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Autore: PrincessintheNorth    03/01/2018    1 recensioni
Prequel di "Family"!
Nel regno del Nord, una principessa e Cavaliere dei Draghi, Katherine, farà conoscenza di Murtagh, il Cavaliere Rosso che si è autoimposto l'esilio ...
In Family abbiamo visto il compimento della loro storia e il loro lieto fine: ma cos'è successo prima?
"-Principessa, per l’amor del cielo … - prese a implorarmi Grasvard. – Spostatevi da lì … non vi rendete conto di chi è?
-È Murtagh figlio di Morzan, ex Cavaliere del Re Nero, erede del ducato di Dras-Leona. – ringhiai. – So benissimo chi è. So anche che è un essere umano come me e come te, a meno che tu non sia un elfo sotto mentite spoglie. È un essere umano ed è vivo per miracolo. Quindi, dato che come me e come te è carne e sangue, gli presteremo le cure che necessita. Sono stata chiara abbastanza?"
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio, Un po' tutti | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Io vi avviso: capitolo feels. :(  Nello scriverlo, la lacrimuccia mi è scesa.



KATHERINE
 
 
Un lungo tavolo di mogano era stato posto al centro dell’arena in costruzione: coperto da una tovaglia ricamata sui bordi a glifi elfici dorati, era pieno zeppo di portate, e le posate erano inserite in delle sorte di portastoviglie fatte con i tovaglioli, che riprendevano i colori e i decori della tovaglia.
I calici erano di vetro, con una decorazione in cristallo, che rappresentava un drago ad ali spalancate.
Notai che Dalién si era seduto, e quindi non c’era un posto per me.
Speravo lo facesse.
Così, andai verso di lui, picchiettandogli un dito sulla spalla.
Si voltò lentamente, guardandomi con un’espressione del genere “è arrivata la ragazzina a rompere”.
- Ciao Dalién. – sorrisi soddisfatta. – Suppongo tu onorerai il nostro accordo, vero? Gli elfi non mentono.
- Non ti ho mai risposto. – sibilò.
- Chi tace acconsente, no?
- Chi tace non da una risposta.
- Alzati. – ordinai a quel punto. – Suppongo che, dato che Eragon è via e questa è l’isola dei Cavalieri, sia opportuno che sia io a dare gli ordini.
- Corretto, Altezza. – sorrise l’elfa che mi aveva mostrato la stanza di papà, Yaela.
- Quindi …
Mi sporsi a prendere una caraffa di vino, e gliela diedi.
- Ecco il tuo compito. Per aver rivolto insulti ad un membro della Casa Reale, ad un Cavaliere e ad un tuo diretto superiore, oltretutto credendo di farlo alle sue spalle, la tua punizione sarà versarmi il vino durante questo convivio.
Per un po’, rimase in silenzio, fissandomi negli occhi con la rabbia più nera.
Sostenni il suo sguardo tranquillamente, e fu il primo a cedere.
- Vostra Altezza. – mormorò, cedendomi il posto e alzandosi.
- Ti ringrazio.
Nella mia esperienza, avevo scoperto che essere gentili dopo aver sconfitto il nemico di turno faceva bruciare ancora di più il suo orgoglio ferito.
E poi, l’educazione mi manteneva nel giusto. In fondo, non c’era bisogno di essere sgarbati e volgari per avere ragione e sostenere le proprie opinioni, no?
Sollevai il bicchiere, e subito mi venne riempito.
- Grazie. – risposi, e vidi un muscolo sulla sua guancia contrarsi.
- Quando avete intenzione di partire, Altezza?
- Domani, dopo pranzo. – dissi.
- Così presto?
- Ho dei doveri a casa mia. – spiegai. Come un flash, vidi davanti a me il viso della mia April, e annuii.
Avevo dei doveri.
 Venne servita la prima portata, un piatto pieno di bruschette condite con pomodori, basilico e olive, deliziose e con la superficie croccante.
Sapevo già che non avrei trovato carne, ma mi andava bene. Mi sarei adeguata, per quel giorno.
-Come siete giunta qui?
- Ehm … Murtagh ha deciso che dovevo prendermi una pausa dal lavoro. – mentii con un mezzo sorriso. – Con la scusa di portarmi a fare un voletto, mi ha scaraventata sulla nave d’accordo con mio cugino e spedita qui con la magia.
- Me lo ricordo, da bambino. – fece Yaela, il viso perso nei ricordi. – Aveva tre anni quando venne nella Du Weldenvarden con sua madre, Lady Selena. Aveva la ferita alla schiena ancora aperta, venne portato da noi per guarire … già dopo due giorni era sano e tranquillo, continuava a scappare via da sua madre e dalle tate per andare ad arrampicarsi …
- Era un’adorabile piccola peste. – le fece eco un elfo, che posò la mano su quella della compagna. – Decise di giocare a nascondino e lo trovammo sotto al nostro letto.
- Era tenerissimo. – confermò lei, lo sguardo addolcito. – Quando si intimidiva, andava in braccio a Selena e non si schiodava più, e pretendeva di andare in un posto isolato.
Riuscii ad immaginarmelo, un piccolo Murtagh, tenero e capriccioso.
E mi resi conto che, se ne avesse avuta la possibilità, anche nostro figlio lo sarebbe stato …
- Principessa? Tutto bene?
Mi resi a stento conto che mi chiamavano.
- Sì, sì … benissimo.
Per fortuna mi credettero, ma da quel momento non riuscii più né a godermi il pasto, né la compagnia.
Speravo solamente che tutto finisse in fretta, così da poter andare e liberare tutte le lacrime.
Ci vollero almeno tre ore perché finissero tutti e potessi alzarmi.
- Dove posso stare a dormire? – chiesi in fretta a Yaela. – Ho passato la giornata a camminare e sono un po’ stanca …
- Beh, ci sarebbero le stanze di Eragon o quelle di vostro padre …
- Andranno benissimo, grazie.
Mi incamminai rapidamente verso il castello, e solo quando chiusi la porta su cui c’era scritto “Cavaliere Derek” le lacrime uscirono, incontrollate.
Era finito, il sogno di vivere per un po’ la vita di una persona che non fossi io si era concluso.
Ormai, stavo per tornare alla mia vita di sempre, fatta di doveri su doveri, in cui tirare avanti mascherando il dolore per il cuccioletto.
Niente più Jocelyn, semplice capitano.
Ormai ero già tornata Katherine, Cavaliere, Principessa, Comandante, Duchessa di Northern Harbor, madre fallita.
E il pensiero che avrei dovuto convivere per tutta la tremendamente lunga vita che mi aspettava con quel dolore fu insopportabile. Ogni giorno, mi sarei svegliata con la consapevolezza che il mio piccolo era morto, non c’era più e non sarebbe tornato da me, non l’avrei mai visto in volto, tenuto tra le braccia, cresciuto, non l’avrei mai visto diventare lo splendido uomo che mi immaginavo sarebbe diventato, del tutto simile a suo padre.
Il mio pesciolino …
Persino l’idea del fatto che ormai il dolore del parto non ci sarebbe stato mi provocava una sofferenza indicibile.
Ma più forte del dolore per la mia condizione era per l’ingiustizia che il mio bambino aveva subito: venire ucciso solamente per divertimento e occasione di potere, perché sapevo benissimo che Grasvard si era divertito nel vederlo morire, attimo dopo attimo.
Era stato ucciso perché era figlio mio e di Murtagh, perché avevamo dei nemici. Perché lo amavamo talmente tanto da essere bersagli che si indicavano da soli.
Non era stato giusto che se la prendessero con lui: era solamente un bambino innocente, nemmeno era nato. Ma era diventato bersaglio di persone che, troppo pavide per affrontare a viso aperto me e il suo papà, avevano preferito rintanarsi dietro un bimbo, nemmeno neonato.
Non meritava quella fine, e sapevo che Murtagh pensava lo stesso: che avremmo volentieri dato l’uno la vita dell’altra purché il nostro pesciolino vivesse.
- Principessa?
Maledetti orecchieapunta.
- Sì?
- La vostra tisana, ricordate? L’avevate chiesta prima.
Mi asciugai in fretta le lacrime, e aprii la porta, prendendo la tazza fumante dalle mani dell’elfa.
- State bene? – domandò stranita. – Sembra abbiate pianto.
- No, è … è stato solo un momento di commozione nell’essere qui. – mentii.
Lei annuì rapidamente, e se ne andò.
Attesi cinque minuti, per poi bere in fretta l’infuso ed uscire: avevo bisogno di prendere una boccata d’aria.
Perciò, spada alla mano, mi inoltrai nella foresta, cercando di distrarmi.
Non so per quante ore di preciso camminai, solo che incontrai moltissimi animali strani, uccelli ombra, strani lombrichi che facevano rumori inquietanti, e mi parve di scorgere una snalglì, una delle lumache giganti.
All’alba, però, raggiunsi un enorme spiazzo, e capii subito di cosa si trattasse: era un cimitero.
Incuriosita, iniziai a girovagare per le tombe, scoprendo la lapide di Vrael, del primo Eragon, e di moltissimi elfi e umani, tutti Cavalieri.
A un certo punto, però, mi imbattei in un nome che mi fece salire per un attimo il cuore in gola.
Katherine Shepherd.
- Non è possibile … - fu tutto ciò che riuscii a mormorare, stupefatta.
Perché c’era una lapide che portava il mio nome?
Avrei potuto capire un Katherine, ma anche Shepherd?
Nome e cognome, quando noi della famiglia eravamo gli unici a portarlo in tutta Alagaesia?
Ma la mia attenzione venne spostata rapidamente dalla tomba a fianco.
Mavis Kirk.
Il mio secondo nome, accompagnato dal cognome di famiglia di Murtagh. Come nel caso di noi Shepherd, anche per i Kirk il cognome era caratteristico ed unico, senza nessuno, a parte i discendenti di Morzan, a portarlo.
Sia Katherine Shepherd che Mavis Kirk erano morte lo stesso giorno …
Ma fu un fairth, appoggiato alla lapide di Mavis, a farmi capire tutto, e salire le lacrime agli occhi.
Ritraeva papà, da giovane, abbracciato ad una ragazza bellissima, dai capelli color cioccolato scuro e gli occhi violetti: non avrà avuto più di diciassette anni, la mia età, e il suo ventre era piuttosto pronunciato.
Sembravano il ritratto della felicità, e non mi fu difficile riconoscere nella giovane, che ormai avevo capito si trattasse di Mavis, quella che doveva essere la zia di Murtagh. Il naso, così come il taglio degli occhi e l’attaccatura dei capelli, erano identici.
E Katherine Shepherd … non ero io, ma la prima figlia di mio padre … che era morta insieme a Mavis, il suo primo amore.
Altro che Juliet … non è l’unica sorella che ho perso …
Papà era sempre rimasto molto vago quando gli chiedevo perché mi avesse chiamata così, dicendo che aveva trovato quei nomi in un libro e gli erano piaciuti molto.
Invece, portavo i nomi di sua figlia e della sua prima moglie, la zia di Murtagh.
Adesso capivo lo sguardo di velata tristezza che aveva a volte. Non doveva essersi mai ripreso dal trauma.
Raccolsi il fairth con mani tremanti, cercando di non romperlo o farlo cadere, e notai che lei indossava la mia stessa tenuta invernale da Cavaliere. Ecco a chi apparteneva.
In quel dipinto, papà sembrava completamente un’altra persona.
Sul suo viso non c’era traccia di tristezza, solamente una felicità assoluta: doveva essere un fairth fatto di nascosto, perché non c’era traccia di posa ed erano ritratti in un prato, in completa naturalezza, abbracciati e intenti a guardare ed accarezzare il pancione di lei, innamorati e trepidanti di conoscere la loro piccola, completamente ignari che il loro desiderio non si sarebbe mai avverato.
Sul retro del fairth c’era persino una dedica …
“Sarete sempre nel mio cuore, D.S”
Capii anche perché papà avesse accolto subito Murtagh, senza problemi, e trattato fin dal primo momento magari non come un figlio, ma di sicuro come un nipote: in fondo, lo era.
Ma ora dovevo scoprire come, e perché, fossero morte.
Chi, o cosa, avesse strappato la felicità a papà.
Saphira, potresti venirmi a prendere?
Sentii che annuiva, e ci mise dieci minuti ad atterrare.
Salii sulla sua groppa, per tornare a Doru Areaba: sapevo che avrei trovato delle risposte, se non in biblioteca, in camera di papà.
Cosa vai cercando? mi chiese Saphira.
Devo scoprire come sono morte la prima moglie e la prima figlia di mio padre …
Allora dovresti cercare i registri di guerra della Rivolta dei Rinnegati. Lei visse in quegli anni.
Grazie.
Sono all’ultimo piano.
Troppo di fretta per prendere le scale, decisi di usare la magia, arrivando all’ultimo piano in mezzo secondo, e iniziando ad aggirarmi tra gli antichi volumi.
Non ci volle nemmeno tanto per trovarlo, “Resoconto e documentazione della Guerra dei Wyrdfell”, e iniziai subito a sfogliarlo.
Notai che era diviso per Rinnegato, infatti i capitoli erano quattordici: tredici adepti, ed il re.
Mi ci vollero almeno due ore per controllarli tutti, ma in nessuno di essi comparve il nome di Mavis.
Andai all’indice, allora, per trovare la pagina dove iniziava il capitolo che mi mancava, e che avevo scartato perché giudicavo impossibile che un fratello avesse ucciso la sorella e la sua stessa nipote.
Dei, fate che non sia vero …
Purtroppo, però, lo era.
Poco dopo aver decapitato la prima Saphira, aveva fatto per raggiungere sua sorella.
Papà si era messo in mezzo, ma dopo un sanguinoso duello Morzan aveva avuto la meglio: aveva buttato papà per terra, raggiunto e disarmato Mavis e l’aveva trafitta al ventre, uccidendo lei e la piccola Katherine.
Era al nono mese.
Il parto era previsto per il giorno dopo, e Mavis aveva sentito la prima doglia poco prima di venire uccisa.
A quel punto, le lacrime che avevo versato prima tornarono, e in quantità più abbondante.
Io avevo perso mio figlio a causa di un nemico, e all’inizio della gravidanza.
Ma papà … la sua, di bambina, l’aveva persa appena prima che venisse al mondo, e per mano dello zio della piccola, una persona che si sarebbe dovuta prendere cura di lei.
Aveva perso sua figlia e sua moglie, per mano dello zio e fratello delle due.
Quante volte, quando era venuto a consolarmi, mi aveva detto che sapeva come mi sentivo, che il dolore non sarebbe mai scomparso ma col tempo leggermente affievolito …
E io l’avevo mandato via, chiusa nel mio dolore, convinta che fosse impossibile per lui capire come stessi.
Quando in realtà, aveva sofferto molto di più di me. Proprio appena prima che conoscesse la sua bambina, questa gli era stata strappata con una barbarie indicibile.
Probabilmente sapeva come stessi ben più di Audrey.
E capii anche perché mi volesse sempre tenere al sicuro, perché con me fosse molto più protettivo che con Alec: lui una figlia l’aveva già persa, a causa dei pericoli del mondo, e con lei la madre della piccola. Non solo, ma dopo quel trauma, c’era stato l’aborto di mamma.
In quel momento, ero l’unica figlia che gli fosse rimasta. Era ovvio che volesse proteggermi.
Spesso la mia balia, Jocelyn, mi raccontava che quando ero appena nata, per papà era praticamente impossibile lasciare la mia culla, e cacciava in malo modo chiunque gli dicesse di andare a riposare, o si proponesse di prendersi cura di me al suo posto. Aveva licenziato moltissime tate perché secondo lui non mi trattavano abbastanza bene, una l’aveva mandata via perché mi aveva messo il pannolino di cotone anziché di lino.
Ma ora che sapevo, mi era impossibile fargliene una colpa. Semmai, un vanto.
Tornai nella sua stanza per prendere le mie cose, e in un cassetto trovai persino dei soldi.
Ne presi una manciata, per comprarmi qualcosa da mangiare durante il viaggio.
Non avrei atteso il dopo pranzo. Sarei partita subito: sapevo che era in pensiero per me, e non avrei prolungato inutilmente la sua paura.
Non sarebbe stato giusto.
Perciò, uscii e sigillai la porta con la magia: nessuno aveva il diritto di entrare.
Uscii dal palazzo, e andai in una bottega poco distante, comprando focacce, frutta, acqua e vino per il viaggio.
Contattai poi Saphira, che si offrì di portarmi fino al porto: scoprii che la mia nave era stata riparata ed equipaggiata con un nuovo sartiame e delle nuove corde, oltre che una buona cassetta degli attrezzi.
Salii e misi nella stiva la borsa con il cibo, scoprendo che era già stata riempita con viveri.
Beh, meglio.
Tutto era pronto: mancava solo una cosa da fare, e di nuovo Saphira mi accompagnò.
Venti minuti dopo, ero di fronte alle tombe di Mavis e Katherine.
Usai un incantesimo per far comparire delle ghirlande di fiori magici su ciascuna delle tombe, poi pensai che forse era giusto dire qualcosa.
- Io … non è che sia molto brava con le parole. Anzi, non lo sono affatto … però … vi sono molto grata, perché anche se per un po’, avete reso mio padre molto felice … sono molto orgogliosa di portare i vostri nomi e così di tenere viva la vostra memoria, ora che so chi siete per mio padre e per la mia famiglia.
Mi sono chiusa molto a lungo nel mio dolore, senza immaginare che mio padre ne avesse vissuto uno peggiore. E credo che scoprirlo mi abbia fatto bene … perché se non ne è morto lui, non sarebbe giusto nei suoi confronti che lo facessi io. Lui è riuscito a rifarsi una vita, anche se siete costantemente nei suoi pensieri, come ha promesso, e spero di riuscirci anch’io. Katherine … tu sei mia sorella, la zia di mio figlio. Penso che affiderò a te la sua anima, dato che io non posso più occuparmi di lui. So che te ne prenderai cura come farei io, magari con il tuo aiuto, Mavis. Mia nonna si occupa già del mio, di nipotino, ma anche mio figlio ha bisogno di qualcuno che gli guardi le spalle lassù e gli insegni a comportarsi come si deve …

Ormai piangevo, ma non tutte le lacrime sono un male.
- Quindi te lo affido, e mi sento già meglio nel sapere che il piccolo è con una parte della sua famiglia … so che sarà amato e coccolato, che ci sarete voi a prendervi cura di lui. Ricordategli che la sua mamma e il suo papà lo amano con tutto il loro cuore, che questo non cambierà mai, che non verrà mai dimenticato. Anche se non sarà con noi, sarà comunque nostro figlio, e a badare a lui ci saranno due persone che fanno parte della mia famiglia quanto della sua. Ditegli che proteggerò, che proteggeremo i nostri futuri figli nel suo nome, e che loro sapranno di avere un fratello che li guarda, e che non è solo.
Prendetevi cura del mio piccolo, George Shepherd Kirk.
A quel punto, andai nel bosco e cercai una pietra abbastanza grande da poterci incidere sopra.
La piantai nel terreno accanto alle loro, e con la magia ci impressi il nome del mio pesciolino.
Aveva diritto ad una tomba, un luogo dove potessi andare per incontrarlo, un luogo che ne testimoniasse l’esistenza, anche se breve.
- Un giorno ci rivedremo, pesciolino mio. – sussurrai. – Ma ora devo tornare a casa. Verrò a trovarti, con il tuo papà. Ti voglio bene, amore mio.
Lasciai anche a lui una ghirlanda di fiori, per poi intagliare con la magia un piccolo cavaliere di legno. Lo bruciai, poi, così che gli sarebbe arrivato, ovunque fosse, e avrebbe avuto qualcosa con cui giocare.
Solo allora me ne andai, rimontando su Saphira, che mi riportò alla mia nave.
Salutai gli elfi, soprattutto Yaela, accettando il bouquet di fiori di campo che mi offrirono.
Poi, salii sulla mia nave, andando al timone.
Presi il mio cappello, posto sopra le carte, appoggiate sul tavolino lì a fianco, e mormorai le parole magiche che avrebbero sollevato l’ancora.
Qualche minuto dopo, il grecale soffiò nelle mie vele, e la nave partì, in direzione Nord Est.
Stavo tornando a casa.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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