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Autore: titania76    31/12/2017    2 recensioni
La vita di Shion Hayes, giovane uomo d'affari di successo, viene rivoluzionata da un messaggio che non può ignorare e al quale non può sottrarsi; viene così attirato a un appuntamento in un luogo fuori mano, in un freddo e lugubre pomeriggio autunnale. Qualcuno dal suo passato, che pensava di aver cancellato per sempre, torna nella sua vita e lo fa nella maniera più inaspettata e indelebile.
Anni dopo, l'infinita catena degli eventi innescata quel lontano giorno, sconvolge la quotidianità di una tranquilla e serena famiglia americana, portandola a cambiamenti radicali e allontanandola dalla propria casa e dalla propria città.
Quello stesso destino che in passato ha tolto, nel presente dona di nuovo.
La giovane Caroline Miller, da sempre sogna di tornare alla sua natia Boston; un incontro casuale e drammatico le dà la spinta decisiva per realizzare il suo desiderio. Ed è proprio a Boston, quando meno se lo aspetta, che incontra Saga.
Il colpo di fulmine è reciproco, ma fin da subito niente è facile per loro.
Ombre provenienti dal passato di entrambi sembrano spingerli in una direzione dove segreti e omissioni rischiano di spezzare per sempre il loro legame. Saranno in grado di resistere e rimanere assieme?
Genere: Romantico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Aries Shion, Capricorn Shura, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Sagittarius Aiolos
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legacy'
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Era il lontano 22 dicembre 2011 quando è iniziata l'avventura pubblica di Legacy. Dalla sua prima stesura sono cambiate diverse cose, compreso lo stile narrativo, che si è evoluto dapprima come volume, poi tecnicamente, andando a correggere le leggerezze e le ingenuità di un'autrice che all'epoca era solo una dilettante. Fra pause brevi e lunghe, accantonamenti per scrivere storie di diverso genere, siamo infine giunti a vederne l'epilogo.
Nel corso degli anni i lettori sono andati e venuti, qualcuno di molto importante non ha potuto continuare a seguire la storia a causa di gravi problemi di saluti, altri invece hanno tradito la mia fiducia spalleggiando persone disoneste, altri ancora si sono allontanati da questo passatempo perché la vita è fatta anche di cose più serie.
Se dovessi fare un bilancio di questi anni in cui Legacy ha riempito la mia mente in ogni istante, persino negli anni in cui sono rimasta lontana da questo sito, credo che le cose belle siano di più delle cose cattive, ma tutte hanno contribuito a rendermi l'autrice che sono oggi. Nonostante abbia pubblicato il mio primo romanzo (lo potete trovare qui) con una casa editrice, essere stata affiancata da un editor professionista e aver imparato molto da chi in questo campo lavora da anni, ancora non mi sento a mio agio a definirmi una scrittrice.
Non so se mi impegnerò a scrivere fanfiction nuove, di certo terminerò ciò che ho iniziato, perché bisogna avere rispetto per voi lettori che mi avete seguito in questi anni e state attendendo la loro conclusione.
Ora vi lascio alla lettura dell'epilogo, sperando vi piaccia.





Epilogo


Boston, 2015
«Ah, no! Ormai ho detto basta a traslochi e ristrutturazioni!» ridacchiò Caroline, evitando di ricordargli le difficili settimane in cui nelle loro chat lei si era sfogata raccontandogli di tutti i problemi che aveva dovuto affrontare per riconvertire in un loft l'ultimo piano del vecchio magazzino che aveva comprato.
L'imprenditore edile le aveva garantito che i lavori sarebbero durati al massimo sei settimane erano diventati quasi tre mesi, per colpa delle vecchie condutture dell'acqua che erano stati costretti a sostituire, dei vetri per i finestroni per i quali avevano sbagliato le misure e, alla fine, anche l'impianto di riscaldamento aveva dato forfait, gracchiando come un animale in agonia a pochi giorni dalla presunta consegna. Dulcis in fundo, c'era stato un troppo zelante ispettore comunale che aveva bloccato tutto perché alcuni permessi non erano arrivati in tempo. Ma ora, guardandosi attorno, poteva contemplare quella casa tutta sua, ampia, spaziosa, luminosa, elegante e al tempo stesso accogliente, dall'atmosfera rasserenante, familiare, e con una vista mozzafiato sul porto.
Aveva scelto di trasferirsi nel North End, nella Little Italy di Boston, per sentirsi più vicina alle sue origini e non aveva sbagliato: lì aveva trovato un ambiente stimolante e cordiale dove vivere, studiare e lavorare.
«Voi invece, quanti ne hai cambiati di appartamenti nell'ultimo anno?» si interessò. L'ultima volta che avevano parlato lui le aveva detto che c'era la possibilità di una cattedra in una scuola media a San Diego, ma si sarebbero dovuti spostare di nuovo.
«Solo due. Stiamo migliorando, non trovi?» disse Chris con una risata, dall'altra parte dello schermo. Spostò un poco la webcam per mostrarle gli ultimi scatoloni ancora da vuotare.
«Dipende dai punti di vita.»
«Almeno gli appartamenti erano già pronti e arredati. Se avessimo dovuto affrontare una ristrutturazione radicale come te, non so come ce la saremmo cavata.»
«Lo sai che tutto sommato mi trovo bene fra polvere e calcinacci. E poi, realizzare qualcosa quasi da zero e vederla prendere forma è magnifico.»
«Hai ragione. Ricordo quanto è stato bello sistemare il nostro appartamento a Philadelphia e quanto fossi felice in quel caos.»
«Smettila!» ridacchiò di nuovo lei. «Non si ingelosisce Nicole a sentirti parlare in questo modo?»
«Tranquilla, è a un pranzo di lavoro e queste cose di solito vanno per le lunghe, quindi possiamo parlare liberamente», disse lui, facendo l'occhiolino.
«Te lo concedo, questa volta è stata dura. Ormai sono passati tre anni, eppure ci sono giorni in cui mi sento ancora precaria.»
Mentre gli raccontava quei suoi intimi timori, Caroline lo vide distrarsi per un momento, allontanarsi dal computer parlottando con qualcuno e poi tornare davanti allo schermo portando in braccio un bimbetto di quasi tre anni e un piattino di plastica dei Minions con della pizza fredda tagliata in pezzetti triangolari.
«Scusami, oggi tocca a me farlo mangiare», si giustificò Chris.
«Scusami tu. Dimenticavo che da voi in California è circa l'una», disse lei, dando un'occhiata furtiva all'orologio dello schermo del suo computer che segnava invece quasi le quattro del pomeriggio. «Non dovresti abituarlo fin da piccolo a mangiare quelle cose; avrà tempo da grande per rovinarsi», lo rimproverò con un sorriso. Salutò il piccolo Nicky e rise divertita nel vederlo sporcarsi il mento con la farcitura della pizza. Era un bel bambino e assomigliava tutto al papà.
Approfittò di un momento in cui Chris puliva il visetto del figlioletto per dare una sbirciata al titolo in prima pagina del giornale: anche quel giorno la notizia principale sembrava essere Saga Hayes e la Corporation di famiglia. Piegò le labbra in un accenno di sorriso nel considerare come negli ultimi mesi si fossero moltiplicati gli articoli su di lui, sia che riguardassero il suo lavoro, sia che fossero più frivoli. Da quando aveva sostituito il padre nel ruolo di amministratore delegato, inanellava un successo dopo l'altro. Di riflessò però, ripensò anche ad altri tipi di successo che aveva ottenuto in quegli ultimi anni: gli articoli di gossip riportavano fin troppo spesso notizie del suo presunto fidanzamento ufficiale con un'ereditiera di New York: una biondina svampita, sempre in compagnia di un cagnetto odioso, che non perdeva occasione di appiccicarsi a lui in presenza dei fotografi.
Sospirò tristemente. Rimpiangeva il tempo che aveva vissuto con lui, quando il mondo neanche sapeva della sua esistenza e lui era una persona semplice e pura come un bambino. Lo aveva amato tanto, anche per quel suo aspetto. Ora invece le sembrava un'altra persona: elegante, sofisticato, sempre impegnato in qualche evento mondano, così a suo agio sotto i riflettori come se fosse in posa; eppure non aveva mai concesso un sorriso e aveva lo sguardo cupo. In nessuna fotografia apparsa sui quotidiani lo aveva mai visto sorridere. Aveva nostalgia di quei suoi sorrisi spontanei...
Nonostante tutta quella sovraesposizione mediatica però, non era trapelata alcuna informazione sulla sua vita privata; quella davvero privata. In quello Saga non era cambiato affatto.
«Caroline, ehi, tutto bene?» chiese Chris, nel notare un'ombra di tristezza trasparire dal viso dell'amica. Aveva provato più volte a richiamare la sua attenzione, ma senza successo. Sembrava persa in qualche sogno. «Caroline, sei ancora fra noi? Torna con i piedi per terra!»
«Come dici?»
Chris liberò una risata divertita alla seguente espressione stralunata sul suo viso. «Ti stavo chiedendo se sei sola in casa.»
«Per il momento, ma dovrebbe essere qui fra pochi minuti», rispose, dando piccoli colpetti all'angolo del giornale con il dito, per rimetterlo nella stessa posizione di prima, lasciandosi catturare ancora una volta dalla rete dei propri pensieri. Venne però riportata alla realtà pochi secondi dopo dal suono del citofono. «Lupus in fabula», esclamò, ma anche da Chris, quasi contemporaneamente, era arrivato qualcuno, perché lo sentì dire “bentornata, amore”.
«Devo chiudere, è tornata Nicole. Ci sentiamo fra un paio di giorni. Mi spiace non aver fatto in tempo a salutare il tuo “uomo”», disse Chris; ma prima di disattivare la webcam aggiunse un'ultima cosa. «Ah! E salutami anche quel simpaticone del tuo angelo custode!»
Caroline rise, promise di recapitare i saluti e prima di scollegarsi gli augurò una buona giornata. Si alzò, corse al citofono e aprire il portone; poi tornò in fretta in cucina, per spegnere sotto la moka che come ogni giorno aveva preparato per Aiolos. Poco più di un minuto dopo spalancò la porta d'ingresso, era pronta ad accogliere l'amico con la solita battutina, ma non era preparata alla sorpresa di ritrovarsi di fronte qualcuno di così inaspettato e il respiro le si fermò in gola.
Vestiva in giacca e cravatta blu scuro, con un vecchio borsalino calato in testa e gli occhiali da sole. Nonostante il bel tempo e le temperature gradevoli, la giornata era ventosa e incoraggiava a indossare anche l'impermeabile, ma lui lo teneva piegato al braccio.
Non ricordava di averlo mai visto con un cappello in testa, ma sempre con la sua bella capigliatura dorata libera al vento. Ora però i suoi capelli erano decisamente più corti di un tempo e gli conferivano un aspetto più serio e maturo. Il suo viso, sempre ben rasato e pulito, era pallido come non lo aveva mai visto, e un poco smagrito, che trasmetteva un senso di solitudine.
Stava per domandargli il motivo per il quale si trovasse lì, ma si trattenne. Abbozzò invece un sorriso e lo invitò a entrare, richiudendo poi piano la porta e nascondendo un respiro emozionato. Ogni giorno, per un lungo anno, aveva sperato nel suo ritorno e proprio ora che era finalmente andata avanti con la sua vita, lui era lì.
Saga si guardava attorno in silenzio, studiando quell'ambiente così spazioso e luminoso, mentre lei lo accompagnava fino all'isola in cucina, dove avrebbero potuto parlare in modo informale.
Si parlava meglio davanti a una tazza di caffé e magari anche una fetta di torta.
«Posso dedicarti solo pochi minuti, alle cinque ho un appuntamento di lavoro in centro e devo ancora preparare il materiale da presentare.»
«Lo so; è con una certa Emily Dawson», disse, togliendosi gli occhiali da sole con movimenti studiati e posando il cappello sul piano in marmo grigio chiaro. Rilassò i tratti del viso nel vederla sgranare gli occhi, ritrovando in lei i medesimi atteggiamenti di quando l'aveva conosciuta. «Immagino quanto tu sia sorpresa.»
«È vero, lo sono.»
Lui la scrutò per alcuni secondi, aggrottando la fronte nel rendersi conto di quanto in quei cinque anni fosse cambiata. Aveva abbandonato ogni traccia della ragazza, a tratti infantile, di cui si era innamorato quando lui era un'altra persona, e si era fatta una donna sicura di sé e della propria bellezza; vestiva casual ma con gusto, valorizzando ancora di più il suo aspetto acqua e sapone. Ma ciò che stonava era l'eccessiva magrezza. Se ne rese conto quando lei gli mise davanti la tazzina, versando poi il caffè direttamente dalla moka. E ancora, quando gli servì una fetta di torta, prendendola dall'alzatina in cristallo e posandola su un piattino bianco dalla forma quadrata, chiedendogli se fosse ancora la sua preferita. Rimase a fissarla qualche secondo, prima di rispondere che non mangiava più dolci.
Il polso di Caroline era diventato così sottile che i braccialetti d'oro che indossava davano l'impressione di potersi sfilare dalla mano ad ogni movimento.
Si chiese cosa l'avesse ridotta in quello stato, se fosse stato a causa sua e di come si erano lasciati – senza più una parola – o se invece fosse la conseguenza di qualche malattia. Vedeva che lei si stava sforzando di essere serena di fronte a lui, eppure sembrava raggiante. Lui stesso non era sereno, nonostante l'avesse voluto fortemente quell'incontro. Aveva persino cancellato gli impegni del pomeriggio e si era messo d'accordo con la interior designer affinché programmasse un nuovo appuntamento con Caroline.
Voleva afferrarle la mano, trattenerla nella sua, sentire il calore della sua pelle.
Abbassò lo sguardo sulla tazzina di caffé.
Caroline lo osservò con un sorriso. Dentro di sé sentiva riaffacciarsi la stessa felicità e l'emozione di un tempo, nel ritrovare quella dolce tendenza di Saga a sorprenderla. In fondo al cuore però, era presente il germe del dubbio che in qualche modo lui non avesse mai smesso di avere un ruolo nascosto nella sua esistenza. Ancora una volta il suo principe azzurro, benché rimasto lontano per anni, le stava semplificando la vita con un semplice schiocco di dita?
Quando Emily Dawson, una fra le più importanti interior designer degli Stati Uniti l'aveva contatta per la prima volta, lei che era ancora solo una studentessa e stagista presso un mobilificio appena fuori Boston, era stata un'emozione indescrivibile. Non solo le aveva fatto i complimenti per il suo lavoro, ma le aveva persino proposto di produrre il suo pezzo migliore. Era una grande opportunità di lavoro e il fiore all'occhiello del suo curriculum di futura designer d'arredamento. Il coronamento di tre anni intensivi di studi, lavoro non pagato, tanti fallimenti e notti insonni; ma si era anche domandata perché tanta fortuna in una volta sola.
Aprì la bocca per chiedergli che ruolo avesse avuto in tutto ciò e dare concretezza ai propri sospetti, ma ci ripensò. Cosa avrebbe cambiato saperlo adesso?
Fra di loro c'era un silenzio ingombrante, alimentato da più di quattro anni di lontananza, di segreti e di problemi lasciati in sospeso. Eppure, era certa che sarebbero bastate poche parole per colmare la distanza fra loro.
Nei mesi seguenti a quel loro addio, lei si era presentata quasi ogni giorno ai cancelli della villa a Winchester, ma non era mai riuscita a trovare il coraggio di farsi vedere. Poi, aveva iniziato a diradare quelle visite nascoste, fino a non presentarsi più. Se solo a quel tempo avesse avuto ancora la forza di lottare per la sua felicità, forse...
Sospirò, scrollando debolmente la testa, mentre Saga indugiava con lo sguardo sul caffè. Dal frigorifero prese un bricco di caffé d'orzo e si riempì la sua mug.
«Ti starai chiedendo come faccio a conoscerla. È l'arredatrice che ha assunto Jennifer per rinnovare gli uffici di Boston», le spiegò, risparmiandole il racconto della giovane ereditiera che aveva fatto il diavolo a quattro pur di assicurarsi i servizi della guru degli interior design, arrivando anche a pestare i piedi per terra come una bambina. «L'ultimo acquisto di Emily Dawson è stato un tavolino componibile in cristallo bianco e fumè, creato da una giovane e talentuosa designer.»
Dalla tasca dell'impermeabile tirò fuori una rivista di arredamento, sulla quale c'era un articolo di tre pagine che parlava di Caroline e del progetto che aveva presentato l'anno prima al concorso nazionale e che le aveva permesso di vincere il primo premio, nonché l'invito alla mostra del mobile di New York.
Caroline mascherò il rossore sul viso sorseggiando il suo caffè d'orzo.
«Quando ho saputo di questa tua nuova vita ne sono rimasto sorpreso, ma forse avrei dovuto aspettarmelo. L'avevo capito fin dal primo momento che in questo campo te la saresti cavata egregiamente.»
«È vero. Studiare da interior designer era da sempre il mio sogno nel cassetto. Forse, se la mia vita non avesse avuto una brusca deviazione, con la morte di mio padre, vi sarei approdata prima. Ma anche tu non te la sei cavata male in questi anni», replicò Caroline. «Negli ultimi mesi, sui giornali non si fa altro che parlare di te e dei tuoi successi.»
Lei gli offrì dell'altro caffè, nonostante non ne avesse bevuto ancora un sorso.
«Come stanno tuo padre e mrs Foster?»
Lui sospirò. Non voleva ammettere che non aveva idea di come stessero e preferì mentire. «Stanno bene.»
«E tuo fratello?»
«Kanon è in giro per il mondo. Ha accettato il fidanzamento con Saori e sono partiti dopo la fine del college.»
«Capisco. Immagino allora che la tua fidanzata allievi un poco la solitudine della tua famiglia per la lontananza di Kanon. Sono certa che si stia trovando bene alla villa. Era così bello il lago in estate; il posto perfetto per far crescere dei bambini. State già facendo dei progetti per il futuro?»
Saga sembrò rimanere indifferente alle sue parole, ma il suo sguardo divenne più cupo, quasi rabbioso.
«Non dovresti credere a tutto quello che scrivono sui giornali. Anche se le piace crederlo, Jennifer Perkins e io non siamo fidanzati. Non siamo niente.»
Caroline non replicò nulla, limitandosi a un sospiro silenzioso, sempre appoggiata al bordo del lavello della cucina.
Saga alzò lo sguardo su di lei: quella sua magrezza lo infastidiva.
«Tu invece», chiese con voce stranamente incerta. «C'è qualcuno nella tua vita?»
Lei annuì con un sorriso.
«Ne sei innamorata?»
«È tutta la mia vita.»
Saga sentì un'improvvisa fitta al cuore. «Capisco»
La vide prendere un altro sorso di caffè d'orzo e solo in quel momento riconobbe la mug che stava usando.
«Quella è...»
Si sorprese nel riconoscere quella particolare mug, ovvero quella che le aveva regalato quando lei era andata a vivere nell'appartamento sopra il negozio. Gli faceva un certo effetto vedere che l'avesse tenuta; gli riportava alla mente com'era stata la sua vita assieme a lei.
«Sì. È una delle poche cose che mi sono portata dietro dalla vecchia casa, quando sono venuta ad abitare qui.»
«Allora... l'hai venduta?»
Lei scrollò piano la testa. Vedeva in lui il dubbio e il bisogno di sapere. «Ho vissuto lì per un anno circa, poi ho trovato questo posto. Ma la casa che tu hai ristrutturato per me, per noi, è ancora mia.»
Rimase sbalordito nell'udire quelle parole e dentro di sé avvertì uno strano sollievo. Poi però, si formò nella sua mente l'immagine di lei e di un altro uomo che abitavano quell'elegante loft e provò rabbia, come se qualcuno gli avesse preso qualcosa che gli apparteneva, benché non avesse alcun diritto su di lei. Si morse il labbro e respirò piano, per mantenere il controllo.
Caroline prese un altro sorso dalla mug e lui notò la fede al dito. All'improvviso avvertì la voglia di qualcosa di molto forte.
Controllò l'ora, si erano fatte quasi le cinque del pomeriggio: l'ora in cui abitualmente si concedeva un drink per spezzare la giornata lavorativa.
«Hai del whisky?»
La giovane rimase sorpresa da quella richiesta, ma non era impreparata. «Non sapevo che ora ti piacesse bere», disse, mentre apriva l'armadietto sopra il frigorifero. Prese una bottiglia di brandy – che tirava fuori solo quando Aiolos era giù di corda e aveva bisogno di sfogarsi – e attese un suo cenno, prima di versargliene due dita nel caffè.
Gli occhi di Saga erano calamitati su quell'anello.
«Dunque, c'è un “signor” Miller nella tua vita» disse, con la tensione che cresceva dentro di lui. Quando la vide annuire di nuovo, sospirò un “capisco” rassegnato. «È per questo che hai preferito trasferirti...»
Diede uno sguardo alla casa, prestandovi maggiore attenzione. Al centro di quell'unico grande ambiente spiccava un modernissimo caminetto a gas a forma di goccia, di un nero satinato, il cui interno era riempito di pietre lisce e tonde, fra le quali danzavano sottili fiamme azzurrognole; il salotto si componeva tutt'attorno con un gigantesco divano componibile color bianco latte, dalla forma morbida a mezzaluna. I mobili erano perlopiù a sospensione, fissati alle pareti di mattoni rossi a vista e quasi scomparivano.
Tutto l'arredamento era caratterizzato da linee pulite ed essenziali, e dai toni naturali, con pochi soprammobili per non appesantirne l'estetica.
Ma era la parete alla sua destra che attirava la sua curiosità. Di due metri più profonda rispetto al resto del muro, sembrava completamente composto da vetrate, che arrivavano fino al soffitto a doppia altezza, come a formare una specie di serra o veranda. E, proprio come una serra, era pieno di piante: alcune ornamentali, altre aromatiche e persino alberi da frutto. Il parquet in quella parte era più chiaro e c'erano qua e là delle specie di aiuole sassose, incorniciate da altri listelli di parquet a formare dei quadrati.
Gli parve di udire il debole scrosciare dell'acqua, come di una fontanella o di un muro d'acqua. In un angolo, accanto a un limone carico di frutti, c'era lo stesso tavolino del concorso – forse un prototipo – ma realizzato in legno di bambù e corredato da quattro pouf sagomati e rivestiti di stoffe color pastello.
Poco più in là c'era un tavolo da disegno in grande disordine e con un progetto ancora sul piano rialzato. Era un angolo perfetto per lavorare prendendo spunto dalla natura e al tempo stesso rilassarsi.
«È una bella casa», dovette ammettere lui.
«Ti ringrazio.»
Caroline si diresse verso il suo giardino interno e accarezzò le foglie di un ciliegio nano orientale, fermandosi proprio nella traiettoria di un raggio di sole. Stava osservando il panorama.
Sorrise, immaginando che quello scorcio di mare fosse il lago Mystic e lei immersa nel verde dell'immenso giardino di villa Hayes. Il rumore dell'acqua era rilassante.
Agli occhi di Saga lei sembrava una persona che aveva trovato la propria strada, indipendente, soddisfatta della sua vita, realizzata; che ora guardava al futuro e non al passato.
Così non poteva dire di se stesso.
Durante la sua convalescenza aveva scoperto dentro di sé una grande rabbia repressa che una volta risvegliata aveva faticato a controllare; ogni cosa che lo contrariava risvegliava il desiderio di vendetta. Persino con i Taylor, con i quali aveva creduto di aver messo le cose in chiaro con quell'unico incontro di persona, gliel'aveva fatta pagare. Aveva atteso che il professore spirasse e poi li aveva rovinati, uno alla volta, senza pietà. Ci aveva messo tre anni, un tempo che gli era parso adeguato, e alla fine si era preso le sue soddisfazioni.
Ritrovare il suo equilibrio interiore era stata una lotta più ardua; l'ira, la rabbia, erano emozioni forti che non sapeva come gestire. Il riappropriarsi della sua vita, il dedicarla solamente al lavoro, lo aveva aiutato, ma gli aveva lasciato un vuoto dentro che difficilmente avrebbe colmato. Era convinto che allontanare Caroline da sé l'avrebbe tenuta al sicuro. Seguirne poi a distanza i successi era stato un modo per illudersi di stare ancora con lei. E quando aveva avuto la possibilità di incontrarla, e si era presentato alla sua porta, aveva sperato in un nuovo inizio, ma la realtà che stava trovando, gli avrebbe chiuso ogni possibilità. Non le aveva raccontato che da più di due anni viveva in un mega appartamento sopra gli uffici dirigenziali della corporation, da solo, per non dover ammettere che la sua vita era un fallimento. I soldi e il successo nel lavoro non potevano compensare un una casa vuota e un letto freddo.
Bevve il suo caffè corretto in un unico sorso e allontanò la tazzina. Si alzò e prese l'impermeabile e il cappello, con i tratti del viso che sentiva mutare in una maschera d'ira. Doveva andarsene da lì; eppure si soffermò ancora un momento a guardarla, mentre si avvicinava alla vetrata, dandogli sempre le spalle.
La scoperta del vero se stesso e delle sue origini aveva fatto sì che gli scappasse via la cosa più bella che gli era mai capitata, con tutte le sue incongruenze e i difetti che si portava dietro; e quella vita semplice che gli piaceva. Ora era troppo tardi.
«È meglio che vada.»
Caroline aveva lo sguardo fisso sulla strada; mormorò un “stanno arrivando” e si girò con un gran sorriso disegnato sulle labbra verso la porta. Vi andò di corsa passando davanti a Saga come se neanche fosse presente, lasciandolo senza parole e con una immensa tristezza e un senso di mortificazione nel cuore. Spalancò la porta, come se attendesse qualcuno di importante e, quando l'uomo le si affiancò per uscire di scena, lei gli chiese di restare ancora un po'; e lo fece con un tono e una convinzione tali che Saga non poté che acconsentire.

Rimasero sulla soglia di casa per due, forse tre minuti, ma a Saga parve che il tempo si fermasse, accanto a lei. Voleva fare chiarezza sui propri sentimenti, invece era più confuso di prima. Si sentiva a disagio, in imbarazzo, insicuro, vicino a lei. Deviò lo sguardo attorno a sé e, sul piano del mobile accano alla porta d'ingresso, notò alcune lettere ancora chiuse indirizzate al vecchio domicilio di Caroline. Riconobbe la calligrafia di Shura. Ne prese in mano una: non c'era alcun timbro postale, indice che l'aveva recapitata di persona. Si chiese quale interesse avresse mai potuto avere Shura nei confronti di Caroline. Rinunciò a trovare un motivo e rimise la lettera assieme alle altre, ma ricordò che poco prima lei aveva chiesto notizie di tutti tranne che di Shura.
Poi, spostò la sua attenzione al pacchetto che lui stesso le aveva spedito la settimana prima del Natale del 2010. Anche quello non era stato aperto. Se ne dispiacque, perché conteneva il quadernetto di suo padre, Gregory Miller, che lei credeva perduto. Forse, leggendolo, avrebbe scoperto ciò che li legava a un destino comune ancor prima della sua nascita.
«Non ha mai scoperto la verità», mormorò.
Il montacarichi arrivò al piano e si fermò con un fastidioso cigolio e un sobbalzo finale, ridestandolo dai suoi pensieri.
Si sentì un urletto divertito e la voce di Aiolos che rimproverava qualcuno. Poi, il cancello di sicurezza venne alzato e un bimbetto di quasi quattro anni, coi riccioli biondo scuro e lo sguardo vispo, schizzò fuori di corsa, verso Caroline che lo attendeva e lo incoraggiava a raggiungerla. Di slancio lo prese in braccio.
«Ehi, birbantello! Come mai così in ritardo? Mi avete fatto preoccupare, dove siete stati finora?»
«Lo zio Aiolos ha litigato con il suo nuovo fidanzato», disse il bimbo. «Era tanto giù e per consolarlo gli ho offerto un gelato.»
«E come mai hai la faccia sporca di cioccolato?» chiese lei, con tono di finta disapprovazione, passandogli il pollice sull'angolo della bocca.
«Non potevo lasciarlo mangiare da solo», si giustificò lui, con un'espressione seria seria.
«E io che ti avevo preparato la Boston cream pie al limone.»
Nel sentir nominare la sua torta preferita gli occhi verdi del bambino si illuminaro  e la sua boccuccia si spalancò in un'espressione di sorpresa, pronto a protestare nel caso gliela volesse negare.
Caroline gli chiuse la bocca con le dita a mo' di paperotto e gli diede un bacio sul nasino. «Ora fai il bravo, entra e vai a lavarti le mani e la faccia.» Lo fece scendere e lo guardò correre dentro casa con la commozione negli occhi, come ogni volta che lo vedeva ritornare dall'asilo. Era il suo miracolo. Poi, alzò lo sguardo verso Saga e non poté non sorridere alla sorpresa dipinta sul suo volto. Immaginava cosa stesse pensando.
Aiolos sopraggiunse in quel momento, misurando i passi sgranocchiando la punta del cono; in spalla portava lo zainetto del bambino. Quando arrivò di fronte alla giovane, intravide Saga che se ne stava immobile poco dietro di lei e lo fissava con durezza. Ricambiò con altrettanto sentimento, ma il suo cuore – più sincero – prese a battere veloce.
«E così avete discusso ancora, eh?» disse Caroline, distraendolo e salvandolo da quella sfida di sguardi.
Aiolos alzò le spalle senza risponderle. Ammettere apertamente che non riusciva a far funzionare una relazione per più di un mese era umiliante. Le passò lo zainetto e fece per andarsene, ma Caroline lo trattenne con un sorriso, dicendogli che la vita era troppo breve e preziosa per sprecarla a tenere il muso con gli altri. Poi, lo incoraggiò a entrare in casa riferendogli che erano arrivati dei contratti e delle fatture che doveva controllare. Dovette vincere le sue ritrosie per convincerlo e sospirò divertita nel sentirlo mugugnare che si divertiva troppo a sfruttarlo.
Due anni prima, Aiolos aveva passato a pieni voti l'esame di abilitazione, diventando a tutti gli effetti un avvocato iscritto all'albo del Massachusetts e di fatto l'avvocato di famiglia di Caroline.
Il giovane osservò di sottecchi Saga, nel passargli davanti. Quei due non si parlavano da anni, ma l'imbarazzo che provava Aiolos era palpabile. Raggiunse in silenzio il divano e ci si lasciò cadere, accavallando le gambe e incrociando le braccia al petto come un bambino messo in castigo.
Il bimbo tornò di corsa verso la porta d'ingresso, chiamando “Mamma! Mamma!” e si aggrappò alle gambe di Caroline, mostrandole le mani e faccia pulite. Lei gli passò una mano fra i riccioli biondi scompigliati e si complimentò per essere stato tanto bravo; poi lo invitò ad andare a giocare, ma lui scrollò la testa e si girò verso lo sconosciuto: dalla sua prospettiva era così alto che doveva piegare la testa all'indietro per guardarlo in faccia.
Diede un paio di strattoni ai pantaloni della madre e questa si accovacciò. «Chi è?» chiese in un bisbiglio.
Caroline trattenne a stento una risatina. Alzò lo sguardo verso Saga e sorrise, nel vederlo immobile e con gli occhi nervosi, che si muovevano frenetici passando da lei al bambino.
«Questo signore è il tuo papà», bisbigliò lei in risposta. Quelle parole però erano state udite anche da Saga.
«Papà...» ripeté. Fece un passo indietro, trattenendo il respiro. I suoi occhi erano pieni di incredulità. «Un figlio... mio figlio... Perché non me lo hai detto?»
Non aveva bisogno di dubitare dell'affermazione di Caroline; la somiglianza con il bambino era sconcertante.
Un tempo, la giovane avrebbe abbassato lo sguardo colmo di lacrime, schiacciata dal senso di colpa, ma ora era diverso, lei era una persona diversa. «Tu mi hai mandata via, Saga. Mi hai scacciata dalla tua vita senza una spiegazione, senza una possibilità, senza niente. Avresti cambiato la tua decisione se ti avessi detto che aspettavo un bambino?»
«Ti ho lasciato la casa. Ti ho dato abbastanza per vivere una vita agiata, senza bisogno di lavorare.»
«Non ho mai preso un solo centesimo di quello che avevi predisposto per me. Non ne avevo bisogno. Era di te che avevo bisogno», disse.
Nella sua voce, mentre pronunciava quelle parole così risolute, non c'era ombra di rimprovero o astio. Invece, le sue labbra erano piegate in un sorriso delicato e i suoi occhi erano colmi di serenità e amore.
Fece un respiro profondo e si raddrizzò un poco, posando la mano sulla schiena del figlio.
«Lui è Anthony Saga Miller. Il mio signor Miller.»
«Anthony», mormorò Saga, incredulo. «Perché proprio questo nome?»
Caroline gli tese la mano, ma lui si scansò, fissandola con occhi sgranati. Ritrovò la stessa espressione spaventata che vide in lui al loro primo incontro e, proprio come allora, il suo cuore palpitò di rinnovata emozione.
«Perché era il nome di tuo padre. Il tuo vero padre.» Lo vide ancora più sconvolto, mentre in lei non c'era alcun segno di incertezza, né di risentimento, per quel passato comune che univa le loro famiglie. «Aiolos mi ha raccontato tutto quanto. Sai, quando si ubriaca si lascia andare alle confidenze; anche a quelle piuttosto intime, come confessare di amare qualcuno pur sapendo di non essere ricambiato», disse, accarezzando ancora una volta la testa bionda del figlio, che si nascondeva dietro di lei.
Saga corrugò la fronte, sentendo un'ondata di gelosia tentare di prendere il sopravvento. «Perché è rimasto con te?»
«Perché amare qualcuno, qualche volta vuol dire prendersi cura di chi lui ama.»
Lei gli tese di nuovo la mano.
«Non deve andare come l'ultima volta, Saga. Vieni. Vieni a conoscere tuo figlio e a farti conoscere da lui.»



   
 
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