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Autore: tatagma_    29/12/2017    2 recensioni
Park Jimin lavora come cameriere in uno dei ristoranti più ambiti di tutta Seoul. La sua è una vita stabile, circondata da amici, divertimento ed un grande sogno nel cassetto: quello di diventare un ballerino professionista. Tutto cambia quando incontra Jeon Jungkook, figlio di un importante avvocato, ribelle, trasgressivo e con un forte desiderio di libertà. [Jikook _ accenni Namjin _ surprise!]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Seokjin/ Jin, Park Jimin
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il fastidioso fantasma della sua coscienza lo stava implorando in modo ormai perpetuo di fermarsi mentre guidava nervoso nel buio della notte ormai sopraggiunta. Lo sguardo pervenuto delle sue iridi scure era fisso dinanzi la strada fluente, il piede premuto con forza sul pedale dell'acceleratore. Frammenti di città scorrevano dal finestrino fugaci come il flash di una macchina fotografica confondendone la bellezza delle sue luci e colori; il sangue defluiva nelle vene gonfie alla stessa velocità con cui l'auto sfrecciava sulla carreggiata, superando tutte le altre code che lente invece procedevano ad andatura moderata. “”.

Le mani di Jungkook erano incollate al volante della sua Mercedes nera, un gioiellino di alta classe che i suoi genitori gli avevano discretamente regalato non appena la candelina della sua tanto attesa maggiore età fu spenta; la mandibola ormai pronunciata era serrata in una morsa ed il respiro, lento ma profondo, visibile sotto lo strato sottile di una camicia di seta, destava spazio ad un irrefrenabile e folle impulso di guidare alla cieca, verso posti della bassa Corea del Sud a lui ancora sconosciuti fino al sorgere dell'alba successiva. .
 
Più si avvicinava alla destinazione prestabilita, guardando inquieto il contachilometri staccare come in un countdown diversi numeri di volta in volta, più il suo corpo si abbandonava ad uno stato increscente di tensione difficile da placare. Il suo addome era in subbuglio, nausea e disgusto avrebbe detto ma pura eccitazione invece accertò, ed il suo cuore ... Jungkook fu sorpreso di sentirlo battere più forte che mai, di sapere che era lì, nella sua alta parte sinistra, non più quiescente come ormai era abituato a percepirlo. Con la freschezza dei suoi 22 anni appena suonati, Jungkook sentiva di aver ripreso tra le mani i primi arbori di un'adolescenza sfuggita a lui troppo in fretta, quando ci si infatuava di un sorriso timido, di guance rosse e occhi d'incanto. Quando il senso di ribellione - la bramata libertà - sembrava essere l'unica priorità da ottenere in quella vita. L'unica via di scampo.
 
Sin da ragazzino la sua famiglia gli aveva insegnato con regole rigide a tener contegno dei propri sentimenti dinanzi ad occhi esposti, spiegato come una dottrina che uomini di potere come lui non dovevano far sfoggio dei propri punti deboli ma apparire freddi, irraggiungibili, a volte persino temuti. Con loro grande rammarico, il giovane avvocato non riuscì mai a sentirsi parte integrante di quell'insulso stereotipo da loro dettato. Lui, tanto stanco di conservare il suo cuore sotto una fin troppo fragile campana di vetro, voleva provare sulla pelle il brivido del rischio, farsi male fino a sentire quel muscolo pulsante sanguinargli nel petto, sentire il vuoto sotto i piedi e la mancanza di respiro strangolarlo. Jungkook sapeva che l'amore somigliava a quello: una felicità presente che poteva svanire in un attimo dopo come polvere spazzata via dal vento, un vortice di emozioni da cui aveva imparato era impossibile uscirne illesi, capace di inghiottire, se non uccidere nel peggiore dei casi.
 
Così, fermo sull'opposto ed isolato marciapiede, il moro osservò mordendosi le labbra la porta girevole dentro cui sapeva avrebbe avuto modo di provare - e scoprire - una volte per tutte la reale natura dei suoi presentimenti. Non sapeva per certo cosa Jimin pensasse di lui, non lo conosceva neanche così bene, ma attraverso la profondità dei suoi scintillanti occhi color nocciola il giovane avvocato era cosciente, se non del tutto certo, che quella scarica elettrica che intercorse fra loro, l'intesa che legò - quasi in maniera telepatica - le loro menti quella sera, Jimin l'aveva avvertita in egual modo.
 
Era cominciato tutto come un gioco, una difficile partita a scacchi che portò però Jungkook a diventare pedone della sua stessa scacchiera, burattino dei suoi stessi fili. Il sorriso di Jimin gli appariva ormai in sogno come fiamma ardente, la sua ingenuità e bontà d'animo le uniche ad esser state in grado di abbattere quelle pareti difensive di cemento armato che anno dopo anno, con tanto lavoro e fatica, aveva innalzato attorno a sé. Jungkook stava andando incontro ad un bivio, o forse soltanto un vicolo cieco, tutti quei segnali sarebbero potuti essere soltanto frutto della sua volatile immaginazione ma se, con una punta di egoismo, non avesse provato, tentato di capire cosa stava realmente accadendo dentro di lui e dare così un nome a quel subbuglio infernale, era certo non si sarebbe mai dato tregua.
 
Scese così dal suo gioiello, con le mani fredde sprofondate nelle tasche della sua giacca, e volgendo uno sguardo ad ambe due le direzioni Jungkook attraversò il piccolo tratto di strada spingendo la porta del ristorante galeotto. Entrò cauto, con la stessa eleganza furtiva di un gatto, notando con un sospiro di sollievo che all'interno nessuno era più presente; i lampadari dell'ingresso erano spenti, i tavoli spogli delle decorazioni ed in quel buio penetrante, in cui per un attimo espresse il desiderio di affogarci, Jungkook notò una luce fioca trapelare dalle porte semi socchiuse di quella che suppose doveva essere la cucina del locale. Silenziosamente il moro si avvicinò ad essa, ascoltando con attenzione la presenza di possibili voci e rumori ma tutto ciò che invece percepì fu della musica. Dei violini. Jungkook sbirciò attraverso il lieve spazio creato dalle due ante e fu sorpreso di vedere Jimin posizionato al centro della stanza con i piedi paralleli alle linee geometriche del pavimento, le braccia portate in alto morbide e rilassate, le ginocchia tese in movimenti armonici ed eleganti.
 
Stava ballando.
 
Jungkook lo guardò con espressione affascinata muoversi in piroette da una parte all'altra della cucina. Jimin indossava ancora la divisa da lavoro, una camicia bianca stretta in vita da un grembiule nero, e i suoi capelli biondi erano dipartiti lasciando perfettamente esposto il fascino del suo viso di porcellana. Sembrava un angelo, Jungkook giurò, di una bellezza devastante quasi difficile da sopportare al solo sguardo. Avrebbe voluto che il tempo si fermasse in quel preciso istante, restare nascosto nel buio e silenzioso guardarlo ballare per il resto della notte, incantato dal suo completo e devoto abbandono verso le note di quella musica dolce. Il moro strinse forte i pugni, le unghie conficcate nella carne, combattendo una chissà quale battaglia interiore e cercando invano di sopprimere l'istinto dettatogli in quel momento dalla parte meno razionale del suo essere.
 
Quando la musica attorno a lui cessò, infatti, Jungkook spinse le porte della cucina ed applaudì con un ghigno compiaciuto stampato sul volto. Girato ancora di spalle, Jimin si voltò piano con la chiara intenzione di pronunciare parole di scuse per la sua avvenuta negligenza ed il terrore negli occhi di trovare davanti a sé un infuriato e poco cordiale signor Choi, ma non appena il suo sguardo incontrò il viso dolce del moro, le spalle di Jimin si rilassarono e le sue labbra si curvarono in un enorme e genuino sorriso.
 
"Da quanto tempo sei lì ?" gli domandò arrossendo.
 
"Non da molto, abbastanza da poterti ammirare – " stava flirtando " – sei davvero bravo Jimin"
 
"Aish ... non era niente, stavo soltanto provando qualche passo per la cerimonia di fine anno" rispose grattandosi il capo con imbarazzo. Jimin era abituato a ricevere complimenti per tante cose, ma mai di tutte per la sue capacità ballerine. "Non credevo di rivederti così presto".
 
"Nemmeno io lo credevo ..." pensò Jungkook abbassando lo sguardo. "Mi dispiace per l'improvvisata, sono stato egoista non ti ho neanche chiesto se avessi programmi dopo il lavoro" invece disse.
 
"Non scusarti, sono contento che tu sia qui" disse Jimin, le gote pallide colorate di un acceso rosa pesca. "Stai bene ?" aggiunse dopo un attimo, tornando a volgergli a pieno il suo sguardo. "Non sembra tu abbia avuto una bella giornata"
 
Jungkook si tolse così la giacca, poggiandola su uno dei tanti banconi d'acciaio presenti in quel perimetro. "E' stata pessima. Compilare scartoffie e presenziare a riunioni non sono di certo il mio passatempo preferito" disse sbottonandosi i polsini della camicia e arrotolandoli fin sopra i gomiti. "Da dove comincio ?"
 
"Di cosa parli ?" chiese il biondo scettico.
 
"Sarà già mattina prima che tu riesca a togliere tutto questo casino da solo" affermò "Forza, ti do una mano"
 
"Stai scherzando ?" ridacchiò Jimin incredulo, "Vuoi sul serio metterti a lavare i piatti ?"
 
"Ho la faccia di uno che scherza ?" Jungkook afferrò uno strofinaccio posato su di un gancio e glielo lanciò "Due persone lavorano meglio di una. Io lavo, tu asciughi".
 
"Sai farlo almeno ?"
 
"So fare tante cose Jimin – " sorrise lui maliziosamente. " – Non mettermi alla prova".
 
Per la prima volta in tutta la sua vita, Jeon Jungkook, colui che odiava fare le faccende domestiche più di qualsiasi altra cosa al mondo, scoprì che queste potevano essere alquanto divertenti se fatte invece con la giusta compagnia al suo fianco. Trascorrere il tempo con Jimin si rivelò essere un'ottima cura contro il suo malumore, così tanto piacevole che Jungkook fu tentato di estrarre dalle credenze lì presenti tutte le stoviglie necessarie a prolungare quel momento al più lontano minuto possibile. Jimin afferrò un bicchiere dalle sue mani, chiacchiere dopo chiacchiere, esaminandolo in maniera scherzosa e sorridendogli poi di puro cuore mostrandogli la bellezza delle sue piccole fossette evidenti.
 
Fu osservando il suo profilo scolpito che Jungkook riavvertì dentro di sé quella vibrazione, una scarica elettrica che gli trapassò per intero la colonna vertebrale: Jimin era concentrato a riordinare i piatti puliti in pile perfette, le sue labbra carnose leggermente schiuse ed il pallido contorno del collo in perfetta armonia con gli abiti chiari che in quel momento indossava. Jungkook sapeva che avrebbe dovuto distogliere lo sguardo prima che lui potesse accorgersene, ma non ci sarebbe riuscito neanche se l'avessero bendato. Aveva memorizzato ogni centimetro, ogni lineamento delicato del suo viso marmoreo, dalla curvatura del pomo d'adamo a tratti di petto nudo resi visibile dalla camicia sbottonata.
 
Continuerai a fissarlo fino a renderti ridicolo ?
 
Jungkook quasi annuì in risposta a quella domanda dettatagli dalla mente. Quello di Jimin non era un corpo falsamente costruito, ma forgiato per essere una distruttiva arma letale. Se avesse continuato ad osservarlo in quel modo famelico, come nelle vicinanze di una preda a lungo cacciata, sapeva sarebbe finito con il non rispondere più della sua parte razionale. Le sue tanto devote attenzioni infatti furono ben presto distolte dal suo viso non appena Jungkook avvertì un lama sfiorargli la pelle ed un fastidio pungente propagarsi come un incendio appiccato. Il moro rinsavì così la mano dalla vasca d'acqua e sapone capendo subito di essersi tagliato con un coltello o forse solo con un frammento di vetro.
 
Non appena notò un rivolo di sangue scorrere lungo il suo palmo, Jimin si portò le mani alla bocca spaventato. "Stai sanguinando! O mio dio, la tua mano sta sanguinando! Mi dispiace Jungkook ... doveva esserci un bicchiere rotto e ..."
 
"Non preoccuparti, è solo un graffio" lo interruppe il moro utilizzando uno strofinaccio lì presente per tamponare quella piccola - ma fluente - chiazza di sangue.
 
"E' una brutta ferita e devi disinfettarla!" disse Jimin con tono che non sembrava accettare replicazioni. Le sue piccole e morbide dita gli strinsero con una forte pressione parte dell'avambraccio, trascinandolo velocemente verso il bagno della cucina. Gli occhi di Jungkook cercarono i suoi, dolci come poesia, ma Jimin sembrò essere troppo intento a preoccuparsi di quell'insulso graffio per notatale che quella stretta in realtà, quella carezza di mano su pelle, gli stava rivoltando lo stomaco con numerose capriole.
 
Jimin lo fece così accomodare su uno sgabello mentre afferrava, in punta di piedi, da un mobiletto a lui troppo alto il kit per le emergenze di primo soccorso. Il biondo si accovacciò poi dinanzi a lui afferrando con delicatezza la mano ferita fra la sua e rigirandola a destra e a sinistra per capire se il taglio appena provocato contenesse ancora piccole schegge di vetro, ma dall'ammontare di sangue fuoriuscito da esso, Jimin suppose che la ferita doveva essere integra e pulita. Prese così della carta assorbente dal kit cominciando a tamponargli le scie di sangue ancora uscenti; la mano di Jungkook era calda ed umida al tocco, i tendini tesi sotto la sua stretta, e le vene più in rilievo del solito al di sotto della pelle. Jungkook era nervoso, si vedeva – si sentiva – e con ogni probabilità, la presenza del biondo seduto tra le sue gambe gli stava provocando solo un ulteriore senso di disagio.
 
Una ciocca di capelli biondi uscì scomposta dal binario della fila ordinata di Jimin cadendo fievole sul viso pallido. L'altra mano, la destra di Jungkook quasi si sollevò a scatti, con il forte desiderio di scostarla dalla panoramica dei suoi occhi e rimetterla lì a posto nel suo equilibrio. Ma prima ancora di rendersi conto dei suoi pensieri, il braccio di Jungkook gli si allungò, catturando fra le dita quel ciuffo soffice come seta e rigettandolo ordinato fra la mischia dorata. Jimin sembrò non essersi accorto del suo gesto, continuando inflessibile a mordersi le labbra e formulare frasi sconnesse fra loro.
 
"E' tutta colpa mia mia, mi dispiace davvero Jungkook. Ti fa male ?"
 
"Jimin" lo chiamò lui.
 
"Che stupido non ho preso neanche dei cerotti!"
 
Quella preoccupazione sincera e genuina arrivò a Jungkook come una lancia gettata al centro del cuore provocandogli un fremito lungo tutto il corpo. "Jimin!", stavolta alzò la voce, incontrando così il panico crescente nei suoi occhi. "Fa un respiro. Sto bene" mormorò con dolcezza.
 
Jimin passò la lingua rosea sulle labbra piene ed annuì ripetutamente, "Hai ragione, scusa" disse mortificato. Così, senza sprecare ulteriore tempo, il biondo disinfettò la ferita con dell'acqua ossigenata applicando poi una pomata antibiotica ed infine, con movimenti leggeri e delicati, strappò via dall'involucro un cerotto che Jungkook notò era giallo e decorato con tanti orsacchiotti , uno di quelli che si applicavano sulle ginocchia sbucciate dei bambini. "Ho solo questi, mi dispiace" si giustificò imbarazzato.
 
Il moro rise, studiandosi la fasciatura da ogni lato. "E' carino invece".
 
Uscito dal bagno, Jimin pulì di fretta il pavimento della cucina mettendo poi a posto le ultime stoviglie rimaste. Con il timore che avrebbe potuto ferirsi di nuovo, il biondo aveva vietato categoricamente a Jungkook di prestargli aiuto e di toccare tutto quello che c'era in quella stanza. Il minore stranamente acconsentì poggiandosi svogliatamente con il bacino ad uno dei banconi. Jungkook lo osservò sbrigare tutte le sue mansioni, correre da un lato all'altro della cucina nella speranza che quelle faccende finissero il prima possibile. La notte non sarebbe stata ancora molto lunga e Jungkook sapeva doveva tornare a casa e concedersi una lunga dormita, ma avrebbe preferito di gran lunga presentarsi al lavoro il giorno dopo con delle occhiaie da paura se ciò significava trascorrere ancora dei minuti preziosi in sua compagnia.
 
"Dovremmo smetterla di incontrarci così – " disse Jimin posando nella credenza l'ultima pila di piatti. " – Succede sempre qualche disastro quando siamo insieme".
 
"Soprattutto perchè sono io quello ad avere la peggio", precisò lui alzando la mano con il cerotto. "La prossima volta ne terrò conto, magari starò attento alle gambe".
 
"Non cercare di farmi sentire peggio" lamentò il biondo puntandogli un dito contro "ho cercato di sdebitarmi ma tu non accetti replicazioni! Sei la persona più testarda che abbia mai conosciuto".
 
"Non c'è bisogno che tu mi offra nulla, Jimin" disse Jungkook con un sorriso abbozzato e timido rivolto verso il pavimento. "Mi basta la tua compagnia"
 
"Che intendi ?"
 
"Che non mi interessa della camicia, delle cene o della mano, che sia lì fuori o qui dentro. Mi piace solo ... stare con te" .
 
Le labbra di Jimin si schiusero inaspettate e sorprese, l'imbarazzo protagonista sulle sue paffute guance rosse. Il biondo avanzò un passo, poi un altro ancora fino a poggiarsi, con le mani scese sui fianchi, al bancone accanto a Jungkook. "Anche a me piace stare con te" mormorò.
 
"Non devi dirlo per assecondarmi, so di essere rude, a volte persino troppo brusco".
 
"Non ti sto compiacendo", sorrise. "Certo, all'inizio credevo volessi uccidermi. Ho cercato in tutti i modi di evitarti chiedendo persino ad Hoseok di sostituirmi quel giorno quando sei venuto qui".
 
Il moro sogghignò, "Ti faccio così tanta paura ?"
 
"La tua presenza ... mi agita, Jungkook" disse Jimin voltandosi serio verso di lui "Tu mi agiti"
 
"Non credo sia una cosa molto carina", disse lui storcendo la bocca.
 
"Dipende dai punti di vista"
 
Il tono rauco e seducente di Jimin rasentò in Jungkook l'apice della sua stessa pazzia. La sua mente era decisa e sicura sul da farsi: gli stava dicendo di librarsi dalla tela, andare via e non commettere ulteriori idiozie che avrebbero compromesso le sue già difficili condizioni. Sarebbe stato semplice se il suo corpo avesse avuto la minima intenzione di obbedire ai suoi comandi. Avere Jimin così vicino era paragonabile ad un peccato, una tentazione reale difficile da resistere. Sapeva che quella era la sua ennesima sfida, che non sarebbe stato più in grado di fermarsi se avesse avuto modo di sfiorare anche solo per un secondo il suo stato di calma apparente.
 
Jungkook osservò folgorato la forma perfetta del suo arco di cupido, le sfumature rosee ancora ben poco definite delle labbra dalla forma di petali sbocciati. Avrebbe potuto inglobarlo con un abbraccio per quanto fosse piccolo e minuto al suo confronto, inalare l'odore della sua stessa pelle invece per quanto fosse vicino in quel momento. Quel profumo dolce di vaniglia inebriò come droga le sue narici sensibili, Jungkook chiuse gli occhi abbandonandosi a quel silenzioso e carico momento sentendo dopo un attimo la mano di Jimin sfiorare calda la sua.
 
Fu questione di attimi, di sguardi. Jungkook era intenzionato ad augurargli una buonanotte e procedere il prima possibile verso l'uscita del locale ma i suoi piedi rifiutarono per l'ennesima volta di rispondergli. Si sentiva come tra sabbie mobili, più cercava di tirarsene fuori più veniva trascinato al suo interno in una morsa.
 
"Jimin ..." infine mormorò a un palmo dal suo naso, alzando lo sguardo verso di lui per dichiarare resa e lasciarsi finalmente inghiottire da quel luccichio di pupille.
 
Prima che potesse rendersi conto di ciò che stava accadendo, e di provare anche solo a reclamare, Jimin poggiò le mani sul suo viso e si sporse in avanti a poggiare le labbra sulle sue. Ormai era lì, il contatto era avvenuto e c'era niente che Jungkook potesse più fare. Il biondo lo baciò piano, rigido e incerto, quasi come se stesse testando l'idea anziché farlo davvero. Jungkook si sentì la terra mancare sotto i piedi, sognato di accarezzare quelle labbra gonfie e ballarci insieme dal primo istante in cui aveva posato gli occhi su di esse. Era convinto che quella sarebbe stata una dura lotta, che il primo passo sarebbe stato il suo, inghiottire e mandare giù l'idea di uno spudorato rifiuto ma Jimin non gli aveva mai reso le cose tanto facile quanto allora. Jungkook posò così le mani sui suoi fianchi stretti, attirandolo a sé e rendendo palese quanto desiderio avesse di lui. Avrebbe voluto scorrergli le dita fra i capelli, sentire sotto di sé ogni fibra del suo corpo contorcersi; voleva lasciare scie di baci umidi sul suo collo, mordergli l'incavo fra le clavicole e reclamare appartenenza, ma non lo fece. Jungkook dovette utilizzare l'ultimo briciolo di autocontrollo che aveva pur di trattenersi dal non fare ciò che invece la sua testa reclamava.
 
Il bacio divenne via via più intenso, Jimin gli accarezzò gli zigomi con i pollici e dischiuse le labbra accogliendolo. Quando le loro lingue si toccarono, calde ed umide, Jungkook avvertì una scarica di adrenalina tale da portarlo sul baratro della follia. Jimin era delicato, come delicato era il suo corpo, e sapeva di buono, di fresco ... di zucchero. Poi accadde qualcosa, un momento di pura lucidità. Non capì per certo cosa lo scatenò. Un attimo prima lo stava baciando con fervore, come se la sua vita dipendesse da quelle labbra, in quello successivo Jungkook aprì gli occhi e premette i palmi contro il suo petto spingendolo via con forza.
 
"Jimin no", mormorò a corto di fiato.
 
Jimin lo guardò disorientato, "Perchè ?" chiese con un filo di voce.
 
"Perché ..." ansimò " ... Perché è sbagliato"
 
Jimin dischiuse appena la bocca come per dire qualcosa, ma Jungkook non lasciò lui il tempo materiale per proferire ulteriore parola. Afferrò la giacca dispersa laddove prima l'aveva poggiata ed abbandonò quella cucina di fretta e furia, lasciando il biondo lì da solo a realizzare quanto appena accaduto fra loro. Jungkook uscì dal ristorante incontrando di schianto l'aria gelida della notte ma il suo corpo ancora accaldato parve invece non avvertirla. Attraversò così la strada, salì sulla sua Mercedes e si accasciò al sedile anteriore respirando a fatica, quasi senza più cenno di aria nel petto. Chiuse gli occhi imponendosi la calma e cercando di riacquisire invano la calma dei battiti del suo cuore ormai impazzito.
 
Quello con Jimin non fu un bacio come tanti altri. Era di quelli che spedivano sulla luna al primo tocco, che ubriacavano al solo sapore, qualcosa che Jungkook pensava - in vita sua - non avrebbe mai più provato e riavuto. Tutto intorno gli vorticava, la testa, le gambe, il petto dolorante dal carico di emozioni appena provate.
 
Se n'era andato come un vigliacco, poiché la paura, il dubbio e le incertezze ancora una volta ebbero la meglio su di lui; poiché il suo tanto invidiato orgoglio lo aveva abbandonato, rendendolo fragile, debole ai suoi occhi.
 
Se n'era andato mentendo spudoratamente a se stesso: perché una cosa così bella non poteva essere sbagliata.
 



Nota dell'autrice: Ho terminato questo capitolo giusto 10 minuti fa e davvero non so cosa ne è appena uscito fuori. Il titolo e parte del finale sono ispirati alla canzone 'Error' dei VIXX. Vi mando un abbraccio e vi faccio sinceri auguri di buon anno, spero il vostro natale sia stato dei migliori <3 torno presto - moonism
   
 
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