggio in gondola, vestita di viola e dal portamento regale, li guardava sorridendo.
La ragazza lo guardò negli occhi oltre la maschera, e per la prima volta riuscì a vedervi una scintilla diversa: sembrava felice, come se fosse riuscito a lasciarsi alle spalle ciò che lo affliggeva, almeno in parte. Uno sguardo limpido. Gli angoli della bocca del ragazzo si sollevarono.

Rey alzò gli occhi e ritrovò lo sguardo di quel giovane in quelli di Ben. Era lui.
Improvvisamente sentì di volergli dire tutto, raccontargli ogni dettaglio di quei sogni uno dopo l’altro, senza fermarsi nemmeno un attimo a riposare la voce. Voleva colmare quel silenzio che li aveva divisi per mesi, cancellare i giorni in cui aveva aspettato un suo messaggio e non gli aveva scritto per dispetto, perché se avesse avuto davvero bisogno di lei l’avrebbe chiamata e cercata. Tornare indietro nel tempo e aspettare fuori dalla porta che si sfogasse, per tornare poi dentro e tendergli una mano perché capisse di non essere solo, invece di correre via e scacciare le lacrime con rabbia. Aveva sofferto, avevano sofferto entrambi, ma quella lontananza non aveva fatto altro che rafforzare in lei il desiderio di capirlo, di riscrivere il loro rapporto tutto da capo, per quanto all’epoca lo negasse. Doveva solo lasciargli i suoi spazi, come aveva fatto in passato. E se Ben non avesse più voluto avvicinarsi a lei?
“Grazie” mormorò, senza accorgersene. Quel sussurro non gli sfuggì.
“Per cosa?”
“Per essere qui.” La confessione le bruciava le labbra. Sentiva che era il momento giusto per lasciarla uscire, o se la sarebbe portata dentro per sempre. Ben non disse nulla, ma strinse la presa sulla sua vita.

L’orchestra continuava a suonare, il cuore del ragazzo batteva sotto il suo orecchio e la cullava come una melodia. Ormai non contava più nemmeno i passi, la danza la trasportava e annullava ogni altro pensiero, finché  le luci calde della stanza e l’oro delle cornici non iniziarono a confondersi. Era diventata la ragazza del sogno, e la folla attorno a lei applaudiva il Principe e la sua accompagnatrice che, imbarazzata, non sapeva se inchinarsi o meno. Entrambe erano circondate da un pubblico mascherato, entrambe avevano appena terminato di danzare tra le braccia di un giovane vestito di nero che custodiva in sé demoni troppo grandi per sconfiggerli da solo.
Il pezzo terminò. Ben lasciò la presa dalla sua vita, sii inchinò da perfetto gentiluomo e le prese una mano. Rey si inchinò a sua volta, e dallo sguardo di lui capì che non gli sarebbe dispiaciuto guardare la città dalla terrazza.
 

 

*
 

La terrazza si affacciava direttamente sul Canal Grande e lo dominava dall’alto, permettendo allo sguardo di spingersi ovunque: si vedevano le calli in lontananza, le barche che solcavano l’acqua e le gondole dei turisti che si godevano un giro serale, piccole come giocattoli. Le case erano illuminate, così come i ristoranti e i bar. Anche Piazza San Marco doveva essere meravigliosa, piena di luci e di canti. Quel quadro notturno di colori le sarebbe rimasto nel cuore per sempre.
Ben si appoggiò alla balaustra di pietra, togliendosi la maschera bianca: ora che erano da soli non aveva più bisogno di nascondere il volto. La posò accanto a sé e per un attimo ritornò il ragazzo che l’aveva accompagnata durante tutte quelle giornate di visita, silenzioso e tranquillo, sempre pronto a trasformare i suoi sogni e le idee che lo animavano in fotografie. Il Principe Solo aveva solamente cambiato abito, e il peso che portava addosso diminuiva sempre di più.

Anche Rey si tolse la maschera. Aveva bisogno di essere totalmente se stessa per affrontare quel momento: la ragazza del sogno l’aveva aiutata conducendola fin lì, ma ora toccava a lei. Ben era accanto a lei, reale, fragile. Sembrava così forte, alto, adulto, ma era solo l’ennesima maschera che aveva indossato perché non potessero fargli del male come in passato, perché il piccolo Ben fosse protetto. Perché chi lo circondava capisse che Kylo Ren – il nome d’arte che aveva scelto, quello con cui firmava molti dei suoi lavori – andava temuto, rispettato. Una delle poche persone ad aver accarezzato ogni sua debolezza era stata lei.
Non riuscì a parlare: nelle sue intenzioni avrebbe dovuto attaccare con una frase che attirasse la sua attenzione e spiegargli come quei giorni erano stati speciali per lei, ma una volta vicina sentì che tutto ciò che avrebbe voluto dire si ingarbugliava nella sua bocca senza formare frasi di senso compiuto. Allungò una mano per prendere quella di lui e si stupì ancora una volta di quanto la sua sembrasse minuscola, insignificante tra quelle dita, così lunghe e forti. Aveva il potere di spezzarlo, di colpire esattamente quella parte più vulnerabile che le aveva mostrato più volte in quei giorni: sarebbe bastata una parola sbagliata per distruggere un equilibrio miracoloso, la loro connessione ristabilita. Perfino Luke e Maz se l’erano lasciato sfuggire: sei più forte di Ben. Forse l’hai sempre saputo. Ora capisco perché è attratto da te. Si vede che ti sta cercando e aspetta un tuo segno. Ma non voleva farlo. Voleva solo stringerlo e dirgli che potevano aver discusso in passato e perso la voglia di rivedersi, ma stavano superando tutto, e stare vicini era stato come scusarsi senza bisogno di dirlo a parole. Non era lei ad aver bisogno di essere salvata, si era già salvata da sola durante tutti quegli anni in cui si era sentita perduta… ma avrebbe potuto aiutare lui. Salvarlo. Una principessa che all’occorrenza si trasforma in un principe azzurro.

In un attimo, Ben la strinse a sé. Rey non poté far altro che allargare le braccia e cingerlo, inspirando con forza il suo profumo familiare di casa, di abiti puliti e di lavanda, più quello sconosciuto che impregnava gli abiti che indossava. La ragazza sentì che le posava la testa nell’incavo del collo e si rilassava, un altro di quei pesi che gli gravavano sull’anima si allontanava. Si rilassò anche lei. Chi avrebbe potuto disturbarli lì fuori?
Venezia li avvolgeva nel suo silenzio. La musica dell’orchestra arrivava attutita, come un sogno lontano, dai contorni indefiniti.

Fu Ben ad iniziare a parlare, e la sua voce era come un sussurro, come quella di Rey poco prima.

“Si rivedranno, alla fine? La ragazza e il Principe Solo?”
Il sogno li avvolgeva entrambi, abbracciandoli come una coperta fatta di nuvole. Se anche le fosse servita una prova del fatto che le loro menti avevano condiviso le stesse immagini, inseguendosi notte dopo notte, ora l’aveva. Rey sorrise e alzò la testa per guardarlo negli occhi, e il tono saggio che accompagnava la sua voce era nuovo anche per lei.

“Io credo di si. Penso che abbiano ancora tanto da dirsi, tante cose da vivere. Lui ha bisogno di lei, voleva baciarla mentre ballavano ma allo stesso tempo ha capito che non sarebbe stato il momento adatto… sono così simili, anche se forse ancora non lo sanno.” Inspirò il suo profumo, lasciò che la inebriasse. “E lei vuole sapere di più su di lui, scoprire il mistero che nasconde. Penso che si siano incontrati ancora, e che abbiano danzato insieme tante altre volte.”

“Può darsi.” Ben sorrise. Posò il mento sulla testa di Rey e rimase fermo, a stringerla gentilmente tra le braccia. Dopo un po’ tentò con una nuova domanda, come un bambino curioso che desidera assolutamente conoscere la fine di una storia che gli è stata raccontata. “Lei troverà mai i suoi genitori?”
“No, ma non si arrenderà comunque.” Non sapeva bene chi le desse quella certezza, ma dentro di sé sapeva che quella era la risposta giusta. “Deve dimostrare al mondo quanto valga… e imparare chi è davvero. La strada è ancora lunga.” Approfondì l’abbraccio e dopo un po’ non seppe se stava parlando di se stessa o della ragazza del sogno. Sentì Ben sorridere, anche senza guardarlo. E l’attimo successivo ascoltò solo il cuore e nient’altro, quella richiesta insistente di seguire l’istinto e fare la cosa giusta al momento giusto: si staccò dolcemente da lui per poterlo guardare di nuovo negli occhi. E proprio mentre non se lo aspettava, mentre erano tesi entrambi ad aspettare quello che sarebbe successo dopo, si tese in avanti e premette con forza le labbra contro le sue per baciarlo, con un’urgenza e una foga che non ricordava di aver mai posseduto. Il primo bacio dopo quel pomeriggio d’estate.

Dopo un altro attimo immobile e perfetto, sentì che Ben avvolgeva il suo viso con entrambe le mani e rispondeva al bacio.

Il tempo si annullò come succedeva sempre quando erano insieme, quando un secondo durava un’ora e viceversa, e ogni cosa intorno diventava parte del paesaggio, confondendosi col resto. Ben era lì con lei, le accarezzava il viso, mordeva il labbro inferiore per poi esplorare gentilmente l’interno della sua bocca con la lingua, spostava le mani dal viso per cingerle le spalle, la schiena, accarezzare il suo corpo come se volesse conoscerlo da capo, quasi avesse paura di vederla scomparire in un soffio come la ragazza del sogno, come il ragazzo che gli prestava il corpo durante la notte e che la mattina dopo spariva di nuovo.  E lei rispondeva a quel bacio con tutta l’urgenza che aveva, desiderosa di dimostrargli qualcosa, di parlare senza parole. Si erano scambiati le parti rispetto a qualche tempo prima: ora era lei a dimostrargli il proprio bisogno, a volerlo divorare. Ben rispondeva con dolcezza, una gentilezza che traeva forza dalla sua necessità di averla vicina. Si bilanciavano, si erano sempre bilanciati quando erano insieme e due valevano più di uno solo. Quando lei scalpitava, lui rispondeva con la calma. Quando era lui a fremere di rabbia, di un’energia che lo faceva tremare come se l’interno del suo corpo fosse fuoco e fiamme vive, lei gli prendeva la mano per tranquillizzarlo. Equilibrio.

Le mani di Rey indugiarono sul suo abito, stringevano la stoffa come se avesse voluto strapparla. Se solo fossero stati soli, nella loro stanza o comunque in albergo… quasi avesse percepito i suoi pensieri, anche Ben la strinse con più forza, scendendo a baciarle con vigore il mento, poi salendo di nuovo verso gli angoli della bocca, le guance, ogni centimetro del suo viso che riusciva a raggiungere. Sentiva di non riuscire a mantenere il controllo a lungo, e che nemmeno lui ce l’avrebbe fatta: avevano troppe cose in sospeso da confessare, troppi sentimenti racchiusi che avevano trovato finalmente il modo di scappare fuori, troppe frasi non dette che diventavano baci, sussurri, parole trasformate in qualcos’altro, qualcosa di meraviglioso. Ben lasciò scappare un gemito, e Rey pensò di non aver mai sentito la sua voce così tenera, indifesa. Era così vicina a cedere, così vicina che…

Un suono rimbombante si sparse nell’aria, così forte da farli bloccare sul posto. Un fiore d’oro si allargò nel cielo e precipitò nel mare sotto di loro, seguito da un altro fiore, questa volta rosso. Poi un terzo, verde. Uno scoppio e uno sboccio, una primavera in anticipo arrivata a toccare il cielo. Fuochi artificiali.
Rey guardò negli occhi Ben, lui la guardò a sua volta e scoppiarono a ridere entrambi. Non c’era bisogno di tante parole: i loro gesti parlavano da soli.
I fuochi d’artificio continuavano a illuminare il cielo, splendidi e luminosi. Scoppiavano, lo facevano brillare come una cascata di lustrini lanciati da un gigante e si spegnevano subito, tuffandosi nell’acqua, si susseguivano correndo come impazziti, salutati dalla folla festante che li osservava quasi fossero enormi stelle cadenti.
Chissà se si potevano esprimere i desideri guardando i fuochi d’artificio, pensò la ragazza… e senza indugiare, chiuse gli occhi e chiese che Ben potesse essere felice, e che riuscisse a trovare se stesso come stava facendo anche lei.

Quando portò di nuovo gli occhi sul viso di lui, gli ultimi fuochi si facevano avanti per essere ammirati. Una di quelle stelle d’oro gli riempiva gli occhi di luce. Tra il susseguirsi di scoppi e grida, Ben le prese di nuovo il viso tra le mani e la baciò. Con ancora più calma stavolta, come se avessero avuto tutto il tempo del mondo davanti a loro, mentre l’acqua della laguna diventava d’oro e il Carnevale salutava la città, in una sera d’inverno che prometteva di diventare presto primavera.
 
 
 
 







***

Ed ecco anche il quinto capitolo, l'ultimo prima dell'epilogo finale che ho immaginato. La mia ispirazione è piuttosto capricciosa, per cui ogni volta che mi capita di terminare una long-fiction senza stancarmi a metà o perdere le idee che avevo delineato all'inizio, ne sono sempre assolutamente felice. E spero davvero che il risultato finale possa piacere anche a voi!
Come al solito, se aveste voglia di lasciarmi un cuoricino di incoraggiamento, qui trovate la storia in inglese. Non dimenticate di fare un salto sulle raccolte dell'Anthology se vi va, ci sono un sacco di storie e di bravissime autrici che meritano il vostro amore!


Rey
   
 
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