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Autore: Lila May    29/12/2017    3 recensioni
/ Sequel di Disaster Movie / romantico, slice of life, comico (si spera) /
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10 anni dopo la terribile, anzi, mostruosa convivenza con i ragazzi della Unicorno, Esther Greenland passeggia per le strade di New York a tacchi alti e mento fiero. Il suo sogno più grande si è finalmente realizzato, e tutto sembra procedere normale nella Grande Mela americana.
Eppure, chi l'avrebbe mai detto che proprio nel suo luogo di lavoro, il gelido bar affacciato sulla tredicesima, dove non va mai nessuno causa riscaldamento devastato, avrebbe riunito le strade con una delle persone più significative della sua vita?
Il solo incontro basterà per ribaltare il destino della giovane, che si vedrà nuovamente protagonista del secondo disastro più brutto e meraviglioso della sua esistenza.
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❥ storia terminata(!)
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bobby/Domon, Dylan Keith, Eric/Kazuya, Mark Kruger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter three.

Slices of life
 

<< Ti ha dato il suo numero di cellulare? >>
Mary aprì la porta della doccia per guardare l’amica. I lunghi capelli blu le scivolavano armoniosamente sulle spalle, una cascata scura in forte contrasto con la pelle rosata, e profonde righe di mascara le erano brutalmente colate sotto gli occhi chiari, marchiando le gote umide d’acqua con il loro tratto color pece.
<< Sì. >> Esther si rigirò il foglietto tra le mani con fare annoiato. Erano passati tre giorni dalla chiacchierata al bar, sempre se così la si poteva definire. Aveva pensato di chiamare il caro, vecchio, meraviglioso Mark Kruger più e più volte, ma, temendo di disturbarlo, aveva sempre rimandato al giorno successivo; anche lui avrebbe potuto benissimo farsi vivo, del resto, eh. Il suo numero non era mai cambiato nel corso degli anni, solo i cellulari. Ma forse il signorino nemmeno lo aveva più, il suo contatto.
<< Comunque quando ho fatto tuo nome, non sembrava averti riconosciuta. >>
Mary serrò la porta della doccia con uno scatto che non aveva niente di delicato e femminile, facendo sobbalzare la mora. << Beh, da quel che ricordo io aveva occhi solo per Suzette. Era già un miracolo che si rammentasse di tutti i nostri nomi. >>
<< Suzeeeeette! >>
Le due risero, ripensando a Mark e alla Heartland insieme. Se prima potevano essere più o meno apprezzabili - punti di vista -, ora facevano entrambe una fatica immensa anche solo a partorirli accanto. Erano diventati troppo diversi.
Suzette era cresciuta come quel genere di donna spavalda e testarda che si poteva definire in una sola, potente parola, accompagnata da un solo, potente aggettivo. “Libertà sessuale”. In tutte le sue forme. O almeno, così ricordava Esther; non la sentiva da parecchio, chissà che non fosse cambiata col passare dei mesi. Chissà che non avesse trovato il suo uomo ideale, ne cambiava così tanti che ormai tutti avevano perso il conto, persino lei.
E Mark, Mark sembrava troppo serio per stare con una come l'adorabile Suzette.
Anzi, sembrava semplicemente troppo. Per tutti.
Niente vie di mezzo.
Esther ripensò a quando le aveva toccato il piercing, accompagnando il gesto con uno sguardo malizioso e carico di aspettativa.
Arrossì. Dio, quel contatto le aveva scatenato una vera e propria tempesta nel cervello.
Più ci dedicava un pensiero, più finiva per trovarla la cosa più bella che le fosse mai potuta capitare in quell’anno.
<< Comunque dovresti davvero chiamarlo. >> Mary uscì dalla doccia e si avvolse in un morbido accappatoio color kaki prima che il freddo le potesse accapponare la pelle gocciolante. << Se ti ha dato il numero, significa che vuole le tue attenzioni. >>
<< Non credo ne abbia bisogno. >>
<< Di cosa? >>
<< Delle mie attenzioni. Lo hai visto, Mary? E’… è diventato un bel ragazzo. Ne avrà già molte, di attenzioni. >>
<< Dici? A me sembra normalissimo. >>
<< Io lo trovo assurdamente carino alla follia, invece. >>
<< Senti tesoro, se non lo fai tu lo faccio io. >>
Esther rise ironica a quella battuta. << Non osare. >>
<< Oso eccome, se continui a tenere quel grosso culo per terra ad aspettare in uno squillo. I maschi sono lenti, lui in particolare, mentre tu sei audace, fa la prima mossa, che ti importa del galateo. Altrimenti me lo scopo prima io, sappilo. >>
<< D-domattina… domattina lo faccio. >>
<< L’hai detto. >>
L’ultima cosa che Mary sentì fu la porta del bagno serrarsi con un tonfo secco. Sorrise maliziosa mentre strizzava i capelli nel lavandino, pensando che sì, a volte Esther era proprio una bambina scema e sprovveduta.

 

 

Esther digitò il numero, si portò il cellulare all’orecchio e attese.
Il primo squillo partì, sostituito presto dal secondo.
Era raggiungibile.
Ci fu un terzo suono interrotto, poi ne seguì un altro e alla fine la tanto attesa voce calda di Mark ruppe quella noiosa sequenza, trillando in un saluto nervoso.
Sembrava stesse camminando in fretta, Esther poteva percepire il respiro affannoso del biondo tremolare lievemente contro il suo orecchio teso.
<< Ehi, Mark! >>
<< Ehi, Est! >>
<< Come stai? >>
<< Bene, te? >>
<< Chiamo nel momento sbagliato, Mark? >>
Il biondo esitò un istante, poi le rispose. Probabilmente aveva sorriso. << No, figurati. Ho finito adesso il turno. >>
Buttò uno sguardo all’orologio, che segnava le otto e tredici di mattina.
<< Hai lavorato di notte? >>
Lo percepì annuire appena. << Ti spiegherò tutto. Sei libera oggi? >>
La mora gettò una rapida occhiata a Mary, seduta dall’altro capo del tavolo intenta a risolvere un intricato cruciverba. << Certo che sono libera. >>
<< Perfect. Vediamoci questa sera alla tavola calda della scorsa volta, quello vicino a dove lavori tu, ti va? >>
<< Volentieri! >>
Udì una portiera chiudersi, una chiave infilarsi da qualche parte e il rombo di un motore cominciare a fare da sottofondo alla chiamata. Mark stava tornando a casa. Chissà dove abitava. Era solo o in compagnia? Aveva la ragazza? Non vedeva l’ora di trovare risposta a tutte quelle domande, la curiosità la stava divorando.
<< Alle diciannove lì, ti offro la cena io. Ora devo scappare. Ci vediamo questa sera. >>
<< D’accordo Mark. Alle 19 sarò lì. >>
Riattaccò prima che potesse farlo lui, poi guardò Mary con aria stordita. Moore sembrava soddisfatta della chiamata. Posò il giornalino e fissò i grandi occhi lillà su quelli neri di una Esther ogni secondo più confusa.
<< Mary! Non ho intenzione di scoparmelo ne di farci altro, santo dio. Dobbiamo solo parlare! Due amici che si ritrovano, tutto qui. >>
<< Eppure perché ho la sensazione che ti farai stra bella? Il divano è tutto vostro comunque. >>
La mora ignorò il commento velato di malizia e si sedette accanto all’amica, emozionata. Poi le strinse un braccio con forza, scuotendola per sciorinare il suo visibile stato di euforia. << Non vedo l’ora di rivederlo. E’ così strano aver ripreso i contatti… uscire con lui… si è fatto così grande… >>
<< Lo so tesoro. Lo so. >> Mary la scrutò come a guardarle l’anima. << Che cosa provi, Esther? >>
<< Sconcerto. Mi fa molto strano risentirlo dopo tanto tempo. Però sono felice di sapere che è vivo, sta bene e lavora. >>
<< Già… provi anche altro? >>
<< Beh… >> Esther si strinse nelle spalle, dubbiosa. Certo che provava altro.
Sentiva un nodo allo stomaco, i ricordi riaffiorare alla mente ogni volta che la voce di Mark le perforava le orecchie, l’immagine di lui ora, così bello e diverso, l’immagine di lui una volta, fragile e perso in un mondo che gliene aveva date fin troppe.
Così confuso, superficiale.
E intanto che ci pensava, dentro di sé la curiosità cresceva famelica, aumentando d’intensità ora dopo ora.
Non vedeva l’ora di rivederlo.
​<< Riformulo: provi anche altro? >>

<< Non lo so… >> bofonchiò, annaspando le parole con evidente insicurezza.
Lo avrebbe scoperto quella sera stessa, cosa sentiva.
Per ora, voleva solo uscire con lui e farsi spiegare un paio di cosette.

 

 

<< Sei cresciuta un sacco, Esther. >>
Esther smise di tagliare la morbida bistecca, poi posò lo sguardo su Mark e gli sorrise, imbarazzata dinanzi a quell’affermazione tanto vera quando ingenua. Fuori pioveva, sembrava essere arrivato il diluvio universale. Tremende gocce d’acqua si schiantavano contro la vetrata alla loro destra, eppure tutto sembrava essere così calmo, immerso in una quiete innaturale e deliziosamente tesa. Non sapeva spiegarsi quella strana sensazione. Era da quando avevano messo piede lì dentro che si sentiva così. Serena. Non sembrava affatto un incontro organizzato alla bene meglio dopo dieci anni di silenzio assoluto. Sembrava semplicemente una rimpatriata tra due amici che non si vedono da una settimana circa. Questa cosa le piaceva, rendeva il tutto più naturale, più comodo. O forse era Mark, con la sua felpa aperta sul petto largo, il suo sorriso sincero, a trasformare persino la pioggia più funesta in meravigliose scaglie di arcobaleno. << Grazie. >> gli strinse affettuosamente un polso, rendendosi conto di quanto fosse grosso rispetto al suo. << Dovrei dire lo stesso di te, ma penso tu te ne sia accorto da solo di essere cambiato davvero tanto! >>
Kruger ricambiò la stretta con fare impacciato, poi affogò la timidezza nella birra, dorata come i suoi capelli ribelli.
Quando posò il bicchiere, la mora si sentì trafitta da un’intensa occhiata color tiffany.
Era giunto il momento di parlare.
Sul serio, questa volta.
<< Allora, Mark? >> infilò un pezzo di carne in bocca e lo deglutì in un sol boccone, sostenendo lo sguardo di lui. << Immagino tu abbia delle spiegazioni per essere sparito così, di punto in bianco. >> sperò tanto che quella frase risuonasse dolce e bonaria, ma a giudicare dall’espressione contrita che fece il ragazzo nell’udirla, era passata solamente per impertinente.
Non chiese scusa. In parte doveva ritenersi offesa, e forse lo era ancora nel profondo. Anche se erano passati dieci anni, non aveva dimenticato come si era sentita abbandonata in quei lontani mesi di dolore.
<< Era di questo che ti volevo parlare la scorsa volta, Esther. >>
<< Ti eri dimenticato di me? >>
La carne passò in secondo piano, mentre la mora sentiva formarsi un’urgenza di risposte in fondo al cuore. Urgenza che aveva voglia di essere placata, e non dall’atmosfera. Da lui. << Mi hai cestinata come tutti gli altri? >> senza accorgersene alzò la voce, ignorando le occhiate confuse di alcune persone vicino al loro tavolo.
Mark si interruppe sul nascere di una frase a cui probabilmente non aveva pensato bene. Sembrava dispiaciuto a morte. Desolato da ciò che stava sentendo, come se non sapesse riconoscersi nelle parole della ragazza.
Esther sapeva che, sotto lo sguardo rigido, si stava dando la colpa. Lo conosceva troppo bene, ma non aveva intenzione di fermare i suoi tormenti interiori solamente per farlo sentire meglio.
<< So che è passato del tempo, e sinceramente adesso che sono adulta me ne frego di ciò che è successo, ma hai idea di quanto mi hai fatta soffrire? Mi sono portata la pena dentro fino a sedici anni, prima di sbatterti nel dimenticatoio e farmi una nuova vita lontana dal cellulare. Non è una cosa carina da fare ad una ragazza. Una ragazza che aveva perso la testa per te, poi. >>
<< Lo so, Esther. >> Mark pronunciò il suo nome con rammarico, pensieroso. Doveva essere precipitato nei ricordi, glielo lesse nell’espressione facciale. Era bellissimo, il riflesso della pioggia gli chiazzava la guancia di minuscole perle bianche. << E mi dispiace tantissimo per quello che è successo. Ma non l’ho voluto io. >>
<< Spiegati. >>
Il biondo le prese una mano all’improvviso, facendola avvampare. Esther avrebbe tanto voluto finire la sua bistecca ben cotta, ma quel contatto la distrasse dal suo intento iniziale. Mollò la forchetta, incapace di distogliere gli occhi da quella mano tanto grande stretta sulla sua.
Le dita di Mark erano calde, immense rispetto alle sue.
Sbuffò piano, cercando di non lasciarsi andare all’emozione. La donna che poteva sentire quelle palme lungo tutto il corpo doveva davvero ritenersi fortunata. Ma perché ora pensava a simili stronzate?
<< E’ stata “colpa” di mio padre. A quei tempi non capivo, ero ferito. Non capivo che mi vedeva star male e voleva aiutarmi, seppur con metodi “spartani”. Ma Johann è fatto così. Gliel’ho perdonato. >>
Esther si fece attenta, le mani allacciate si sciolsero sulle tovagliette di carta chiazzate di olio.
<< Dopo diversi mesi di lagne mi ha ritirato il cellulare, perché mi rifiutavo di accettare la mia nuova condizione. Non l’ho mai più riavuto indietro, però in cambio me ne ha comprato uno nuovo. Ho fatto di tutto per riaverlo, te lo giuro. Per riavere indietro la mia vita, i miei amici e te. >> Mark la guardò in modo indecifrabile. Esther storse le labbra carnose a quell’occhiata fitta di pensieri, incapace di trovarne il significato nascosto. << Alla fine, comunque, è stato meglio così. Solo, l’ho capito troppo tardi. >>
<< Che intendi dire? >>
<< Che mi ha permesso di buttarmi. Sperimentare, conoscere nuove persone e farmi una nuova vita. Perdonami, so che ti sei sentita abbandonata, ma non potevo farci nulla, giuro. Col tempo avevo smesso persino di ribellarmi. Appena ho preso la maturità, però, me ne sono andato a fare la mia vita. >>
<< Deve essere stata dura… >>
<< Neanche tanto. Duro è stato dimenticarti, Est. E... beh... sforzarmi di dimenticare tutti gli altri, ecco. >>
<< Mark… >> un sospiro sorpreso morì nella gola della ragazza, bloccandole il fiato. Cercò di dire qualcosa, qualsiasi cosa dinanzi a quell’ammissione tanto potente quanto dolorosa, ma non riuscì a trovare le parole giuste, e rimase zitta.
Si specchiò negli occhi di Mark, e notò che le brillavano le iridi.
Scema, non piangere, o ti si guasta il trucco.
<< Poi i miei si sono lasciati, durante il mio secondo anno di liceo. Non andavano più d’accordo. Mia mamma, la ricorderai, è tornata in California, lasciando me e Marge con Johann. In ogni caso, la prima cosa che ho fatto una volta libero dalla scuola è stato andarla a trovare. >>
Lo vide sorridere nostalgico, e sorrise anche lei. Si sentiva più felice, in pace con la se stessa del passato. Quella dichiarazione era stata un balsamo curativo sulle ferite dell’adolescenza rimaste in parte aperte. Mark non l’aveva mai lasciata, mai sostituita.
Semplicemente, il padre aveva chiuso una porta per indirizzarlo verso un’altra, lenire i danni di quel trasloco avventato, quel brusco cambio di marcia.
Chissà quanto l’aveva pensata, chissà se aveva versato la sua stessa quantità di lacrime.
Lei ci aveva creduto, lui a quanto pareva non era stato da meno.
Forse le cose sarebbero andate allo stesso modo, la distanza incolmabile li avrebbe comunque separati, di questo ne era certa.
Eppure eccoli lì. Uno di fronte all’altro. A parlare.
Dopo dieci anni.
<< Mi dispiace per tua mamma, Mark. >>
<< Figurati, sta da dio. Sono stato da lei un anno e mezzo prima di ritornare a New York, ho rivisto Dylan, Erik, Bobby e gli altri ed è stato un anno stupendo. Questo natale ritorno di nuovo a Los Angeles, you know. >>
Esther spalancò la bocca a quell’informazione, e quasi che non cadde dalla sedia.
Anche lei sarebbe andata in California per le vacanze di natale, insieme a Mary. In una cittadina molto vicina a Los Angeles, forse anche troppo.
Non credeva nel destino, ma aveva imparato a fidarsi molto bene delle coincidenze.
Beh, quella era piuttosto strana, giusto?
Sentì il bisogno di dirglielo, di farci qualche risata su, ma suonava talmente assurdo che rimase zitta, cercando di calmare i battiti del cuore.
La California rimaneva comunque immensa.
Le loro strade potevano incrociarsi come proseguire dritte.
<< Erik è venuto con me, ecco perché te lo sei ritrovato qui. Ha frequentato l'accademia con me. >>
<< Accademia? >>
<< Scusate, posso portarvi altro da bere? >>
Mark la guardò, in attesa che decidesse che altra bevanda prendere. << D-dell’acqua! >> bofonchiò lei, rimasta ancora appesa alle ultime parole dell’americano. Accademia? Accademia militare? Accademia delle arti? << grazie. >>
La cameriera sparì così com’era arrivata, e la mora ripose di nuovo tutte le attenzioni su Kruger, scordandosi completamente della carne ormai fredda poggiata dinanzi a lei.
E della California.
<< Accademia? >>
<< Di polizia! >>
<< C-cosa?! >>
<< Sono un agente, anche se da poco. >> Mark le sorrise, infilò le mani nella tasca del jeans, estrasse il portafoglio e le mostrò un distintivo di un luminoso argento slavato. Pareva aver immagazzinato tutte le luci della città, da quanto era luccicante.
Esther spalancò le labbra e, non sapendo come reagire a quella visione assurda, si limitò a spostare lo sguardo dall'amico al piccolo oggetto intagliato che faceva di lui uno sbirro di New York City. Le sembrava così strano e stupendo che le venne a mancare il respiro. Mark poliziotto.
Meraviglioso.
<< Mark... >> si sporse e lo sfiorò con un dito, guadagnandosi un sorrisetto da parte di lui.
<< Lo so, sembra incredibile anche a me. But at least I did it! >>
<< Sono sconvolta. Complimenti! E di cosa ti occupi? >>
<< Pattuglia, ma siccome ci lavoro da poco, mi fanno fare un po' di tutto. >>
<< La pattuglia è pericolosa. >>
<< Non se sei in coppia con Erik. >>
<< Devo ridere o preoccuparmi ancora di più? >>
<< Te lo farò sapere. >>
<< Di Eagle che si dice? Come sta? >>
<< Come lo hai visto. >>
Esther lasciò andare un sospiro meravigliato mentre Mark riponeva il suo fidato distintivo nella tasca. Che vita turbolenta che aveva avuto.
Doveva mancargli molto la sua città natale, la madre, gli amici, la sua vecchia vita. Ma sembrava aver capito di averne perso una parte, e che quella a New York si prospettava decisamente migliore.
<< Sei forte, Mark. >>
Mark s’irrigidì a quel complimento velato, ma liberò un sorriso. << E tu, Est? Che mi racconti della tua vita? >>
<< Beeeeeeh >> La mora batté le mani e si preparò ad un discorso da oscar, pronta a sciorinare anche i dettagli più inutili della sua esistenza. << Tornata al mio paese ho pensato solo a te >> lo disse senza vergogna, incoraggiata dal largo sorriso di lui. La stava mettendo a suo agio. L’aveva sempre fatto, in realtà. Esther era sempre stata bene al suo fianco, Mark sapeva essere confortante con la sola presenza. << ci sono stata male fino ai sedici anni, poi ho voltato pagina, come ti dicevo. >>
<< Mi dispiace. Non pensare di aver sofferto da sola. >>
<< Assolutamente! Mi sento sollevata, in realtà. In ogni caso, finito il liceo mi sono posta un obbiettivo: realizzare il mio sogno, ovvero aprire una tavola calda all’estero e, ovviamente, gestirla. Mi sono avvicinata a Mary, abbiamo lavorato al ristorante della mamma di Suzette ee >>
Mark esclamò all’udire quel nome, divertito.
<< E, racimolati i soldi, ce ne siamo venute a New York. Dove, ti giuro, non pensavo di rivederti. Anche se, confesso, ti ho pensato molto quando sono arrivata qui la prima volta. >>
<< Capisco. Eppure lavori in un bar. >>
<< Non ti preoccupare, lo farò diventare il ristorante migliore di New York prima o poi. Per te che sei poliziotto, extra sconto sui piatti più buoni! >>
<< Onorato! E come stanno le altre? >>
<< Suzette ha sostituito la madre al lavoro. Daisy è finita all’università, Hellen è scomparsa in Italia e Dell… Dell è sparita con un tizio di trent’anni e non si è fatta più viva. >>
<< Non eravate migliori amiche? >>
<< Boh, è come morta per me. Non la sento da un po' di anni. >>
Mark finì l’ultimo goccio di birra, pensante. << Come ti trovi qui? >>
<< Ora che so che sei un poliziotto e che daresti la vita per me, mi trovo molto tranquilla. >>
Mark scoppiò a ridere ed Esther si ricordò all’improvviso della carne. La portò immediatamente sotto i denti. Che figura ci stava facendo a uscire con lui senza mangiare?
Era Mark che avrebbe sborsato i soldi per pagare la cena. Che senso aveva spendere per una bistecca toccata appena da una viziata che fino a qualche ora prima credeva di star morendo di fame? << Tutto ok! Il freddo è devastante però. >>
<< Ci farai l’abitudine. Con la lingua? >>
<< Solo se gli americani mi fanno la decenza di parlare in modo comprensibile, come stai facendo tu ora. >>
<< Ahah! Ti orienti bene? >>

<< Sulle vie principali sì. Altre strade ho imparato a conoscerle per frequentazione, ecco. Parlando di frequentazione… sei fidanzato? >>
Mark rise a quella domanda spontanea sorta per puro caso. Esther era proprio come la ricordava, svogliata e irruenta, oltreché bella fuori ogni concezione. Quando voleva sapere qualcosa la chiedeva, senza domandarsi se fosse opportuno o meno formulare certe questioni. << Sì, sto con una ragazza. >>
La mora avrebbe voluto provare gioia a quell’affermazione, ma una fitta di gelosia le fece tremare appena il cuore gonfio di contentezza.
Gelosa poi. Perché? Perché il suo amico in dieci anni aveva scelto di accoppiarsi ad una graziosa fanciulla newyorkese?
Almeno non aveva perso tempo, a differenza sua.
Non stava capendo più niente, ma il fatto che Mark appartenesse ad una tipa sconosciuta la incuriosiva ed irritava al contempo. Si passò una mano sui capelli mossi, tirandoseli indietro. << Come si chiama? >>
<< Melanie. Mel. >>
<< Un giorno devi farmela conoscere, la tua Melania. >>
<< Melanie. >>
<< Lei. >>
Mark aggrottò le sopracciglia con un sorriso, consapevole che ad Esther già solo il nome “Melanie” stava altamente sul cazzo. << Why not. E tu mi fai conoscere il tuo? >>
<< Il mio si chiama Brad Pitt. Se hai modo di metterti in contatto con lui fammelo sapere, non sembra essersi ancora accorto di me. >>
Rise, e lei fece una smorfia. Evidentemente la frase detta non voleva affatto risultare simpatica. << Vuoi essere compatita? >>
<< Piuttosto preferirei morire nella mia condizione da single sfigata. >>
<< Eppure sei molto bella. >>
Esther avvampò al complimento, ma il fard nascose il suo lampeggiante rossore, almeno questa volta. Sapeva di esserlo, ma confermato da lui… le fece uno strano effetto. << Già, bella e impossibile. >>
<< Oh oh. >>
<< E non adatta ai terrestri come te, sicuramente. >>
<< Non ti farai mai andare bene nessuno, eh…? >>
<< Brad Pitt sì. >>
<< Posso portare via? >>
Mark fece spazio per permettere alla cameriera di raccogliere i piatti, e solo in quel momento Esther notò quanto la felpa verde militare indossata dal ragazzo stonasse col suo abbigliamento femminile ed elegante.
Evidentemente lui aveva preso quell’uscita come un banale incontro tra amici di vecchia data, il che lo era, in effetti, ma lei l’aveva comunque fraintesa per qualcosa di più, cercando di presentarsi nel modo più impeccabile e perfetto possibile. Perché? Per fare colpo? Lui era pure fidanzato, dannazione.
Si vergognò dei tacchi e delle calze trasparenti, lui non l’aveva minimamente adocchiata.
Mark notò il suo apparente disagio. << Stai molto bene così. >> le disse, alzandosi dalla tavola per poterla ammirare meglio. << Sei davvero bella. >>
<< Grazie… ho sbagliato ad uscire conciata in questo modo, comunque. A volte esagero… >>
<< Non vergognarti. Sei una favola. >>
I due raggiunsero la cassa, pagarono e uscirono. Grazie a dio aveva smesso di piovere, ma il freddo che si era alzato li investì subito col suo gelido ruggito. Il biondo parve non farci caso. Le avvolse amichevolmente le spalle, stringendola a se con una spavalderia che non gli si addiceva poi così tanto, ma che agli occhi della giovane lo rendeva solo più affascinante.
Dio, stare vicino a Mark la agitava come non mai. Si ritrovò a respirare a narici dilatate, scoprendosi in ansia.
Non sapeva se sentirsi imbarazzata per la clamorosa scoperta fatta qualche secondo prima, o in pena per quella continua serie di adorabili contatti.
<< Ti va di fare una passeggiata? Conosco un posto che potrebbe piacerti. >>
<< Volentieri! >>
Si incamminarono verso le luci della città, e Esther non poté ignorare quanto si sentisse stupida in quel momento, imbandita di tutto punto per farsi bella ad occhi che guardavano già un’altra.
Era proprio una cretina.
Una cretina tremenda, che aveva frainteso tutto fin dall’inizio.
Come al solito.

 

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Nda
hi peopleeee!
* si calma *
* bugia *
Finalmente eccomi qui, col terzo capitolo di questa strabiliante merda aah. Allora. Innanzitutto vi faccio gli auguri di buon Natale, anche se in ritardo! Io ho passato il mio Xmas day giù al sud e sono felice di essere ritornata a casa, non ne potevo più di parenti e parentini (?). Se vi state chiedendo se ho iniziato i compiti, beh, la risposta è no. AHAHAHAH.
Dunque! Vi spiego un paio di cosette. La prima, perché Mark poliziotto?
Mark poliziotto perché fin da piccola l'ho sempre visto come un piccolo policeman . Per me ha il facciotto da sbirro e ho voluto sottolineare questo mio accorgimento (?) anche in NSD (not a simple disaster, non spaventatevi (?)). Secondo, anche a me piacerebbe diventare poliziotta, in futuro. Quindi tutte le informazioni sparse che troverete dentro questa storia, e che sono attinenti all'argomento “polizia”, sono frutto di ricerche di settimane perché lo faccio anche come conoscenza personale u.u. Per quanto riguarda Esther, ho scelto di tenerla come sorta di cameriera perché lo faceva anche da ragazza, e se leggete la sua descrizione del gioco, viene chiaramente sottolineato questo dettaglio. Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Se ci sono errori segnalate pure, non dovrebbero perché ho ricontrollato ma con me non si sa mai. Vi chiedo solo una cosa; ricordatevi di Suzette, perché non è finita qui.
(???)
Detto questo,
a presto!
Lila

   
 
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