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Autore: xjustlikelou    05/01/2018    0 recensioni
Harry aveva sempre creduto di doversi mostrare forte davanti al pubblico. Quando, però, il suo cuore cede e le lacrime cominciano a cadergli calde sulle guance, scopre che nulla è come se lo era immaginato, e che ci sarà sempre qualcuno pronto a farlo sentire a casa.
Dal testo:
"Chissà quanti anni aveva Louis. Chissà che canzone avrebbe cantato. Era davvero come se lo stava immaginando nella sua testa? Arrossì e abbassò la testa, cercando di eliminarlo dai suoi pensieri. Non poteva pensare a lui adesso, aveva una audizione da fare ed era importante per lui che andasse bene. Il suo stomaco però continuava a contorcersi e le sue guance diventavano sempre più rosse mentre pensava all’incontro appena avvenuto. Che gli stava succedendo? Si sentiva felice."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Harry si stava lavando le mani per la decima volta quella mattina. Non era un tipo che sudava quando era agitato, ma forse perché non lo era mai stato tanto come in quel momento. Si guardò allo specchio sporco che era appeso sopra al lavandino e vide il suo viso, stanco e teso. Alzarsi quella mattina era stato più difficile del solito, e non lo avrebbe nemmeno fatto se sua madre non fosse venuta in camera sua e non lo avesse praticamente obbligato, tirandogli via le coperte. Non si sentiva ancora benissimo: erano due o tre giorni che aveva l’influenza e, sebbene stesse un po’ meglio, aveva capito che non si era ancora ripreso totalmente. L’ansia per quella audizione era tale che aveva dormito molto male quella notte, e le sue occhiaie blu marcate non facevano altro che ricordarglielo in quel momento. Fece un respiro profondo e cercò almeno di allentare la tensione che stava facendo a pezzi i suoi nervi. Continuava a tenere le mani sotto il getto d’acqua fresca e intanto pensava a come avrebbe reagito se si fosse bloccato o avesse stonato sul palco. Probabilmente sarebbe scoppiato a piangere e sarebbe tornato a casa con la consapevolezza di aver bruciato quell’occasione unica. Cercò di eliminare questi pensieri e si fece forza, promettendosi di essere il più coraggioso possibile e di provare a dare il meglio di se stesso. Sarebbe andata come doveva andare, e niente sarebbe cambiato nella sua vita di tutti i giorni. Se avesse fallito, sarebbe tornato a scuola il giorno dopo, avrebbe continuato a fare i suoi compiti e avrebbe proseguito negli studi, avrebbe continuato ad essere semplicemente il cantante della sua piccola band di paese. Il pensiero della sua vita normale non gli sembrava ora tanto male, ma sapeva di aver desiderato quella audizione per anni e ora stava per avere l’occasione di mostrare a tutti quello che sapeva fare. Chiuse il rubinetto dell’acqua e sbatté le mani in aria per far cadere le gocce d’acqua, infine se le asciugò sui pantaloni e si incamminò verso l’uscita del bagno. C’erano altri ragazzi che, come lui, si davano una rinfrescata, mentre altri parlottavano fra loro, discutendo su quale dei giudici fosse il più severo. Decise di non dare loro ascolto e continuò a camminare, sistemandosi i suoi capelli ricci con il solito gesto che faceva sempre. Era oramai diventata una abitudine scompigliarli con entrambe le mani e poi aggiustare il ciuffo, giusto per non lasciarlo penzolare davanti agli occhi e non vedere nulla. Neanche il tempo di alzare il viso che andò a sbattere contro una figura appena più alta di lui. Che sbadato che era, e che imbarazzo. Non riusciva nemmeno a camminare senza fare danni e andare addosso alla gente.
“Oops…” - disse imbarazzato, arrossendo e guardando per la prima volta in faccia la persona contro la quale aveva letteralmente sbattuto.
“Ciao!” - rispose un ragazzo che sembrava avere solo qualche anno in più di lui.
“Scusami, non ti avevo visto” – Harry gli sorrise mentre faceva un passo indietro, allontanandosi di qualche centimetro da lui. La prima cosa che Harry aveva notato di lui erano stati gli occhi, che brillavano a causa delle luci blu artificiali del bagno in cui si trovavano. Non c’era irritazione nei suoi occhi, né fastidio o nervoso per quanto era appena accaduto. Harry riusciva a vederci solo serenità e sentiva che si trattava di una di quelle persone che ti fanno stare bene e che sono perfette per essere ammirate semplicemente per quello che sono. Gli aveva sorriso subito, e da quel momento in poi ad Harry era stato chiaro che quel ragazzo era la persona giusta con cui condividere tutto, gioie e dolori di un’adolescenza che sembra sempre il periodo più duro da affrontare, ma che spesso proprio per questo è il più bello.
“No, guarda, la prossima volta non ti perdono, eh – disse ridendo e porse la mano ad Harry, che lo guardava con una espressione che era un mix di preoccupazione e divertimento, perché non capiva se stesse scherzando oppure no.
“Io sono Louis, piacere” – continuò sorridendo.
“Piacere di conoscerti, io sono Harry”- rispose sollevato il ragazzo. Strinse la sua mano e si girò per uscire dal bagno. Prima di farlo, però, si rivolse ancora una volta a Louis.
“Louis, devi fare anche tu l’audizione oggi?” - chiese timidamente.
“Eh già, siamo sulla stessa barca amico.” – rispose l’altro avvicinandosi al lavandino.
“Buona fortuna allora” – continuò Harry.
“Anche a te, ci vediamo dopo le audizioni!” -  Louis concluse così la loro prima conversazione. Harry uscì dal bagno e si fermò un attimo sulla soglia sorridendo per quanto era appena successo. Aveva scambiato solo qualche parola con Louis, ma gli sembrava di conoscerlo da una vita e soprattutto si sentiva a suo agio con lui come non si sentiva con nessuno da molto tempo. Gli sembrava inoltre di averlo già visto da qualche parte, come se non fosse la prima volta che i loro occhi si incontravano. Non diede peso a questi pensieri e riprese a camminare verso il salone grande dove sua madre, sua sorella e centinaia di altre persone sedevano in attesa di essere chiamate per la loro audizione. Quando arrivò, Gemma, sua sorella, gli chiese se andava tutto bene e lo canzonò un po’ per averci messo così tanto in bagno, ma soprattutto per esserci andato per la decima volta in una mattina. I pensieri di Harry, però, non erano lì con lei e le rispose assente. Chissà quanti anni aveva Louis. Chissà che canzone avrebbe cantato. Era davvero come se lo stava immaginando nella sua testa? Arrossì e abbassò la testa, cercando di eliminarlo dai suoi pensieri. Non poteva pensare a lui adesso, aveva una audizione da fare ed era importante per lui che andasse bene. Il suo stomaco però continuava a contorcersi e le sue guance diventavano sempre più rosse mentre pensava all’incontro appena avvenuto. Che gli stava succedendo? Si sentiva felice.
 
Harry aveva smesso di cantare e aveva lo sguardo fisso sulle assi di legno del palco dove si trovava. La musica aveva continuato per un po’ anche quando la sua voce era mancata, sostituita temporaneamente dalle ragazze della band. Anche loro, però, ora si erano fermate e stavano ferme ad aspettare che lui dicesse o facesse qualcosa, o almeno desse delle spiegazioni. Loro, in realtà, avevano già capito tutto senza il bisogno di dire nulla e si guardavano l’un l’altra sconsolate. Harry teneva con la mano destra il microfono inserito nell’asta, mentre il ciuffo gli ricadeva sulla fronte abbassata. Aveva cantato, ballato, e si era scatenato per tutta la sera come faceva sempre durante i suoi concerti, un po’ perché amava lasciarsi andare, un po’ perché ne aveva bisogno per non pensare a tutto il resto, alla situazione che stava vivendo oramai da anni e che lo aveva distrutto come persona e lo aveva fatto crescere come artista mondiale. Il groppo nella sua gola si era fatto sempre più difficile da mandare giù, e quando la sua voce aveva tremato e si era rifiutata di continuare a uscire, Harry aveva abbassato il viso per non vedere il pubblico e tentare di chiudersi un po’ nel suo piccolo mondo di dolore. Le lacrime calde avevano iniziato a uscire e gli colavano sulle guance per poi ricadere sulle sue scarpe e sul palco. Aveva contratto la mascella come faceva sempre quando piangeva, e gli spasmi si notavano anche da fuori, tanto che si costrinse ad aprire la bocca per riprendere il fiato che iniziava a mancargli. Singhiozzava davanti ad un pubblico ammutolito. Harry piangeva, nonostante si fosse ripromesso di essere forte e di non lasciarsi andare. Piangeva a quel ricordo che una volta era il suo preferito, perché era stato il primo dei tanti con l’unica persona capace di amarlo davvero. Ma ora era troppo per lui, non riusciva più a reggere il dolore che provava nel suo cuore, e la sua mente si rifiutava di collaborare e aiutare. Strinse gli occhi facendo cadere altre lacrime e si asciugò il viso con la mano sinistra e la manica del completo fiorito che aveva indosso. Aveva scritto le canzoni del suo primo album da solista mettendoci dentro tutta la sofferenza che provava e le sensazioni date dalle sue esperienze personali. Aveva temuto che fosse troppo drammatico, che il produttore gli dicesse che era troppo triste per cominciare una nuova carriera da solista, ma per fortuna non era stato così. Gli aveva semplicemente detto che aveva apprezzato molto ciò che Harry aveva scritto e che lo avrebbe supportato in tutto il percorso di pubblicazione e promozione. Gli era grato perché non aveva fatto domande scomode riguardo ai testi delle canzoni, si era limitato ad annuire semplicemente quando Harry aveva detto una sera alla band che non ne avrebbe voluto parlare. In quel periodo stava peggio del solito. Ad ogni concerto cercava di non pensare ai testi delle canzoni che stava cantando, cercava di non farsi sopraffare dalle emozioni e di andare avanti, ma non era sempre così facile. La situazione con Louis era peggiorata nell’ultimo periodo, ed erano arrivati addirittura a non sentirsi più per settimane. Harry passava le notti a piangere stringendo l’unica sua felpa che gli era rimasta, e sapeva che Louis soffriva nello stesso modo, anche se si ostinava a non volerlo ammettere e tentava di nasconderglielo affermando che semplicemente tutto andava bene, che era tutto okay e che non aveva più bisogno di lui. Mentiva spudoratamente: Harry distingueva chiaramente le emozioni che faticava a nascondere durante le rare telefonate che si scambiavano, quando la sua voce si incrinava o tossiva per non mettersi a piangere. Lui vedeva le notti insonni sul suo viso quando nuove foto scattate dai paparazzi uscivano su internet o sui giornali. Vedeva i suoi occhi infossati e rossi di chi ha appena pianto come un disperato ma non può permettersi di farlo vedere agli altri. Louis si ostinava a dire che stava bene, ma non era vero. Forse per orgoglio, forse perché non erano mai stati abituati a parlare molto all’altro delle emozioni che provavano, forse perché erano entrambi talmente tanto testardi che preferivano mentirsi a vicenda piuttosto che ammettere la verità, ammettere che avevano sbagliato entrambi e che era giunto il momento di scusarsi per gli errori madornali che avevano commesso. L’ultima volta che si erano parlati di persona aveva alzato la voce. Ad Harry non piaceva farlo, anche perché era una di quelle persone che dopo averlo fatto scoppiano a piangere per la troppa tensione accumulata. Al contrario di Louis, che invece reprimeva tutto per sembrare forte. Louis lo aveva raggiunto al suo hotel, qualche mese prima, dopo avergli scritto che aveva bisogno di parlare con lui. Quando era arrivato, si erano semplicemente seduti sul bordo del letto, in silenzio, senza dire nulla. Harry odiava quella quiete, la odiava con tutto il suo cuore. Tutti ritengono il silenzio migliore delle urla, ma a lui faceva impazzire, lo considerava talmente sopravvalutato che avrebbe cominciato a dire cose che nemmeno pensava piuttosto che continuare a stare in quella situazione. Non sapeva cosa stesse passando nella mente di quel ragazzo che era una volta la persona con cui parlare della giornata appena trascorsa alla sera, nel letto, prima di addormentarsi, mentre ora sembrava solo una delle tante persone fredde e chiuse in sé che si incontrano per strada. Louis aveva iniziato a parlare piano, con il suo tono calmo, e gli aveva detto che non riusciva più a sopportare quella situazione. Gli aveva detto che continuare a parlargli lo faceva stare male, che non trovava più un senso nel rapporto che si ostinavano a voler tenere per non sprofondare negli abissi del dolore più profondo. Erano ancora l’uno l’unica certezza dell’altro, quella persona che chiamavano quando succedeva qualcosa o avevano bisogno di sfogarsi. Harry aveva sempre pensato che quando due persone si lasciano, la cosa finisse lì, sul momento. Con Louis, però, si era reso conto che le relazioni, quelle forti, quelle dove dai il cuore in mano all’altra persona e le dici con il sorriso di farci quello che vuole, non finiscono in un instante, ma sono fatte di litigate, pianti e conversazioni che vanno avanti anche per mesi. E così era stato per loro. Si erano lasciati tempo prima, ma fino a quel momento il loro rapporto non era cambiato più di tanto. Avevano solo smesso di baciarsi, di fare l’amore nel loro letto e di stringersi come se ne andasse della loro vita. Si amavano da lontano, osservando i cambiamenti dell’altro e sorridendo ad ogni piccola conquista. Quel giorno, però, Louis aveva voluto mettere fine anche a quella situazione, perché era diventata insostenibile per lui. Dover pensare a gestire le apparizioni con Briana, al bambino, ad Eleanor, alla sua famiglia, alle sue sorelline, alla musica che stava scrivendo, alle interviste, ai video, alla sua casa e al suo cane, alle uscite pubbliche e a tutto il resto era già difficile. Non riusciva più a fare tutto questo con un peso sul petto e le lacrime negli occhi ogni volta che pensava ad Harry e a quello che li aveva portati ad allontanarsi. Louis lo amava ancora, lo sapeva, ma piuttosto che stare in quel modo aveva deciso di mettere fine a tutto. Quella sera, seduto sul letto dell’hotel, aveva chiesto ad Harry di avere pietà di lui, del suo cuore, e di lasciarlo andare. Parole colme di dolore dette con voce spezzata. Harry non aveva risposto subito. Aveva solo abbassato il viso e si osservava le mani cercando di non piangere. Louis aveva sospirato, poi si era alzato e si era diretto verso la porta della camera. Harry lo aveva guardato e “Louis, non te ne andare” gli aveva detto con voce tremante, facendo cadere le lacrime che gli avevano appannato la vista fino a qualche momento prima.
“Harry è meglio così per entrambi. Non possiamo continuare a stare male in questo modo. Nessuno dei due lo merita. Non potrò mai dimenticare tutto quello che abbiamo avuto assieme, non voglio farlo e non lo farò. Forse non è semplicemente il momento giusto per noi, forse un giorno staremo assieme e ci ameremo alla luce del sole come abbiamo sempre meritato, ma non posso permettere che continuiamo a soffrire così fino ad allora.. Mi dispiace Harry…” aveva risposto Louis debolmente, asciugando in fretta una lacrima che gli era caduta sulla guancia. Si era girato verso la porta ed era uscito, senza dire più nulla, cercando di fare più piano possibile, come se non volesse rompere definitivamente gli specchi incrinati che erano dentro di lui. Harry si era alzato, aveva riaperto la porta e aveva fatto qualche passo nel corridoio, cercando di ingoiare quel groppo che gli aveva impedito di parlare fino a quel momento.
“Louis non puoi rinunciare a tutto! Non puoi semplicemente ignorare me e quello che provi! Louis!” aveva urlato per farsi sentire, con il tono di voce più disperato che avesse mai sentito uscire dalla propria bocca. “Louis, fermati!” aveva continuato, ma l’altro non si era più girato. Si era imposto di continuare a camminare, perché se fosse tornato indietro sapeva benissimo che la situazione non sarebbe cambiata, che sarebbe andato a finire fra le braccia di Harry e si sarebbe reso conto di quanto amasse in realtà ancora quel ragazzo.
Harry pensava a tutto questo sul palco. I ricordi gli passavano come immagini veloci davanti agli occhi che teneva ancora serrati e sapeva che non sarebbe riuscito a smettere di piangere tanto facilmente. La sua mano ancora stretta attorno al microfono, i capelli attaccati alla sua fronte sudata. Era ancora immerso nei suoi pensieri, nel suo dolore, quando sentì una voce timida partire dalle prime file. Era una voce femminile, bassa, insicura, alla quale piano piano si aggiunsero altre due, dieci, cinquanta, trecento, duemila voci, fino a quando l’intero pubblico iniziò a cantare con calma, senza urlare, senza grida isteriche.
“I was stumbling, looking in the dark
With an empty heart
But you say you feel the same
Could we ever be enough?
Baby we could be enough…”
Harry alzò il viso, non preoccupandosi più di non farsi vedere mentre piangeva. Ora gli sembrava solo una cosa superficiale. Era umano anche lui, anche lui piangeva, anche lui stava male, e non gli sembrava più sbagliato mostrarlo in pubblico. Singhiozzava e le lacrime salate continuavano a scendere sui suoi zigomi, sulle guance e colavano poi sul mento. Tutto quello che riusciva a vedere era che tutto il pubblico non aveva più il cellulare in mano: nessuno stava registrando, nessuno teneva le mani in alto, nessuno scattava foto con flash fastidiosi, nessuno urlava per attirare la sua attenzione. Vedeva ragazze, ma anche ragazzi, di ogni età che si tenevano per mano, stringendosi forte anche se non si conoscevano. Vide che tutti lo stavano guardando, ma con uno sguardo diverso dal solito. Come se per la prima volta non lo stessero guardando da fan, ma da persone che vogliono farti capire che loro ci sono sempre, come quegli amici ai quali non serve spiegare tutto a parole per ricevere conforto. Alcuni sorridevano debolmente mentre non accennavano a voler smettere di cantare.
“And it's alright
Calling out for somebody to hold tonight…”
Il tono era basso e stavano andando più piano di quanto fosse la canzone in realtà. Harry non reagì all’inizio: rimase semplicemente lì a guardare quelle facce che in quel momento gli sembravano così familiari. Si mise ad ascoltare le loro voci che creavano una melodia meravigliosa. Erano deboli singolarmente, ma messe tutte assieme diventavano forti, potenti, come se sprigionassero un calore tiepido che entra nel cuore e lenisce i dolori. Cantavano “Home”, la canzone che - oramai tutti lo sapevano- Louis aveva scritto per lui anni prima. Harry smise di piangere, si asciugò il viso ancora una volta con la manica del suo completo che era diventata oramai zuppa e si inginocchiò vicino al bordo del palco, dove due ragazze gli tendevano la mano. Prese le loro mani, e loro subito iniziarono a stringere le sue sorridendo. Non erano felici, non era un sorriso di gioia, ma nei loro visi scorse comprensione, empatia, accettazione.
“When you're lost, I'll find the way
I'll be your light
You'll never feel like you're alone…” continuarono guardandolo.
“I'll make this feel like home…” concluse Harry, aggiungendosi, con la voce ancora tremante, ma con un pallido sorriso sul volto. Non si era mai reso conto come in quel momento del sostegno che quelle persone sconosciute erano capaci di dare. Aveva sempre pensato che amassero la sua musica, la sua voce, magari anche il suo personaggio, ma non aveva mai creduto possibile che riuscissero ad amarlo per quello che era, sbadato, fragile in un certo verso, troppo eccentrico nell’altro. Vide per la prima volta che nessuno lo stava giudicando, che nessuno lo avrebbe preso in giro per il suo essere semplicemente umano. In quel momento era solo un ragazzo fra i tanti, uno dei milioni che ogni giorno soffrono per amore e piangono tutte le loro lacrime pensando che non ci sia più speranza e che l’amore faccia solo soffrire, che non abbia un senso. Le voci si erano ora placate. Nessuno nel pubblico osava dire più nulla, tutti stavano in silenzio e aspettavano. Strinse per un’ultima volta le mani di quelle ragazze in prima fila, poi si fece forza e si rimise in piedi. Si avvicinò di nuovo al microfono e pose una mano sul suo petto, guardando più persone possibili nello stesso momento. Mimò un “grazie” che gli uscì dal cuore, con i muscoli delle gambe indolenziti per la tensione e le labbra ancora rosse dal pianto. Guardava il pubblico e non poteva fare a meno di continuare a dire grazie, perché per la prima volta in mesi si era sentito davvero di nuovo a casa.
 
 Ciao, io sono Chiara. Questa è la prima storia che scrivo. Fammi sapere se ti piace, ogni consiglio è sempre ben accetto! :)
 
  
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