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Autore: Shainareth    03/01/2018    6 recensioni
*** Attenzione! La presente storia si collega direttamente alla shot Verità. Vi consiglio perciò di leggere prima quest'ultima, per comprendere appieno le vicende di ciò che verrà narrato qui di seguito. ***
«A cosa servono, questi poteri, se non possiamo evitare che accadano certe tragedie?» La voce di Ladybug era cupa e rotta dal pianto represso. Era ormai l’alba e i soccorritori avevano lavorato per tutta la notte, sgombrando la zona da ciò che era andato distrutto – o ucciso. I due salvatori di Parigi erano rimasti lì fino a che era stato necessario, ingoiando tutta la sofferenza che i loro occhi e le loro orecchie erano stati capaci di catturare, loro malgrado. E ora, con le membra doloranti e il cuore in pezzi, si erano rifugiati insieme fra i gargoyles di Notre Dame, che con il loro tetro aspetto sembravano riflettere l’umore di entrambi.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Verità'
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CAPITOLO SECONDO




Il vero problema che si presentò nell’immediato fu però di tutt’altro tipo: cos’avrebbero visto? Un film d’amore era da escludere a priori, pensò Marinette; non soltanto perché magari non era il genere che potesse interessare ad Adrien, ma anche e soprattutto perché temeva che il suo cuore non avrebbe retto all’atmosfera che si sarebbe creata. Fece scorrere lo sguardo sulle locandine che occupavano l’atrio del multisala e si soffermò per un attimo su quella di un film di supereroi. Probabilmente quello sarebbe piaciuto al suo amico; tuttavia, visti i recenti dubbi sulle rispettive doppie identità, forse era meglio evitare. Quello che ci voleva, a quel punto, era una commedia. Sì, sarebbe andata bene, ne era sicura.
   «Adrien», chiamò, sollevando gli occhi sul suo accompagnatore, che però sembrava distratto da qualcosa. Seguì il suo sguardo accigliato e notò che stava fissando un gruppetto di ragazzi, poco più grandi di loro, che ridacchiavano per qualcosa. «Tutto bene?»
   Lui annuì, serio in volto, e le passò un braccio attorno alle spalle, sospingendola via da lì, verso la biglietteria. Il cuore di Marinette sobbalzò e lei si irrigidì sotto al suo tocco, ma non protestò, pur non avendo idea della ragione di quel gesto. Quella era un’uscita fra amici, giusto? «Andiamo a fare i biglietti», disse atono Adrien, a riprova che fosse preso da altro. «Cosa vuoi vedere?» le domandò poco dopo, in fila, addolcendo la voce e dedicandole di nuovo tutta la sua attenzione, mentre la lasciava andare.
   La ragazza recuperò la facoltà di respirare più o meno regolarmente. «Ah… ehm… pensavo ad una commedia. Se a te va, si intende.»
   «Buona idea», convenne lui. «In fondo, abbiamo deciso di farci grasse risate, oggi, no?»
   Marinette sorrise e mantenne quell’espressione fin dentro la sala, quando presero posto l’uno accanto all’altra. Quanto aveva desiderato vivere quel momento? Tante, troppe volte. E finalmente adesso quel sogno si stava realizzando. Certo, era più che consapevole che non si trattava di un appuntamento in senso stretto, ma che importanza poteva avere? In realtà, le bastava soltanto essere con Adrien, ogni altra cosa passava in secondo piano.
   Fu a metà dell’ennesimo scambio di battute che la luce in sala si spense ed entrambi rimandarono a dopo il resto delle chiacchiere. Il film era piacevole, pensò Marinette, lieta soprattutto di riuscire a seguirlo più o meno con costanza, benché con la coda dell’occhio spesso e volentieri sbirciasse verso l’amico. Stava facendo un buon lavoro, si congratulò con se stessa, perché nonostante avvertisse un senso di calore al viso e si sentisse molto eccitata, stava riuscendo a tenere sotto controllo le proprie emozioni. Forse ce l’avrebbe fatta a concludere quell’incontro senza inciampare sulla propria goffaggine, come invece era solita fare.
   Presa com’era da queste considerazioni, non si accorse del movimento accanto a sé, che però attirò subito l’attenzione di Adrien. A dispetto del buio, infatti, il giovane riconobbe chi era il tipo seduto sulla poltrona di fianco a quella di Marinette, e cioè uno dei ragazzi che avevano incrociato prima, nell’atrio. Se pure lei non si era accorta di nulla, ad Adrien non erano affatto sfuggiti né le occhiate ammirate né i commenti indirizzati alla sua amica. Che fosse carina era innegabile, ma c’era davvero bisogno di manifestarlo in modo tanto rozzo? Chinò lo sguardo su di lei, trovandola intenta a seguire il film, del tutto inconsapevole di quello che stava accadendo, come se le risatine stupide di quel trio di idioti non la disturbassero affatto. Beh, a lui invece sì, e molto. Non fece in tempo a pensarlo che vide il tizio seduto accanto a lei fingere di sgranchirsi le membra e allungare un braccio fino allo schienale del sedile di Marinette. Adrien agì d’istinto e fece altrettanto, afferrandogli il polso con malagrazia e lanciandogli uno sguardo a dir poco furioso. Quello lo fissò sorpreso, come se fosse stato del tutto impreparato ad un’eventualità del genere. Eppure, non si capacitava Adrien, quel cretino doveva pur essersi accorto che Marinette non era lì da sola, bensì con qualcuno che avrebbe potuto benissimo essere il suo ragazzo.
   La luce in sala si accese per l’intervallo fra primo e secondo tempo ed entrambi i giovani ritirarono il braccio, scambiandosi un’ultima, astiosa occhiata. La voce della ragazza richiamò Adrien sull’attenti e lui le regalò un sorriso dolce, avvertendo un improvviso desiderio di protezione nei suoi confronti. «Stai bene?»
   «Sì, solo… ti spiacerebbe se ci scambiassimo di posto?»
   «C-Certo che no…» rispose lei, pur non capendo il perché di quella richiesta. Si alzarono e poco dopo Marinette si trovò seduta accanto ad una signora di mezza età che stava commentando il film insieme a quello che forse era suo figlio. E mentre lei si perdeva in queste inutili considerazioni, Adrien ne approfittò per lanciare uno sguardo ed un sorriso trionfanti al ragazzo con il quale aveva avuto quel muto, quanto intenso, scambio di opinioni circa l’inviolabilità della sua graziosa accompagnatrice. E ora, pensò il giovane, intrecciando le braccia al petto e posando la caviglia destra sul ginocchio sinistro, vediamo se hai ancora voglia di allungare le mani.
   Pur non avendo il potere della telepatia, l’altro grugnì qualcosa di indecifrabile e spostò la propria attenzione altrove, mentre i suoi amici, più in là, iniziavano a prenderlo in giro per la figuraccia appena fatta, per di più con un ragazzino. Era tutta colpa di quel damerino biondo, pensò fra sé con profondo risentimento. Lo aveva riconosciuto, ovviamente, si trattava del figlio di Gabriel Agreste e il suo bel faccino la faceva da padrone su molti cartelloni pubblicitari sparsi per l’intera città ormai da diversi mesi. Credeva di poter avere tutto perché era bello e ricco? Anche l’attenzione di tutte le ragazze carine che gli capitavano a tiro? Quel pensiero lo infastidì ulteriormente: se non fosse stato per quel damerino, la moretta che gli era appena sfuggita di mano avrebbe benissimo potuto interessarsi a lui. Sbottò un’imprecazione, attirando l’attenzione di chi gli era intorno e questo giocò a sfavore della piccola farfalla nera comparsa magicamente in sala. Gli occhi di Adrien e di Marinette catturarono all’istante il suo svolazzare sulle teste del pubblico presente e proprio quando stavano per lasciarsi andare ad un’esclamazione allarmata, le luci tornarono a spegnersi per l’inizio del secondo tempo. L’akuma s’impossessò del ragazzo, che lanciò un urlo come a volersi dare la carica, mentre un alone scuro lo avvolgeva interamente, sollevandolo da terra e facendo strillare di spavento tutti gli altri.
   «Via di qui!» gridò Adrien, afferrando l’amica per un braccio con l’intenzione di metterla in salvo. Nella calca che si venne a creare fra le file di sedili, caddero l’uno sull’altra e rischiarono di essere calpestati da chi subito aveva iniziato a correre e a scavalcare le poltrone per raggiungere l’uscita e mettersi in salvo. Marinette strisciò sul pavimento, cercando di allontanarsi dalla vittima di Papillon e stando ben attenta che Adrien la seguisse. Riuscirono a riprendere fiato fra le prime file, non lontani dal grande schermo che intanto continuava a proiettare il film, a testimonianza di come probabilmente il tecnico della sala era scappato insieme a tutti gli altri, abbandonando la sua postazione.
   L’akumizzato si liberò dalla nube oscura che lo aveva avvolto, rivelando il suo nuovo aspetto: un enorme corpo scuro, viscido e quasi gelatinoso, dal quale si irradiavano diverse protuberanze, molto simili a dei grossi tentacoli. «Lo sapevo che era un polipone!» si lasciò sfuggire Adrien tra i denti, non sapendo se essere arrabbiato più con quel tipo o se con se stesso per averlo provocato fino a farlo diventare una vittima di Papillon. Ma che altro avrebbe dovuto fare? Lasciare Marinette nelle sue grinfie, senza muovere un dito per difenderla? Col cavolo.
   «Sai, Adrien…» considerò lei con voce malferma, guardandosi attorno in cerca di una via di fuga. «Non credo sia stato molto furbo rifugiarci lontani dall’uscita…»
   «No, decisamente no», convenne l’altro, gli occhi incollati sul mostro. «Ma era il solo modo per non essere calpestati dalla folla.» Ora la loro unica, vera preoccupazione era un’altra: trovare un posto sicuro in cui effettuare la trasformazione. Spostò lo sguardo sull’amica, trovandola rigida quanto lui, ma non davvero impaurita da quanto stava accadendo. Le cose erano due, concluse Adrien: o Marinette aveva dei nervi d’acciaio quando si trovava in pericolo oppure, e questo lo riteneva assai più probabile, anche lei stava cercando di capire quando e dove avrebbe potuto ricorrere ai propri poteri.
   Quella distrazione gli costò caro. Uno dei tentacoli del mostro saettò verso di loro e Marinette urlò spaventata quando quello si attorcigliò attorno al collo di Adrien, spingendo con violenza quest’ultimo contro la parete in fondo. «Tu», ringhiò l’akumizzato con voce minacciosa. «È tutta colpa tu…!» Si interruppe bruscamente quando fu colpito alla testa da una lattina di aranciata, abbandonata sul pavimento durante il fuggifuggi generale. Si volse e i suoi occhi si posarono su Marinette che, pur preoccupata per la propria sorte, in quel momento aveva molto più a cuore quella dell’amato. «Oh, ma chi abbiamo qui…»
   «Scappa, Marinette!» gridò Adrian d’istinto, sia pure a fatica per via del tentacolo che gli stringeva la gola. Apprezzava il suo tentativo di aiutarlo, ma se la sua amica non era Ladybug, allora era molto meglio che sparisse di lì il più in fretta possibile.
   «Non ti lascio solo!» ribatté lei, mentre il mostro sembrava quasi ridere divertito. Si mosse nella sua direzione e allungò un altro tentacolo, che la ragazza schivò gettandosi di nuovo sotto ai sedili.
   «Andiamo, carina, non voglio farti del male…» le disse quello, con una voce lasciva che fece venire i brividi a lei e fece infuriare ulteriormente Adrien.
   «Non azzardarti a toccarla!» ruggì difatti il giovane, non volendo neanche immaginare cosa sarebbe potuto accadere se quel maledetto fosse riuscito ad acciuffare Marinette.
   «Sta’ zitto, tu!» ribatté quello, strattonandolo e facendolo cozzare di nuovo contro la parete.
   Ormai ad un passo dall’uscita dalla sala, la ragazza tornò indietro: non poteva davvero lasciare che quel dannato akumizzato facesse del male a qualcuno, soprattutto se si trattava di Adrien. «Sono qui!» esclamò, attirando di nuovo la sua attenzione. Possibile che fosse l’unico modo per distoglierlo dalla sua furia distruttiva nei confronti del giovane? Marinette non sapeva quale fosse la ragione di quel risentimento, ma in quel momento non le importava. Avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché Adrien potesse tornare libero. «Se è me che vuoi, lascialo andare!»
   Divertito da quella caccia al topolino, il mostro allentò la presa attorno al collo del ragazzo, che crollò al suolo da un’altezza capace di intontire chiunque. Marinette urlò, osservando impotente la scena. Avvertì un nodo allo stomaco nel vedere Adrien steso sul pavimento, apparentemente privo di sensi. Pregò che fosse solo quello, il suo problema, e quando spostò di nuovo il suo sguardo sull’akumizzato e si rese conto di quanto si fosse avvicinato a lei, fu costretta a fuggire fuori da lì a gambe levate. Portarlo lontano da Adrien era la soluzione più sensata, al momento: era lui la sua priorità.
   Corse lungo i corridoi e l’atrio ormai deserti, e raggiunse la strada, il mostro sempre alle calcagna. Doveva trovare un modo per seminarlo, rifugiarsi in un posto sicuro ed effettuare la trasformazione. Libero dallo spazio ristretto del multisala, però, l’akumizzato fu in grado di sfruttare al meglio i propri poteri, allungando maggiormente i propri tentacoli e avvinghiando la sua preda per un braccio ed una caviglia. La sollevò a mezz’aria e rise sguaiatamente. «Ed eccoci qui, carina», disse soddisfatto, avvicinandosi a lei e disgustandola con il suo orribile aspetto. «Indovina un po’?» continuò passandosi la lingua verdognola sulle labbra viola. «Ora noi due faremo un bel gioco.»
   Marinette non seppe mai cos’avesse in mente il suo assalitore, perché un attimo dopo quello lanciò un grido di dolore, che lo indusse a lasciarla andare di scatto. Qualcosa lo aveva colpito alle spalle, realizzò la ragazza, ritrovandosi bocconi sull’asfalto, in mezzo alla folla urlante. Provò a guardare oltre la creatura e ciò che vide le fece tirare un grosso sospiro di sollievo. Chat Noir fece tornare il proprio bastone alle consuete dimensioni e la raggiunse con un balzo, parandosi davanti a lei e mettendosi in posizione d’attacco. «Marinette, va’ via di qui. Subito», le disse in tono perentorio, lo sguardo furioso rivolto all’akumizzato che ancora si lamentava per quella vigliaccata.
   Dal tono della sua voce, prima ancora che dall’espressione del suo volto, Marinette comprese che Chat Noir – Adrien? – doveva essere a dir poco furibondo. Non questionò, decidendo di obbedire all’istante per due motivi molto semplici: anzitutto, rimanendo ferma dov’era, gli sarebbe stata solo d’intralcio, oltre che una fonte costante di distrazione; in secondo luogo, il suo intervento le avrebbe consentito di raggiungere un posto appartato per richiamare i poteri del miraculous della Coccinella. «Sta’ attento, per favore!»
   «E ora a noi due», minacciò l’eroe, rimasto da solo a fronteggiare il mostro. Non fosse stato per il fatto che sotto quella massa disgustosa ci fosse una vittima inconsapevole, Chat Noir gli avrebbe volentieri fatto passare un brutto quarto d’ora – soprattutto al pensiero che, dopotutto, quella vittima inconsapevole non era del tutto innocente, visto il modo in aveva guardato Marinette già prima che l’akuma lo rendesse schiavo di Papillon.
   Frattanto, la ragazza aveva trovato riparo fra le siepi di un giardino non distante da lì. «Tikki, dobbiamo sbrigarci», cominciò con fare concitato. Se Adrien non era Chat Noir, c’era il serio rischio che fosse rimasto svenuto – e magari ferito – all’interno del cinema.
   «Sono pronta», le assicurò il kwami, volando fuori dalla borsetta con la stessa determinazione che anche la sua amica aveva nello sguardo.
   Un attimo dopo, Ladybug saltava sui tetti dei palazzi circostanti, diretta a tutta velocità verso il multisala. Vide Chat Noir impegnato in una lotta impari contro quel bestione pieno di tentacoli e subito si precipitò in suo soccorso, imprigionando una di quelle escrescenze nel filo del proprio yo-yo. «Attenta!» l’avvisò il suo collega, giusto un attimo prima che il mostro l’afferrasse per una caviglia, sballottandola per aria e lanciandola poi lontano. Piombò fra le fronde di un grosso albero e non fece in tempo a riprendersi dalla botta che qualcosa si schiantò fra i rami vicini.
   «Chat Noir!» chiamò allarmata, avvistando il suo braccio destro sbucare dal groviglio di foglie.
   «Sto bene, my lady», la rassicurò lui, pur con voce soffocata. Si districarono goffamente da quella situazione, riuscendo infine a trovare un appoggio saldo sull’albero. «Tutto ok?» volle sapere subito il giovane, rivolgendole uno sguardo preoccupato. E no, non soltanto per il volo fatto fin lì, ma anche e soprattutto per via del sospetto che sotto quella maschera a pois si nascondesse la sua amica Marinette.
   «Solo un po’ ammaccata…» lo tranquillizzò l’eroina, facendo vagare i propri occhi su di lui, quasi come se volesse accertarsi che fosse tutto intero, specie dopo che il mostro lo aveva quasi strangolato nel cinema e lo aveva fatto cadere da un’altezza pericolosa – sempre ammesso che ci fosse Adrien, sotto quella maschera nera. «E tu?»
   Chat Noir le regalò un sorriso incoraggiante e ammiccò allegro, lieto del fatto che lei fosse al suo fianco. «Non lo sai che i gatti atterrano sempre sulle zampe?»
   «Poco fa mi pareva che tu fossi atterrato su qualcos’altro», lo prese in giro Ladybug, risollevata dalla sua voglia di giocare.
   Lui rise, balzando verso il suolo e attutendo la caduta con il proprio bastone. «Sì, il mio fondoschiena non è proprio entusiasta del modo in cui è stato trattato.»
   «Hai avuto modo di osservarlo?» domandò la ragazza, calandosi con l’ausilio dello yo-yo e raggiungendolo. «Dove credi che sia l’akuma
   L’altro strinse le labbra, non del tutto sicuro di essere in grado di rispondere a quella domanda. Il punto era che, sebbene lo avesse squadrato non poco mentre si trovavano nell’atrio del multisala, quando gli aveva sentito fare dei commenti non troppo galanti nei confronti di Marinette, ora che lo aveva affrontato in un corpo a corpo, non si era concentrato a sufficienza al riguardo. Non per superficialità, bensì per rabbia: se solo avesse osato torcere un capello alla sua amica, poteri o non poteri, lui gli avrebbe spaccato la faccia. Senza contare che, se Marinette non era lì con lui, allora si era nascosta chissà dove, magari in preda alla paura. Di colpo Adrien desiderò correre da lei, abbracciarla e rassicurarla che tutto sarebbe andato per il meglio, che lui l’avrebbe protetta a qualunque costo.
   «Chat Noir?»
   Riscosso da quella valanga di pensieri, il giovane sospirò. «Non ne ho idea», rispose infine. Si sentiva troppo coinvolto emotivamente per ragionare con lucidità. Eppure non era la prima volta che si trovava a salvare Marinette o qualche altro amico da una situazione pericolosa. Si sentiva responsabile della trasformazione di quel tipo in un mostro? Forse. Ciò nonostante, sapeva di aver fatto la cosa giusta, fermandolo prima che potesse infastidire Marinette.
   «Allora non ci resta che bloccarlo in qualche modo, in attesa di capire come risolvere la cosa», ragionò Ladybug, roteando lo yo-yo e lanciandolo per tornare sul campo di battaglia. Chat Noir la seguì immediatamente, provando per lei un senso di protezione persino più forte del solito. Non andava bene, doveva rimanere concentrato o avrebbe finito per diventare un peso piuttosto che un aiuto.
   «Potremmo imprigionarlo in un barattolo», esordì fra il serio ed il faceto, quando furono di nuovo sul campo di battaglia, mentre il mostro agitava i tentacoli e li avvinghiava attorno a tutto ciò che gli capitava a tiro, scaraventando auto e altro contro i palazzi circostanti. «Ce ne servirebbe uno molto grosso, però.»
   «Non lo sai che i polpi sono capaci di aprire persino quelli?» gli fece notare Ladybug, scervellandosi alla ricerca di una soluzione.
   «I polpi veri sì», annuì Chat Noir, «ma quel tipo non credo abbia la loro stessa intelligenza.»
   L’altra aprì la bocca per chiedergli se avesse capito almeno il perché il loro avversario fosse stato akumizzato, visto che si trovava seduto accanto a lui nel momento in cui l’akuma era sopraggiunta, ma si morse la lingua e tacque: non era certa che il suo partner fosse Adrien, non poteva rischiare di dire qualcosa di avventato, scoprendo così anche le sue carte. E se le cose non stavano così, significava che il suo amico era ancora nel cinema, solo e bisognoso di aiuto. Quel pensiero le rimescolò lo stomaco. Dovevano mettere fine a quel combattimento il prima possibile, cosicché anche le eventuali ferite di Adrien si rimarginassero grazie al potere del suo miraculous e lui potesse tornare da lei sano e salvo.
   Strinse lo yo-yo nella mano destra e lo lanciò in aria con più foga del solito. «Lucky Charm!» L’istante successivo una voluminosa sacca rossa a pois neri apparve in cielo e piombò fra le sue braccia.
   «Stavolta sembra che tu abbia fatto le cose in grande», commentò stupito Chat Noir, non perdendo però d’occhio il mostro, che, come aveva sospettato, non sembrava possedere poi troppo cervello, visto che continuava a muoversi a rilento e ad agitarsi a destra e a manca senza un reale obiettivo. Chissà quanto starà penando il povero Papillon, ad averci a che fare, ragionò fra sé, provando quasi pena per il proprio nemico.
   Ladybug posò la sacca davanti a sé e l’aprì, rivelando qualcosa di assolutamente inaspettato: decine di piccoli Chat Noir di peluche, non troppo dissimili da alcuni pupazzetti che venivano dati in premio alle giostre o alle sale giochi. Non riuscendo ad evitare che accadesse, al pensiero che fossero invece dei piccoli Adrien, Marinette squittì per l’entusiasmo e ne prese alcuni, stringendoli a sé con amore e riuscendo ad evitare per un soffio di commentare qualcosa di compromettente.
   Adrien fissò ora le sue miniature ora la collega, incapace di credere ai propri occhi. «Io sono molto più bello, di questi affari!» protestò a viva voce, afferrandone uno e rigirandoselo fra gli artigli per esaminarlo da vicino. «Guarda!» insistette, mostrandolo alla ragazza. «Manca la cosa più importante!»
   «Cosa?»
   «Il fascino!» Lei ruotò le pupille verso il cielo. «E comunque, seriamente… perché non riservi lo stesso trattamento anche allo Chat Noir a grandezza naturale?!» si sentì chiedere subito dopo, quasi in tono supplice.
   Rise e scosse il capo con fare dispettoso. «Non abbiamo tempo per queste cose», disse poi, rimettendolo in riga. «Devo solo capire cosa diamine farci, con tutti questi adorabili micetti.»
   «Se fossero veri, potrebbero essere la nostra cucciolata», scherzò il giovane, facendola sospirare con sopportazione e tornando ad osservare il mostro alla ricerca del posto in cui poteva essersi nascosta l’akuma. Da qualunque parte lo guardasse, però, non notava nulla poiché i suoi tentacoli, agitandosi in continuazione, nascondevano alla vista il resto del corpo.
   «Si muovono!» esclamò Ladybug, che nel frattempo aveva dato un’occhiata più accurata ai pupazzi e si era accorta che bastava schiacciare loro la zampina destra per metterli in funzione. «Mi è venuta un’idea. Aiutami ad azionarli tutti e rimettili dov’erano», esortò il collega, che subito obbedì senza obiezioni di sorta.
   «Credi che si metterà a giocare con loro?»
   «Più o meno», rispose la ragazza, richiudendo la sacca a pois e caricandola sulle spalle di Chat Noir.
   «Non è un po’ presto per il caro, buon, vecchio Babbo Natale?»
   «Ma tu sei più affascinante di lui.»
   «Un giorno me lo dirai senza quel sorrisetto da sfottò dipinto sulle labbra», le garantì il giovane, piccato per quella palese presa in giro.
   Ladybug colpì con una schicchera la campanella che lui aveva al collo, facendola tintinnare allegramente. «Oh-Oh-Oh!»
   «Sappi che mi aspetto una bella ricompensa, visto che stavolta sarò io a fare tutto il lavoro», l’avvisò l’altro, prima di spiccare un balzo verso il tetto del multisala, che si trovava dall’altra parte della strada. Sorvolando il mostro, però, richiamò il potere del Cataclisma e lo usò sulla sacca a pois, che si squarciò a mezz’aria, lasciando ricadere una pioggia di piccoli Chat Noir che andò ad investire l’akumizzato. Preso di sorpresa, questi iniziò a colpire i pupazzi con i tentacoli, ma più ne scacciava, più quelli tornavano da lui a causa del loro continuo movimento meccanico. Osservando la scena dall’alto del tetto su cui era atterrato, l’eroe in nero si rese conto che, a furia di intrecciare i suoi tentacoli, il mostro era ormai sul punto di perdere l’equilibrio. Chat Noir sorrise, pregustando la vittoria, quando l’altro lo sorprese: stufo di quella situazione, sembrò ricordarsi di poter levitare e si sollevò dal suolo, evitando così che quei pupazzetti molesti continuassero ad infastidirlo.
   Fu allora che Ladybug entrò in azione, lanciando lo yo-yo e intrappolando i suoi tentacoli in una presa ferrea. «Chat Noir!»
   «Arrivo!» Adrien balzò giù, ruotando il bastone sopra la testa per planare in mezzo alle sue miniature e finalmente si accorse che la parte inferiore del mostro aveva ancora sembianze vagamente antropomorfe ed fasciata in un paio di jeans stracciati in più punti a causa dell’aumento della mole del loro proprietario. Un tentacolo sfuggito alla presa di Ladybug gli saettò fra le gambe, rischiando di mandarlo a terra, ma lui lo inchiodò all’asfalto con la propria arma, facendo gridare di dolore il mostro. «Così impari a tenere le mani al loro posto, polipone», ringhiò Chat Noir, che proprio non riusciva a perdonargli il modo in cui aveva guardato Marinette. Alzò lo sguardo e la vide: dalla tasca posteriore dei jeans dell’akumizzato fuoriusciva qualcosa che sembrava essere una rivista arrotolata. Tenendosi ben saldo al bastone, il giovane lo allungò fino a raggiungerla e a sottrarla al legittimo proprietario. Quando si fu allontanato ed ebbe modo di guardarne la copertina, strabuzzò gli occhi, del tutto impreparato a quella visione: si trattava di una rivista per soli adulti. Pur avvertendo l’imbarazzo salire al volto, imprecò per l’ennesima volta contro quel tipo. «Ecco perché dimostri di avere poco cervello, il sangue ti è andato tutto altrove», borbottò fra sé, strappando con sadica violenza le pagine che aveva fra le mani e non osando neanche immaginare quali dannati pensieri avesse fatto quell’idiota sulla sua amica.
   L’akuma fu liberata e quando Ladybug se ne accorse, mollò la presa sul mostro, che crollò al suolo con un tonfo sordo. La ragazza lanciò lo yo-yo per intrappolare e purificare la farfalla nera, e tutto tornò alla normalità, i palazzi, le automobili e anche la vittima di Papillon, che si ritrovò in ginocchio in mezzo alla strada e si guardò attorno spaesato, ignaro di ciò che era accaduto. Qualcosa lo colpì con violenza sulla testa e lui si lasciò scappare un verso di dolore. Si volse e vide due furenti occhi verdi che lo fissavano dall’alto. «Allunga di nuovo le tue sordide manacce sulle ragazze che non gradiscono le tue attenzioni e giuro che questa schifezza te la faccio ingoiare», lo minacciò Chat Noir, inginocchiandosi davanti a lui e porgendogli con rabbia la rivista tornata come nuova e arrotolata affinché nessun altro potesse capire di cosa si trattasse. «Intesi?» sibilò ancora, come se d’improvviso, anziché quello dell’eroe, il suo ruolo fosse diventato quello dell’aguzzino.
   Il ragazzo ingollò un grosso quantitativo di saliva, sudando freddo e giurando a se stesso che avrebbe fatto il bravo. «Tutto bene?» chiese perplessa Ladybug, raggiungendo il collega mentre il giovane appena tornato in sé scappava via da lì.
   Chat Noir si rimise in piedi e le porse il pugno. «Bel lavoro, my lady
   «Bel lavoro a te, chaton», rispose lei, battendo le nocche contro le sue. «È quasi tutto merito tuo.»
   «Me li sono guadagnati o no, dei grattini dietro le orecchie?»
   Lei rise, ma non riuscì a dire altro perché il suo miraculous iniziò ad avvertirla dell’imminente trasformazione. «Alla prossima, collega!» salutò in fretta, lanciando lo yo-yo per allontanarsi il prima possibile da lì.
   L’altro la seguì con lo sguardo fino a che non scomparve alla sua vista. Alla fine, non era stato in grado di a scoprire se quella fosse davvero Marinette; eppure in quel momento non gli importò. La sua priorità era un’altra, e cioè assicurarsi che la sua amica fosse sana e salva. Sollevò la mano destra e si guardò l’anello del Gatto Nero: rimaneva appena un minuto prima che tornasse ad assumere le sembianze di Adrien. Non ce l’avrebbe fatta a cercare Marinette in quel breve lasso di tempo, perciò decise di affidarsi al potere del portafortuna che lei gli aveva regalato tempo addietro e dal quale non si separava mai.
   Riuscita a trovare appena in tempo un riparo dietro il quale sciogliere la trasformazione, Marinette si diresse a passo spedito verso il cinema, con la speranza che, in un modo o nell’altro, Adrien se la fosse cavata senza troppi traumi. Quando svoltò l’ultimo angolo che la separava dall’edificio, scorse il giovane guardarsi attorno con fare preoccupato. «Adrien!» chiamò, sentendosi rinata nel vederlo in buona salute. Lui subito si volse nella sua direzione e le corse incontro, avviluppandola in un abbraccio che la spiazzò non poco, togliendole il fiato.
   «Meno male che stai bene!» lo sentì dire, la voce che tradiva tutta l’ansia trattenuta fino a quel momento. Si rese conto solo dopo di ciò che aveva fatto e subito si allontanò da lei, abbozzando un sorriso di scuse piuttosto imbarazzato.
   Pur col cuore che batteva all’impazzata per l’emozione, Marinette ricambiò l’espressione. «H-H-Ho temuto che quel mostro ti avesse fatto del male», gli fece sapere, ricordando fin troppo chiaramente il modo in cui il giovane era stato aggredito sotto ai suoi occhi. «Non ho ben capito cos’è successo, ma…»
   Trovando adorabile il modo in cui lei era arrossita, Adrien addolcì i tratti del volto. «Non ti sei accorta di nulla, quindi?» La vide scuotere il capo, le labbra socchiuse in attesa che lui la illuminasse al riguardo. «Il ragazzo che era seduto accanto a te…» cominciò allora il giovane, cercando di essere il più delicato possibile. «Beh, diciamo che lo avevi ammaliato.»
   «Che?» uscì di bocca alla sua amica, cadendo dalle nuvole.
   Davvero Marinette aveva così poca considerazione di se stessa? Adrien quasi stentò a crederci. «Mettiti in testa che sei molto carina e che non è certo il primo che ti guarda in quel modo. Né sarà l’ultimo», ci tenne a farle sapere, sperando che tanto bastasse a smaliziarla un po’ per il futuro.
   La ragazza arrossì più di prima a causa di quelle parole, del tutto insperate. «Non… Non mi sono accorta di niente…»
   «Lo avevo fatto io per te», continuò lui, rassegnato al riguardo. «Ecco perché ti avevo chiesto di scambiarci di posto. Era stato a tanto così da metterti le mani addosso.» Ora Marinette sembrava diventata una sorta di luce al neon vermiglia e questo, contrapposto all’immagine fiera e sicura di Ladybug, lo fece quasi scoppiare a ridere. Erano così diverse! Possibile che fossero davvero la stessa persona? Qualunque fosse la risposta a quella domanda, Adrien la prese dolcemente per mano e s’incamminò via da lì insieme a lei. «Vieni, ti riaccompagno a casa.»












E questo è il capitolo che mi ha fatto orientare per l'OOC. Se credete che sia esagerato inserirlo fra gli avvertimenti, allora corro a toglierlo, perché credo (ma sarete voi a dirmelo leggendo il resto della storia) che nel resto della fanfiction i personaggi siano più o meno resi simili a quelli originali.
Detto ciò, vorrei ringraziare tutti voi dal più profondo del cuore: non mi aspettavo minimamente un'accoglienza del genere per questa long, anzi. Sono davvero, davvero commossa, pertanto spero con tutta me stessa di non deludere le vostre aspettative.
Purtroppo, con le feste di mezzo e imprevisti vari, ho rallentato il ritmo di scrittura, quindi soltanto oggi sono riuscita a concludere il nono capitolo. Che non è l'ultimo, sia chiaro. Come dicevo a qualcuno, in risposta ad una recensione, credo (e spero) che la storia non supererà i dodici capitoli. È ormai in dirittura d'arrivo, devo solo riordinare le idee (che ho già tutte in mente) e metterle nero su bianco per dare, spero, un degno finale a questa storia.
E per il momento è tutto, e torno a ringraziare tutti voi che mi avete dato una grandissima carica con le vostre parole e con il vostro silenzioso sostegno.
Un abbraccio a tutti e buona serata! ♥
Shainareth





  
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