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Autore: fandani03    05/01/2018    1 recensioni
[Starzinger]
[Starzinger]Kitty aveva capito, da sempre. Lo lasciava stare nei suoi pensieri, o gli si rivolgeva con molta delicatezza.
Il Professor Doggert, invece, lo incalzava di continuo con delle frasi ormai ricorrenti:
- “Coogh, accidenti, prova a fare un sorriso ogni tanto! Cosa direbbe Aurora se ti vedesse così??” – e la risposta era sempre la stessa, caustica.
- “La Principessa Aurora non è qui e non può vedermi…e io sorriderò quando avrò un motivo per farlo!” –
Un breve storia per provare a immaginare cosa è successo...dopo.
Per chi, come me (ma siamo in pochi temo) ha amato questa storia, devo dire che, nonostante i messaggi positivi e i grandi valori, la grande tristezza nel finale di quasi tutti i protagonisti mi è sempre rimasta indigesta...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5 - Combattere ancora

Fu semplice per Ian Coog liberarsi da quel mostro, seppure gigantesco, che gli era stato scagliato contro.
La sofisticata tecnologia che gli consentiva di astro trasformarsi rimaneva vincente. Quando avevano affrontato e sconfitto i regni di Lacet e Juma, il professor Doggert non aveva ancora inventato quei circuiti. La malefica Regina Lacet non conosceva, quindi, il suo potenziale. Certamente il mostro era molto potente ma non avrebbe potuto mettere Coog in serie difficoltà.
L’insidia maggiore che dovette affrontare, in quel breve ma intenso lasso di tempo trascorso dal suo arrivo sul Grande pianeta, si presentò quando riuscì a scovare la Regina del Cosmo, rendendosi contro che la stessa era avvolta da un orrendo mostro fatto di lunghi e tentacoli che rendevano troppo complesso, se non impossibile, distruggere il mostro senza danneggiare seriamente l’astronave. Sarebbe servito un diversivo, da solo non poteva farcela.
Se solo Gorgo e Hakka fossero stati lì per aiutarlo.
Era stato costretto a ripiegare, abbandonare l’astronave e allontanarsi dalla gigantesca piovra la quale, si accorse in quegli attimi, l’aveva riportato di colpo alle lunghe avventure affrontate insieme agli altri due cyborg, durante le quali avevano affrontato mostri e insidie di pari entità ma che credeva fossero, ad oggi, completamente scomparsi dall’universo.
Eppure sembrava che il tempo di combattere e lottare per sopravvivere non fosse ancora terminato davvero. Doveva tenere duro, non avrebbe mai smesso di combattere. Non poteva, non si sarebbe mai tirato indietro, una forza interiore lo avrebbe portato a lottare e lottare ancora. Sempre e solo per lei.

Ma come era riuscita, Lacet, a far risorgere tali creature?
Ricordava bene che nel palazzo dove si era recato una sola volta per liberare Aurora, era installato un potente computer. Forse il solo in grado di fronteggiare l’energia galattica con forze oscure di pari potenza.
Probabilmente quel computer non era stato distrutto come tutti loro avevano creduto. Forse grazie a quella mente sofisticata Lacet era sopravvissuta, e ora la proteggeva, la nascondeva, la celava e l’aveva aiutata a creare tutti quei mostri. Era la sola spiegazione plausibile.
Si decise a muoversi per tornare allo Star Crow, non aveva più senso nascondersi, gli serviva il suo velivolo per raggiungere Aurora al più presto.
Ma la sola cosa sensata era trovare quel dannato computer, Lacet stessa sarebbe caduta in pezzi se fosse riuscito a distruggerlo. Ma dove poteva essere?

Forse era reale, quel sussurro nella sua testa, quella voce che diceva Sto arrivando. Era certa di esserci riuscita, era certa che la sua forza fosse rinata e che Coog avesse ricevuto il suo messaggio, sperava solo che le indicazioni date fossero corrette. Era davvero rinchiusa in una grotta sotterranea della Luna del Grande Pianeta?
Sentì un groviglio di emozioni attanagliarle lo stomaco. Aveva paura, aveva fame, aveva sonno, era speranzosa che Coog sarebbe arrivato presto. Sapeva che era così, desiderava che così fosse. Che la salvasse, che la abbracciasse, che la portasse via da lì. Che la proteggesse, come aveva sempre fatto.
Ma fino ad allora doveva provare a cavarsela da sola.
Non c’era altro da fare, a quel punto, che tentare il tutto per tutto.
Lei sarebbe tornata, sarebbe tornata lì per infliggerle altro dolore. In quel momento la sola via sarebbe stata fingersi morta, utilizzando il potere che ora sentiva scorrerle dentro. Era, con ogni probabilità, il solo modo per uscire da lì.
E fu esattamente quel che accadde.

Molti giorni più tardi…Osservando il cielo rosa che si stagliava sereno di fronte a lei, Aurora si era finalmente resa conto di aver corso, probabilmente, il più grande pericolo mai affrontato e che non avrebbe potuto sopravvivere davvero se non fosse stata soccorsa al momento giusto.
Si strinse nelle spalle, percependo una leggera brezza di aria buona e pulita, il vento della normalità che finalmente stava scendendo su tutti loro, al quale faceva ad ogni modo molta fatica ad adattarsi. La sua vita non era mai stata normale. Neppure il luogo dove viveva in quel momento aveva alcunché di normale. Eppure osservandolo, osservando tutte le persone care che aveva innanzi a sé, non poté non provare un moto di gratitudine per aver vissuto, oltre ai pericoli corsi, infinite avventure che avevano portato tutti loro a quel punto, che l’avevano resa ciò che era.
Solo oggi, finalmente, si sentiva fiera di sé, della sua forza ritrovata. E ciò era stato possibile solo grazie al quel lungo viaggio, a quel doloroso distacco. E ora poteva godere, senza alcun ripianto o remora, di quanto la vita le stava restituendo. Finalmente si sentiva libera, libera di vivere, di amare, di sognare, si sentiva padrona di qualcosa che, fino a quel momento, aveva vissuto come un obbligo morale e incondizionato al quale doveva sottostare.
Incontrò i suoi occhi, per un solo attimo, e si accorse di non averli mai osservati a fondo, forse, come aveva fatto nei giorni appena trascorsi. Così forti e così intensi, così carichi di mille parole e mille emozioni, racchiuse in tanti silenzi che parlavano senza emettere suoni.
Il cuore si mosse impercettibilmente, questa ritrovata emozione la fece sentire nuova. Voleva viverla senza esitazione. Sapeva che il futuro avrebbe potuto riservare altre sorprese. Ma al momento era bello essere lì. Chiuse gli occhi per imprimere quell’attimo. Li riaprì e lui era sempre lì, il sorriso che si scambiarono fu colto da coloro che osservavano a distanza. Era il loro momento e niente poteva impedirlo.

 
Coog sapeva unicamente che non poteva perdere ulteriore tempo. Aurora era per certo sulla Luna del Grande Pianeta. Non sapeva se sarebbe riuscito a sconfiggere la Regina Lacet da solo, non riusciva ad impossessarsi della Regina del Cosmo ed ogni azione avesse scelto di compiere avrebbe potuto essere fatale per la Principessa.
Sapeva anche che la stessa Aurora non sarebbe mai rimasta con le mani in mano, d’altra parte era stata lei stessa, con grande coraggio, a liberarlo dalla cupola sulla Luna terrestre, nel mentre erano attaccati dai mostri spaziali.
Senza la sua collaborazione non sarebbero riusciti nell’impresa. Mettersi in contatto con lei era pressoché impossibile. Solo Aurora poteva farlo di sua iniziativa.
Quale poteva essere il nascondiglio di Lacet? Teneva la Principessa sulla Luna, ma era certo che lei stessa non si sarebbe mai rifugiata così lontana dal palazzo, dalle fonti di potere. La Regina Lacet voleva possedere l’energia galattica, da sempre, e allora…ma sì, certo, come poteva non averci pensato prima.
Non c’era altra spiegazione: il solo posto sensato dove poteva averlo collocato non poteva che essere il palazzo della Regina del Grande pianeta.
L’astronave era dotata, anch’essa, di sofisticati macchinari in grado di compiere, organizzare e prevedere situazioni di ogni tipo. Unire tutte queste tecnologie insieme avrebbe potuto aiutarla, ma per estrarre o rigenerare energia galattica non aveva altra scelta che recarsi alla fonte della stessa.
Era la sola cosa logica da fare. Era certo che anche Gorgo sarebbe giunto alla stessa conclusione e sarebbe stato d’accordo con lui.
Avrebbe voluto contattarlo, aveva bisogno del suo aiuto e del suo geniale intuito, ma non poteva farlo, sarebbe stato certo certamente intercettato. Non c’era stato tempo, era accaduto tutto così in fretta.
Era certo che, a questo punto, quel dannato marchingegno potente stava tentando di impossessarsi dell’energia galattica per trasformarla a piacimento della sua regina.
Iniziò a correre, forsennatamente, doveva provare ad entrare, era pericoloso ma non aveva scelta.
Quando si trovò davanti a quel passaggio, sul quel dirupo che lo separava dall’accesso al palazzo, come allora vide fuoriuscire quel raggio blu intenso che si fermò ai suoi piedi.
Qualcuno lo stava invitando ad entrare e non era certamente la Regina del Grande Pianeta.
Conosceva il rischio ma raccolse l’invito e iniziò a percorrere la passerella, stringendo i denti e il suo giavellotto astrale tra le mani.
Il raggio che lo colpì, una volta dentro, fu tanto fulmineo quanto prevedibile. Era pronto, sapeva che sarebbe stato attaccato e si difese.
Ciò che vide lo colse di sorpresa: il gigantesco computer era al centro della sala, quella sala così grande che quasi faticò ad rimanere in equilibrio.
L’occhio che lo contraddistingueva lanciò un forte raggio laser che lo colpì di striscio. Non esisteva luogo dove ripararsi, poteva solo contrattaccare.
- “Tuono astraleee!” – gridò indirizzando la sua arma. Ma, fulmineo, quel mostro tecnologico eresse, in un istante, una barriera impenetrabile. Una gigantesca bolla che lo circondava, dalla quale poteva continuare ad attaccare ma che non poteva essere penetrata.
Coog continuava a fare fuoco su quella pellicola sottile e indistruttibile, ma non riusciva neppure a scalfirla.
- “Dannazione, maledetto essere…” -
Sgranò gli occhi, era sotto assedio e non aveva altra scelta che allontanarsi in fretta. Un ultimo colpo fuoriuscito dall’occhio del laser lo colpì in pieno su una spalla, il dolore fu molto forte ma non cedette. Barcollando corse fuori e chiamò a gran voce lo Star Croow….

Era il momento, sentì i passi e capì che doveva rimanere concentrata.
Quella belva spietata provava piacere e divertimento nel farle del male. L’ultima volta, dopo la gamba rotta e il volto segnato, l’aveva lasciata tramortita a terra con una frustata elettrica.
Approfittando della penombra e della posizione supina, raccolse tutte le forze che sentiva circolare dentro di lei, il diadema sulla fronte cambiò colore. Stava chiamando a sé tutte le forze di energia galattica di cui era a conoscenza.  In questi mesi aveva compreso molto di quel grandioso potere, aveva potuto apprendere, affinare, accettare potenziale e rischi. Ma questa volta era di più, non aveva mai osato tanto. La vecchia Regina non glielo avrebbe mai permesso, ma non aveva scelta.
Sapeva che doveva controllarlo, dare a quella forza la giusta intenzione, oppure avrebbe potuto ucciderla.
Il mio cuore rallenterà, rallenterà così tanto che lei mi crederà morta.
Continuava a ripeterlo. E il suo capo, poggiato sulle braccia con faccia rivolta a terra, cominciò a produrre una enorme forza che sentì invaderla.
Un grande calore si diffuse dentro di lei, una scarica.
Dei forti brividi la scossero e un attimo dopo sentì solo silenzio. E tutto cessò.

Quella voce la chiamava ripetutamente, era come un’eco che proveniva da molto lontano.
- “Principessa Aurora, dovrai risvegliarti prima o poi, l’energia galattica dovrà essere mia, te l’ho detto. E succederà proprio oggi, tu dovrai darmela…
Ma per quale ragione non risponde? Sei molto stanca cara principessa? Ma…” -
Aurora si sentì toccare una spalla, si sentì capovolgere e strattonare.
Percepiva contatto e suoni, ma non sentiva dolore nè provava paura. Come se tutto questo lo stesse vivendo qualcun altro. Come se il suo corpo si fosse separato dal suo spirito che, invece, osservava a distanza.
- “Cosa sta succedendo, forza Aurora, svegliati…” -
La voce ovattata e lontana risuonava nella sua testa. Si sentì schiaffeggiare. Non reagiva.
Quel dito sul collo la fece rabbrividire, dopodiché percepì nettamente la reazione attonita del suo nemico. Si era paralizzato, aveva compreso. Era incredibile, l’aveva ingannata davvero.
- “Non è possibile, non può essere vero… sei morta.” - gli occhi vitrei della Regina Lacet si impadronirono dell’oscurità di quel tetro luogo.
Prese la giovane e inerte Principessa tra le sue braccia e la sollevò. Era un peso morto, le braccia ciondolanti che cadevano col favore della forza di gravità. Non aveva reazioni, non respirava, il colore del suo viso era cambiato.
Uscì da quell’antro, voleva portarla sul Grande Pianeta, ma per farlo doveva trasportarla con una navicella che non era adatta a due persone.
La depositò a terra. La osservava e ciò che provava era un misto di rabbia, frustrazione e preoccupazione. Non doveva morire, le serviva, aveva bisogno di lei per diventare regina. Ma il fatto che avesse sofferto le provocava piacere, non poteva contenersi. Non riuscì a contenersi, tanto da scoppiare in un’orrida risata che risuonò al punto tale da raggiungere le orecchie di Coogh.

Pochi minuti prima, raggiunto lo Star Crow, Coog aveva ricevuto un messaggio dalla dottoressa Kitty: non riusciamo più a percepire il segnale dell’energia vitale di Aurora. Coog, fa’ presto!
Il panico l’aveva assalito. Era ferito e i problemi alla spalla non gli facilitavano le cose.
Era atterrato sulla Luna, non sapeva cosa cercare e dove, ma udì quel suono raccapricciante e sentì che poteva essere successo il peggio. Ricordava bene quella terrificante risata, quel mostro esisteva ancora, era viva e doveva fermarla. Pregò perché non fosse troppo tardi.
Scese dallo Star Crow ed iniziò a correre senza fermarsi. continuò a correre seguendo il suono di quella voce, di quella risata che lo attraeva come un maleficio. La vide e si fermò di colpo. Non si era accorta di lui, tanto era assorta nella sua malvagità, riversa sulla sua preda, non ancora sazia.
Finalmente capì di aver trovato la sua principessa. Vide la sua figura con chiarezza. Era distesa a terra, era immobile. Ma era troppo distante per vedere bene....Cosa le aveva fatto?
Quella bestia era lì accanto a lei. Rideva e sembrava compiacersi. Che fosse davvero troppo tardi?
Come fosse stato un umano, sentì il sangue fermarsi, sentì il suo corpo rabbrividire e le gambe fermarsi per qualche istante. Ma non poteva cedere allo sconforto.

Lacet continuava ad osservarla. Ad un tratto si chinò e le passò una mano sulla fronte, sul viso, era gelida. Ne ebbe la riprova. Era morta davvero. E la risata risuonò una volta ancora.
- “Aurora, mia povera principessa senza alcun regno, non saresti mai stata capace di svolgere il tuo compito come credevi. Tu sei una povera debole che non sa neppure cosa sia il vero potere, l’universo nelle tue mani sarebbe stato così vuoto e noioso. Loro hanno bisogno di me, tutto l’universo mi aspetta! Anche se sei morta sono certa che avrò comunque il tuo potere, il mio computer sta già lavorando per questo! Nessuno potrà più sconfiggermi. AH AH AH AH…!” - era in preda alla follia.

Coog udì quelle parole ma non riusciva a muoversi. I suoi occhi si inondarono di lacrime, non riuscì ad impedirlo. E, nello stesso istante, una scossa violenta percorse tutto il suo corpo. Una rabbia cieca lo stava assalendo. Non poteva essere morta, la parte razionale che cercava di riaffacciarsi, gli diceva che quel che vedeva non corrispondeva alla realtà. - "Lo so che non sei morta!" - si alzò di scatto, stava per scagliarsi contro il suo nemico ma una mano ferma sul suo braccio lo trattenne.
- “Fermati, Coog. Non è morta.”! -
Il cyborg si voltò e incrociò quello sguardo, quello che infinite volte lo aveva riportato alla calma e alla ragione nelle situazioni più estreme.
Dagli occhi non riuscì a nascondere paura e sofferenza. Ma per un attimo fu pervaso da una sensazione nuova che fece allentare la morsa di tensione da cui era stato avvolto. Era sollievo.
Un faticoso sorriso gli apparve sul volto.
- “Accidenti….ce l’hai fatta, finalmente…” -

 
  
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