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Autore: Blablia87    29/12/2017    5 recensioni
John Watson, ex medico militare, non ha mai utilizzato - benché gliene sia stato fornito uno come sostegno durante il periodo di riabilitazione a seguito di un ferimento in missione - un R'ent. 
Preferisce continuare a percepire la realtà attraverso i sensi, invece di riceverla sotto forma di impulsi elettrici.
John Watson non comprende come possano esistere persone, i Ritirati, che decidono di isolarsi in modo permanente dal mondo lasciando ai propri Sostituti il compito di unico filtro tra loro e l’esterno.
John Watson è convinto che, per lui, la guerra sia finita.
Fino a quando il R'ent di un Ritirato, Sherlock Holmes, non compare sulla porta del suo studio in cerca di aiuto.
[Sci-Fi!AU][Johnlock][“Android”!Sherlock]
Genere: Angst, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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L’amore consiste in questo, che due solitudini si proteggono a vicenda, si toccano, si salutano.
(Rainer Maria Rilke)


12.
(ovvero di cosa accadde alla signora Forrest)



«Dobbiamo chiamare la polizia.» John arretrò di un passo, guardandosi attorno. «Avvertire qualcuno» continuò, estraendo velocemente il cellulare dalla tasca del cappotto.
«E dar loro la possibilità di inquinare la scena di un potenziale crimine violento prima di poter dare un’occhiata?!» replicò Sherlock, con tono oltraggiato. «Non se ne parla.» Strappò dalle mani dell’altro il cellulare, lasciandolo con le dita sospese nel vuoto, nel punto esatto dove stava componendo il numero delle emergenze sulla tastiera virtuale.
Il medico sollevò la testa di scatto, senza riuscire a capire. «È forse impazzito?! C’è del sangue su quella maniglia.»
«Era un’eventualità che avevo già valutato» rispose l’altro, semplicemente, alzando le spalle. «Quando il R’ent di un’anziana sconosciuta ti attacca, la possibilità che a governarlo non ci sia la legittima proprietaria è piuttosto ragionevole. E l’unico modo possibile per cui questo possa avvenire…»
«È che la legittima proprietaria sia morta» terminò per lui il medico, scuotendo la testa. «È una follia. Per quanto ne sappiamo, potrebbe ancora esserci qualcuno nella stanza.»
Sherlock annuì, impassibile. «E questo è l’esatto motivo per il quale adesso lei deve tirarla fuori» sussurrò, con tono persuasivo.
«Tirare fuori cosa, precisamente?» rispose John, serrando la mascella.
«Per l’amor del cielo, lo sa cosa!» esplose l’altro, i fluidi ad ingrossargli i piccoli tubi che scorrevano sotto la pelle. «La pistola.»
John spalancò occhi e bocca, raddrizzando la schiena. «Come accidenti…»
«Lei è un medico, ma è anche un militare. Quale soldato seguirebbe uno sconosciuto in un’avventura come questa senza la protezione di un’arma?»
John prese un respiro profondo, lasciando cadere le braccia lungo il busto. «Sono davvero così prevedibile?»
«Sì» confermò l’altro con un sorriso beffardo. «E comunque si vede il rigonfiamento della fondina sul lato destro del cappotto» terminò, negli occhi un luccichio vivace, vivo.
Il medico ebbe l’istinto di sorridere in risposta, sentendosi stupido e fuori luogo pochi attimo dopo. Sbatté le palpebre un paio di volte, per aiutarsi a ritrovare la concentrazione. Poi, con un movimento rapido, infilò la mano sotto il soprabito e liberò l’arma dalla custodia.
«E va bene» sospirò. «Ma adesso lei si mette dietro di me e non fa un solo movimento prima che io abbia controllato il perimetro per intero, chiaro?» disse, spostando con una mano l’altro e posizionandosi tra lui e la porta.
«Sono fatto di metallo, se lo ricorda?» ribatté Sherlock, lasciando comunque docilmente che John lo spostasse.
«È di metallo, ma resta un civile. Piuttosto avventato, tra le altre cose» si limitò a rispondere il medico, impugnando la pistola con la mano sinistra e posando la destra sulla maniglia, stando attento a non toccare la macchia di sangue.
«Al mio tre.» John appoggiò spalla e orecchio destri sulla porta, tentando di percepire ogni possibile rumore proveniente dall’interno. «Uno… due… e tre» contò poi, quando non ne sentì nessuno.
Girò il pomello e spinse. Il pannello di legno roteò senza fare nessuna resistenza, cigolando appena sui cardini.
John lo accompagnò quel tanto da riuscire a creare un passaggio agevole per sé e per Sherlock. Poi, in punta di piedi e con la pistola spianata, mosse un paio di passi dentro la stanza.
Le luci erano accese, e mostravano un ambiente pulito e accogliente, sui toni del rosa pastello. Ogni cosa – divano, tavolo da pranzo, gli utensili sul ripiano della piccola zona cucina - sembrava essere al proprio posto, in un ordine quasi ossessivo. I piccoli fiori lilla che ricoprivano le tende animavano anche le stoffe dei cuscini ai lati del divano, vicino ai braccioli.
«Perché alle persone anziane piace tanto il rosa?» commentò Sherlock alle sue spalle. «È forse un incontrollabile istinto a ricercare tratti della gioventù persa? Una malinconica rivisitazione del corredino?»
John si voltò a guardarlo con espressione torva.
«Che c’è?» domandò il R’ent, aggrottando le sopracciglia.
«Contesto» sibilò l’altro, scuotendo la testa.
Sherlock assunse l’aria di una persona alla quale stava sfuggendo in modo assoluto il senso di quello che aveva appena ascoltato. «Non cap-»
«Shhhh!» lo zittì il medico, portandosi l’indice destro davanti alle labbra. «Resti qui. E non si muova, sono stato chiaro?» soffiò, irritato.
Il detective fece cenno di sì con il capo, incrociando le braccia al petto con aria offesa.
Sulla sinistra del salottino due porte chiuse – anch’esse di un pallido rosa – erano gli unici accessi visibili ad altri ambienti dell’abitazione. John si avvicinò alla prima, aprendola con cautela. Apparve, illuminata dalla luce proveniente dal vano principale, un piccolo bagno, deserto. Non c’era traccia di colluttazione, tanto che la collezione di saponette sistemata di fianco al lavandino era ancora perfettamente allineata.
John lanciò un’occhiata veloce a Sherlock, spostandosi poi verso il secondo uscio.
Lo socchiuse con attenzione, le scarpe affondate della moquette panna. La porta si aprì senza fare resistenza, rimanendo però – data la posizione defilata rispetto alle luci del salotto - in penombra. Con la mano destra, trattenendo il respiro e acuendo al massimo udito e vista, cercò sulla parete di fianco alla porta un interruttore, trovandolo dopo un paio di tentativi.
Con un leggero ronzio la luce si accese, più forte di quella che dominava il salotto. Sherlock, ancora vicino all’ingresso, vide il viso di John rischiararsi, colpito dal chiarore. Poi vide i tratti mutare, passando dall’attenzione allo sbigottimento. Li vide deformarsi, così come la sua postura.
Il medico rinfilò velocemente l’arma nella fondina, entrando di corsa all’interno della stanza.
Il detective lo seguì istintivamente, ancor prima di aver compreso di aver lanciato il segnale  di movimento. Si ritrovò sulla soglia solo qualche secondo dopo, appoggiandosi allo stipite per aiutarsi a compiere il movimento di rotazione durante la corsa, che si bloccò pochi attimi dopo.
Appoggiato alla parete opposta a quella d’ingresso, il letto con la testiera animata da volute bianche della signora Forrest mostrava i segni inequivocabili di uno scontro violento, mortale.
Piccoli schizzi di sangue e materia celebrale avevano macchiato i fiori in ottone laccato, scurendoli.
Al centro del materasso, intriso di un rosso accesso, l’esile figura di una donna giaceva supina in una posa scomposta.
«Credo di aver sbagliato valutazione» sussurrò Sherlock, spostando gli occhi dal corpo esanime e martoriato della signora a John, chino su quanto rimaneva di lei con una mano ancora stretta attorno al suo polso in cerca di un battito che – era evidente – si era spento qualche ora prima.
Il medico deglutì. Allargò le dita e la liberò dolcemente dalla sua presa, prendendo un respiro profondo e chiudendo gli occhi per un attimo.
«Avevamo previsto che fosse… morta» disse a mezza voce qualche secondo dopo, girandosi verso Sherlock.
«Sì, ma non era previsto il… modo» commentò lui, avvicinandosi a piccoli passi. «E, soprattutto, avevamo immaginato che qualcun altro avesse preso il controllo del suo R’ent.»
«E non è così?» domandò stancamente il medico, tornando a guardare il capo frantumato della donna. Qualcosa, all’interno del sangue rappreso, attirò la sua attenzione. Aggrottò la fronte, chinandosi per poter vedere meglio. Sherlock, immobile a pochi passi da lui, osservò con curiosità il viso dell’altro, vedendo la consapevolezza distendergli i tratti poco a poco.
«Dio…» John si girò verso il R’ent, con gli occhi spalancati.
«Incredibile, non è vero?» gli domandò lui.
«I Circuiti di Comando sono ancora qui…!» continuò il medico, alzando la voce.
«Già» confermò Sherlock, annuendo.
«Ma non è possibile! Senza quelli non si può comandare un Sostituto!»
«Una volta liberato il campo dall'impossibile, quello che rimane - per quanto improbabile - deve essere la verità» commentò l’altro, voltandosi in cerca del cavo del Punto di Ripristino.
Trovò il cavo di alimentazione di fianco alla porta, abbandonato su una vecchia sedia di vimini.
Sorrise soddisfatto, portandosi con passi veloci nel salotto.
«Andiamo Dottor Watson, abbiamo del lavoro da fare!» disse, prima di sparire oltre lo specchio della porta.
«Sì, chiamare la polizia» ribatté lui, seguendolo con passo pesante.
«Ho appena mandato un messaggio a Lestrade dal suo cellulare per informarlo. Almeno che non ritenga di avere competenze mediche così ampie da poter ancora fare qualcosa di utile per la signora Forrest, meglio impiegare il suo ed il mio tempo in modi più costruttivi.»
Sherlock si sollevò il bavero del cappotto, affondando le mani nelle tasche.
«Sarebbe a dire?» domandò l’altro, irritato, uscendo di malavoglia dall’appartamento. Prima di chiudersi la porta alle spalle diede un’ultima occhiata all’interno, scuotendo la testa.
 
«Ad esempio, potremmo cercare di stabilire chi – tra i nove milioni di abitanti di Londra - sarebbe in grado di programmare un R’ent per la distruzione del proprio Fingunt… e far loro una visita.»





Angolo dell’autrice:

Sono nuovamente in ritardo, lo so.
Vi chiedo scusa.
Ultimamente sto avendo vari problemi in altrettanti campi della mia vita "fuori". 
Salute, lavoro, casa, famiglia... tutto sembra rallentato e, allo stesso tempo, terribilmente veloce, fuori controllo.

Mi sono imposta, all'inizio di questa avventura, di aggiornare solo al completamento di un nuovo capitolo nel "manoscritto", mantenendo un certo numero di distanza tra sito e "carta" per maggior sicurezza. Questa mattina sono finalmente riuscita a completare il capitolo sul quale stavo lavorando da qualche giorno e, quindi... eccomi qui. ^_^

Grazie, come sempre e di cuore, a chiunque abbia letto fin qui.

A presto,
B.
   
 
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