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Autore: Melanto    01/01/2018    14 recensioni
[Soulmate series - #2 || Sequel di 'Scream']
E' la mattina del 'giorno dopo', ed è arrivato il momento di affrontare i peggiori (o migliori?) postumi della sbronza di Natale. Il ritiro è ormai agli sgoccioli e tra una Silver Combi preoccupata e il solito Genzo che tutto sa e tutto può, vediamo un po' com'è stato il risveglio dello Sbronzo e del Figo.
Perché com'è che si dice? Natale da leoni e Santo Stefano da...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Soulmate Series'
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Boxing Day Hangover

Note Iniziali: non ve l’aspettavate, eh? ;)

Beh, nemmeno io XD

Oh, quei due li avevo lasciati proprio in un momento topico. XD E se a Natale abbiamo avuto uno scaccomatto… a Santo Stefano (Boxing Day) ci sono i postumi. XDDDDD

Chissene se io traslo le feste in altri giorni di festa! XDDD

 

Buona lettura, ci rileggiamo alla fine! :D

 

Boxing Day hangover

Soulmate series - #2

 

 

«Non si faranno vedere.»

Genzo lo sentì dire mentre passava accanto al tavolo della Silver Combi. Senza farsi notare, rallentò il passo, fingendo di stare guardando qualcosa sul cellulare. Il pranzo era appena stato servito e lui si stava apprestando a raggiungere il suo posto.

«Non sono scesi neppure a colazione, o sbaglio?»

«Teppei, a colazione c’erano davvero quattro gatti.»

«Tutti sbronzi,» ridacchiò Kisugi, scuotendo il capo.

Hajime lanciò un’occhiata verso l’ingresso della sala da pranzo. «Ma comunque hai ragione; ho chiesto a Misaki, ha detto di non averli visti. Lui c’era stamattina, loro no.»

«Sei anni di arretrati,» sospirò Teppei con un sorriso. «Lasciamolo in pace, ok?»

«Ah, e chi dice niente?» Hajime affondò il viso nella mano, cincischiando con le bacchette nello tsukemono. «Ma secondo te: funzionerà?»

«Dipende da Morisaki, a questo punto. Se qualcosa fosse andato storto, Mamoru lo avremmo già visto.» Abbassò un po’ di più il tono della voce. «E non penso ci avrebbe passato l’intera nottata in quella stanza.»

«E se invece non fosse successo niente?» Hajime aggrottò le sopracciglia, severo. «Se Morisaki fosse crollato perché troppo ciucco, o se gli avesse detto sul serio di detestarlo? Insomma l’hai visto anche tu durante la partita com’era agguerrito.»

Teppei ci pensò un po’, picchiettando l’indice sul tavolo, e alla fine guardò di nuovo il compagno con decisione. «Scrivo a Mamoru.»

«…uomini di poca fede.»

Hajime e Teppei si volsero di scatto, accorgendosi solo allora della presenza di Genzo: il suo sguardo sullo schermo del cellulare e un sorriso divertito sulle labbra.

Resosi conto di aver pensato a voce alta, il SGGK mimetizzò la propria presenza con non chalance. Rivolse alla Silver Combi un’occhiata distratta.

«Che c’è?»

«Hai… detto qualcosa?» chiese Hajime, sopracciglio inarcato.

«Io?...ah! No, ho appena letto una notizia. Non fateci caso.»

Genzo agitò il cellulare e salutò i due ex-compagni di scuola per raggiungere il tavolo dove di solito pranzava con Ken, Yamada e Morisaki.

Wakashimazu alzò gli occhi dalla ciotola di riso per inquadrare la sua figura, il modo in cui cercava di celare la voglia che aveva di aprirsi in un sorriso smagliante e lo sguardo che appariva e spariva da sotto la visiera del cappellino che si era fatto prestare. Il Karate Keeper  lo osservò toglierlo dopo qualche minuto e appoggiarlo distrattamente sulla spalliera della sedia più vicina e vuota. Mancava anche Michel oltre a Yuzo.

Ken riprese il pasto, ma riuscì a buttare giù solo un paio di bocconi prima di sbuffare, rassegnandosi a mettere da parte le bacchette.

«Vuoi farmi anche l’autopsia mentre mastico?» Bofonchiò con sarcasmo. Gli occhi di nuovo su Genzo. «Avanti, dillo quello che devi dire, prima che ti scoppi una vena.»

«Ah! La gente è così scettica nei confronti della magia del Natale. Non crede più che possano avvenire dei piccoli e genuini miracoli. Dico io, come abbiamo fatto a divenire tanto aridi in fondo al cuore?»

Genzo spostò il solenne sguardo verso teste distanti, e rimase in silenzio per un paio di secondi contati prima che il principio d’una risata gli gorgogliasse in gola con un gutturale suono di presa per il culo.

«Mi domando se tu sia più Babbo Natale o il Krampus.»

«Non mangio bambini. Sono indigesti.» Genzo si sporse lasciando da parte l’ironia. «È poco ma sicuro che i miei cherubini non scenderanno a pranzo, ma c’è chi si preoccupa che a uno dei due si possa spezzare il cuore.»

«Allora non puoi dire che siamo diventati aridi.»

«È che debbono per forza vedere il lato negativo. Non percepiscono la magia,» insistette Genzo con veemenza, sfregandosi la punta di pollice, medio e indice. «Izawa e Morisaki, andiamo!, ce lo hanno scritto in fronte che funzionerà.»

«Ma se fino a due giorni fa non ti eri accorto di niente.»

«Dettagli.»

Ken si lasciò sfuggire un sorriso da sotto i baffi, scuotendo il capo, gli occhi puntati sul profilo di Genzo così sicuro di sé, così lungimirante. Troppo a volte, arrogante in altre, ma affascinante sempre.

«Bisognerà mandare un messaggio per avvisare Yuzo di prepararmi il borsone.»

Lo sentì rimuginare, le labbra leggermente sporte in fuori con fare meditabondo. E Ken sorrise ancora perché era chiaro che non avesse alcuna intenzione di disturbarli fino a che non fossero usciti da lì di loro spontanea volontà.

Arrogante, lo aveva già detto. Troppo sicuro anche. E buon amico, fino in fondo.

 

Avevano davvero scopato fino al giorno dopo.

Mamoru era stato di parola: nessuna tregua, neppure per respirare. Trovati l’uno nell’altro un numero di volte che tendeva all’infinito e li aveva fatti crollare, esausti, solo quando i primi chiarori dell’alba avevano fatto capolino tra gli spiragli delle tende tirate.

Per Yuzo era stata una corsa sulle montagne russe senza protezioni. Era stato un lancio dall’aereo con il paracadute aperto all’ultimo secondo utile. Era stata corrida, dove lui era stato toro e Izawa il matador, ma nessuna spada gli aveva trafitto la schiena per ucciderlo, solo rincorrersi di dita, vertebra per vertebra, e sui muscoli per studiarlo, per studiarsi, perché anche le sue mani l’avevano cercato senza smettere e senza perdersi.

E l’aveva studiato la bocca, studiato la lingua.

Poteva ancora sentirne il tocco addosso, in quel sogno meraviglioso che era stato. Uno di quei sogni che vorresti trovare ogni notte, ma che non si ripeterà mai. Eppure un sorriso gli distese le labbra, mentre restava con il viso affondato nel cuscino, posizione prona, e l’eco delle dita di Mamoru che tracciavano una linea sulla sua schiena. Vertebra per vertebra.

«Sembri felice nonostante il mal di testa che ti ricorderai di avere nel momento in cui aprirai gli occhi.»

Una voce profonda gli solleticò l’orecchio, facendolo mugugnare di disappunto.

«E non sai quanto mi dispiace, ma è il momento di svegliarsi e infilarsi sotto la doccia.»

«…altri due minuti, Genzo…» Yuzo masticò la stoffa del cuscino assieme alle parole e alla voglia che aveva di spegnere quella vocina e continuare a sognare.

Un pizzico al fianco, piuttosto vigoroso, gli strappò un ‘ouh’ e un movimento inconsulto che lo costrinse ad aprire appena gli occhi, incollati.

«Genzo? Vuoi che mi offenda o che sia geloso?»

Nel peso che gli gravava sulle palpebre, Yuzo si rese conto, quasi per istinto, che quella non era la voce di Wakabayashi. Più che altro perché dal letto ce lo avrebbe tirato giù senza tanti complimenti e non sussurrandogli cose all’orecchio.

Tra l’ennesimo mugugno e sbuffo le iridi nocciola trovarono la luce e una sagoma iniziò a delinearsi nel bagliore soffuso della lampada accesa e le tende ancora accostate. Una sagoma che di Genzo non aveva nulla, a partire dai capelli lunghi, di seta e inchiostro, e finire alle labbra disegnate in linee precise, morbide come velluto. Il sogno dell’attimo prima e la realtà del momento si fusero insieme per fargli realizzare che l’uno era l’altro in una coincidenza miracolosa.

Ma lui andò in panico, visto che non era più sbronzo.

Yuzo spalancò gli occhi prendendo un respiro così profondo che gli riempì i polmoni fino a scoppiare e poi si tirò su di scatto. Troppo di scatto. Così di scatto che una fitta lancinante lo trafisse nel centro della fronte, e poi dietro la nuca e ad entrambe le tempie. Come predetto da Mamoru, si era appena ricordato di avere mal di testa.

«Ah!» esclamò, ricadendo con la faccia nel cuscino, e le mani che non sapevano più che parte del cranio reggere tra tutte quelle dolenti.

«Ehi! Ehi! Piano!» sorrise Mamoru; la sua mano sulla schiena riuscì a passare addirittura inosservata in quell’istante di dolore puro. «Non così in fretta.»

«…’orca…»

«Aspirina?»

«…ti prego!»

Mamoru l’aveva già preparata perché non era nuovo a simili risvegli, così gli allungò un bicchiere e una capsula mentre Yuzo faceva passare ancora un secondo, prima di riprovare ad alzarsi, questa volta lentissimamente. Seduto sui talloni, gli parve che il dolore scemasse appena, precipitando verso il basso per effetto della gravità. La pillola e l’acqua vennero buttate giù con la foga e la speranza di chi bramava un miracolo immediato, ma Mamoru ne annullò le speranze.

«Dagli qualche minuto per fare effetto.»

Lui mugugnò e poi espirò, gli occhi chiusi per tentare di focalizzare il dolore in un solo punto e non millemila. Quando le iridi tornarono a fare capolino fu il viso di Izawa che cercò, mettendolo a fuoco, questa volta in maniera lucida e precisa. Notò che era fresco di doccia e vestito con una sua tuta, porcocazzo!

Izawa aveva le braccia conserte e il piglio ironico.

«E quindi? Genzo?»

«Ah… eh… i-io…» Yuzo si passò una mano sul viso, sfruttando il dolore per non guardarlo negli occhi, vergognandosi come un ladro. «Ecco, io… non pensavo ci fossi… credevo…»

«Cosa?»

«Di essermelo sognato.»

La risata di Mamoru esplose divertita e di cuore, tanto che a lui gli fece perdere un battito da qualche parte nel vedere come gettava indietro la testa scoprendo la gola dove… perlamoredeglidei!, ma era un succhiotto, quello?!

«Dio, sei incredibile. Ma posso assicurarti che non era un sogno.»

Mamoru aveva il capo leggermente inclinato e il sorriso si era ridotto alla famosa virgola che tirava solo un angolo delle labbra, rendendolo sempre irresistibile ai suoi occhi. Yuzo, questa volta, non poté fare a meno di rimanere a guardarlo, con tutta la voglia del mondo di srotolare ogni pensiero incastrata nella gola. Ma lì la lasciò, perché per quanto l’ammaliasse, quello sguardo sembrava aggrapparsi all’anima, leggergli all’interno, farlo sentire nudo.

Come, effettivamente, era in quel momento.

Yuzo abbassò il viso e il lenzuolo gli copriva appena il sesso a riposo, mentre le coperte erano scivolate dalle spalle, raccogliendosi sulla curva dei glutei e lasciando scoperta la schiena, il petto. Una fiammata gli avvampò il viso ricordandogli di avere ancora il senso del pudore, perso da qualche parte tra le lenzuola, che afferrò di scatto, tirandosele addosso. Mamoru sbuffò una risata.

«Cos’è, adesso ti vergogni?» Lo provocò. «Stanotte non mi pareva proprio.»

Di nuovo e in maniera che era fastidiosa persino a lui, Yuzo si ritrovò a balbettare sillabe a caso mentre frammenti precisi esplodevano nel mal di testa come fuochi artificiali e gli ricordavano che, no, la vergogna non aveva nemmeno saputo dove fosse di casa, a partire da quel ‘vuoi venire a letto con me?’. Ma le dita di Mamoru bloccarono ogni suo borbottio incomprensibile, nel poggiarsi sulle labbra.

«Va bene così» sorrise, scrollando il capo.

Lo baciò con una dolcezza che lo lasciò sorpreso, ma che al contempo riuscì a rilassarlo, far sciogliere la tensione nelle spalle, nella presa delle coperte che scivolarono di nuovo per scoprire il principio di collo e schiena, nel calore che si sciolse nel ventre e poi nella testa. L’impressione che diluisse anche il dolore.

Mamoru era Caronte e le sue labbra la barca che gli traghettava l’anima all’Inferno, ma era così rassicurante che avrebbe potuto portarla ovunque, e lui gliel’avrebbe affidata senza remore.

«…anche perché se non ti metti qualcosa addosso, finiamo di nuovo a letto ed è la volta buona che ci lasciano qui. È già tardi.»

Il sorriso di Mamoru si incastrò in quella fila di piccoli baci, bocconcini che risvegliavano l’appetito per poi lasciarlo lì, affamato e insoddisfatto.

«Ok…» fu tutto ciò che Yuzo riuscì ad annuire quando Izawa lo lasciò andare e si alzò.

Lui ne seguì ogni movimento senza perderlo di vista e rimanendo lì, ancora seduto sui propri talloni, con le lenzuola che cadevano da una spalla sì e l’altra no e scoprivano a metà, coprendo il resto.

«Ah, ho preso in prestito qualcosa di tuo. Non mi sembrava il caso di andare in giro in giacca e cravatta,» sorrise Mamoru nell’indicare con il pollice gli abiti indossati durante la festa di Natale. «Tanto portiamo più o meno la stessa taglia.»

«Sì, sì. Nessun problema.»

Yuzo scrollò il capo e lo guardò ancora, anche adesso che gli dava le spalle, e la sola idea che indossasse dei suoi vestiti lo faceva sentire come la scolaretta scema alla prima cotta. Si diede del cretino, ma aveva il cuore così immerso nello zucchero che non si accorse di infilare il piede in un lembo di coperta incastrata e nel momento in cui tentò di scendere dal letto si ritrovò a terra di schianto e con un botto secco, accompagnandosi con quel poco virile: «Weouh

«Yuzo! Tutto ok?»

Mamoru sobbalzò, girandosi di scatto e trovando Morisaki con una gamba arrotolata nella coperta, rimasta appesa al letto, il lenzuolo che era caduto alla vita e lui faccia a terra. L’immagine comica gli strappò una risata involontaria.

«Oddio, mi farai morire!» s’inginocchiò Mamoru, mentre lui riusciva a tirarsi su in qualche modo, sciogliendo la gamba dall’incastro con un gesto deciso e seccato.

Di nuovo col culo sui propri talloni, e questa volta al diavolo se era coperto, scoperto, o con i gioielli al vento, Yuzo rimase a osservare l’ilarità del compagno. Le sue insicurezze, quelle che lo avevano aggredito fin dal momento in cui aveva capito di non essersi sognato nulla, tornarono alla ribalta, stringendo più forte il suo cuore per tirarlo fuori dallo zucchero.

«Posso farti una domanda? Una domanda seria… Stanotte non abbiamo avuto molto modo di parlare.»

Yuzo si grattò la nuca. Tutto ciò che erano stati in grado di dirsi, oltre a ripetere il nome l’uno dell’altro, poteva ridursi a una serie di folklorismi da film porno.

Mamoru smise di ridere e annuì, ma per Yuzo cambiava tutto quando aveva il suo viso davanti, quegli occhi e l’espressione di attesa. Cambiava tutto e le parole tornarono a incastrarsi da qualche parte nella gola, quasi non fosse più capace di metterle in fila.

«Tu… ecco, tu… Io…»

Mamoru sollevò le sopracciglia, in uno sprone silenzioso, e Yuzo si sentì un idiota perché gli seccava la gola, lasciandolo bloccato nelle proprie paranoie senza possibilità di scampo.

«Sei bellissimo,» sospirò, e quando sorrideva come stava facendo, Yuzo pensava che lo fosse ancora di più. «Sei davvero convinto che possa piacerti uno come me? Insomma, io sono un insicuro cronico. Sfiga è il secondo nome registrato all’anagrafe, mentre tu… sei perfetto. Sei la cosa più perfetta che io abbia mai visto…»

«Io non sono perfetto, Yuzo. Avere un bel volto non significa essere perfetti. Se lo fossi stato, mi sarei dovuto accorgere dei tuoi sentimenti, al posto di tenerti a distanza o spaventarti. E invece non ho capito né mi sono fatto capire. Quindi, no, non sono perfetto.»

Yuzo abbassò il viso, ma le dita di Mamoru lo costrinsero a sollevarlo di nuovo, prendendogli il mento.

«E visto che neanche tu lo sei, magari insieme potremmo.»

Poche parole, l’onestà dell’uno e quella dell’altro, senza distorsioni dell’alcool o fraintendimenti, gli aprirono un mondo tutto nuovo, quello di Mamoru Izawa che poteva essere sarcastico a volte, comprensivo in altre, tagliente quando voleva. E aveva anche lui delle insicurezze, magari non come le sue, ma che lo rendevano vicino, più di quanto credesse. Vicino da volerlo conoscere di più e meglio, vicino da volerci parlare ancora, da volerlo ascoltare, da volerlo baciare.

E fu l’ultima volontà a venire esaudita per prima, perché Yuzo ne cercò le labbra, con sorpresa dello stesso Izawa. Le cercò ancora e ancora, in baci che parlavano il linguaggio del desiderio, noto solo agli amanti.

Ti voglio ora, domani, per sempre.

Separarsi fu più difficile di prima, evidente già dal modo in cui i loro respiri avevano preso un passo più pesante. La mano di Mamoru poggiata sulla mascella, Yuzo si domandò quando ce l’avesse messa.

«Ora però devi proprio andare a farti una doccia, preparare la tua roba… e preparare anche quella di Genzo, che mi ha scritto un sms poco prima che ti svegliassi.»

A Izawa, comunque, Yuzo dovette riconoscere anche un’altra qualità: quella netta quanto involontaria capacità di spezzare gli idilli, perché lui aveva completamente dimenticato che Wakabayashi, avendo dormito da Wakashimazu, non aveva avuto modo di prepararsi la valigia. Così Yuzo balzò in piedi, dimentico di qualsiasi coperta o pudore, e corse al bagno, ululando: «La roba di Geeeenzo!».

 

Wakabayashi guardò l’orologio per l’ennesima volta, senza voler ammettere di iniziare a sentire anche lui il filo della tensione. Fino all’ora di pranzo non si era preoccupato più di tanto, e neanche subito dopo… ora però il dubbio di dover andare a vedere se fosse tutto in ordine iniziava a farsi spazio. Forse Hajime e Teppei non erano stati poi così esagerati nella loro negatività: e se avesse sbagliato? Se avesse davvero frainteso i sentimenti di Yuzo?

Anche se gli sembrava impossibile.

«Fai la mamma apprensiva, Wakabayashi?»

Genzo osservò Ken farsi dappresso, le mani nelle tasche della tuta e un sorrisetto storto sulle labbra; aveva già caricato sul bus sia il suo bagaglio che quello di Izawa.

«Non è divertente.»

Wakabayashi gli interdì il proprio sguardo celandolo con la visiera del cappellino e Ken approfondì il sorriso: Genzo detestava farsi vedere dagli altri anche solo titubante, gli sembrava di esporre troppo di sé stesso e del suo lato più umano. Lui aveva dovuto faticare non poco per riuscire a superare una simile reticenza, in un comportamento che conosceva meglio di quanto Wakabayashi pensasse, perché non era il solo a voler nascondere le proprie debolezze.

«Vedrai che stanno arrivando. Manca ancora qualcuno, non sono gli ultimi.»

Genzo stava quasi per rispondergli che lo sapeva anche da solo quando le parole di Ken si rivelarono essere addirittura profetiche perché Izawa e Morisaki vennero fuori dall’albergo proprio in quell’istante. E sembravano anche molto lovey dovey  dal modo in cui parlavano, con interesse reciproco, e si sorridevano andando oltre i semplici sguardi di due compagni di squadra. Ma erano sottigliezze, quelle, che solo chi aveva buon occhio sarebbe stato in grado di comprendere. Un buon occhio come il suo. Lo aveva detto che era impossibile si fosse sbagliato.

Un sorriso sghembo gli caricò le labbra con la sua espressione abituale.

«Ah, ma buongiorno.»

Yuzo gli rivolse un’occhiata che era un misto tra imbarazzo e rassegnazione: era consapevole che sarebbe dovuto passare sotto al suo sfottò, perché anche lui lo conosceva bene e sapeva cosa aspettarsi. Izawa, invece, sollevò il mento con spavalderia e un sorriso strafottente.

«Ottimo giorno, direi,» rispose infatti.

Con gli occhi, Genzo cercò l’amico portiere.

«E tu? Che mi dici?»

«’Giorno, Ken.»

«Oh, dai! Mi ignori?»

Morisaki sospirò, ma stava sorridendo.

«Buongiorno, Genzo.»

«Buongiorno a te.» I denti fecero capolino con una certa soddisfazione. «Te l’avevo detto che sarebbe stata tutta un’altra cosa.»

«Piantala.»

Genzo sghignazzò con gusto, passandogli d’istinto il braccio attorno al collo, come faceva sempre. Solo dopo pensò a Mamoru e il sorriso gli si fece più affilato, nello stringere Morisaki con maggiore veemenza. Cercò di proposito lo sguardo del centrocampista, sulle cui labbra seguitava a rimanere il sorrisetto di sfida.

«E quindi, Izawa, tutto ok?»

Provocare gli era sempre riuscito bene, e di solito la gente ci cadeva con tutte le scarpe, ma Mamoru lo sorprese nello sbuffare con condiscendenza senza far sparire il sorriso, anzi.

«Puoi stringerlo quanto vuoi, Capitano. Tanto quel culetto da Oscar mi appartiene di diritto.»

Yuzo si portò una mano al viso, divenendo paonazzo.

«Ma perché dovete parlare così?»

«Per metterti in imbarazzo,» precisò Genzo.

«Potete anche volare più basso per quello.» Morisaki sbuffò rassegnato. «E poi davanti a Wakashimazu, che figura mi fate fare?»

Il gruppetto rise e la tensione da ‘messa alla prova’ venne sciolta e accantonata per fare posto alla loro quotidianità rodata in anni di amicizia e conoscenza.

Con la testa, Genzo indicò Hajime e Teppei che restavano fermi presso l’autobus che li avrebbe riportati a Tokyo e che guardavano insistentemente dalla loro parte, senza però avvicinarsi.

«È meglio se raggiungi la Silver, Izawa. A pranzo erano piuttosto tesi.»

«Sì, lo so. Teppei mi ha scritto.» Mamoru passò alle spalle di Yuzo, e non perse l’occasione di mollargli un buffetto sul culo. «Ti aspetto sul bus.» Soffiò sornione e il portiere arrossì, drizzando la schiena e rivolgendogli un’occhiata omicida. Izawa sghignazzò, allontanandosi assieme a Wakashimazu che gli avrebbe mostrato dove mettere i bagagli di Yuzo e Genzo.

Rimasti soli, i due portieri si trovarono faccia a faccia: Genzo e la sua aria trionfante, Yuzo e la sua espressione decisa – sì, ne aveva anche da sobrio!

«Io e te dobbiamo parlare,» impose Morisaki e il SGGK non si sottrasse, alzando le spalle.

«Parliamo.»

«Tu lo sapevi.»

«L’ho capito l’altro giorno, da come parlavi di Mamoru, dalla foga che ci mettevi. C’era qualcosa che non quadrava. Izawa ha confessato il resto, quando ci siamo incrociati nei corridoi, ricordi?»

«Sì,» sospirò Yuzo, le mani ai fianchi e il capo che annuiva lentamente, più volte, fino a che non tornò ad affrontare gli occhi del compagno. «Grazie.»

«Io non ho fatto niente. Hai fatto tutto da solo.»

Genzo alzò le mani e, in definitiva, lui aveva solo dato il ‘la’ a Mamoru e proposto di sciogliersi con qualche bicchierino, ma per il resto Morisaki aveva davvero messo su ogni cosa in autonomia, aveva preso le proprie decisioni e scelto di buttarsi, perché a restare indietro non avrebbe mai afferrato la felicità.

«Come no.»

«È così,» ribadì Genzo, e di fronte a tanta sicurezza, Morisaki si trovò a capitolare.

«Ok, sta bene.»

«Il tuo culo non tanto.»

«Oh, eddai!» Yuzo arrossì, infossando la testa tra le spalle, mentre Genzo se la rideva. «Piantatela, non avete cinque anni!»

«Lo sappiamo, lo sappiamo.»

«Umphf

Ma forse Morisaki non poteva capire quanto fosse davvero contento per lui, per loro. Perché magari questa cosa avrebbe potuto dargli più sicurezza in sé stesso, fargli alzare la testa come durante la partita contro la Thailandia nel World Youth e dargli la carica per affrontare con la giusta determinazione e nuova maturità anche l’avventura in J.League. Morisaki non poteva capire che era orgoglioso di lui. Così Genzo si limitò ad ammiccare un sorriso nel vedere come Yuzo cercasse Izawa con gli occhi senza più alcun timore.

«No! Andate, lasciatemi! Mentre qui mi sacrifico e cedo al dolore di quest’esistenza effimera. Di quel fuoco che gioia ti offre, ma pena ti lascia.»

Sia Yuzo che Genzo – come praticamente tutti i presenti nel piazzale antistante l’ingresso principale dell’albergo – si girarono verso l’entrata posta sulla sommità di una breve scalinata bianca.

Trascinato da un Sakaki al limite della disperazione, Michel Yamada era semisdraiato a terra, e latrava con voce da melodramma. Un braccio teso verso il cielo.

«Lasciatemi, orsù dunque, mentre agonizzo su queste scale di pietra.»

«…ma che diavolo?»

«Ci risiamo. Yamada-show.» Yumikura sospirò seccato e rassegnato al contempo. «È per questo che gli sto sempre dietro quando si tratta di bere, perché lui regge benissimo l’alcool… sono i postumi che non regge!»

«Zitti, zitti! Adesso attacca con la Marsigliese!» Okano sollevò gli indici per imporre il silenzio e, l’attimo dopo, Yamada declamò, portandosi il pugno al petto con espressione contrita.

«Allons enfants de la Patrie… le jour de gloire est arrivé!»

«Pre-ci-so.» Okano tirò una linea immaginaria.

«Il materno retaggio francese di Michel.» Nobuyuki continuava a scuotere il capo con occhi stretti e labbra dritte.

«Per la miseria, Sugimoto, vieni ad aiutarmi!» sbottò Sakaki, rosso in viso per lo sforzo; Yamada si era fatto di piombo. «Prendilo per i piedi! Io da solo non ce la faccio.»

Ma Yumikura fermò il compagno di RJ7 prima che avanzasse, braccio teso e sguardo furente.

«Dannata testa pelata! Schioda quelle chiappe dal marmo e abbi un minimo di amor proprio! Tirati su!»

«Nobuyuki!»

Yamada piagnucolò, tendendo le braccia verso il minuto compagno di squadra, che conosceva da anni ed era quindi più che avvezzo a certe situazioni. E forse fu proprio perché il rimprovero proveniva da lui che, piano piano, il portiere della RJ7 si alzò, trascinandosi come un relitto fino a Yumikura, sulla cui spalla crollò come un sacco di patate.

«La prossima volta impediscimi di bere così tanto!»

«Come se non l’avessi fatto per tutta la serata! Ogni volta è sempre la stessa storia, quindi sta’ zitto e soffri in silenzio.»

«E lui è il portiere dei Verdy! Capite? Io giocherò in squadra con quello lì!»

Hajime, fermo presso il bus assieme a Mamoru e Teppei, aveva già le mani nei capelli al sol pensiero.

La risata corse per tutto il piazzale, ultima battuta per la fine di quel ritiro e di quell’anno intenso di emozioni e vittorie che nessuno sarebbe riuscito a dimenticare troppo in fretta e che su un futuro ancora più radioso era pronto ad aprirsi.

I giocatori salirono adagio sull’autobus, mentre la neve sporcava solo un po’ le aiuole con la spolverata notturna che aveva reso più magico il Natale. Yuzo ne inspirò l’aria fredda e salì subito dopo Genzo. Osservò la schiena del compagno che camminava per raggiungere il fondo del bus, dove di solito si mettevano tutti e quattro loro portieri: Genzo nell’angolo del finestrino, poi Ken, Michel e lui, nell’angolo opposto, quello che sceglieva ogni volta per rimanere più distante possibile Izawa. Stavolta, invece, sarebbe stato diverso. Yuzo si fermò prima, lasciando che la schiena di Genzo proseguisse, si allontanasse. Alla sua sinistra, Mamoru aveva un ginocchio sul seggiolino e le braccia poggiate sulla sommità, mentre parlava alla Silver Combi seduta nella fila subito dietro. Il centrocampista lo fissava e con gli occhi gli indicò il sedile libero al suo fianco. Non più nella scia di qualcuno  ma sullo stesso piano, la linea di un traguardo che era anche partenza per un nuovo viaggio.

Yuzo sorrise a sua volta e tolse lo zaino, sistemandolo sulla cappelliera.

Dietro, Hajime e Teppei avevano espressioni diverse di chi era ancora un pochino scettico e chi invece tratteneva un risolino. Mamoru strizzò loro l’occhio per poi mettersi composto e osservare Yuzo che prendeva posto restituendo un’espressione stanca e una leggera smorfia di dolore.

«Mal di testa?» chiese.

«Meglio di prima. Domani sarò come nuovo.»

«Secondo me hai anche fame. Non mangiamo da ieri.»

Yuzo scosse appena il capo. «In questo momento, credimi, ho solo sonno.»

Un sonno boia, gli occhi appesantiti dall’analgesico e dalla nottata tanto sfiancante quanto fantastica.

«E allora dormi un po’. Di sicuro ci fermeremo a mangiare qualcosa per strada.»

Yuzo annuì e distese, come poteva, le gambe sotto al sedile di fronte, il capo contro il poggiatesta e gli occhi chiusi adagio.

«Ehi.»

La voce di Izawa glieli fece riaprire e trovare il suo braccio aperto in un’offerta ad appoggiarsi; lo invitò piegando le dita. Lui arrossì.

«Ah, no no! Tranquillo, non c’è-»

Ma Mamoru, Morisaki lo avrebbe imparato solo con il tempo, non era tipo da accettare facilmente dei rifiuti, e se lo tirò addosso senza tanti complimenti, cingendogli le spalle.

«Non protestare,» gli sussurrò tra i capelli, e Yuzo poté anche percepire la virgola di sorriso di cui era innamorato da tempi remoti.

Il suo odore, il suo calore misti ai propri rievocarono l’ambiente in cui era rimasto immerso durante la notte. Un ambiente placido, accogliente. Perfetto. Loro erano perfetti. Insieme lo erano già.

«…dimmelo se dovessi pesare.»

«Non pesi, portiere.»

E sulla voce di Bear che si levava tonante chiedendo al gruppo di Nankatsu se, come al solito, si sarebbero mossi verso casa tutti insieme una volta arrivati a Tokyo, accompagnata da un caloroso coro d’assenso cui si unì anche lui, in maniera così flebile e dimenticabile da non esser neppure sicuro di aver alzato il braccio e detto ‘yeah!’, Yuzo scivolò nel torpore che precedeva il sonno, pensando che non ci sarebbe mai stata, nella sua vita, miglior hangover di quella.

 

 

Fine

 

 

Note Finali: il ‘giorno dopo’ era un po’ d’obbligo, e così eccoci a dare una sbirciatina :3

Chi si preoccupa da una parte, chi si chiarisce da un’altra e Genzo, che è quello che tutto sa e può della situazione.

E poi c’è Michel! XD

Voglio dedicare questa storiella al mio Trio Shutetsu composto da una Limonante Silver Combi e da un Mamoru Brontolone. Non sapevano ci stessi lavorando, anche se ne avevo accennato a BrontoMamo. :3333

Grazie, ragazze, dal vostro SfigaYuzo. :*

 

A tutti, invece, auguro un bellissimo anno nuovo, pieno di quello che vi pare!

Che il Dio dei Fanwriter vi offra la sua ispirazione!

E ricordate: CHI SCRIVE/PUBBLICA IL PRIMO DELL’ANNO… XDDDD

 

AUGURI!

   
 
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