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Autore: The Custodian ofthe Doors    31/12/2017    16 recensioni
[ AU!Police| Detective!Alec| Doctor!Simon| Criminal!Magnus]
Alexander Lightwood è un detective della Omicidi di New York City famoso per la sua pazienza e la sua calma imperturbabile.
Non trova strano, quindi, che il Capo Bureau Blackthorn chiami proprio lui per risolvere il caso di un contrabbandiere di merci rare ed opere d'arte che è stato trovato morto nella sua villa, completamente a soqquadro. Così come non lo sorprende la sfortuna che pare inseguirlo per tutte le indagini.
Un caso di omicidio che lentamente prende contorni più definiti e si colora di cupe tinte, storie vecchie quasi trent'anni che tornano alla ribalta, una scia di morti che culminano proprio sull'intreccio di fili che si tende nel tempo, personaggi scomparsi dalla scena e altri che mai l'hanno lasciata, cambiando solo ruolo. Sullo sfondo dell'estate più torrida che New York City ricordi nell'ultimo secolo la legge dovrà convincere il crimine a collaborare per riuscire ad arrivare alla conclusione e mettere definitivamente il punto ad una storia che è in replica sulla scena da fin troppo.
Genere: Azione, Commedia, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane, Simon Lewis
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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!Attenzione! Capitolo decisamente lungo, armarsi di buona pazienza.



 








Capitolo XIII


 


 

Il camioncino della SWAT era arrivato appena prima dell'ambulanza, ma quando anche questa arrivò Jace non si stupì nel vedere Catarina Loss scendere di corsa dal portellone posteriore.
Simon, le corse incontro e l'abbracciò, dopo tutto quello che era successo la donna era diventata un'amica fidata. Avevano condiviso due settimane di ansia e di preoccupazione, attaccati al telefono dell'informatico a parlare con Alec e Magnus sulla linea sicura. Trovarsela lì in quel momento gli dava un po' di forza.
Un rumore di tacchi attirò l'attenzione della squadra mobile, tutta riunita attorno al loro capo che già dava direttive su come si sarebbero dovuti muovere. Da dentro la casa non arrivava un solo rumore e la Herondale non si fece problemi nel passare in mezzo alla SWAT con la pistola stretta in mano.
Dietro di lei anche Robert, Lucian e Andrew indossavano il giubbotto antiproiettile e tenevano saldamente le loro armi.
Maryse era accorsa sulla scena con le due Fray, era stato impossibile per tutti convincerla che non poteva stare sul luogo di una possibile sparatoria.
Clary, di fianco alla madre, era al telefono con Izzy, impalata davanti alle porte del pronto soccorso del DownTowun.

<< Signora!>> il capo della SWAT provò a chiamare la Herondale ma lei gli fece un cenno secco con la mano.
<< Garroway davanti con me, Lightwood fuoco di copertura, spara per uccidere, Blackthorn, stesso ordine. >> neanche si voltò. << Lightwood!>> chiamò ancora e se non fosse stato per Simon che gli era corso vicino e lo aveva spinto in avanti, Jace non avrebbe mai capito che la donna si stesse riferendo a lui.
<< Sissignora?>> fece interrogativo, teso come la corda di un violino.
<< Vieni con noi, tu e altri due tuoi compagni, gli altri che restino di guardia, coprite eventuali uscite secondarie.>>
Catarina fece un passo avanti, la valigia del pronto soccorso stretta in mano, << Noi aspettiamo qui?>> domandò a Simon che per tutta risposta annuì.
<< Si, non siamo armati, non possiamo essere di nessun aiuto.>>
<< Quindi aspettiamo?>> continuò nervosa.
<< Aspettiamo.>> ripeté. << E speriamo.>>


 

Salirono le scale silenziosi come ombre, Jace e i suoi colleghi guardarono con sconcerto quei quattro muoversi con una grazia ed una sicurezza che non avrebbero mai immaginato avessero. Soprattutto visto che erano tutti in completo o come minimo con scarpe di pelle. Loro, con gli stivali da combattimento e tutta l'attrezzatura, facevano quasi fatica a salire su quei gradini lisci e consunti, come potevano quattro agenti ormai d'ufficio essere più bravi e più agili di tre agenti scelti ed addestrati?
Si muovevano in un sincrono perfetto, come se si leggessero nella mente, e poco dopo Blackthorn gli fece cenno di rimanere fuori dall'appartamento.
Provarono a protestare: erano loro quelli armati fino ai denti, non quei quattro pezzi da museo.
Lo sguardo glaciale del Capo Bureau li fece arrestare di colpo.
<< C'è mio fratello lì dentro… >> provò debolmente Jace, per non farsi sentire.
<< Ed è per questo che dovete rimanere qui.>> sibilò l'uomo.
Poi si schierarono davanti alla porta aperta del loft. Da quella posizione sembrava vuoto, nulla si muoveva ma potevano scorgere sul pavimento delle macchie rosse e anche piuttosto larghe.
Robert si irrigidì alle spalle di Lucian e cercò lo sguardo della Herondale per aver il permesso di agire.
Un singolo cenno della testa ed i quattro entrarono con le armi spianate, gli agenti della SWAT si appiattirono contro il muro, nascondendosi dalla lama di luce che proveniva dall'interno.

<< Agente Lightwood?>> chiamò la Herondale.
Nessuno rispose ma poco dopo dei movimenti attirarono al loro attenzione.
Da dietro al divano uscì un gattino bianco ma sporco di sangue, fissò i quattro intrusi e gli soffiò contro, gonfiando il pelo come se volesse attaccare, come se volesse difendere qualcuno.

<< Dannato gatto, sta zitto una buona volta. >> un soffio di voce, che tutti riconobbero all'istante.
Luke sbatté le palpebre e abbassò di poco la pistola.
<< Jonathan?>> chiese perplesso.
Ancora dei rumori, gli agenti avanzarono nel salone e intravidero subito delle gambe dietro al sofà. Si sbrigarono a girargli attorno e si trovarono davanti ad una scena che mai avrebbero immaginato:

Magnus Bane era seduto a terra, ormai privo di sensi. La gamba destra mostrava una profonda ferita da arma da fuoco, coperta alla ben e meglio da una legatura di fortuna, ormai zuppa di sangue. Teneva la mano allungata verso il secondo corpo riverso a terra, come se avesse voluto toccarlo un'ultima volta.
Alexander era steso a pancia in su, dalle scie di sangue attorno a lui qualcuno doveva averlo girato. Aveva il volto sporco di sangue e anche tumefatto, lo avevano di certo picchiato. La spalla destra era anch'essa ferita, così come lo era il costato, un proiettile aveva sfondato la cassa toracica su cui Jonathan teneva premute le mani ed un pezzo di stoffa, gorgoglianti entrambi di sangue.
Il ragazzo era pallido più del solito, i capelli bianchi parevano fili smorti, le mani gli tremavano, forse per lo sforzo di applicare la giusta pressione per fermare l'emorragia.
Nella mano sinistra di Alec faceva ancora bella mostra una pistola, così come al fianco del biondo e così come nella mano di Valentine.
L'uomo invece era a pancia in giù, nessuno si era fatto lo scrupolo di girarlo e cercare di tamponare le sue ferite che ormai avevano allargato una pozza di sangue sotto il suo torace e sotto il suo volto. La faccia girata mostrava un perfetto foro circolare al centro degli occhi.
Lucian venne scansato di forza da Robert che si precipitò al fianco del figlio. Mise una mano sulla spalla dell'altro ragazzo e questo si sforzò di voltarsi per guardarlo in faccia, affaticato e provato da tutto ciò che era successo in quell'ora.
<< Non ho potuto fare di più, avrei voluto chiamare l'ambulanza ma appena ho tolto una mano il sangue ha ricominciato a zampillare.>> disse con voce tremula, ogni traccia della solita arroganza sparita nel nulla.
L'uomo annuì e mise le mani sulle sue. << Toglile, ci penso io, tu hai fatto tutto ciò che potevi Jonathan, grazie.>>
Nel frattempo Luke si era avvicinato a Magnus e stava osservando le ferite, Andrew rientrò subito dopo in casa annunciando che aveva mandato i ragazzi a chiamare i paramedici. Diede una pacca al collega e lo spinse verso il suo figliastro, mentre lui si chinava su Bane per far pressione sulla ferita alla gamba come Robert faceva con quella al costato del figlio.
Imogen invece si era avvicinata al Vice Commissario e lo scrutava dall'altro. Calciò via la pistola dalla mano fredda del cadavere e lo guardò con odio.
<< Cos'è successo?>> domandò senza voltarsi.
Lucian tese le braccia verso Jonathan, in una normale situazione si sarebbe limitato a dargli qualche pacca sulla spalla e a dirgli che aveva fatto tutto il possibile, ma quella volta, morto a terra, c'era il padre del giovane, il suo ex miglior amico, ed era troppo scioccato dalla vista del suo corpo per sorprendersi quando il biondo si lasciò cadere contro di lui, svuotato di ogni energia.
Il ragazzo provò a parlare ma i passi dei paramedici interruppero qualunque possibile spiegazione.
Catarina si fiondò in casa e corse subito da Magnus, ringraziando con un muto cenno il Capo Blackthorn e pregandolo di farsi da parte, concentrata sul suo lavoro. Alzò lo sguardo verso Alec e sbiancò: se Magnus aveva perso molto sangue, era svenuto e respirava a fatica, il torace di Alexander neanche si muoveva.
Un brivido gli scese lungo la schiena e pregò di sbagliarsi, pregò che quel ragazzo non avesse solo le sembianze di un angelo ma che ne avesse anche uno che lo proteggeva e che in quel momento teneva le sue mani su quelle di suo padre. Pregò che il giovane non si unisse a quelle schiere, non quel giorno, non in quel modo.
Mise un laccio emostatico sopra la ferita di Magnus e cambiò quella che pareva una vecchia maglietta con garze pulite. Il paramedico di fianco a lei sistemò la lettiga e prese l'uomo per le spalle, le disse di sbrigarsi e di aiutarlo a metterlo sulla tavola. Era così impegnata che gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che il terzo paramedico sulla scena aveva urlato ad uno dei ragazzi della SWAT di chiamare un'altra ambulanza e di avvertire il pronto soccorso del DownTown di preparare due sale operatorie.
Poi un suono strozzato la fece voltare di colpo verso Alexander.
<< Mi ha capito signore?>> ripeté il paramedico a Robert senza che questo riuscisse a muoversi.
Cosa stava succedendo?
Il suo collega gli passò le cinghie da assicurare attorno al corpo di Magnus ma rimase con le orecchie tese verso gli altri, ogni singola persona in quella casa era attenta a ciò che stavano dicendo Lightwood ed il dottore.
<< Ma se le tolgo l'emorragia… >> non finì neanche la frase che il paramedico gli disse severo:
<< Tolga le mani!>>
Robert eseguì all'istante e Catarina si sentì morire quando avvertì il suono di qualcosa che si alzava, come percorso da una forte energia, e poi si riabbassava.
Imogen Herondale era avanzata sino all'uomo e gli aveva poggiato fermamente le mani sulle spalle, come a trattenerlo.
Catarina si concesse solo un'occhiata prima di tirare su Magnus di peso e preferì non averlo mai fatto.
Alec era ancora a terra, ora lontano anche da suo padre. La ferita alla spalla e quella al costato erano una macchia unica di sangue che fuoriusciva ad ogni scarica di corrente, mentre il paramedico cercava di rianimarlo.
Vide la faccia apatica del padre, gli occhi azzurri come quelli del figlio ma spenti, privi di ogni vita, opachi come se vi fosse passato sopra un pesante strato di polvere. Fissavano vitrei il giovane, il corpo mezzo nudo percorso dalle cariche del defibrillatore, di un pallore mortale.
Aveva le mani sporche di sangue, se ne erano impregnati i polsini della camicia e poi buona parte delle braccia, ma Robert pareva non farvi caso, proprio come Jonathan, che pareva indossare dei fini ed impalpabili guanti rossi, abbandonato tra le braccia del patrigno.
Poi Catarina si voltò e si concentrò sulle rampe da scendere.
Quando oltrepassò la soglia di casa di Magnus pregò, pensando che forse non sarebbe servito a nulla, ma che in quel momento la speranza era l'unica cosa che si poteva permettere.

 

Jace era stato rispedito in strada non appena aveva intravisto il corpo di Magnus. Aveva visto il sangue che filtrava da sotto il divano e si era detto che era troppo, era davvero troppo per una persona sola a meno che Magnus non fosse morto dissanguato. Ma non era possibili, non poteva esserlo, perché se Magnus era morto significava che lo era anche Alec.
Era perfettamente consapevole che prima di premettere a qualcuno di ferire Magnus Alec si sarebbe fatto ammazzare, lo sapeva per certo. Così come sapeva che lo avrebbe fatto per lui, per i suoi fratelli, per Simon e persino per Clary.
La verità era che pur di salvare una vita Alexander si sarebbe immolato in ogni caso, non importava se fosse un parente, un amico o uno sconosciuto: se un innocente rischiava di morire Alec rischiava a sua volta tutto per far si che non succedesse.
Vide Catarina e l'altro paramedico uscire dal portone e salire sull'ambulanza con cui erano arrivati, domandandosi perché se ne andassero e non aspettassero anche l'arrivo di Alec, sicuramente quel deficiente sarebbe voluto andare con Magnus, non lasciarlo solo anche se c'era la sua migliore amica.
Perché non sentiva la sua voce protestare? Papà forse lo aveva convinto a rimanere nell'appartamento e spiegargli cos'era successo? E poi, di chi era il terzo corpo che aveva intravisto? Gli pareva famigliare ma non riusciva a capire chi fosse.
<< Perché Alec non scende?>> la voce tesa di Simon espresse la sua stessa domanda e Jace avrebbe voluto mettersi in ginocchio su quel marciapiede e pregare per un qualunque segno, per qualcosa che gli facesse capire che tutto andava bene.
Passi pesanti risuonarono nell'atrio e poco dopo uscirono Lucian e Jonathan, lasciando allibiti tutti i presenti.
Jocelyn corse verso suo figlio ma si bloccò non appena vide le condizioni in cui versava il giovane: Aveva i vestiti e le mani sporchi di sangue e con gli occhi verdi persi nel nulla non degnò sua madre neanche di uno sguardo.
Si sottrasse dalla presa di Luke e avanzò verso sua sorella, fissandola con quello che a Jace parve tanto rammarico, come se cercasse di chiederle scusa ma non trovasse le parole per farlo.
Pronta come non l'avrebbe neanche immaginato la ragazza si sporse in avanti e abbracciò il fratello che le strinse le braccia attorno ai fianchi e sprofondò in viso nella piega del suo collo, tra quella massa enorme di ricci rossi.
La sua schiena venne scossa da piccoli tremiti e malgrado nessun suono lasciasse la sua bocca poterono tutti intuire che stesse piangendo.
Fu Maryse ad interrompere quel silenzio, si avvicinò con passi concitati al poliziotto e lo guardò con ansia.
<< Alexander?>> chiese solo.
Il volto di Lucian era una maschera come quello del figlioccio, si girò e fissò le finestre illuminate del loft, poi riabbassò lo sguardo su tutti loro. Lo posò su Maryse e su Jace, al suo fianco; su Simon vicino a Jocelyn e su Clary, che lo fissava di rimando da oltre la spalla del fratello.
Deglutì.
<< Sta combattendo.>> disse solo. Ma se la sua maschera rimase intatta quella di Maryse si crepò.
Strinse le labbra livide e allungò una mano per prendere al volo quella di Jace che la sostenne quando ebbe un mancamento.
<< Non anche lui...già Max...Michael e i ragazzi… non anche lui. Quel maledetto, maledettissimo caso...>> cominciò a sussurrare cercando di riprendere il controllo, tirando respiri lunghi e lenti.
Al fianco di sua madre il biondo si piegò verso terra, come se le ginocchia non lo reggessero più.
Un freddo inesistente spazzò la via, Jace avvertì come una corda tirarsi dal centro del suo petto dritta verso l'esterno. Qualcuno gli dava colpi decisi e continui, come se cercassero di strappargliela di dosso e farlo precipitare oltre un baratro che non vedeva.
Non avrebbe avuto il minimo dubbio se qualcuno glielo avesse chiesto: l'altro capo di quella corda era legata al cuore di suo fratello e fremeva ad ogni colpo che l'affaticato organo cercava di dare.
Ringraziò il cielo che Isabelle non fosse lì presente, perché non sapeva come avrebbe reagito la sorella, non sapeva se sarebbe svenuta, se avrebbe dato di matto come solo Izzy sapeva fare o se avrebbe urlato disperata.
Sapeva che Max sarebbe rimasto imbambolato a fissare un punto, forse proprio le finestre dell'appartamento. Sarebbe stato scollegato dal mondo, apatico finché non avesse visto il corpo del fratello-

Alec, finché non avesse visto Alec, non il corpo. È vivo. È vivo.
Lo saprei se no.

Chiuse gli occhi e si aggrappò alla mano della madre come lei si aggrappava alla sua.
Uno stridere di gomme ed una seconda ambulanza arrivò sul posto. I paramedici scesero senza neanche aspettare che il veicolo si fermasse, corsero su per le scale con attrezzatura e lettiga, consapevoli e sicuri nel loro lavoro.
Scomparvero per le scale e tornarono neanche venti minuti dopo, lasciando i presenti congelati dalla scena, dalla vista del corpo di un giovane legato alla tavola arancione, il torace normalmente bianco imbrattato di sangue, due fori neri e gorgoglianti sulla spalla e sul costato. Era intubato ed il paramedico che era stato con lui sino a quel momento premeva con attenzione la pompa dell'ossigeno, costringendo i polmoni di Alec a comprimersi ed espandersi, a respirare.
A vivere.
Passarono davanti a tutti e poggiarono subito la lettiga vicino alla barella a terra. Quando lo sollevarono per poggiarlo sul lettino un liquido denso e grumoso come il miele colò dal fianco del ragazzo, mostrando ai presenti la pozza che si era andata ad accumulare sul materiale plastificato.
In una sequenza di azioni che parve durare un secondo Robert, Andrew ed Imogen scesero dalle scale e si precipitarono in strada.
Maryse non riuscì a dire neanche una parola quando il marito le passò di fianco, con le braccia impregnate del sangue del figlio, aiutando i paramedici a spingere la barella nell'ambulanza e salendo con loro.
Si lanciarono solo uno sguardo prima che i portelloni si chiudessero e la donna seppe che qualunque cosa sarebbe successa il suo bambino non sarebbe stato solo.
Osservarono il veicolo sfrecciare via a sirene spiegate, infrangendo tutti i possibili limiti di velocità e nonostante questo senza andare abbastanza veloce per i gusti di tutti i presenti.
Clary chiamò debolmente Simon, dicendogli di chiamare Izzy ed avvertirla che stavano arrivando anche se probabilmente la dottoressa era già corsa all'arrivo di Magnus e lo aveva portato in sala operatoria.
Pregò che non le capitasse di vedere il fratello. Sperò che non le consentissero di entrare in sala operatoria con lui. A dirla tutta, pregò che non la lasciassero entrare in nessuna delle due, anche se Izzy era un medico chirurgo dei più bravi, una cardiologa con i fiocchi che aveva deciso di dare un ultimo servizio a chi era già morto facendo il patologo forense per la polizia.

<< Che cosa è successo?>> Maryse lo chiese con voce tremante. Ora che aveva visto Alec, ora che lo aveva visto andare via coperto di sangue e aveva rivisto in suo marito lo stesso sguardo perso di quando era morto Michael, solo una grande rabbia stava montando lentamente dentro di lei.
Andrew si strinse nelle spalle, lanciando occhiate all'entrata del palazzo, come se stesse aspettando che un'altra persona scendesse. Lucian aveva allungato una mano verso Jocelyn e le aveva preso la sua, stringendola leggermente.
<< Cosa ci fa Jonathan qui?>> insistette la mora.
A sentir chiamare il suo nome il ragazzo si alzò lentamente dalla sua posa. Clary gli passò le mani sul volto, guardandolo preoccupata. Lui abbozzò un sorriso.
<< Non credo che avrai tutte queste premure per me tra poco… >>
<< Che vuol dire?>> chiese lei confusa. Poi guardò gli altri e girò di colpo la testa nella direzione in cui erano sparite le autoambulanze. Sgranò gli occhi. << Sei stato… >> lasciò la frase in sospeso ma tirò subito un sospiro di sollievo quando il fratello scosse la testa.
<< Che-cosa-è-successo.>> scandì con più rabbia Maryse, tentando di divincolarsi dalla presa del figlio. Jace serrò la mano della madre e la guardò con una preghiera nello sguardo che mai gli aveva visto. Il volto stravolto di suo figlio la fece tentennare, tornò d'un passo indietro e lo abbracciò, anche se aveva la divisa indosso, il giubbotto e tutto il resto.
Rimaneva il suo bambino, il suo bambino terrorizzato per la sorte del fratello.
<< Quando Alec ha telefonato in centrale per avvertire di aver trovato il posto in cui era nascosto il diario di Asmodeus e del suo Circolo, Jonathan ha avvertito suo padre.>> La voce della Signora riscosse tutti.
<< Perché? Non ne era stato informato da voi?>> chiese titubante Jocelyn.
La Herondale scosse il capo. << Non ho mai comunicato nessuna informazione del caso Fell e dei progressi di Alec con il caso del Circolo per tutta la durata delle indagini. Ho tagliato Valentine fuori da tutto.>> cercò lo sguardo di Maryse e lo trovò subito << Così come Hodge.>>
Quell'ultima frase fece fremere la mora che, come un lampo a ciel sereno, capì tutti quei dettagli di cui il figlio aveva parlato al telefono ma che non sembravano combaciare con il profilo del tecnico.
Non era stato Hodge ad uccidere Fell…
<< Valentine… è stato lui, vero?>> chiese allora.
Jocelyn tremò e cercò l'appoggio del marito. << No, non può essere. Perché avrebbe dovuto farlo, non aveva alcun interesse… >> farfugliò senza senso.
Ma Jonathan annuì invece. Si staccò definitivamente dalla sorella ed avanzò verso il Commissario della Polizia di New York. Si aprì la camicia con un gesto secco, facendo saltare i bottoni incrostati di sangue e lasciando vedere a tutti ciò che portava sotto.
Attaccato al suo torace con dell'adesivo medico c'era un rettangolo piccolo e piatto, collegato con un filo ad una piastrina nera, vicino alle clavicole.
Un registratore.
Se lo strappò di dosso come aveva fatto con la maglia e lo schiaffò malamente nelle mani della donna.
<< Si invece. È stato lui. Era lui fin dall'inizio. Ha ucciso Fell quando lui lo ha riconosciuto e si è rifiutato di consegnargli il quaderno. Ha aiutato Hodge a coprire gli omicidi del Procuratore Trueblood, dell'agente Herondale e del dottor Lewis. Ha fatto il doppio gioco durante l'operazione Circle. Michael Wayland se ne era accorto, lui e Stephen Herondale erano arrivati molto vicini ad incastrarlo e lui ha cambiato l'ordine d'entrata nel magazzino per poterli avere entrambi alla sua mercé ed ucciderli. È stato lui anche a far questo. Stando a quello che dice Alec li ha freddati a distanza ravvicinata. Lui ha cercato di eliminare Bane, la prima volta e anche oggi. Se non fosse stato per Alec probabilmente si sarebbe preso una pallottola in testa mentre parlava con me.>> Si voltò verso Clary e la guardò con aperto rammarico. << Scusa. Ho provato a dire al Commissario che non era vero, che non poteva essere papà. Le ho detto che potevo provarlo, mi sono fatto mettere quel registratore certo che avrei provato la sua innocenza… e invece ho solo registrato tutto il suo vero volto. Si è rivelato per il verme che era alla fine. Non ho avuto scelta.>>
Clary scosse la testa senza capire. << Che vuol dire che lo hai registrato? Valentine è qui? Lui- lui è nel loft di Magnus?>>
<< Perché non è qui? Perché quel figlio di puttana non è qui, ammanettato ed in ginocchio? È Lui che ha sparato a mio figlio, no?>> Maryse si voltò verso Lucian, fronteggiandolo con una furia che avrebbe voluto abbattere tutta su Morgenstern, ma l'uomo scosse la testa.
<< E' morto.>> disse fredda Imogen ed il silenzio cadde ancora.
La Signora fece un cenno a Jonathan, incitandolo a spiegare la dinamica dei fatti e lui annuì, stanco.
<< Ero a controllare la casa, cercavo il quaderno. Era stato papà a mandarmici. Poi è arrivato Alec, mi ha spiegato che era stato lui ad individuare la posizione di quell'affare e che Bane non era un sospettato ma un collaboratore. Poi è arrivato pa- Valentine, è arrivato lui e ha cominciato a parlare. Diceva che Bane aveva fatto il lavaggio del cervello ad Alec, che Hodge non era il vero assassino ma che era proprio Bane. Era così convincente… ma Alexander non si è fatto mettere a tacere e ha spiegato come sono andati i fatti. Valentine ha provocato Bane, lui si è arrabbiato, aveva una pistola, una di ordinanza quindi credo che glie l'avesse data Alec per difendersi. Fatto sta che quando mi ordina di arrestarlo, lui me la punta contro, rimaniamo un po' in stallo poi, non so perché e neanche come abbia fatto, Alec ha capito che Valentine sta per sparare e si butta su Bane, mandandolo dietro al divano. Partono degli spari, credo che Bane sia rimasto ferito alla gamba in quel momento. Valentine si è messo ha parlare e Alec gli ha dato corda, credo per medicare Bane, ma era me quello che cercavano di convincere.>> si fermò, un'espressione di puro risentimento e delusione verso sé stesso, scosse la testa. << Alla fine Alec ha cominciato a spiegare cos'era successo, ha ricollegato tutti i punti, alla perfezione… >> lo disse con sincera ammirazione, quasi non ci credesse di come tutto filasse in modo preciso.
<< E ti ha convinto?>> chiese piano Clary, riavvicinandosi a lui.
Jonathan scosse la testa. << Mi aveva convinto già prima.>> si lasciò sfuggire un verso sprezzante. << Gli è bastato guardarmi in faccia e dirmi che Bane era innocente e io gli ho creduto. Era pronto a morire per difendere quell'uomo, per dare alla giustizia il vero assassino e non un innocente. Non si sarebbe accontentato di un compromesso e non lo ha fatto.>> si passò la mano sul volto, sfumando gli schizzi di sangue che gli macchiavano le guance.
<< Poi p- Valentine si è stufato e si è buttato contro il divano dove erano nascosti.
Bane era ferito alla gamba e non si poteva muovere. Alec sarebbe potuto scappare ma non lo ha fatto, si è parato davanti all'altro e ha anche provato ad alzare la pistola, ma era ferito al braccio destro, un tentennamento e papà gli ha dato un calcio. Gli stava per sparare, lo avrebbe fatto, dritto al cuore, poi sarebbe toccato a Bane e dopo ancora voleva uccidere te.>> fece indicando Simon con un cenno del capo. Il ragazzo trasalì, Jace allungò un braccio nella sua direzione, come se cercasse di confortarlo.
<< E quel deficiente...>> continuò con rimprovero Morgenstern scuotendo la testa, << Si mette a dire che non è importante uccidere né te né Bane, che tu sei troppo malleabile e che la tua testimonianza può essere abbattuta e che Bane non è credibile perché è un criminale, che l'unico tester pericoloso è lui e che non c'è alcun bisogno che vi ammazzi.>>
Fissò gli occhi verde scuro in quelli castani di Simon e lui abbassò la stesa per non far vedere come fossero lucidi.
<< Ha cercato di fare l'eroe...gli avevo detto di non farlo. Glielo avevamo fatto promettere tutti e dure.>>
<< Non ha cercato.>> gli fece eco Jonathan << Lo ha fatto. Valentine gli ha concesso due domande. Alla prima gli ha chiesto se gli avrebbe sparato di spalle come il codardo che era o se lo avrebbe guardato in faccia.>> Maryse e Jace drizzarono la schiena in un egual moto di orgoglio verso le ultime parole di Alec, il petto gonfio e lo sguardo lucido ma bruciante di un sentimento che sempre avrebbero associato al giovane.
<< La seconda non l'ho sentita, era per Bane. Ma credo che gli abbia detto di riferirvi qualcosa. Che Simon lo avrebbe aiutato perché era la parola della verità data ad un amico e cose del genere.>> sembrò per un attimo in imbarazzo. << Spero che quei due possano avere la possibilità di riparlarsi.>>
Lo disse con una sincerità che lasciò a bocca aperta tutti coloro che lo conoscevano. Un gesto d'umanità così palese da parte sua non se lo aspettava nessuno.
Imongen soppesò il registratore da una mano all'altra.
<< Hai detto che Alexander era disarmato. Come hai fatto?>> chiese solo.
Andrew e Luke capirono subito la domanda e anche alcuni dei membri della SWAT. Gli altri parvero solo ancora più confusi.
<< Gli ho sparato al fianco io.>> confessò il biondo. Guardò la sorella e per l'ennesima volta gli lanciò uno sguardo di scuse.
Aveva appena ammesso di aver sparato a loro padre.
Ma se Clary fosse sconvolta più per l'azione intrapresa dal fratello o per la morte di quell'uomo che non l'aveva mai davvero amata, riconoscendola come il segno della rottura tra lui e la moglie e come il simbolo della nuova famiglia della donna, per giunta con il suo miglior amico, non avrebbe saputo dirglielo.
A passi svelti raggiunse ancora il fratello maggiore e cercò la sua mano, stringendola con forza, incurante del sangue secco che le graffiava la pelle delicata come spesso faceva la sua vernice.
<< Ed il colpo alla testa?>> continuò la donna.
<< In testa dove?>> fece Maryse.
<< In mezzo agli occhi?>> domandò Jace.
Gli altri annuirono.
<< Scommetto che è stato Alexander.>> proruppe a voce bassa Andrew. << Era il miglior tiratore scelto dell'accademia.>> concluse senza nascondere l'orgoglio nelle sue parole.
<< Non so come abbia fatto, la sua pistola era lontana, ma posso ipotizzare che quando si è piegato su Bane abbia preso la sua. >> concesse Jonathan, << Poi si è girato e non c'è stato molto tempo per pensare: Valentine ha mirato al cuore, io ho cercato di sparare prima di lui. L'ho preso e credo che questo gli abbia fatto sbagliare mira, colpendo comunque Alexander. Lui invece ha alzato la mano sinistra e gli ha sparato un colpo dritto in mezzo agli occhi. Con la mano sinistra, appena dopo che gli avevano sparato e già con un'altra pallottola in corpo… io non so come ci sia riuscito...>> terminò.
Il silenzio che li avvolse era fittizio. Ormai le autopattuglie di supporto erano arrivate e gli agenti avevano già cominciato ad isolare la zona.
Cosa fosse successo con precisione forse nessuno lo avrebbe mai capito. Tutti troppo impegnati a ragionare su come avesse fatto Alec a prendere il Vice Commissario al centro preciso tra le arcate oculari. Tutti a domandarsi se fosse possibile per un cecchino destrorso sparare con la sinistra, se la necessità avesse fatto virtù o se ad un passo dalla morte tutto il nostro talento e la nostra forza si concentrino per dar vita ad un ultimo, spettacolare, infallibile colpo.
Jace guardò il cielo buio, l'aria afosa che non faceva altro che incollargli ancora più stanchezza e debolezza addosso. Sentiva ancora quella corda che tirava, ogni minuto che passava sempre più debolmente e non osò domandarsi se fosse perché suo fratello fosse ormai in salvo ed il pericolo era passato o se fosse perché il suo cuore si indeboliva battito dopo battito.
Fisso il cielo in cerca della luna ma la trovò oscurata. Lontana dalla sua vista come ora lo era Alec.

<< Il mio Alec è un super eroe, combatte fino alla fine e non sbaglia mai. Non abbandona mai gli amici.>> sussurrò.

Il vago ricordo di un gioco al lago, che sfumava poi nella terribile notte in cui si prese la sua prima pallottola, gli fece venire dei brividi che nascose con fermezza.
Questa volta però non era lui quello che aveva bisogno d'aiuto, che veniva salvato.
Questa volta non sarebbe arrivato né un piccolo Alec armato di frecce a ventosa né un Alec appena adulto armato di pistola e pronto a portarlo lontano dalla sparatoria, dai paramedici.
Questa volta non c'era Alec pronto a salvarlo dai suoi demoni. Non c'era Izzy con il lazo della verità di Wonder Woman o Max a battere le mani e saltellare perché avevano sconfitto il cattivo.
Alec non lo avrebbe preso al volo mentre saltava giù dalla vecchia barchetta.
Alec non lo avrebbe rimproverato per non essersi messo il giubbotto antiproiettile.
Alec non si sarebbe tolto la camicia per bendargli le ferite e lui non lo avrebbe preso in giro per il mese successivo ricordandogli quando avere un giubbotto in kevlar senza niente sotto fosse da Rambo.
Alec non se lo sarebbe stretto ad un fianco, sparando con precisione micidiale tutti i proiettili del suo caricatore dritti nella testa di qualche stronzo che cercava di ammazzarli.
Alec non gli avrebbe detto di resistere, che erano quasi in salvo, che c'era lui lì e che sarebbe tutto andato bene, che non avrebbe permesso il contrario.
Alec era in una sala operatoria a combattere, combattere davvero questa volta, da solo, senza che nessuno di loro potesse aiutarlo o stagli vicino, per la sua vita.

<< E i super eroi non muoiono mai Alec, vedi di ricordartelo.>>


 

Isabelle avrebbe voluto vomitarsi anche l'anima in quel momento.
Max era seduto di fianco a lei, con la mano destra stretta nella sua, su quelle sedie sbiadite della sala d'attesa.
Non l'avevano fatta entrare in sala con Magnus, l'avevano ringraziata per il supporto medico iniziale ma poi le avevano fatto notare come l'uomo non presentasse ferite al torace, e quindi non avesse bisogno di un cardiochirurgo, né fosse ancora fortunatamente una salma che necessitasse di un patologo forense.
Neanche Catarina, seduta alla sua sinistra, era potuta entrare in sala. Le avevano detto che non poteva assistere all'operazione di un suo amico, che già era andata sul posto e non avrebbe dovuto farlo e che era troppo agitata per poter essere utile. Una stoccata finale che l'aveva costretta al silenzio.
Davanti a lei c'era quel messicano dal carattere impossibile che era andato a trovare Magnus in ospedale tante volte. Teneva un rosario stretto tra le mani e pregava a testa bassa e occhi chiusi. Quando l'aveva vista le aveva detto che avrebbe pregato Dio anche per suo fratello, che non si sarebbe scordato del giovane che troppe volte stava salvando la vita del suo miglior amico. E che neanche il Signore lo avrebbe dimenticato.
Ma quello che probabilmente versava nelle condizione peggiori, provato e pallido come se fosse lui il ferito, era di certo suo padre: era arrivato forse venti minuti dopo che Magnus era entrato in sala operatori, forse di più, forse di meno, il tempo in quel momento non le era favorevole e Izzy non riusciva e non aveva voglia di quantificarlo.
Aveva abbracciato lei e poi Max, chiedendogli perché fosse qui e non a casa con la nonna Phoebe. Lui si era limitato a dirgli che la nonna lo aveva mandato via a calci, dicendogli che non doveva chiederle il permesso per andare a vegliare suo fratello, doveva farlo e basta.
Poi aveva guardato Catarina, le aveva posato una mano sul capo in una carezza paterna e si era seduto vicino a Raphael, davanti a loro.
Robert aveva fissato le mani congiunte del messicano e lui si era voltato a guardarlo. Poi l'uomo si era passato una mano attorno al collo e aveva tirato fuori dalla camicia una collana d'oro con una croce. Se l'era tolta e si era messo nella stessa posizione .
Stavano lì, a testa china, a pregare, da quando erano arrivati.
Il padre non aveva detto loro una singola parola su Alec, ma per Isabelle non era stato difficile intuire che il sangue che aveva addosso fosse quello del fratello.
<< Catarina… >> chiamò piano, cercando di non disturbare gli uomini davanti a lei.
La donna si voltò appena a guardarla, chiedendole con uno sguardo cosa volesse.
<< In che condizioni era Alec?>> domandò ancora.
Lei continuò a fissarla per alcuni istanti. << Vuoi la versione medica o quella semplice?>>
Izzy si strinse nelle spalle. << Quella vera.>>
Anche Max alzò la testa, voltandosi verso di loro. Non aveva gli occhiali, che teneva appesi al collo, e per un attimo Catarina si domandò se quello non fosse lo stesso aspetto che aveva Alexander a diciassette anni, se anche Max un giorno sarebbe stato bello come un angelo o se invece avrebbe preso un aspetto più sbarazzino come quello di Izzy, più sicuro come quello di Jace. Si domandò -e pregò di no- se Max sarebbe stato paragonato al fratello maggiore un giorno, se i suoi genitori, guardandolo a trent'anni, avrebbero pensato che Alec sarebbe stato proprio così a quell'età.
<< Gli hanno sparato ad una spalla e al costato. Non so se il proiettile lo ha trapassato da parte a parte ma di certo ha un polmone collassato. Ha perso parecchio sangue.>> disse in fine con voce piatta, incapace di provare più qualunque sentimento che non fosse stanchezza e sconforto.
Max la guardò come se non la vedesse, scrutando quella macchia sfocata che era l'infermiera e quella che era sua sorella.
Non era solo la mancanza delle lenti a non fargli vedere il mondo. Suo fratello era chiuso in una sala, steso su un tavolo di metallo, probabilmente con il torace aperto e con più di un medico impegnato a togliere frammenti, cucire tessuti, fermare emorragie.
Come stava? Andava tutto bene?
Non si sentiva più le mani, nell'ospedale non faceva caldo ma lui si sentiva tutto intorpidito, come se si fosse scollegato dal mondo, come se non fosse davvero lì, come se non fosse davvero possibile.

Gli altri erano arrivati circa un'ora prima che uno dei chirurghi uscisse dalla zona delle sale operatorie.
L'uomo si era tolto la bandana che portava sul cranio calvo e aveva fissato quel bizzarro gruppo di persone davanti a lui.
Un giovane uomo messicano ed un signore bianco che pareva un settantenne nel corpo di un cinquantenne, entrambi impegnati a pregare con un rosario ed una semplice collana con una croce in mano. Vicino a lui un ragazzo con gli occhiali che pareva mormorare versi in quello che gli pareva ebraico. Un'infermiera con i capelli bianchi come il suo volto, una ragazza con i capelli neri raggomitolata su una poltrona al fianco di un ragazzino con gli occhi chiusi ed un paio di occhiali da vista appesi al collo della maglia. Due donne ed un uomo in completo, tutti in religioso silenzio. Un uomo dall'aspetto massiccio seduto vicino ad una donna con i capelli rossi e a quella che presumeva fosse sua figlia, con gli stessi capelli fiammeggianti, che teneva la testa reclinata sulla spalla di un ragazzo bianco nei colori come l'infermiera, con le stesse gigantesche macchie di sangue addosso e la camicia strappata. Ed in fine un ragazzo con i capelli biondi che non faceva altro che far avanti ed indietro per il corridoio.
Si voltarono tutti verso di lui, in sincrono. Alcuni si alzarono, altri trattennero il respiro, strinsero la mano della persona che gli sedeva di fianco o si limitarono a fissarlo.
L'uomo prese un respiro profondo: sarebbe stata dura questa.
<< Siete qui per Magnus Bane?>> domandò poi.
La donna con i capelli neri si sgonfiò, non era evidentemente lui che aspettava, e lo stesso fecero il ragazzino, il biondo e la mora. L'uomo bianco che pregava non mutò minimamente la sua espressione, gli altri sembravano invece ansiosi in ogni caso. Il messicano si tirò in piedi ed allungò la mano verso l'infermiera. Il ragazzo con gli occhiali invece sussultò e fu il biondo ad avvicinarsi a lui e mettergli una mano sulla spalla.
<< Si?>> chiese piano la donna dai capelli bianchi.
<< Lei è una parente?>>
<< Non ne ha qui. Siamo i suoi amici più stretti.>> disse spiccia e il medico annuì.
<< L'operazione è andata bene. Siamo riusciti a bloccare l'emorragia. Chiunque gli abbia dato un primo soccorso ha fatto un buon lavoro, anche se con mezzi molto rudimentali presumo. Ha avuto fortuna, la fasciatura che gli avevano fatto era abbastanza stretta da rallentare il flusso sanguigno. Fortunatamente era un emorragia venosa e non arteriosa. Glielo ripeto, ha avuto fortuna e anche un buon primo soccorso.
Ha perso comunque molto sangue, abbiamo dovuto fargli diverse trasfusioni. Ma ora è stabile.>>
Catarina si portò una mano al cuore e tirò un sospiro di sollievo, Raphael, al suo fianco, le strinse il polso in una presa morbida ma salda. Magnus era in salvo.

<< E dell'altro paziente? Sa dirci nulla?>> Imogen Herondale fece un passo avanti, arrivando davanti al medico e guardandolo con calma attesa, era facile intuire che fosse abituata a queste situazioni.
L'uomo lanciò uno sguardo alle sue spalle. Aveva riconosciuto la donna, sapeva che era il Commissario della polizia di New York e si chiese improvvisamente chi fosse l'uomo che aveva appena operato e chi fosse quello nella sala affianco alla sua.
<< Non so dirle nulla al momento, ma potrei andare a chiedere.>> propose gentile.
Lei fece un secco segno con la testa. << Gliene saremo tutti grati.>>
<< Quando potremo vedere Magnus?>> chiese d'impulso Simon, alzandosi in piedi nonostante Jace tentasse di farlo restare seduto.
<< Ora sta riposando, devono sistemare la camera e collegarlo ai macchinari. Quando tornerò le darò informazioni più precise.>>
Detto ciò si voltò e tornò nel reparto, sparendo alla vista di tutti.
Simon si avvicinò a passo lento a Catarina.
<< Possiamo solo aspettare, vero?>> le domandò con voce debole.
Lei annuì. << Come mi hai detto tu prima Simon, possiamo solo aspettare e sperare.>>


 

 

Tutto il suo campo visivo era occupato da un'enorme massa arancione. Gli sembrava quasi di guardare una tenda posta davanti ad una finestra e gli ci volle un poco per rendersi conto che erano le sue palpebre chiuse.
Aprì faticosamente gli occhi, sentendo nelle orecchie un ronzio famigliare, così come l'odore di pulito fin troppo forte.
Si portò istintivamente una mano sulla spalla a cui gli avevano sparato ma la trovò libera da ogni benda o costrizione.
Tirò un sospiro di sollievo, tutta quella storia era stata tutto un brutto incubo, ecco la verità. Si, si era addormentato dopo quella nottata così impegnativa e ora era solo rimbambito.
Allungò la mano verso la sua destra, sicuro di trovare un altro corpo di fianco al suo, ma ciò che toccò fu invece freddo metallo.
Con un moto di improvvisa lucidità si tirò seduto e subito si pentì di averlo fatto.
Una stilettata gli arrivò dritta dalla coscia sino al cervello, la sensazione di essere un foglio di carta retto da puntine e che, improvvisamente, tutte quelle venissero tirate in una direzione diversa.
Abbassò lo sguardo sulla coperta bianca che copriva le sue gambe e la tolse di colpo, senza preoccuparsi del rumore insistente che continuava a produrre qualcosa alla sua destra. Non se ne rese conto perché faceva troppo male, le bende bianche si erano puntinate di rosso, piccoli ed insignificanti pallini che però gli fecero capire che sebbene i punti avessero retto al suo movimento brusco avevano comunque infastidito la pelle sensibile su cui erano stati messi con molta cura.
Strinse le mani attorno al ginocchio, proprio sotto alla fasciatura e chiuse gli occhi, serrando la mascella tentando di ignorare il dolore.
Perché non c'era nessuno lì con lui? Perché nessuna infermiera era accorsa alla sua camera per controllare le sue sicuramente altissime pulsazioni?
Con uno sforzo non indifferente si rimise sdraiato e prese lunghi respiri profondi.
Aprì gli occhi con lentezza e cercò di fare mente locale.
Erano circa le due del pomeriggio, ignorava di quale giorno ma sperava vivamente di essere ancora ad Agosto. Forse era il giorno dopo la sparatoria? Ma allora perché i suoi amici non erano in camera con lui come quando gli avevano sparato la prima volta? Poteva capire Catarina che aveva i turni, ma insomma, Simon non aveva niente da fare ora che avevano scoperto il colpevole e anche Alec non-

Sgranò gli occhi mentre la consapevolezza gli scivolava nella mente senza pietà.
Immagini frammentarie gli lampeggiarono dietro agli occhi, impresse a fuoco nella sua retina.
La corsa in macchina, la spiegazione sul tecnico che aveva cercato di cancellare i server si Ragnor e che aveva ucciso tre persone nel corso dei passati ventott'anni. Ricordava la discussione fuori dal portone di casa sua, la rabbia che gli era montata dentro e anche quella che aveva letto negli occhi di Alec. Ricordava la presa ferrea e dolorosa sul suo polso e poi il metallo freddo della macchina contro cui il detective lo aveva premuto per immobilizzarlo. Ricordava come si fosse bloccato, che lo aveva fatto perché...perché teneva a lui e non voleva che rimanesse ferito… Dio...quanto doveva essersi autoflaggellato Alexander per quel proiettile? Si ricordava di averlo guardato, nascosti dietro al suo divano, e di aver visto una macchia rossa che si allargava sulla sua pelle bianca, scoperta perché il giovane gli stava legando la propria maglia alla gamba per bloccare l'emorragia. E la sua di ferita? Cosa ne era stato? No, non voleva pensarci.
Si portò una mano agli occhi e premette i polpastrelli sui bulbi in fiamme.
Vide Valentine Morgenstern apparire come un mostro davanti a loro e Alec mettersi sulla sua traiettoria per proteggerlo. Le loro parole...quel bastardo aveva colpito il suo bel viso e nonostante tutto Alec aveva avuto la forza di sputargli in faccia e di rispondergli a tono.
E poi? E poi si era girato verso di lui, ma cosa gli aveva detto?
No, no...no! Non poteva esserselo dimenticato, non poteva aver scordato le ultime parole che gli aveva detto Alexander, lui…
 

<< Ehi.>> lo chiamò piano Alec, facendogli alzare il volto. << Devi tenere duro, okay?>> continuò sussurrando, per farsi sentire solo da lui.

 

La voce di Alec gli arrivò lontana ma incredibilmente chiara, il dolore alla gamba si allargò risalendo sul fianco e mozzandogli il respiro.

 

<< Non farlo… >> soffiò solo, senza forze. << Non fare l'eroe.>> prese un respiro e provò a sorridere. << Anche se lo hai già fatto, vero?>> chiese retorico.
<< Forse si, perdonami.>>


 

Il suo Alexander, il suo dannatissimo eroe.
Si premette la mano sul fianco, gli pareva di aver corso una maratona e di essere rimasto a corto d'ossigeno.
Tra tutti quei fili che aveva collegati addosso c'era qualcosa che lo potesse stordire, che gli potesse far dimenticare il dolore, l'ansia e l'agonia che stava provando in quel momento?
Dov'erano le infermiere quando servivano?
Si voltò verso i macchinari cercando il campanello ma non lo trovò. Sentiva un gran fracasso attorno a sé, con tutti quei suoni acuti era convinto di star per avere un infarto o un collasso come minimo.
Ma che diamine stava succedendo? Perché c'era tutto quel caos?
Cercò di girarsi il più possibile per spiare oltre la finestra di vetro della sua porta. Nel corridoio vedeva un gran fermento e sentiva le voci concitate di uomini e donne chiamarsi gli uni con gli altri.
Poi tra tutto quel marasma sentì qualcosa di vagamente famigliare.
La voce di un uomo, un giovane più che altro, superò tutte le altre, urlando che non si sarebbe mosso da dove si trovava finché non gli avrebbero strappato dalle braccia qualcosa.
Con una nota di tristezza si rese conto che ad essere tanto famigliare era il panico ed il dolore che trasudavano da quelle parole. Chiunque fosse stava perdendo qualcuno di caro, qualcuno che amava e non lo voleva accettare. C'era sconfitta nella sua voce tanto quanto c'era rabbia, speranza e testardaggine.
Forse era con la sua fidanzata, o magari con sua moglie o sua sorella. Forse lei era ridotta davvero male e lui non accettava l'idea di perderla anche se il suo cervello lo aveva già messo in conto. Era l'egoismo, il puro egoismo di non voler lasciar andare qualcuno, anche se soffriva.
Non seppe se sperare che quella persona, chiunque fosse, sopravvivesse o venisse finalmente lasciata alle braccia gentili della morte.

 

<< Sarebbe troppo egoistico chiederti di pensarmi? >> domandò poi Bane.
Alec gli sorrise e il mondo divenne un po' più bello. << Lo sarebbe, ma lo è anche ciò che ti ho detto prima, non trovi?>>

 

Si riscosse e cercò di prendere ancora fiato, di respirare con più calma, come Caterina aveva insegnato a tutti loro quando aveva cominciato il suo corso da infermiera, inutilmente.
Allungò la mano alla cieca, voleva parlare con qualcuno, voleva che un qualunque individuo di quel fottutissimo ospedale entrasse nella sua stanza e rispondesse alle sue domande.
Che giorno era? Quanto aveva dormito? Cos'era successo? Ma soprattutto: dov'era Alexander?
Sforzò la mente, si costrinse a ricordare, a focalizzare il momento.
Stava parlando con il ragazzo, lui gli teneva il volto tra le mani e l'unica cosa a cui pensava Magnus era quanto fosse bello, quanto fosse un angelo sceso in terra e quanto avrebbe voluto dargli un ultimo bacio.
Forse in un'altra vita avrebbero avuto una possibilità, loro due. Forse si sarebbero incontrati per strada o sul lavoro. Forse Magnus avrebbe organizzato una delle sue feste e Alec ci si sarebbe ritrovato trascinato dai fratelli e lui lo avrebbe comunque notato tra tutti, avrebbe comunque visto i suoi occhi nel buio della sala, la sua figura sullo sfondo mentre cercava di confondersi con la parete.
Forse sarebbero stati normali, non sarebbero appartenuti a due mondi così simili, estremamente vicini ma impossibilitati a toccarsi.
O forse si stava solo facendo mille film, mille problemi perché era solo, gli andava a fuoco la gamba e voleva che gliela togliessero, che gliela amputassero. Voleva i suoi amici, voleva che qualcuno aprisse la finestra e gli facesse entrare ossigeno nella stanza, anche se rovente, anche se bruciante come lo era stata tutta quella fottuta estate.
Voleva Catarina al suo fianco che lo rimproverava di non agitarsi e Raphael che gli diceva che era un cretino e che lo avrebbe ammazzato lui con le sue stesse mani quella volta, che glielo aveva promesso.
Voleva Simon che gli si fiondava addosso e lo abbracciava perché lo aveva spaventato a morte e voleva Alexander.
Dio quanto voleva Alec. Adesso, in quel preciso istante. Voleva Alec.
La porta si aprì e ne entrò una donna sulla quarantina, con al divisa rosa ed il volto preoccupato.
<< Signor Bane!>> lo chiamò come se lo conoscesse da una vita, se sapesse perfettamente chi fosse. << Si calmi, i suoi valori stanno schizzando a mille.>>
Ma Magnus la ignorò, spiò il mondo oltre la porta e si rese conto che qualcosa non andava, che c'erano delle macchie scure a terra e troppa agitazione.
<< Magnus? Mi hai capita? Devi respirare profondamente, va tutto bene, sei al sicuro.>>
La voce di Alexander di mischiò a quella della donna, i suoi occhi blu tinsero quelli scuri dell'infermiera ed improvvisamente era di nuovo nel suo loft, di nuovo a fissare la schiena di Alec mentre lui chiedeva se gli avrebbe sparato di fronte o alle spalle.
<< Cosa- cosa succede? Che giorno è? Al- >> cominciò a farfugliare prima che una strana sensazione di calma lo invadesse.
Oh, dovevano avergli aumentato il dosaggio di morfina.
<< Ti hanno sparato caro. >> cominciò dolcemente la donna spostandogli le ciocche dal volto ma senza carezzargli i capelli.
Magnus gliene fu immensamente grato: nessuno poteva toccargli i capelli.
<< Ti hanno portato qui due giorni fa, era notte fonda e sei stato operato d'urgenza. L'operazione è andata benissimo ma hai perso molto sangue e questo ti ha indebolito. >> si affaccendò attorno a lui, controllando valori e paragonandoli o segnandoli sulla cartella appesa ai piedi del letto.
<< La gamba…>> disse solo allungando la mano per posarla sulle bende.
Lei annuì. << Si, ti hanno sparato alla gamba, ma sei stato molto fortunato, era un emorragia venosa, se fosse stata arteriosa ti saresti dissanguato in poco tempo.>>
<< All'inguine.>> si ricordò di punto in bianco Magnus, un po' più lucido in quel mondo sfocato che stava diventando la camera d'ospedale. << Se spari ad una persona all'inguine si dissangua in sei secondi netti.>>
L'infermiera annuì ancora e alzò un sopracciglio guardandolo come una mamma che scopre qualcosa di troppo. << E tu come lo sai?>>
<< Alec. >> pronunciare a voce quel nome gli fece fremere tutto il corpo. << Alec mi ha detto di farlo. Se ero in pericolo.>>
<< E' un buon consiglio. Lo hai fatto?>>
<< No. Mi ha detto che non ce ne sarebbe stato bisogno, che ci avrebbe pensato lui… >>
Il sonno lo stava lentamente avvolgendo, un coperta calda che non aveva nulla a che fare con i soffocanti 40 gradi di quei giorni.
Aprì la bocca per chiedere qualcosa ma ancora una volta delle grida lo superarono.
La donna guardò preoccupata la porta e poi chiamò qualcuno. Apparve il volto di una ragazzetta, non doveva avere più di venticinque anni, era preoccupata quanto la collega e con il camice sporco di sangue.
<< Vi serve una mano?>>
<< Ci servirebbe qualcuno abbastanza grande da placcare il fratello, ci sta dando filo da torcere.>>
<< Cosa succede? Non dirmi che si è riaperta… >> chiese in un soffio di sconforto.
La ragazza annuì. << Stiamo già preparando la sala operatoria. Il dottor Klee sta arrivando ora per prepararsi.>>
<< Va bene, corri.>> le disse in fine con un gesto secco della mano che fece sparire l'altra.
Magnus aggrottò le sopracciglia. << Che succede?>> domandò come aveva fatto l'infermiera.
Questa si voltò a guardarlo e sospirò ancora, il suo dispiacere era palese.
<< Un paziente. Poverino, non fa che entrare ed uscire dalla sala operatoria. Aveva delle brutte ferite ma i danni peggiori li stanno facendo i frammenti d'osso che si sono sparsi per il corpo.>> andò ad aprirgli le tende e poi tornò a guardarlo, gli sorrise. << Ma non preoccuparti per lui, da come ha combattuto questi giorni e come continua a combattere sono sicura che avrà la meglio.>>
Magnus la fissò senza vederla davvero, gli pareva una palese bugia detta solo per non farlo angustiare più del dovuto. << Come fa ad esserne così sicura?>>
<< Oh, sono vent'anni che faccio questo lavoro caro, lo so per certo.>>
<< Non mi sta dicendo una balla solo per non farmi pensare che qualcuno sta morendo?>>
Lei lo osservò attentamente, di certo più presente di quanto non lo fosse Magnus che si stava aggrappando con tutte le sue forze a quel brandello di lucidità che gli restava.
<< Non sono solita mentire quando si tratta della vita altrui.>>

 

<< Risponderai sinceramente?>> gli chiese allora il moro.
Magnus annuì. << Sono solito dire la verità quando sono ubriaco e quando sto per svenire o morire dissanguato.>>

 

Chiuse forte gli occhi e poi li riaprì.
<< Ora riposa e non pensare a lui, te l'ho detto, è un guerriero.>> fece per andarsene ma Magnus la chiamò sulla soglia della porta.
<< Come si chiama?>> chiese solo.
Lei non pronunciò parola e Magnus continuò.
<< Se lui… se quel ragazzo dovesse morire o se invece dovesse farcela… come si chiama? Vorrei ricordarmelo...vorrei ricordare qualcuno che ha lottato così strenuamente...è importante no? È giusto credo...>> farfugliò ancora.
Non aveva senso o forse si. Il mondo ormai era una macchia grigia e confusa e Magnus ebbe appena il tempo di sentire quel nome prima di essere risucchiato nel vortice del sonno indotto.
 

<< Alexander. Si chiama Alexander ed è un poliziotto.>>


 


 

Nella penombra del salotto vide il volto affaticato di Alec sorridergli come se fosse l'essere più bello del mondo.
Sentì il pollice delicato e calloso del giovane passargli sulle labbra, ne sentì la pressione contro la carne ed il lieve sfregare della pelle abrasa. Avvertì il respiro bollente di Alexander bruciare la pelle sensibile del suo volto, lo sentì intriso del suo profumo fresco ma anche di quello più pungente del sudore, della polvere da sparo e di quello ferroso del sangue. Tantissimo sangue.
Suo, del ragazzo, di entrambi.
Eppure era ossigeno, era tutto ciò di cui aveva bisogno per respirare e continuare a vivere. Perché era vita, era sicurezza e tranquillità, sapeva che finché il detective fosse rimasto lì con lui non gli sarebbe mai successo niente di brutto. Sarebbe potuto rimanere sveglio anche solo per pura ripicca, solo per guardare quegli occhi blu così belli e così luminosi malgrado l'inferno in cui si trovavano.
Ed un angelo non dovrebbe mai vedere l'inferno, anche se Alexander, Magnus lo sapeva, doveva averlo visto già fin troppe volte.

Quando riaprì gli occhi non ci mise molto a far mente locale. Spalancò le palpebre già consapevole del luogo in cui si trovava, già pienamente cosciente di ciò che era successo, dei due giorni passati, della riuscita del suo intervento, delle sue condizioni. Del ragazzo che entrava ed usciva dalla sala operatoria per colpa dei frammenti ossei che si erano sparsi nel suo corpo, di quel giovane che combatteva strenuamente, del fratello che urlava perché non voleva lasciarlo.

<< Alexander…?>> chiese in un soffio di voce e subito una figura si mosse.
Non fece molto, alzò semplicemente il capo biondo e lo fissò con quegli occhi dorati, del colore dell'ambra filtrata dal sole.
Jace era seduto sulla poltroncina vicino al suo letto, i gomiti impuntati sulle ginocchia e la testa bassa tra le mani.
<< Ehi.>> gli disse solo, in un modo così maledettamente simile a suo fratello e Magnus dovette trattenere l'istinto di farglielo notare. Dalle condizioni in cui versava non credeva fosse in grado di affrontare una conversazione del genere. Non lo erano entrambi ad essere sinceri.
<< Come ti senti? A parte lo schifo e tutto.>> continuò il biondo.
Magnus lo guardò per un attimo e poi si strinse nelle spalle, la mano era andata automaticamente alla sua coscia, a sfregare la ferita, ma Jace individuò il movimento e si alzò, con uno sforzo non indifferente, per prendergli il polso e fermare il suo gesto.
La sua mente doveva proprio giocargli brutti scherzi perché rivide Alexander afferrargli delicatamente quello stesso polso e massaggiarlo, proprio sui segni rossi che lui stesso gli aveva provocato.
<< Sono vivo.>> si risolse a dire. << Lui come sta?>> chiese invece ansioso.
Jace lo lasciò e si accasciò di nuovo sulla poltrona. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con lentezza.
<< È appena rientrato in sala operatoria. È la quinta volta da quando lo hanno portato qui.>>
<< Cos'ha?>> domandò con i cuore in gola.
Il monitor cominciò a suonare con più frequenza e Jace aprì gli occhi per controllare. Sospirò:
<< Se ti agiti in questo modo non ti dirò niente. Se scopre che ti ho fatto prendere un infarto Alec mi ammazza.>>
Fu immensamente grato al giovane di sentirlo parlare di suo fratello al presente e al futuro, ne aveva bisogno, non poteva sentir proprio lui darlo già per spacciato.
<< Gli hanno sparato alla spalla. La clavicola comunque si aggiusterà, lentamente ma lo farà. Era bella distrutta, il proiettile è uscito dall'altra parte.>> si strofinò per l'ennesima volta la faccia, sembrava che si fosse appena svegliato ma Magnus non dubitava che in realtà non avesse dormito affatto.
<< Il colpo al torace è stato più duro. Per fortuna tra i suoi buoni riflessi e la prontezza di Jonathan di sparare al padre il colpo ha deviato e non ha preso il cuore. Però ha comunque frantumato due costole e bucato il polmone. Lo hanno intubato, non gli basta respirare solo con quello che gli è rimasto. Dicono che una volta fuori pericolo dovrà tenere la maschera dell'ossigeno come minimo per un mese.>>
Cadde il silenzio e nessuno osò interromperlo, almeno finché Jace non lo guardò con insistenza, chiaro segno che stesse per chiedergli qualcosa e probabilmente non gli sarebbe piaciuto rispondere.
<< Cosa ti ha detto? Jonathan dice che prima di farsi sparare ha voluto parlare con te. Cosa ti ha detto?>>
Magnus lo guardò di rimando e si concentrò, cercando davvero di ricordarsi cosa gli avesse detto il detective prima di quella sequela di spari, cercando di ignorare anche le parole del biondo, quel “prima di farsi sparare”. Chiuse gli occhi.
<< Che dovevo resistere.>> soffiò. << Che dovevo tenere duro perché i soccorsi stavano arrivando.>> aprì le palpebre e si trovò davanti un sorriso quasi doloroso per quanto accecante. Era come il sorriso di Alexander, solo più aperto, più forte e scintillante. Non quel piccolo miracolo, quel tesoro custodito tra la piega storta delle labbra e le guance pallide, non il segreto che lo aveva sconvolto alla sua prima rivelazione. Era ovvio che Jace era tanto abituato a sorridere quanto non lo era Alec e Magnus si chiese perché, quale fosse la differenza tra i due fratelli.
<< Fa sempre così. Arriva quando pensi che sia tutto perduto, quando credi di non aver altre possibilità o quando stai per cedere, quando meno te lo aspetti. Lui arriva, ti guarda male perché ti sei comportato esattamente come ti aveva detto di non comportarti, ti prende per un orecchio e ti riporta a casa.>> glielo disse con traboccante affetto, con fiera sicurezza, con orgoglio fraterno e anche di più.
Amore. Ogni singola sillaba che lasciava le labbra del biondo per descrivere suo fratello era amore colato. Era amore denso e lucido come il miele. Scintillante di diamante e caldo come le fiamme. Era un amore che suggellava un legame ancestrale che forse Magnus non avrebbe mai capito e che invidiò profondamente. Forse perché, si disse, la persona con cui aveva avuto, in passato, un rapporto più simile a quello dei fratelli Lightwood era proprio Ragnor. O forse, gli suggerì sibillina la sua mente affaticata, era perché quello stesso viscerale amore trasudava copioso anche dalle labbra del moro quando parlava di Jace.
<< Mi ha detto anche di dire a Simon che aveva fatto un ottimo lavoro e che sarebbe potuto diventare un buon detective. Di dire a te e i tuoi fratelli che vi vuole un bene dell'anima e- >>
 

<< Sono la miglior scopata della tua vita?>>
 

<< E?>> lo incalzò il biondo. Anche se si stava controllando non era difficile notare lo strato lucido che si era formato sui suoi occhi.

Magnus deglutì.
<< Lui...poi… anche ai vostri genitori… e ai vostri capi, di dirgli che non era colpa loro… di parlare con Simon perché lui mi avrebbe creduto...>>
Jace annuì e abbassò di nuovo la testa, troppo preso dai suoi pensieri per rendersi conto della tempesta che si stava scatenando nella testa dell'uomo steso sul letto.
Si lasciò sprofondare tra i cuscini e chiuse gli occhi nel disperato tentativo di ricordare e afferrare più immagini possibili, più suoni, odori, sensazioni.
Sentì le propria paura, quella di morire, quella di essere ucciso, di venir accusato della morte di Ragnor. Quella di veder morire Alec e di sapere che se non si fossero mai incontrati lui non sarebbe stato in quella situazione.
Ricordò la sensazione delle mani del giovane sulla sua ferita, sul suo volto, sulle sue guance e sulle sue labbra ma poi ricordò le labbra del moro sul suo collo, il tocco delicato che scendeva sulla spalla e che la mordeva prima piano e poi più forte.
Avvertì il calore incendiargli il petto, le carezze morbide e al contempo ruvide di quelle mani che vagavano per il suo corpo e cercò di allontanarle, di non pensarci.
Non voleva ricordare Alexander abbandonato tra le lenzuola del suo letto, non lo voleva ricordare bello ed eccitante come il suo personale dio del sesso. Voleva vedere l'angelo, voleva ricordare quella creatura piumata sporca di sangue, pronta a morire.
Voleva ricordare che sapore avessero avuto le sue labbra un attimo prima che Valentine lo prendesse malamente per la spalla e lo costringesse a girarsi, sparandogli senza esitazione proprio come, senza esitazione, Alec aveva preso la pistola dalle sue mani e aveva piantato un proiettile dritto alla testa di quel bastardo.
Si vide davanti agli occhi ciechi il corpo del detective scosso da un colpo che non avrebbe dovuto ricevere, lo vide cadere in avanti mentre Jonathan lo chiamava a gran voce e lui invece non riusciva a far uscire neanche una sillaba.
Osservò il biondo inginocchiarsi accanto al collega e voltarlo a faccia in su, lasciando libera vista del torace nudo macchiato di sangue, mentre lui lo poggiava delicatamente a terra e poi faceva pressione con le mani proprio sulla ferita, sporcandole come se le avesse immerse dentro ad una latta di colore.

<< E poi?>> fu ancora la voce di Jace a riportarlo alla realtà.
Il sole si era abbassato ma non era ancora scomparso, doveva aver dormito per lo mento altre sei ore e solo in quel momento realizzò che se Alec era “appena rientrato in sala operatoria” significava che lo stavano aprendo per la seconda volta in quel giorno.
Una fitta terribile gli spezzò il respiro all'idea della pelle martoriata dei lembi della sua ferita. Quante volte lo avevano ricucito?
<< Poi cosa?>> chiese stanco quanto lo era il poliziotto.
<< Cos'altro è successo? Jonathan ha detto che sperava che aveste avuto altro occasioni per parlarvi… pareva quasi imbarazzato… lui poi. Cos'è successo?>>
Lo guardò e poi abbassò lentamente le palpebre, assaporando quella sequenza di scene che ormai ricordava alla perfezione e che dubitava avrebbe mai dimenticato.
Prese un respiro profondo cercando le parole giuste per diglielo, per dire a quel ragazzo che aveva chiesto a suo fratello, pronto per il patibolo, di pensare a lui, a lui solo e non alla sua famiglia. Di pensare a lui, che voleva essere il suo ultimo pensiero come Magnus stesso stava cercando di imprimerselo a fuoco nella mente per far sì che Alexander fosse il proprio.
Così schifosamente romantico...se ne rendeva conto solo in quel momento. Lui poi, Magnus Bane romantico.
Ah, cosa gli aveva fatto quell'angelo con la pistola…

<< Poi sono solo stato così egoista da volere il mio bell'angelo solo per me un'ultima volta.>> si decise a dire.
Jace lo osservò e poi gli regalò un mezzo sorriso del tutto simile a quello di suo fratello. Avrebbe voluto dargli un pungo in faccia e dirgli di non farlo, che quel sorriso poteva permetterselo solo Alec. Che avevano troppi tratti in comune, che glielo ricordava troppo.
Ecco, Jace triste e addolorato era estremamente simile all'Alec di tutti i giorni.
<< Sai, penso proprio che in un'altra vita sarebbe stato tutto perfetto.>> Si alzò dalla poltrona lasciando Magnus interdetto per quelle parole.
Cosa? Pensava davvero che lui ed Alec…? E non aveva detto niente sul suo gesto? Aveva capito?
Jace aveva assistito anche alla loro prima telefonata, ma allora c'era meno di niente tra loro due, che il biondo già al tempo avesse intuito come si sarebbe potuto sviluppare un loro possibile rapporto?
Confuso lo guardò avvicinarsi alla porta ed aprirla piano.
<< Peccato che non sia questa di vita.>> disse amaramente Magnus.
Jace si fermò sull'uscio e si voltò a guardarlo:
<< No. Questa vita è andata forse, ma ricordati una cosa: la vita, la mia, la tua, quella di chiunque altro, riparte ogni volta che decidiamo noi di farlo. Ogni volta che vogliamo cambiarla e che ci impegniamo per farlo. In questa vita siete stati piuttosto sfortunati, vero, ma se c'è qualcosa… qualcosa che non sia mera attrazione fisica, qualcosa per cui varrebbe la pena lottare e faticare, che se coltivata crescerebbe e darebbe i suoi frutti… beh, allora non so te, ma per me sarebbe un ottimo motivo per ricominciare a vivere da capo, non credi?>> gli sorrise con semplice sincerità, per un momento non più il solito vanesio ed arrogante ragazzo montato e sicuro di sé ma solo un fratello che tiene a quell'altra metà di sé, fatta di sangue e codice genetico comune, e che farebbe e fa tutto per lui.
<< Solo, non dargli false speranze, se pensi che non possa nascere nulla, allora non fargli credere che sia possibile. Alec ci protegge sempre, lo fa con me, con Izzy e con Max. Noi gli siamo stati fin troppo addosso con tutta quella storia… >> continuò vago, non volendo impelagarsi in fronti che aveva già toccato con il diretto interessato e per cui aveva preso una bella ramanzina ed anche una bella dose di sensi di colpa. << però la verità è che vogliamo solo che sia felice. Ha messo per tanti, troppi anni la nostra felicità prima della sua. Dopo quello che vi è successo in questi mesi… non voglio scoprire se ci passerebbe sopra con serenità o se ricomincerebbe a guardare il mondo con la stessa diffidenza e la stessa paura di soffrire che aveva a diciotto anni.>>
Lo guardò ancora ed improvvisamente arrossì, come faceva Alec e come, ci scommetteva, facevano anche Isabelle e Max.
<< E non azzardarti neanche a dire in giro che ho detto queste cose. Negherò fino alla morte, spergiurerò sulla bandiera Americana se ce ne sarà bisogno e poi ti ammazzerò con le mie stesse mani. Io non ho detto niente, tu non hai sentito niente.>>
Magnus sogghignò. << Paura di parlare di sentimenti biondino?>> lo prese in giro.
Jace gli fece il dito medio e se ne andò borbottando che sarebbe tornato a controllarlo solo quando sarebbe stato addormentato.
<< Non ce n'è bisogno.>> specificò lui ma il ragazzo scosse la testa. << Davvero, non devi sentirti in obbligo.>>
<< Non è un obbligo, è un favore.>>
Il moro alzò un sopracciglio e l'altro scosse la testa.
<< Alec è rimasto con te per tutto il tempo quanto ti hanno sparato la prima volta. Il favore lo faccio a mio fratello, non a te. Vorrebbe saperti in compagnia o per lo meno sorvegliato a vista. Ha questa dannata indole da super eroe...>>
<< E da angelo custode, non credi?>>
<< Oh, io lo vedo più come un angelo vendicatore, ti lancia certe occhiate di fuoco quando non fai quello che vuole...>> ridacchiarono entrambi a quello stupido scambio di battute.
Poi passò un infermiere che Jace doveva conoscere perché gli fece un cenno con la mano e scappò dietro al pover'uomo, pronto per tartassarlo di domande su suo fratello e l'operazione.
Rimasto solo nella camera anonima dell'ospedale Magnus si mise a fissare i raggi infuocati che entravano prorompenti dalla finestra. Gli sarebbe piaciuto vedere qualcuno davanti a quella luce, irradiato come di un'aureola fiammeggiante, magari con quelle belle ali grigie che si muovevano sinuose sui muscoli, seguendo la pelle pallida e vergata di mille simboli.
Chiuse gli occhi e le chiazze di luce apparvero sullo sfondo arancione delle sue palpebre.
<< Eh si mon ange, sei stato proprio molto di più.>>


 

 

Tutte le più importanti testate giornalistiche riportavano il grande scandalo: il Vice Commissario della Polizia di New York Valentine Morgenstern era morto durante una sparatoria a casa di un famoso uomo d'affari sospettato di vari crimini mai provati.
Giravano molte teorie su cosa fosse successo quella notte: c'era chi sosteneva che il Vice Commissario avesse cercato un'opera d'arte sul mercato nero per riuscire a riconquistare sua moglie, ora sposata con il Capo dell'OCCB e che il venditore, riconoscendolo lo aveva ricattato, portando l'uomo ad ucciderlo pur di non essere scoperto.
Altri dicevano che in verità Morgenstern aveva una relazione con il miglior amico della vittima, ovvero il proprietario del loft in cui era morto, Magnus Bane, e che l'imprenditore fosse sotto scorta perché la polizia credeva che sapesse più di quanto non dicesse.
C'era chi sosteneva che in verità l'uomo fosse morto per un banale incidente, non si era identificato prima di far irruzione nell'abitato e la scorta lo aveva ucciso.
C'era anche chi sosteneva che invece fosse stato eliminato perché scomodo, che avesse amici in posti in cui non avrebbe dovuti averne e che lo aveva fatto fuori loro.
La deposizione ufficiale del Dipartimento era stata rilasciata ai media pochi giorni dopo la sua morte.

Il Commissario Imogen Herondale era apparsa sulla rete nazionale con la sua austera figura ed il suo sguardo di ferro. Il completo grigio perla che indossava perfettamente abbinato con i capelli.
<< Nella notte dello scorso venerdì il Vice Commissario Morgenstern è rimasto coinvolto in una sparatoria a Greenpoint. È con profondo rammarico da parte dell'intero Dipartimento di New York che vi informo che Morgenstern aveva preso contatti con un contrabbandiere di merci rare per appropriarsi di un articolo presente sul mercato nero. Questa sua grandissima mancanza di rispetto verso il suo lavoro, verso il suo Stato, la sua Nazione e anche verso il mondo dell'arte gli è costata ben cara.>>
<< Perché è stato ucciso?>> domandò uno dei reporter presenti al comunicato.
<< Morgenstern era sicurissimo che il signor Bane, stretto amico della vittima, fosse a conoscenza della sua identità. Ha cercato di eliminare anche lui, arrivando ad irrompere in casa sua. Fortunatamente il signor Bane era sotto la protezione di uno dei migliori agenti del nostro Dipartimento, il Detective della Omicidi Alexander Lightwood. È stato il Detective a proteggere Bane durante tutte le indagini che ha condotto sul caso Fell e a salvarlo dalla furia cieca di Morgenstern.>>
<< Quindi si è trattato di un errore? Il detective Lightwood non voleva uccidere il Vice Commissario?>> chiese qualcun altro.
<< Nessun poliziotto americano o di qualunque altro Stato vorrebbe mai uccidere qualcuno. Siamo rappresentanti della legge, crediamo nella giustizia e nell'ordine ed immoliamo noi stessi ed i nostri compagni per la protezione della nostra Nazione. Malgrado anche il nostro albero dia mele marce, nessuno di noi spara per uccidere a meno che non sia necessario per la salvezza di persone innocenti. Il Detective Lightwood si è trovato costretto a decidere tra la vita del suo testimone, indifeso, ferito e disarmato, e quella di un uomo che aveva tradito il suo giuramento e tentava di uccidere qualcuno solo perché avrebbe potuto rovinare il suo nome.>> la sua voce era stata decisa e senza la minima esitazione, sembrava quasi che sfidasse chiunque a contraddire le sue parole. Ed il semplice fatto che avesse fatto riferimento a tutti gli agenti come “noi” e non come “loro” faceva chiaramente intendere a tutti che lei si reputava parte di quel meccanismo non meno di quanto non lo era un semplice poliziotto di pattuglia.
<< Come si svolgerà il processo?>>
<< Per rispetto alla famiglia e per evitare speculazioni sul caso, più di quanto di certo ce ne saranno già in circolo, il processo si terrà a porte chiuse. Sono già in preparazione i documenti e le accuse che presto il Procuratore Trueblood formalizzerà contro Valentine Morgenstern. >>
<< Ma il Procuratore Trueblood non è imparentata con il Detective Lightwood?>>
<< È sua madre, esatto. Ma proprio per la tipologia del caso siamo sicuri non ci saranno favoritismi o problemi di alcun tipo. Si tratta solo di formalizzare i capi d'accusa e presentarli al Giudice. Le prove contro Morgenstern sono schiaccianti ed in ogni caso si parla di un accusato deceduto, non ci sarà una formalizzazione della pena o simili. Non ci sarà nessun tester contro cui “accanirsi” se è questo che vi preoccupa. Per altro il Procuratore sarà affiancato dagli agenti degli Affari Interni e della Disciplinare. Abbiamo preso ogni tipo di precauzioni, anzi, è più corretto dire che il Procuratore stesso le ha prese, richiedendo la supervisione di tutti i documenti da lei prodotti nel presente e nel futuro. Questo caso verrà gestito come l'ex Vice Commissario non è stato in grado di fare: con metodo, giustizia e nel nome della legge.>>
Ci furono una serie di flash e degli applausi, poi tra tutto quel vociare una domanda arrivò alle orecchi della donna e di tutti i presenti, facendo calare il silenzio.
<< E cosa ne è stato del Detective Lightwood? Perché non è presente anche lui oggi?>>
Tutta l'attenzione si spostò dal giornalista alla Signora che strinse le labbra in una piega rigida.
<< Purtroppo mi ritrovo addolorata nell'informarvi che il Detective Lightwood si trova ancora in ospedale, in prognosi riservata. È rimasto ferito durante la sparatoria, per proteggere il suo testimone. Ha subito due colpi, alla spalla e al torace. Posso solo dirvi che sono giorni che sta lottando con tutte le sue forze. Possiamo solo pregare per lui. Che Dio lo protegga e che protegga anche l'America.>>



 

Settembre spazzava le vie di New York con la stessa impietosa forza con cui Agosto ne aveva incendiato le strade. Il vento era stata una manna dal cielo, aveva sciolto il caldo che soffocava la città e aveva permesso a tutti respirare nuovamente aria fresca e non quel miasma bollente che il terreno esalava quell'estate.
Mesi prima, quando ancora doveva prepararsi per le vacanze, per il sole cocente della West Coast e tutte le cose belle che quell'altro lato d'America poteva offrirgli, non avrebbe mai e poi mi immaginato come sarebbe andata a finire.
Ripensò a come era cominciato tutto quel casino, ad una telefonata mancata, ad un messaggio in segreteria che forse avrebbe potuto cambiare ogni cosa. Un caso di omicidio, uno come un altro.
Solo che il soggetto era un po' particolare.
Ragnor… chi avrebbe mai creduto che avrebbe seppellito il suo amico prima di compiere trent'anni? Lui no di certo.
Il suo funerale era stato un colpo fin troppo forte, null'altro che l'anticipazione di quello che sarebbe stato il calvario che lo avrebbe colto nei mesi successivi. Rimpiangeva Giugno e il fastidio che aveva provato verso il suo amico che non si faceva sentire da troppo per colpa del lavoro.
Rimpiangeva fin troppe cose ad essere sincero.
Al secondo, di funerale, non era riuscito ad andare.
Avrebbe voluto, davvero, avrebbe voluto essere lì con ogni fibra del suo corpo, a guardare quella bara scendere nella terra e poi venir coperta da tre metri di detriti. Sarebbe stata la fine, il punto di tutta quella vicenda, di quella storia che non avrebbe mai voluto cominciare a leggere.
Avrebbe anche voluto quasi che piovesse quel giorno. Invece c'era stato un sole che spaccava le pietre. Forse se fosse stato al cimitero avrebbe sudato come poche volte, forse la ferita gli avrebbe fatto male perché non poteva tenere la gamba distesa. In ogni caso i medici glielo avevano proibito, non era nelle condizioni adatte, non poteva andarsene in giro quattro giorni dopo che gli avevano sparato, non avrebbe retto tutte le sollecitazioni del viaggio.
E se da una parte era incazzato nero perché non aveva potuto presenziare, dall'altra ne era quasi felice: malgrado fosse un grandissimo figlio di puttana, Magnus Bane non era irrispettoso verso la morte, proprio non poteva esserlo. E se anche non era una persona religiosa, gli sarebbe parso del tutto inappropriato passare un'intera funzione funebre con un gigantesco ghigno stampato in faccia e andare a sputare sulla bara.
Probabilmente non sarebbe stato carino nei confronti di Luke o di quella piccola macchia rossa che era Clary. Forse più di tutti non lo sarebbe stato nei confronti di Jonathan che, anche se aveva scoperto quale lurido bastardo fosse suo padre -finalmente avrebbe aggiunto Magnus- era ancora sconvolto all'idea di aver ucciso suo padre.

Peccato che fosse stato Alexander ad uccidere Valentine.

Ci aveva pensato parecchio, doveva ammetterlo. Il colpo del giovane Morgenstern sarebbe bastato a fermare l'uomo, ma avrebbe costretto il figlio a scegliere se prestare soccorso al genitore e tamponare la ferita in attesa dell'arrivo dell'ambulanza, facendo così morire dissanguato Alec; o correre proprio dal detective e lasciar morire l'altro.
Magnus personalmente avrebbe scelto mille volte Alexander, ma a differenza sua, che la vedeva solo dal lato sadico della faccenda, Alec si doveva esser reso conto che in quel modo il giovane avrebbe convissuto per sempre con la colpa di aver lasciato morire uno dei due per salvare l'altro. Di non essere riuscito a fare il suo dovere.
Ed era infinitamente grato che il suo bell'angelo avesse avuto una mira così precisa e perfetta.
Il referto medico, da quanto gli avevano raccontato Simon e Isabelle, era piuttosto chiaro: morte sopraggiunta per colpo di arma da fuoco alla testa.
Avevano anche speculato su quanto fosse stato magnifico quel colpo, da manuale proprio. Ma poi Simon aveva fatto notare all'amica quanto fosse poco carino essere felici della morte del padre di un'altra loro amica e Izzy aveva deciso di smetterla di parlare di morte e di puntare sulla prossima collezione autunnale.
Sospirò. Il giorno del funerale di Valentine però sarebbe rimasto per sempre nei suoi ricordi anche per un altro motivo. Quello era stato il primo giorno in cui aveva rivisto Alexander dopo la sparatoria.
Se lo ricordava perfettamente, come se fosse ancora davanti ai suoi occhi, sdraiato nella penombra di quella corsia d'ospedale.
Era in terapia intensiva, non lo avevano messo in camera perché poteva avere un collasso da un momento all'altro. C'erano solo delle tende tirate a dividerlo dagli altri pazienti e Magnus aveva dovuto pregare la sua infermiera di fiducia, la cara Laura, di portarlo da lui anche solo per dieci minuti.
Okay, quella volta aveva implorato anche solo un secondo, ma la donna era stata decisamente magnanima. Aveva fatto portare una barella nella sua stanza e lo aveva aiutato a stendersi su quella, non era ancora abbastanza in forze per una sedia a rotelle, la sua gamba, ancora, non poteva essere piegata.
Ed Alec se ne stava lì, immobile, collegato a molte più macchine di quanto non lo fosse lui. Non aveva la maglia,il torace era completamente avvolto in fasce dalle grandi macchie giallognole, probabilmente il disinfettante chirurgico. Era mortalmente pallido ed aveva quel gigantesco tubo infilato in gola, i lacci ed anche lo scotch medico a tenergli l'intubazione fissata al volto.
Si era fatto mettere al suo fianco, davanti a delle macchine che riportavano le pulsazioni, la pressione, i respiri e Dio solo sapeva cos'altro. Aveva allungato una mano per sfiorarli le labbra screpolate e violacee e poi l'aveva fatta salire tra i capelli scuri e scompigliati. Erano morbidi e pensò che qualcuno, probabilmente Isabelle stessa o sua madre, doveva averglieli lavati o assillato talmente tanto le infermiere affinché lo facessero da aver vinto quella piccola battaglia.
Più tardi Simon gli avrebbe confessato che in verità erano stati lui e Jace, che ci si era messo proprio il biondo e che lui c'aveva messo il carico da novanta sparando cifre inventate sull'igiene negli ospedali e tutto finché l'infermiera, proprio la sua Laura, santa donna, non li aveva presi per un orecchio e li aveva buttati fuori dal reparto a calci, urlandogli che ci avrebbe pensato lei purché se ne stessero zitti e fuori dalle palle.
Letteralmente.
Si ricordava come fosse fredda la sua pelle, come fosse così… sbagliato.
Ad ogni braccio aveva attaccate delle flebo, una di un liquido trasparente e l'altra di sangue, lo stavano riempiendo di trasfusioni ma ancora non era tornato al livello normale.
E poi altri tubi, questi che uscivano dalle bende e che servivano per drenare il sangue in eccesso.
Lo aveva fissato senza sapere cosa dire, cosa fare, come comportarsi.
Solo una macchia di colore spiccava in tutto quel bianco e quel nero: il tatuaggio del prisma.
Era coperto in parte dalle bende, non poteva vedere il cristallo in sé ne il raggio bianco, ma poteva vedere la linea violacea che copriva la parte inferiore del pettorale sinistro, qualche sfumatura di blu e poi, qualche centimetro più sotto un bordo rosso.
Aveva allungato ancora la mano, togliendola dai capelli del giovane per poggiarla sul suo cuore, carezzando piano i resti del tatuaggio e le bende che tenevano la pelle compressa ed unita, nella speranza che non venisse più aperta.
Sperò anche che il proiettile non avesse preso il prisma, che non avesse rovinato quel capolavoro così importante per Alexander, che lo rappresentava e gli dava coraggio.
Laura era tornata per riportarlo in camera qualche minuto dopo e Magnus le aveva fatto promettere che lo avrebbe riportato a far visita al ragazzo. Dio santo, aveva promesso di fare tutta la dannata riabilitazione e di non sforare mai, in quel momento avrebbe promesso anche di dar fuoco al suo armadio o di rasarsi a zero.
Era uscito dall'ospedale quasi un mese dopo. Simon e Raphael lo avevano riaccompagnato a casa e gli era sembrato più che ovvio che quei due sarebbero diventati amici e che avrebbero continuato ad insultarsi per il resto della vita. Ne fu felice: probabilmente nessuno sarebbe mai riuscito a rimpiazzare Ragnor nella vita del messicano, ma avere nuovi amici ti permetteva di dimenticare, almeno un po', quanto facesse schifo questo mondo e quanto avevi perso.
Aveva mantenuto la sua promessa, per poter far visita ad Alec aveva seguito alla lettera tutte le indicazioni dei medici e non aveva mai mollato il ritmo. La sua riabilitazione era ancora lunga, anche se ormai stava in piedi senza stampelle non poteva passare troppo tempo dritto, non poteva posare il peso sulla gamba e doveva allenarla continuamente per non far atrofizzare il muscolo.
Almeno il suo tono generale ne stava giovando.
Alexander aveva ripreso conoscenza quasi due settimane dopo il loro primo incontro, altre due prima che lui venisse dimesso. Era stata una vera e propria agonia, durante quei diciassette giorni era stato rioperato altre quattro volte e Jace era quasi svenuto una di queste, sfiancato dalle notti insonni che stava passando, costantemente al capezzale del fratello, alternandosi con i genitori e gli altri fratelli ma rimanendo comunque sempre presente, ed anche dal colpo che si era preso quando la pressione sanguigna del moro era schizzata così in alto da fargli uscire il sangue non solo dalla ferita riaperta, da naso e bocca ma anche dalle orecchie per finire in bellezza con gli occhi.
Se Jace Michael Lightwood non era morto quel giorno di Agosto non lo avrebbe ammazzato più nulla, ne era certo.
Quando poi, i primi giorni di Settembre, Alec aveva aperto gli occhi e si era ritrovato in una stanza d'ospedale, ormai non più in pericolo e quindi lontano dalla terapia intensiva, fasciato, bloccato ed intubato, chiunque fosse capitato da quelle parti aveva potuto assistere ad una delle scene più incredibili possibili. Non solo perché il ragazzo non avesse fatto un fiato e non avesse cercato di strapparsi di bocca i tubi di plastica, non si fosse agitato e avesse mantenuto una calma invidiabile, ma perché probabilmente, nessuno avrebbe mai più visto Robert e Jace Lightwood piangere in quel modo.
Li aveva sentiti dalla sua camera, Simon e Clary erano rimasti interdetti nel sentire un pianto così forte, domandandosi come lui quale povero paziente avesse appena abbandonato questo mondo, ma Izzy non aveva avuto esitazioni ed era corsa immediatamente fuori dalla camera, riconoscendo subito la voce del fratello.
Si era fatto aiutare a sedersi sulla sedia a rotelle e poi i ragazzi lo avevano spinto verso il corridoio, un ammasso di infermieri fermi davanti ad una camera a loro fin troppo familiare.
Aveva temuto il peggio? Ovvio che si.
Si sarebbe mai aspettato di vedere ciò che aveva visto? Assolutamente no.
Isabelle era ferma impalata vicino a suo padre, una mano premuta sul cuore, gli occhi lucidi traboccanti di lacrime come quelli blu dell'uomo.
Di un blu accecante e vivo, un colore così devastante che solo un'altra persona da loro conosciuta poteva vantare.
Robert piangeva silenzioso, abbandonato su quella poltrona come se non avesse la forza di alzarsi e muovere un solo dito, come se solo la mano di sua figlia lo tenesse sveglio ed ancorato a quella stanza.
Jace invece era completamente sdraiato sul letto di Alec, lo teneva stretto a sé e piangeva singhiozzi rumorosi e forti come colpi di cannone.
Se non fosse stato per la luce che brillava nello sguardo vivido del padre, Magnus avrebbe scommesso che Alexander fosse appena morto e che il fratello, distrutto, non riuscisse a staccarsi dal suo corpo.
Poi però qualcosa si era mosso. Una mano pallida come quella di un fantasma si era poggiata sulla testa del biondo, un'altra mano sulla sua schiena, compieva gesti lenti e apparentemente molto faticosi, cercando di calmare il fratello e di farlo rilassare.
Nessuno di loro dubitava che se avesse potuto parlare gli avrebbe detto che non era niente, che stava bene, di stare tranquillo, che ora era lì con lui. Oh, il suo dolce Alexander, sicuramente avrebbe cercato in tutti i modi di consolare i suoi famigliari e anche Simon che si era praticamente accasciato alle sue spalle, tenendosi solo alle maniglie della sedia, piangendo anche lui ma cercando di mantenere un certo contegno.
Contegno che certo non aveva avuto il piccolo di casa Lightwood quando era arrivato di corsa all'ospedale, seguito sorprendentemente da Jonathan Morgenstern che, saputa la notizia dalla sorella, si era offerto di andare a prendere il ragazzo e portarlo il più velocemente possibile al DownTown Hospital.
Maryse era arrivata poco dopo scortata da niente di meno che Lucian e Andrew. Non passò neanche un'ora che persino la Signora si era presentata al capezzale del giovane detective.
Dopo quello erano passati altri dodici giorni prima che i grossi tubi di plastica che gli permettevano di respirare fossero stati sostituiti dalla maschera ma nonostante questo Alexander non era riuscito a parlare ancora per un bel po'.
Dire che si era comportato in modo maturo sarebbe stato mentire. Magnus aveva passato buona parte del tempo a sbattere i piedi a terra e urlare che voleva vedere Alexander ed aveva continuato finché non gli avevano dato l'autorizzazione.
Almeno non sarebbe vissuto con il rimpianto di non avergli parlato dopo la sparatoria. Era da non crederci, il poliziotto aveva anche avuto il coraggio di chiedergli scusa, si era incolpato della sua ferita come Magnus aveva pensato avrebbe fatto. Se non gli aveva rifilato un pugno in bocca era solo per via del grandissimo sollievo che provava nel sentire quella voce bassa e rauca lasciare le labbra secche del giovane.

Sospirò ancora e si maledisse, sembrava un dannato personaggio di un dannato romanzo per adolescenti, tutto sospiri e pensieri tristi.
Abbracciò con lo sguardo tutto il salone e si trascinò sino al sofà nuovo. Gli avevano riconsegnato casa a tempo record per la polizia di New York, ma questo forse lo doveva proprio a Maryse Trueblood e alla Herondale, quelle due donne, assieme, facevano davvero paura e dubitava fortemente che qualcuno avesse ancora solo osato dir loro che il loft era la scena di un crimine ancora non archiviato.
Per il divano invece avrebbe dovuto ringraziare Isabelle che lo aveva scelto e Luke, Jace e Simon che erano stati costretti a trasportarlo su per le scale perché non entrava nell'ascensore.
Davanti a lui era steso un grande tappeto dagli intrecci colorati, serviva a nascondere la macchia che il sangue di Valentine aveva lasciato. Avrebbe dovuto cambiare tutto il parquet ma la verità era che non riusciva a tollerare l'idea di togliere un'altra di macchia. Ruotò il dorso e fissò il pavimento dietro al mobile: se la sua gamba aveva lasciato una tracia relativamente piccola anche grazie al pronto bendaggio di Alec, il ragazzo invece aveva donato a quel legno fin troppo del suo sangue.
La pozza in cui era riverso Alexander era grande e pareva più scura delle altre. Gli faceva male guardarla, ricordare che qualcuno era quasi morto lì, che qualcuno a cui teneva era quasi morto, ma al contempo non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Sospirò per l'ennesima volta e poi si imbronciò subito, infastidito dal suo stesso comportamento.
Forse avrebbe potuto prendere il pc e cercare una nuova casa, non era poi così sicuro che sarebbe stato in grado di vivere dove quel figlio di puttana era morto.
Magari poteva farsi aiutare da Raphael, aveva un cazzo di albergo, se non la conosceva lui la situazione immobiliare di New York non la conosceva nessuno.
Allungò la mano verso il tavolinetto cercando di prendere il telefono e quando sbloccò la schermata principale rimase come un deficiente a fissare lo schermo.
Era una foto di forse due mesi prima, ritraeva lui, Simon ed Alec. Quanto tempo era passato?
Poteva Luglio essere una vita fa?
Guardò le loro facce e si disse che al tempo, tutto ciò che era successo, non se lo sarebbe mai aspettato. Ma se tanto lo aveva fatto soffrire quella storia, tanto gli aveva dato.
Sorrise e pigiò sulla rubrica, su uno dei suoi contatti rapidi.
Due squilli e la voce alta e fastidiosa di Simon proruppe dal fono, a quanto pareva impegnato a litigare con Jace, come sempre.
Si chiese per un attimo cosa dovevano combinare quei due da adolescenti e come sarebbe stato se si fossero conosciuti da bambini. Rabbrividì e diede qualche colpo di tosse infastidito.
<< Magnus! Ehi bello, come stai? Tutto apposto? Hai- JACE TOGLITI DAL CAZZO!>>
Magnus allontanò il telefono dall'orecchio: << Che sono bello è un dato di fatto Selwin, ma grazie, questa uscita felice ti ha fatto guadagnare punti, quindi di al platinato lì presente di lasciarti in pace perché hai ragione tu, da parte mia ovvio.>>
Un suono vittorioso arrivò dall'altro lato e poi Simon si sbrigò riferire le parole di Magnus che venne prontamente mandato al diavolo. La voce di Izzy rise a quella risposta e l'uomo credette di sentire anche lo squittio divertito di Clary.
<< Cosa posso fare per te, o sommo stregone di Brooklin?>> domandò con giocosa riverenza il ragazzo.
<< Vorrei uscire e fare un po' di shopping per la nuova casa che sicuramente comprerò. Volevo chiamare Raphael ma poi mi sono detto che solo con lui rischierei di avere un esaurimento nervoso e che quindi, potevo avere un esaurimento nervoso ma divertirmi chiamando anche te.>>
Non poteva vederlo ma si immaginò perfettamente il volto allegro di Simon che annuiva.
<< Ma certo! Hai fatto la scelta giusta! È da un po che non vedo quella sottospecie di vampiro, esce mai alla luce del sole? È messicano no, non dovrebbe aver problemi di ustione. A meno che non sia tipo fotosensibile. No, aspetta, quelli sono i pannelli e sono fotovoltaici. Izzy? Si dice fotosensibile? Per le persone! No? Va beh io lo dico comunque. Cosa? Magnus vuole fare shopping- >> non terminò la frase, un urlo acuto trapassò il timpano di Magnus e fece scappare un fulmine bianco via dal solone.
Isabelle strappò il telefono di mano a Simon e gridò sovreccitata. << Ommiodio! Magnus! Ti prego, posso venire anche io? E Clary! Anzi! Veniamo tutti, tanto Jace si è comprato una jeep per compensare altre mancanze, c'entriamo tutti e pure il tuo amico sociopatico!>> Magnus si accigliò, non sapeva quanto Raphael sarebbe stato felice di quella definizione. << Oh e poi c'entra anche la tua sedia a rotelle. No, non provarci! Se vuoi stare tutto il giorno in giro non puoi stare anche in piedi, quindi portiamo anche quella, va bene? Magnifico! Ti passiamo a prendere tra un'ora e poi passiamo anche da Santiago! A dopo!>> Chiuse la conversazione senza neanche dargli il tempo di rispondere ma lo lasciò comunque con un sorriso.
Forse aveva perso un amico, forse aveva rischiato di perderne più di uno – forse aveva rischiato di perdere qualcosa di più di un amico- ma ne aveva guadagnati molti altri.
Purtroppo per lui tutti nel braccio della legge, ma erano dettagli, gli avrebbe fatto comodo un appoggio da quelle parti prima o poi.
Si lasciò sfuggire il ventesimo sospiro di quella giornata, ma a differenza degli altri questo era divertito. Magari dopo lo shopping si sarebbe potuto far portare in ospedale a far una visita ad Alec e sentire se gli avevano detto quando l'avrebbero dimesso.
Sorrise involontariamente e chiuse gli occhi.
Le cose stavano prendendo, ancora una volta, una piega del tutto inaspettata, ma incredibilmente gradita.



 

Il processo era terminato alla fine di Novembre e Magnus si era stupito della delicatezza con cui era stato trattato il tutto. Non un solo giornale aveva scoperto dell'esistenza del Diario del Circolo, nessuno aveva saputo che Valentine Morgenstern, per una vita, aveva fatto il doppio gioco. Hodge Starkwheater invece aveva patteggiato, come era ovvio che fosse. Era stato mandato in una prigione di media sicurezza con l'imposizione di non parlare. Era stato accusa di omicidio ovviamente e ci sarebbe rimasto per tutta la vita dietro a quelle sbarre, ma non avrebbe detto una sola parola sul diario a meno che non volesse rischiare di ritrovarsi nella prigione di ADX Florence.
Magnus aveva dovuto testimoniare ma non aveva avuto la minima paura di farlo, anzi, fremeva quasi all'idea di salire al banco dei testimoni dalla parte del “bene” per una volta.
Era stato interpellato prima per il caso Fell e poi per il caso Circle, occupando in entrambi posizioni abbastanza importanti seppur completamente diverse.
Anche Alexander aveva testimoniato e vederlo arrivare in aula su una sedia a rotelle, scortato da un infermiere e con ancora la bombola d'ossigeno al seguito gli aveva fatto più male del dovuto. E c'era da dire che aveva anche infiammato di più gli animi di tutti i giurati. Gli era stato concesso di non presentarsi, viste le sue ancora delicate condizioni, ma il detective si era impuntato: era pur sempre il suo caso e non si sarebbe perso il processo per niente al mondo.
Si rammaricava solo di aver ucciso Valentine e di non averlo consegnato alla giustizia come si era inizialmente ripromesso di fare.
Nessuno in quell'aula lo biasimò per questo. Molti invece stimarono la sua incredibile fiducia verso la legge nonostante fosse stato proprio uno dei suoi maggiori esponenti ad averlo ridotto in quello stato.
Prima di uscire dalla seduta, Magnus aveva intercettato il suo sguardo: vederlo sorridere impacciato ma fiducioso come lo era sempre stato, senza più quella stupida maschera a coprirgli la bocca, ma solo i tubicini al naso, gli aveva illuminato la giornata solo un po' di meno di quanto non avesse fatto l'occhiolino che gli aveva lanciato dal lato opposto della sala.
Si era ritrovato a sorridere come un deficiente. Catarina aveva scosso la testa senza speranze e Simon, che si era precipitato da lui, gli aveva chiesto cosa fosse quella faccia da ebete prima di voltarsi nella direzione giusta, scorgere Alexander che parlava con sua madre e con l'avvocato incaricato di portar avanti il caso Fell. Si era voltato di nuovo e lo aveva guardato con l'espressione di chi la sapeva lunga. In compenso non aveva aperto bocca.

Si avvicinò alla finestra del suo ufficio, spiando le decorazioni natalizie che la strada sottostante sfoggiava. Non che il suo locale fosse diversamente addobbato, per carità, ma in quel momento lo infastidivano solo. Ad essere sinceri lo infastidiva anche il buon umore della gente.
Non gli andava di parlare con nessuno, Catarina si era preoccupata che fosse per la gamba, ma ormai la sua coscia era guarita alla perfezione. La ferita era ancor visibile certo, c'avrebbe messo mesi per riassorbirsi e Magnus la stava aiutando con generose quantità di oli e creme varie per la cicatrizzazione e l'elasticità dei tessuti e tutte quelle puttanate lì, ma no, non gli faceva male, non più.
Il problema era che il caso era stato ufficialmente chiuso una settimana fa e lui non aveva praticamente sentito più nessuno. O meglio: non aveva più sentito chi gli interessa va di sentire.
Erano rimasti in contatto durante tutti quei mesi, ma tra il caso, gli appelli, le sedute in aula e la riabilitazione il massimo della loro conversazione si era svolta fuori dalle porte chiuse del tribunale. Si erano scambiati messaggi di tanto in tanto, per sapere come andavano gli esercizi, se ci fossero novità, ma la verità era che la maggior parte delle informazioni Magnus le riceveva da Simon.
Era stato lui a dirgli che, verso la prima metà d'Ottobre Max aveva dovuto dar prova della sua patente portando di corsa il fratello all'ospedale più vicino perché accusava dolori troppo simili a quelli che precedevano ogni dannato collasso che aveva avuto. Era stato Simon a dirgli che era rimasto ancora un frammento, nascosto alle lastre per colpa di una costola e che lo avevano dovuto aprire di nuovo. Simon, non Alexander.
Non era neanche infastidito, no, era di pessimo, pessimo umore. Le vacanza, il periodo natalizio, gli ricordavano che in genere le feste venivano passate in famiglia e con le persone che più si amava. Non dubitava che Lewis sarebbe piombato nel suo loft per fargli gli auguri e portargli il suo regalo, ma dubitava invece che sarebbe stato un certo bel moro a farlo.
E poi la stoccata finale: il giorno prima il detective era ufficialmente ritornato in servizio. Come era possibile? Chi era il deficiente che aveva acconsentito? Era a mala pena in grado di reggersi in piedi senza stampelle, alle volte gli mancava ancora il respiro e loro lo rimandavano in ufficio? Certo, da quello che gli avevano detto Clary e Simon, in chiamata in viva voce assieme, Alec era tornato al dipartimento con l'obbligo di non lasciare la sua scrivania, se voleva lavorare poteva solo firmare scartoffie, ma questo non cambiava che non poteva essere già in pista, non di nuovo, non così presto.
Ma quel dannato coglione di sicuro doveva aver rotto talmente tanto le palle da farsi reintegrare.
O forse si era limitato a quella sua faccia da cucciolo triste e ferito e magari la Herondale stessa si era fatta sciogliere il cuore e gli aveva proposto quel compromesso.
Non lo sapeva e neanche gli interessava, sapeva solo che gli rodeva il culo in modo indecente.
Oh, e che non voleva lavorare.
Aveva già ricevuto la visita del suo avvocato, cosa assolutamente sgradita visto che voleva discutere con lui le implicazioni della sua partecipazione al caso, ma certo era stato peggio della visita di quel tipo con le nuove proposte di alcolici attualmente in voga nella grande mela. Quello era stato piacevole quasi, salvo poi ricordarsi che non avrebbe potuto bere nulla sino a Natale e anche lì o un bicchiere di rosso o uno di champagne. Erano seri? Come poteva sopravvivere così? Neanche l'alcol!
Si massaggiò le tempie e strinse i denti quando dall'interfono collegato al bancone gli arrivò la voce del suo barista che lo informava che stava salendo al suo ufficio qualcun altro, asserendo di aver appuntamento con lui.
Del tutto inatteso come gli altri.
Masticò un imprecazione ricordandosi troppo tardi che, si, aveva appuntamento ed era con il marmista per cambiare la copertura del piano bar. Dio, si sarebbe sparato.
No, okay, sparato no. Non avrebbe più toccato una pistola in vita sua.
Decise in quel momento che avrebbe scelto il marmo più scuro, cupo e nero che poteva offrirgli. Non gli importava né se sarebbe stato il più costoso o il più scadente. Doveva essere nero come il suo umore.
Qualcuno bussò alla porta e Magnus avrebbe voluto non rispondere, ma si limitò ad appoggiare la fronte contro il vetro e mormorare un pigro “avanti”, prima di sentire la porta aprirsi e richiudersi poco dopo alle sue spalle.
<< Glielo dico subito, voglio il marmo più scuro che ha. Nero, possibilmente nero e privo di luce, la deve risucchiare la luce, deve sembrare un buco nero. Può anche non essere un marmo, non mi interessa. Ma davvero: nero. Assolutamente nero. Nero come la mia- >>

<< Come la sua anima? La prego Mr Bane, non dica certe sciocchezze, non davanti a me almeno.>>

Magnus fece un gesto vago con la mano, come a voler dire all'uomo di non parlare a vanvera e che lui non aveva la più pallida idea delle condizioni della sua anima quando si rese conto di conoscere quella voce e si congelò sul posto.
<< Direi che più che altro ne ha troppi di colori, non crede?>> insistette l'uomo.
Lui deglutì invece, incapace di muoversi ma perfettamente in grado di immaginarsi il volto del suo interlocutore in quel momento.
<< Oh, suvvia, non mi dica che l'ho lasciata senza parole. Allora avevo ragione, tutte le volte che riesco a farti star zitto è in modi che non avrei mai immaginato funzionassero.>>
A quella frase si riscosse.
Il caldo soffocante d'Agosto ritornò prepotente su di lui sciogliendolo dal freddo improvviso che lo aveva ghiacciato. Furono brividi bollenti quelli che scossero tutto il suo corpo e lo fecero voltare verso la fonte di quella voce. Ed eccolo lì: bello ed immortale come un angelo, con la sua giacca scura, la camicia bianca e la cravatta nera, un Man in Black, un super eroe sotto copertura che si poggiava con la spalla buona contro la parete, cercando sostegno che forse le sue gambe ancora non riuscivano a dargli ma che ormai non erano più così instabili da richiedere l'ausilio delle stampelle. Con quella massa di capelli arruffati dal vento, le sopracciglia folte arcate in perfetta armonia con quegli occhi blu come il cielo limpido nelle notti d'estate e in quello spazzato dal vento feroce d'inverno. Le labbra chiare piegate in un mezzo sorriso storto che era suo, suo e di nessun altro.
Si era sbagliato: il ghigno di Jace c'assomigliava, ma non sarebbe mai stato bello come quello di Alexander.
Il suo Alexander, lì in piedi davanti a lui.
Sano e salvo e così dannatamente vivo.
Magnus batté un paio di volte le palpebre in cerca di respiro, in cerca di parole. Deglutì ancora un eccesso di saliva.
<< Non mi pare che tu sia a petto nudo. Quello si che riesce a farmi stare zitto.>> si risolse a dire in fine.
Alec sorrise si staccò dalla parete con una spintarella. Magnus finse di non vederlo traballare leggermente e l'altro non parve rendersene conto.
<< Fa freddo ormai e poi lo sai che sono in grado di tenermi la maglia addosso anche con quaranta gradi alle otto di sera.>> ritorse.
Oh, stava facendo riferimento proprio a quella sera? Così? Partivano subito con i ricordi belli.
Gli piaceva, oh se gli piaceva l'idea, e a quanto pare piaceva anche al suo corpo visto come si coprì in breve tempo di pelle d'oca.
<< Vero… ma sei molto meglio senza.>>
<< Mi stai dicendo che sto male vestito?>> scherzò il moro e Magnus scosse la testa.
<< Ti sto dicendo che stai meglio senza maglietta. Ma ad essere sinceri non sei male neanche completamente nudo.>> ammiccò lui ritrovando la sua solita verve e compiacendosi del leggero rossore che aveva colorato le guance del detective.
<< Come stai?>> gli chiese a sorpresa quello.
Magnus si strinse nelle spalle. << Lo sai, sto bene. Te l'avrò detto un miliardo di volte.>>
<< Me lo hai detto per messaggio, quando potevi rifilarmi una balla e io potevo permetterti di dirmene. Ora dimmelo davvero.>> propose avanzando ancora, prima di fermarsi davanti a lui.
Lo vide aprire e chiudere la mano e seppe con certezza che avrebbe voluto toccarlo, che stava lottando contro l'istinto di alzare il braccio e posargli una carezza sul volto, o forse sistemargli un ciuffo scappato via dalla piega perfetta dei suoi capelli.
<< Sto bene Alexander.>> cominciò, ma poi non se la sentì di mentire completamente. << Fisicamente non potrebbe andare meglio.>>
Alec lo fissò con sguardo attento. << Ed emotivamente?>>
Quel grandissimo bastardo. Emotivamente, non psicologicamente, come per tutti, come per chiunque si domandasse se farsi sparare due volte a distanza di un mese scarso fosse sfiancante. No, lo stronzo aveva puntato dritto al dunque. Come sempre, come solo lui sapeva fare. E lo aveva fatto perché-

Perché mi conosce.

Si ritrovò a sorridere, una piega dolce che curvò le sue labbra verso l'alto.
<< Potrei stare meglio. Ma non è così per tutti?>> domandò retorico.
Alec annuì ma non proferì altra parola.
<< Tu come stai invece? Fisicamente ed emotivamente?>> lo incalzò allora.
<< Potrei stare meglio, ma per entrambi. Ho ancora qualche problema con il braccio, la spalla non regge gli stessi pesi che reggeva prima, ma per il dottore con la giusta riabilitazione e una grande dose di impegno potrò riacquistarne del tutto l'uso.>>
<< Il polmone?>>
<< Sono senza ossigeno. Guarito perfettamente. Dalle lastre si vede appena una linea ma essendo un tessuto molto irrorato di sangue sparirà in tempi brevi.>> gli disse come se lo avesse ripetuto mille volte, una frase di stampo medico di certo, che diceva tutto e niente.
<< Per la parte emotiva cosa mi dici? Insomma, ti hanno fatto un test psicologico prima di rimetterti in mano una pistola o sei rientrato solo perché sei il detective più sexy del dipartimento?>>
Alexander si morse il labbro e Magnus avrebbe tanto voluto farlo al posto suo.
<< Tenente...>> soffiò piano il moro. L'altro lo guardò senza capire. << Ho passato il controllo psicologico, la Signora mi ha obbligato a farne due a dirla tutta, psicologico e psichiatrico, non voleva rimandarmi al dipartimento a meno che non le dicessero che era importante per la mia psiche. Insomma, capiva come mi sentivo bloccato a casa, ma non voleva che facessi qualche cavolata...>> farfugliò ancora, evidentemente in imbarazzo e sempre più rosso in faccia.
<< Alexander? Tesoro, cosa hai detto prima?>> gli chiese lui gentile.
L'occhio gli cadde di nuovo sulle mani del giovane, così lunghe e pallide che per un attimo le rivide sporche di sangue mentre stringevano una pistola fumante. Si riscosse.
<< Che ho passato i test?>>
<< Prima ancora dolcezza.>> disse continuando a guardargli le mani.
Non vide lo sguardo ansioso del moro o se lo fece non gli diede impressione di averlo fatto.
<< Tenente.>> ripeté con più sicurezza Alec.
A quel punto gli fu impossibile non alzare lo sguardo. Alexander aveva chiuso gli occhi, forse per prendere forza e dire quell'unica parola.
<< Come?>>
<< Mi fanno Tenente. A Gennaio. Devono organizzare la cerimonia, vogliono che sia il Sindaco a darmi la gratifica o qualcosa del genere, non lo so. Vengo ora dall'ufficio della Herondale e… io… non l'ho ancora detto a nessuno. Volevo dirlo a… non lo so, sono salito in macchina e sono arrivato qui. Volevo solo dirtelo.>> strinse con forza le mani e alla fine Magnus capì che anche lui non poteva resistere ancora per molto.
<< Poi toccarmi.>> disse solo.
Alec spalancò gli occhi, quei giganteschi occhioni blu, come quelli di un cucciolo o di un cerbiatto o di un angelo. Non lo sapeva di che colore avessero gli occhi gli angeli ma era certo che se fossero stati blu non sarebbero stati neanche lontanamente belli come quelli del detective.
Rimasero a fissarsi per un attimo, poi la mano del giovane si alzò piano, tremante. Troppo tardi Magnus si rese conto che era il braccio a cui gli avevano sparato, che era il destro e che doveva star facendo una fatica notevole. Allungò la sua di mano e gli andò incontro. La strinse in una presa salda e la sostenne in tutta il suo viaggio verso la sua guancia. Lì ve la premette contro e chiuse gli occhi, assaporando quel calore che ricordava ancora così vividamente.
L'ultima volta che Alec gli aveva posato una mano sul volto era stata la notte della sparatoria.
<< Sei venuto a dirlo prima a me?>> domandò senza osare aprire gli occhi.
Sentì un fruscio e lo immaginò annuire.
<< Perché?>> chiese solo.
Attese con pazienza la risposta, godendo di quel tepore così famigliare da sembrar provenire da ricordi infantili.
<< Perché è anche, anzi, soprattutto grazie a te che ho ricevuto la promozione. Me l'hanno data per i servizi resi alla città di New York, al corpo della polizia e per lo spirito di sacrificio verso civili ed innocenti o qualcosa di simile, sinceramente non la stavo più seguendo a quel punto.>> la mano tremò e Magnus seppe che il ragazzo stava ridacchiando. Lo imitò ed aprì finalmente gli occhi.
Erano sfere verdi come le schegge del topazio, come le creste del muschio che disegnava arabeschi incantevoli sulle rocce delle foreste vergini. Screziati d'oro, che ne riempiva ogni crepa. Contornati da un anello quasi marrone, trapuntato di mille riflessi. C'era tutta la forza dirompente della natura lì dentro, tutta la vita della terra che non cercava altro che specchiarsi nella volta celeste sopra di lei.
E non era forse proprio la mitologia ad insegnare quanto fosse potente il legame che univa Gea ad Urano? Quanto la terra ricercasse il cielo, protendendo le proprie braccia, gli alberi e le montagne verso di esso, mentre l'altro provava a sfiorarla con i suoi venti e le lacrime della sua pioggia?
Non era forse verso il cielo che i vulcani eruttavano tutto il fuoco della terra ed non era forse verso di essa che i cielo scagliava i suoi fulmini?
Rimasero a fissarsi per un tempo che parve eterno ed effimero assieme. Ma lo sapevano, sapevano perfettamente che non sarebbero potuti rimanere così per sempre e alla fine Magnus si ricordò cosa gli avesse detto Catarina mesi addietro, come gli avesse ricordato che facevano parte entrambi di mondi che non potevano unirsi se non annullandosi a vicenda.
Sapeva perfettamente che anche Alec ne era cosciente e si costrinse a chiedergli ciò che più gli premeva.
<< Perché sei qui?>>
Il moro lo guardò, non riusciva a far altro, ipnotizzato di colori caleidoscopici delle sue iridi, dalla sfumatura ramata della sua pelle, la stessa calda del caramello liquido e bollente. Incantato dai lineamenti regali di quell'uomo. Oh, se suo padre era un principe dell'Inferno che aveva lasciato la sua corona al figlio, questo faceva di Magnus un principe a sua volta? O forse un re visto come era prosperato il suo impero e la sua fortuna? Alexander non ne aveva la più pallida idea, ma sapeva che era vero, Dio se non lo era, Magnus era un dannatissimo re degli inferi, pronto ad aprirgli un mondo che lui non aveva mai neanche sperato di poter vedere. Eppure, per lui, un viaggio all'inferno se lo sarebbe fatto più che volentieri.
Prese un respiro profondo.
Non poteva chiedergli di mollare tutto ciò che aveva, tutto il proprio mondo per seguirlo nel suo, non c'era modo di tirar un diavolo in paradiso così come non si poteva portare un angelo all'inferno. Ma la verità, che Alec aveva imparato a sue spese, è che fin troppe volte tra le nuvole dell'eden si nascondono angeli le cui ali sono state costruite strappandole ad altri, e che altrettante volte, tra le fiamme della dannazione ci sono diavoli pronti ad aiutarti solo perché è giusto così.
Alla fine, la verità era che non esisteva paradiso o inferno, ma che tutti loro si affrontavano su un unico terreno, un purgatorio che non guardava in faccia a nessuno.
E Alexander, sebbene non fosse una persona vanitosa o supponente, sapeva di non essere stupido e sapeva anche come aggirare il problema.
Espirò e portò la mano sinistra all'interno della sua giacca.
<< I caso Fell e anche il caso Circle sono ormai risolti, ma questa bella avventura ci ha lasciato un regalo forse indesiderato.>>
Ne estrasse un agenda nera, di pelle ruvida, consunta e vagamente vecchia. Sembrava essere passata per mille mani e a Magnus parve così famigliare…
<< L'agenda di papà?>> chiese confuso.
Alec annuì. << Qui dentro ci sono riportati i nomi di tutti i clienti, i colleghi, gli alleati, i nemici e chiunque abbia intrattenuto rapporti di ogni genere con Asmodeus. Solo che non ci sono molti particolari. L'ho studiata in questi mesi, la Signora l'ha affidata a me, credo non volesse farmi uscire del tutto di senno lasciandomi a far niente. Ho capito ben o male come sono elencati i nomi, cosa significano alcune parole e alcuni segni, ma la verità è che è una codificazione molto personale.>> lasciò la frase in sospeso, come se si aspettasse che lui la completasse.
Magnus lo guardò serio, le sopracciglia aggrottate e la fronte corrugata. Con un gesto del capo lo spronò a continuare.
<< Il fatto è che io non conosco Asmodeus. Non ho la minima idea di come pensasse o a cosa fosse più interessato e legato. Simon è già in squadra con me, passerà ufficialmente alla Omicidi, te lo ha detto, vero? Anche se gli avevano proposto di fare dei corsi e degli esami per prendere il posto di Hodge. Beh, fatto sta che abbiamo già cominciato a lavorare ma ci manca qualcosa.>>
La mano che ancora poggiava sulla sua guancia scivolò sul collo, le dita lunghe andarono a solleticargli il capelli corti dietro la nuca. Magnus rabbrividì ma non distolse lo sguardo pensieroso da quello fermo e lucido del moro.
<< Ci manca un altro punto di vista, qualcuno che sappia com'è l'ambiente e come muoversi. E poi, sai come si dice?>> gli sorrise, un sorriso che l'uomo trovò magnifico ma per nulla rassicurante, come quello che gli aveva regalato sulla soglia della cucina della casa sicura.
<< Come si dice?>> gli chiese senza rendersi conto di essersi sporto verso di lui, di avvicinarsi ogni momento di più, che gli stava andando incontro proprio come stava facendo il detective.
<< Squadra che vince non si cambia.>> disse Alec ad un soffio dalle sue labbra. << Che dice Mr Bane, le andrebbe di collaborare ancora con la polizia di New York City?>>
La mani di Magnus si posarono in automatico sui fianchi del giovane, tirandoselo contro mentre sul suo volto si apriva un ghigno divertito.
<< Non so, sarebbe sempre lei il mio agente di collegamento, Detective Lightwood?>>
<< Tenente. E no, non sarei il suo agente di collegamento.>> Magnus si ritrasse un poco, sorpreso da quelle parole, ma la mano di Alec sulla sua nuca lo costrinse a tornare verso la sua bocca.
<< In questo caso sarei il suo superiore. Accetta di diventare un consulente del Dipartimento, nello specifico assegnato alla mia squadra?>>
L'uomo si leccò le labbra, sfiorando anche quelle del moro tanto erano vicini.
<< Dio fiorellino, lo sai che amo quando tiri fuori la tua indole da dominatore e comandi tutti a bacchetta, sei davvero sexy, non so come riesca a trattenermi dallo strapparti i vestiti di dosso.>>
<< Lo prendo per un si?>> così vicini gli occhi di Alec parevano più luminosi di tutte le luci natalizie che addobbavano New York.
Senza più resistere, anche perché non ce n'era bisogno, non aveva più senso, si tuffò finalmente verso le labbra del poliziotto, annullando quella distanza irrisoria e riassaporandole dopo troppo tempo.
<< Mon Ange, per te è sempre si.>>


 


 


 

Fine.


















 

Salve!
Direi che con questa abbiamo finito, no? È una bella soddisfazione portare a termine una long, non c’è che dire.
Giunti a questo punto non posso far altro che sperare che questo racconto vi sia piaciuto, che i miei ragazzi, le loro storie, il loro mondo e le loro avventure vi abbiano coinvolto e fatto vivere un po’ di quell’emozione, di quell’ansia e quell’impazienza che ogni poliziesco dovrebbe riuscire a trasmettere.
Ringrazio chi ha seguito la storia capitolo per capitolo, chi l’ha fatto tutto assieme o a pezzi. A chi l’ha inserita tra le preferite, le ricordate e le seguite. Ed un grazie particolare anche a tuti coloro che si sono presi il disturbo di ritagliarsi un angolo di tempo per recensire.
“Una pista che scotta” finisce qui: l’assassino è stato trovato, il diario ritrovato, giustizia fatta.
Grazie ancora, lettere, e come diceva un certo Linus Caldwell, ci si rivede quando ci si rivede.

   
 
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