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Autore: Persej Combe    06/01/2018    1 recensioni
Un giorno, tanto tempo fa, ho incontrato un bambino. Non lo dimenticherò mai. È stato il giorno più emozionante di tutta la mia vita. Nessuno potrà mai avere la stessa esperienza che ho avuto con lui. Ciò che abbiamo visto, è precluso soltanto a noi.
...In realtà, non ricordo neanche il suo nome. Non ricordo nemmeno se ci siamo presentati, a dire il vero. Però non smetterò mai di cercarlo. Un giorno so che le nostre mani si uniranno di nuovo, come quella volta. Perché noi siamo destinati a risplendere insieme per l’eternità.

[Perfectworldshipping]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Serena
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
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25 . Una richiesta sussurrata tra i sedili di una macchina


 

   Nonostante ormai fosse cresciuto, i momenti in cui, nel mezzo della notte, il suono brusco del campanello riecheggiava nel silenzio della casa riuscivano ancora a insinuargli addosso una certa inquietudine.
   Così avvenne anche quella volta. Quindi, facendo finta di non aver sentito nulla e di non essersi neppure svegliato, si accucciò tra le coperte, stringendosi contro il cuscino, ascoltando il ticchettio dell’orologio appeso alla parete, sopra la scrivania colma di manuali impilati alla rinfusa, che aspettavano da qualche settimana di essere presi e letti e sottolineati e studiati di buona lena. Non si era neppure degnato di sfogliarli un minimo, si ricordò. Li aveva semplicemente presi dal Laboratorio e portati a casa. E ci stavano bene a casa, i libri.
   Mentre si riprometteva per l’ennesima volta che l’indomani ci si sarebbe messo sopra con il massimo della serietà, improvvisamente il campanello suonò un’altra volta.
   Rapidamente tornò a rannicchiarsi nel letto, in silenzio.
   Dunque non doveva essere un qualche ubriacone che si divertiva a premere i tasti del citofono così per sfizio, pensò. No, un secondo suono doveva significare che qualcosa era successo. Seguirono subito un terzo e poi rapidamente diversi trilli in successione. Qualcosa era successo, e doveva essere grave.
   Dal suo nascondiglio sentì un agitarsi dalla camera dei genitori, poi le pantofole di sua madre strascicarono lungo il pavimento del corridoio. La sentì mormorare qualcosa sull’orario e dopo qualche secondo una presenza più vigorosa si avvicinò, respingendola con gentilezza.
   «Lascia, lascia, cara, ci penso io».
   Era suo padre. Già lo percepiva mettersi ritto e impettito, con il viso contratto in una teatrale smorfia spazientita; incamerando aria nei polmoni e con voce grossa infatti disse: «Chi è?».
   Poi avvenne qualcosa di strano, perché tutto d’un tratto si fece incerto, come se fosse dispiaciuto di aver risposto con tanta veemenza. Il suo tono si era fatto basso, se ne riuscivano a cogliere solo alcune parole.
   «Mi scusi, a quest’ora? È così urgente?».
   Soltanto in quel momento il ragazzo si allungò a guardare l’orario e vide che erano appena le tre del mattino. Nello stesso momento, intanto che suo padre continuava in silenzio ad ascoltare quel che gli veniva detto alla cornetta, sua madre si affacciò in camera e lo chiamò.
   «Dexio», disse, controllando che fosse sveglio. Poi gli fece cenno di tirarsi in piedi e di avvicinarsi: «È il Professor Platan. Vuole parlarti un attimo», spiegò subito dopo.
   «Il Professore?» domandò sorpreso, poiché non era sicuro di aver compreso bene. Era piuttosto raro che egli si presentasse così tardi per chiedere il suo aiuto. Affrettò il passo finché non incrociò lo sguardo del padre, immerso in una pacata discussione con il suo maestro.
   «Sì, capisco. Ci mancherebbe altro, ormai sono anni che ha in tutela il nostro ragazzo. Ci affidiamo a lei, Professore. Basta che ce lo riporti presto, insomma. Ah, ecco, ecco Dexio. A lei, arrivederci».
   Quindi l’uomo si scansò e facendogli una pacca sulla spalla lasciò la cornetta al figlio. Il ragazzo la prese in mano e se l’avvicinò all’orecchio, rivolgendo ai genitori un gesto con le dita, in modo che lo lasciassero solo.
   «Professore,» iniziò, ma venne subito interrotto.
   «Dexio», lo sentì dire, estremamente serio al punto che per un attimo il sangue gli si gelò nelle vene, «Ascoltami. Mi dispiace disturbarti a quest’ora, ma ho bisogno di parlare con te».
   «È molto importante, vero?».
   «Estremamente. Ma non posso dilungarmi, adesso. Mettiti qualcosa ai piedi e scendi».
   «D’accordo, mi vesto e arrivo».
   «No, no, no, non c’è tempo per vestirsi! Scendi e basta. Je t’attends en bas. Fa’ presto».
   Dexio rimase per qualche secondo come stordito. Poi andò a infilare di fretta le pantofole e sulla porta salutò i genitori.
   «L’Holovox! Portatelo, Dexio», gli dissero però, prima che mettesse piede sul pianerottolo.
   Nel momento in cui aprì il portone ed ebbe sceso i gradini che davano sul marciapiede, vide sulla strada di fronte a sé la macchina del Professore con lo sportello del passeggero posteriore già aperto. Non gli servì nemmeno guardare il cenno che l’uomo gli stava facendo dal finestrino: senza dire una parola, entrò.
   Mentre Platan metteva in moto, Sina, dallo sguardo un po’ assonnato e seduta accanto al ragazzo, lo salutò. Gli prese la cintura di sicurezza e lo aiutò a legarsi. Dexio la ringraziò.
   Anche lei come lui era in pigiama. Sembrava che il Professore avesse una particolare urgenza. Dexio si sporse un po’ verso di lei, avvicinando le labbra al suo orecchio, spostandole una ciocca di capelli violacei.
   «Sina, tu sai cosa sta succedendo?» le chiese a bassa voce, per non farsi sentire dall’altro che guidava.
   «No», rispose, girandosi verso di lui e fissandolo negli occhi con un’espressione leggermente turbata, «Ma ho un brutto presagio. Non sembra anche a te che abbia uno sguardo piuttosto accigliato? Non prevedo nulla di buono».
   Detto questo, sospirò e allungò un braccio sul viso per stropicciarsi le palpebre contro la manica della camicia da notte. Il ragazzo restò ad osservarla in silenzio, intenerito da quel gesto.
   «Non so neppure quanto riuscirò a seguire di quello che dovrà dirci. Stavo dormendo della grossa, sai?».
   Dexio sorrise, immaginandosela a letto infagottata in mezzo alle lenzuola e con la bocca aperta che russava. La vide sbadigliare e ripetere lo stesso movimento di prima. Allora lasciò che poggiasse la testa sulla sua spalla e che potesse chiudere gli occhi per un po’.
   «Quando il Professore inizierà a parlare, ti sveglierò io. Stai pure, nel frattempo».
   Platan li vide dallo specchietto, accoccolati l’uno all’altra e un po’ appisolati. Gli venne da ripensare a Serena e a come anche lei si era acquattata contro di lui alla stazione. Quindi scosse la testa, sconsolato, e si disse di essere un pessimo Professore e di avere ancora parecchia strada da fare per arrivare a potersi definire davvero tale. Dopotutto, però, era perfettamente cosciente del fatto che si trattasse di una circostanza assolutamente singolare. In altri casi non avrebbe chiesto simili sacrifici.
   Il ticchettio della freccia risuonava tra le pareti dell’auto. Dopo un po’ Platan girò a sinistra e calò un silenzio colmo d’attesa. Dexio scrutò le strade che stavano percorrendo e la distesa dei lampioni che correvano al loro fianco. Provò a indovinare dove si stessero dirigendo. Eppure, si accorse dopo qualche minuto, sembrava che non ci fosse alcun criterio nel tragitto che Platan stava seguendo. L’unica cosa che in un certo senso gli pareva di capire, anche se gli era oscuro il motivo, era che voleva allontanarsi il più possibile da Piazza Rosa. Per il resto, ne era sicuro: non c’era una destinazione.
   «Professore, per caso Floette è scappato un’altra volta?» chiese, cercando di ottenere un indizio. Al solo udire quelle parole messe assieme, Sina aprì gli occhi di soprassalto e si sentì sveglia di colpo.
   Platan rise, inserendo di nuovo la freccia, poi con voce rassicurante rispose di no: «Floette è qui con me», disse, lasciando che il Pokémon Folletto facesse capolino dal sedile accanto a lui per salutare i due assistenti.
   Il semaforo in fondo alla strada da giallo divenne rosso, così la macchina rallentò fino a fermarsi. Platan allontanò le mani dal volante.
   «Adesso», disse, nel tono in cui si voglia fare una premessa ad un discorso importante «Datemi i vostri Holovox».
   Allungò un braccio verso i sedili posteriori e aspettò che glieli mettessero in mano. Sina e Dexio lo guardarono perplessi, ma poi, quando egli scuotendo le dita li incalzò, non se lo fecero ripetere di nuovo. Presero i loro dispositivi e glieli diedero.
   «Molto bene», fu quello che uscì dalla sua bocca dopo che li ebbe posati sulle gambe. Li spense e subito dopo cominciò a smontarli.
   «Professore, che sta facendo?» domandò Sina, leggermente alterata.
   «Ssst!» la zittì portandosi l’indice alle labbra. Le rivolse uno sguardo dallo specchietto retrovisore per farle intendere che doveva aspettare. Poi, dopo aver estratto le batterie, rimase ad armeggiare con qualche pulsante, infine disse a Floette che mettesse tutto nel cassetto davanti a sé.
   «Voi sapete dove vengono prodotti quelli?» chiese dopo essere ripartito.
   «Nei Laboratori Elisio, che domande!» risposero in coro i due.
   «Fino a qualche tempo fa non faceva altro che parlarne per quanto era orgoglioso del suo ragazzo, è ovvio che lo sappiamo», aggiunse prontamente Sina incrociando le braccia sul petto.
   «Beh… Sì, in effetti…», dovette ammettere Platan. Adorava parlare delle persone che amava, ma spesso non riusciva a rendersi conto quando era abbastanza. «Comunque», continuò riprendendo il filo del discorso «ora è arrivato il momento che io vi spieghi tutto. Non una parola di quello che sentirete dovrà uscire da questo posto, intesi? Ho dovuto manomettere i vostri Holovox per non rischiare che qualcuno ci spii. Ai Laboratori possono farlo».
   Non immaginavano nemmeno quali ripercussioni avrebbe potuto avere questo fattore, pensò Platan. Tuttavia, era certo che quando avrebbe finito di parlare, ci sarebbero ben arrivati da soli. Quante volte Elisio aveva dovuto rimproverarlo di non inviargli materiale troppo personale e di tenere via l’oggetto nei momenti più riservati: una volta carpiti i dati, ogni cosa diventava di dominio pubblico all’interno del suo gruppo. Lui stesso gli aveva mostrato come evitare simili inconvenienti.
   «Spiarci?» mormorò Dexio, accorgendosi che in quel momento il Professore non stava indossando il suo orologio.
   «Sì, Dexio. Ragazzi, adesso dovete ascoltarmi. Probabilmente, quello che vi dirò cambierà drasticamente la visione che avete di me: ne sono pienamente consapevole, ma è necessario che anche voi sappiate. Non posso tenervi all’oscuro di questa situazione più a lungo. Tuttavia, dovete giurarmi che manterrete il silenzio. Tra poco capirete perché. Ho bisogno del vostro aiuto».
   I due ragazzi erano confusi da tutte quelle parole. Mai prima di allora avevano visto il loro Professore tanto austero e serioso. Che cosa aveva loro nascosto? E da quanto tempo? Sina strinse le palpebre per il nervosismo, ma subito dopo, tenendo la mano di Dexio, giurò assieme a lui che dalle loro labbra non sarebbe uscita nemmeno una sillaba e che se anche la sua immagine che avevano a modello sarebbe cambiata, avrebbero continuato ad essergli fedeli. Platan annuì. Cercò di pensare a come iniziare il proprio discorso. Vide Floette appoggiato sul sedile vicino, che lo osservava con sguardo rassicurante. Allora prese un respiro profondo e iniziò a parlare.
   «Prima, mi avete chiesto di Floette. Ormai avrete capito che non si tratta di un esemplare comune. Soprattutto, c’è una cosa che non vi ho mai detto al riguardo. Avrete certamente notato come i suoi livelli di resistenza siano estremamente al di sopra rispetto alla norma. Non soltanto per quanto concerne la sua specie, ma anche per tutte le altre di cui ci prendiamo cura in Laboratorio. Ebbene, la cosa è molto semplice da spiegare, seppure detta così possa sembrare assurda: il Pokémon che avete davanti ai vostri occhi è immortale».
   «Che cosa?» sbottò Sina.
   «Ma come è possibile?» la seguì Dexio.
   «Sapevo che avreste reagito in questo modo. Ma vi prego di fidarvi di me. Non voglio confondervi le idee, perciò procederemo con calma. Ovviamente avrete bene in mente la storia dell’Arma Suprema. Su questo credo non ci sia molto da aggiungere. Ma che mi dite invece della storia dell’antico re, tanto affezionato al suo caro Pokémon morto in battaglia, al punto da costruire una macchina che fosse in grado di donargli una vita eterna, così che potessero rimanere insieme per sempre?».
   «Professore, vorrebbe forse dire che…?» tentò di ragionare Dexio.
   «Je n’y crois pas! Abbiamo avuto Floette con noi per così tanto tempo e non ci siamo mai resi conto di quanto potesse essere speciale!» esclamò Sina.
   «È per questo motivo che lei tiene molto a quel Pokémon, non è così?».
   «Sì, ragazzi, in parte è per questo motivo. E pensare che avete conosciuto anche l’antico re a cui apparteneva! Non so, però, se ve ne ricordiate».
   «Non si tratterà mica… di quel vecchio vagabondo che irruppe in Laboratorio insieme a Golurk?» chiese il ragazzo: all’improvviso gli era ritornato in mente l’atteggiamento insicuro e spaurito di Floette quando in quell’occasione era andato a recuperarlo per metterlo in salvo.
   Lo sguardo del Pokémon si rabbuiò per qualche istante.
   Platan sorrise soddisfatto, molto colpito nel constatare le ottime capacità d’osservazione del ragazzo e la sua acutezza. Negli ultimi tempi Dexio era maturato tanto e il Professore non poteva fare a meno che sentirsene fiero. Era felice di vedere come si stesse autonomamente delineando come un individuo sempre più chiaro, unico e spontaneo.
   «Proprio così, Dexio», disse dopo un po’ «Ma non è ancora questo il punto a cui voglio arrivare. Floette mi serviva soltanto per introdurvi l’argomento, per cui, ragazzi, rimettetevi composti e continuate a seguirmi. Ora: l’Arma Suprema potrebbe darvi l’idea di essere diventata ormai una leggenda, ma non è affatto così. Ricordate la relazione che scrissi sui monoliti intorno a Cromleburgo? E ricordate il giorno in cui Shana ci ha chiamati mentre Serena si stava battendo contro il Team Flare, esattamente in quel luogo? Ciò che è successo nel momento in cui le pietre hanno iniziato a brillare e una musica si è diffusa ovunque? Quello è stato il segno che l’Arma Suprema è stata riportata in funzione».
   I due assistenti rimasero sconvolti da quell’ultima affermazione. Eppure, avevano letto la relazione del Professore, se non tutta perlomeno a tratti, ed il senso di ciò che era accaduto quel giorno alla fine era stato abbastanza chiaro ad entrambi. Se le pietre avevano davvero assorbito l’energia liberata durante lo scontro tra Serena e gli scagnozzi del Team Flare, dunque doveva esserci per forza qualcosa che ne avesse incamerato la massa. E di cos’altro si sarebbe dovuto trattare se non dell’Arma Suprema? Un poco alla volta cominciarono a immaginare le conseguenze di un simile fatto e si ritrovarono terribilmente turbati. Sina ritrasse le dita nelle maniche della camicia da notte e strinse il tessuto con le mani, sforzandosi di calmare i propri timori. Dexio la fissò in silenzio, perso nelle sue stesse paure e non sapendo in che modo reagire.
   «Questo è assurdo! Chi mai potrebbe volere una cosa simile?» chiese, non riuscendosi a capacitare del fatto che qualcuno stesse realmente macchinando per riportare la stessa apocalisse che era giunta nel passato, «L’Arma Suprema ormai non ha più quella funzione per cui l’antico re di Kalos l’aveva originariamente costruita, perciò quello che scaturirebbe da essa non potrebbe che essere…».
   «Entra nel Team Flare e il tuo futuro è assicurato», disse brevemente Platan «Quale pensate che sia il significato di queste parole?».
   Accanto a loro passò una macchina con i finestrini abbassati e la musica a tutto volume, che penetrò con forza oltre i vetri dell’auto, riempiendo le orecchie dei due ragazzi che tuttavia non percepivano altro che un ronzio confuso e assordante. Mentre il Professore frenava per arrestarsi al semaforo successivo, dovette fermarsi accanto ad essa.
   «Ma lei, come fa a saperlo?», chiese a un tratto Sina, più che altro sconvolta dal modo, quasi a cuor leggero, in cui aveva assestato quel suggerimento.
   L’automobile al loro fianco era già ripartita. Nell’aria non vi era rimasto ormai che un eco lontano e astratto, che si faceva sempre più sordo e silenzioso man mano che la macchina si allontanava, disperdendosi tra i viottoli scuri e anonimi della città. Platan controllò il semaforo e riprese a muoversi, senza pronunciare parola.
   Il motore rombava. Le ruote traballavano mentre calpestavano il selciato di una strada rivolta verso la periferia.
   «Dopotutto, il Team Flare finora non ha mai chiarito quali siano i suoi obiettivi. Non sappiamo neppure chi vi sia a capo delle sue azioni. Le informazioni che abbiamo a nostra disposizione sono estremamente nebulose e frammentarie, quelle che possiamo fare, quelle che anche lei può fare adesso, non possono che essere supposizioni. Non c’è niente che sia stato accertato», continuò a fare pressione Sina, ma dal modo in cui parlava era chiaro che ormai si trovava completamente in balia dei sentimenti. I suoi occhi erano fin troppo limpidi, e Platan riusciva a vederli bene dal riflesso dello specchietto. Scorse anche la lacrima che la ragazza non aveva fatto in tempo a coprire, mentre scivolava rapida e agitata lungo la sua guancia, fino a gocciolare a terra dal mento.
   «Quelle informazioni a cui hai fatto riferimento, Sina, non le sappiamo perché, ora come ora, il Team Flare non può permettersi di rivelarle. Fidati, non può per nessuna ragione», spiegò il Professore addolcendo il proprio tono «Io… Capisco che tu sia spaventata. Io stesso lo sono stato per molto tempo. Ma non voglio più esserlo. Sina, non lasciare che le tue paure ti blocchino. Non nasconderti nel tuo bozzolo. In questo mondo non c’è nulla di cui tu debba avere paura, se puoi contare su te stessa».
   La ragazza lo ascoltò, tentando di imprimere nella propria mente ciò che stava dicendo, ma l’ansia che vibrava dentro il suo petto le impediva di comprenderne il senso e non riuscì nemmeno a tranquillizzarsi dell’affetto e della cura che il maestro stava cercando di rivolgerle per acquietarla. Quindi con uno scatto rabbioso rizzò la schiena e batté i pugni sulle gambe.
   «Non c’è nulla di cui io debba avere paura?!» gridò, con le lacrime agli occhi «Come può dire una cosa del genere! Che forse lei non abbia paura della morte? Che ne sarebbe allora di me, di quello che sono se io morissi? Tutti i miei sforzi, le mie fatiche, le mie speranze, quelle non conterebbero più nulla? A cosa servirebbe tutto ciò che ho fatto? E che ne sarebbe invece di quel che amo? Tutto ciò per cui avrei dedicato la mia vita… Non esisterebbe più niente! Niente!».
   Dexio la fissò, smarrito. Sina era sempre stata senza dubbio quella più emotiva tra loro due. Ma questo impeto nell’esporsi, che improvvisamente gli sembrava così estraneo, estremo, persino per una come lei, gli appariva stavolta uguale a quel terrore oscuro che gridava confusamente dentro di lui.
   In che modo avrebbe dovuto comportarsi? Cosa avrebbe dovuto fare lui, se si sentiva esattamente come lei?
   Platan parve esitare per dei lunghi attimi. Poi, le sue parole risuonarono severe e risolute, senza che ci potessero essere attenuanti o eufemismi: «Oh, Sina. Per quanto possa far paura, tutti quanti dobbiamo morire prima o poi, in qualunque caso. È nella natura delle cose. Non c’è nulla che possiamo fare per contrastarlo. Tanto vale farsene una ragione e vivere pienamente ogni singolo giorno che resta, senza sprecarne nemmeno un istante».
   Parole amare, dure. Eppure, corrispondevano alla verità più limpida. Non era forse così che era la vita? Incessantemente legata alla morte, insensata senza di essa. Nonostante una vita eterna potesse apparire ad un primo e disattento sguardo una vittoria su tale incontrollabile forza, ben presto si scopriva essere essa stessa una morte: ma senza dolore, silente, impalpabile. Questo pensò Floette, che tuttavia non aveva intenzione di inserirsi nel loro discorso, preferendo restare in disparte, un invisibile spettatore.
   «Lei però ancora non ha risposto alla sua domanda».
   Nel sollevare lo sguardo, Platan incontrò gli occhi maturi e seriosi del suo giovane assistente attraverso lo specchietto.
   «Come fa a sapere tutto questo?» parlò ancora il ragazzo.
   Giustamente, entrambi esigevano una risposta. Platan rallentò, si accostò ad un lato della strada: erano ormai in mezzo al nulla, lungo il principio di un sentiero che non era più città, ma neanche ancora Percorso. Quando si girò per rivolgersi al giovane, se lo ritrovò aggrappato con una mano al suo sedile e tutto il viso e il busto rivolti verso di lui, mentre fremeva d’impazienza al conoscere quella verità che per tanto tempo gli aveva tenuto nascosta.
 «Se è così certo di quello che sta dicendo, al punto da non ammettere dubbi o equivoci, allora deve per forza essere in contatto con quelli! Non è vero? O, altrimenti, trovarsi in una posizione di potere rispetto a loro!» continuò Dexio.
   Ci fu uno sguardo rabbioso, che venne pazientemente accolto da uno invece quasi mortificato, umile.
   Sina li osservò entrambi dal proprio posto, vide quei visi maschili venirsi impercettibilmente a sfiorare, come quando due Pokémon nel mezzo della lotta si scrutano nel momento più critico della battaglia e le sorti dello scontro si fanno crudelmente incerte, sospese.
   «È vero, Dexio», rispose Platan, sentendo il respiro del ragazzo soffiare nervosamente sul proprio volto «Non posso negare né l’una né l’altra cosa. Sono in contatto con loro. E, sebbene non occupi un ruolo all’interno del gruppo, la mia posizione di certo può comunque essere considerata rilevante».
   Dexio non riusciva a credere a ciò che aveva appena sentito. Quella era, a tutti gli effetti, un’ammissione di colpa. Confuso, istintivamente gli venne da alzare un braccio per colpirlo, mosso dalla frustrazione, ma si arrestò all’improvviso quando vide che il Professore stava già con una mano sollevata, pronto a bloccarlo, e vide anche la manica della camicia tirarsi, lasciandogli scoperto il polso nudo.
   In quel momento non stava indossando il suo orologio. Eppure, quell’orologio…
   Un fremito. Un brivido viscido lungo la schiena.
   Dexio capì.
   Si allontanò.
   «È lei…» mormorò Sina, in preda ormai alla confusione più totale.
   «Non lui, Sina!» la corresse, rimettendosi a sedere in silenzio, fissando sconvolto davanti a sé, sentendosi sempre più convinto di quel che aveva inteso.
   Ancora aveva incastonata nella mente l’immagine del suo insegnante col collo leggermente inclinato in una curva delicata oltre lo schienale del divano, il viso rivolto con desiderio verso quello dell’altro, in cerca delle sue labbra. Gli erano sembrati i personaggi di una scultura antica, protagonisti di qualche tragica storia d’amore. Ancora stava rimuginando sul perché prima di allora non si fosse mai accorto del sentimento che legava i due, eppure Sina aveva cercato di farglielo notare in tutti i modi possibili. Aveva ragione, lei. Aveva sempre avuto ragione. Tuttavia non poteva ignorare quel vago senso di perplessità al pensiero di ciò che aveva scoperto. Ora, in qualche modo, sapeva come spiegarsene il motivo.
   «Io l’ho sempre pensato che fra di voi ci fosse qualcosa che non andasse».
   La ragazza indugiò, studiando il profilo di Dexio e il suo atteggiamento mutato all’improvviso, non comprendendo immediatamente la verità che era appena stata svelata. Poi ricollegò le parole del giovane a qualche pensiero vago che le era tornato alla mente e allora intese, consapevole di aver trovato anche lei la risposta. Girò il viso verso il Professore e lo fissò smarrita, trattenendo il fiato.
   «Je n’y crois pas», sussurrò senza voce, e non ci fu bisogno che dicesse altro.
   Se la delusione o il sentimento provato conseguentemente al più infimo tradimento avessero una forma, questa corrisponderebbe senza alcun dubbio al volto di Sina. Platan sapeva della leggera riserva che Dexio nutriva nei confronti suoi e del compagno, ragion per cui non era rimasto poi troppo stupito da quell’uscita, seppur udirla in maniera tanto chiara ed esplicita fosse comunque in qualche modo fonte di un dolore non indifferente. Ma quegli occhi sbarrati, lucidi di lacrime nelle quali aveva temuto per un attimo di affogare, quasi vitrei, colmi di un terrore e di un’angoscia che non si potrebbero definire oggettivamente a parole, erano ciò che di più desolante avesse mai visto in vita sua, al punto che la profezia di Astra in confronto non era che un misero spauracchio, una fitta di poco conto, di quelle sciocche che passano presto. Si volse, deliberatamente evitando di posare lo sguardo sullo specchietto per tirarsi indietro da quella visione, perché non riusciva a fronteggiarla.
   «Sentite,» ritrovò il coraggio di parlare, ma solo dopo molti minuti «so che ciò che vi sto chiedendo non sarebbe altro che uno sforzo per voi e che non avrete più alcun motivo di sacrificarvi in questo modo per me dopo quello che è appena successo. Non mi aspetto che accettiate. Ma ho bisogno del vostro aiuto. Dobbiamo fermare Elisio a tutti i costi. Prima di diventare miei assistenti eravate due Fantallenatori* e sono certo che, unendo le vostre capacità di combattimento con le mie, insieme potremo farcela».
   Dexio si riscosse. Forse, dopotutto, non avrebbe dovuto dubitare delle intenzioni del suo Professore come stava facendo in quel momento, pensò. Quella aveva tutta l’aria di essere una vera richiesta d’aiuto. Non sarebbe venuto a cercarli a una così tarda ora, altrimenti. Non si sarebbe allontanato così tanto dalla città per parlargli. Non avrebbe manomesso i loro dispositivi, né si sarebbe tolto a cuor leggero l’orologio. Il Professore doveva essere disperato, e lo percepiva chiaramente nella rassegnazione che permeava le sue ultime parole. Probabilmente Dexio non avrebbe accolto la sua preghiera, almeno non così su due piedi, ma non si sarebbe neppure sentito di rifiutarla. Era una situazione complessa e necessitava di essere approfondita ancora, non poteva considerarsi chiusa dopo una semplice conversazione di quel tipo. Aveva bisogno di considerare con più attenzione tutte le possibilità che il caso presentava.
   «Da quanto tempo sta andando avanti questa storia? Da quanto lei sa?».
 Sina era improvvisamente riemersa con la sua voce dall’angolo buio del proprio sedile. Platan non poté trattenere un sospiro stanco, conscio delle proprie colpe.
   «Quasi fin dal primo momento. Perciò, potrei dire da sempre», rispose.
   Sina rivolse lo sguardo al finestrino, cercando di spingere la vista più lontano che poteva. Forse avrebbe voluto scappare e questa era l’unica cosa in quel momento che le avrebbe dato una parvenza di fuga.
   «E finora non ha mai parlato. Lei è stato accanto ad un terrorista per tutto questo tempo e non ha fatto nulla. Per di più pienamente consapevole della sua condizione».
   «Credimi, mi rendo conto che...».
   «Non riesco a capacitarmi di come due persone che consideravo impeccabili siano crollate in questa maniera! Come posso fidarmi ancora dopo una cosa simile? So di aver fatto un giuramento poco fa... Ma in questo momento non provo altro che dubbi, e la sua situazione è fin troppo compromessa perché io possa rimanerle fedele!».
   «Sina, aspetta, riflettici meglio!» cercò di bloccarla Dexio, afferrandole un braccio affinché lo ascoltasse.
   «No, Dexio, mi dispiace! Mi rifiuto di prendere parte a questa storia! Tu che sei una persona razionale dovresti capirmi».
   «Certo che ti capisco! Ma il Professore è stato sincero con noi, e non puoi negarlo. Avrebbe potuto benissimo continuare a far finta di nulla altrimenti, non credi?».
   La ragazza non rispose. Platan accolse il suo silenzio con rammarico, pur essendo grato a Dexio per aver cercato di mediare in qualche modo. Decise di rinunciare ai propri tentativi di coinvolgimento: dopotutto, non avrebbe permesso che i due assistenti a cui era più affezionato corressero un tale pericolo senza volerlo. Con gesto lento rimise in moto l’auto.
   «D’accordo, allora. Se è questo che avete deciso non mi opporrò in alcun modo. Scusatemi per il tempo che vi ho preso. Vi riporto a casa».
 
 
   Non appena le porte dell’ascensore si aprirono, Platan si trascinò verso lo studio. Prese le chiavi per aprire la porta ed entrando si tolse la giacca di dosso, lasciandola scivolare sul braccio. Restò fermo in mezzo alla stanza a rimuginare sulle discussioni varie che aveva avuto nel corso della giornata e sui cambiamenti che aveva deciso di affrontare così repentinamente, forse senza rifletterci con abbastanza criterio. Mentre pensava, si strofinò le palpebre col pollice e l’indice per dare un po’ di sollievo agli occhi affaticati che reclamavano il sonno e il riposo che però non poteva concedergli.
   Ad un tratto sentì qualcosa accarezzargli il dorso della mano. Abbassò le dita e vide i piccoli occhi neri di Floette che lo osservavano con compassione. Platan gli sorrise un po’ a fatica, poi lo sfiorò delicatamente in mezzo alle orecchie per ringraziarlo del suo supporto e si allontanò, gettando le proprie cose sulla scrivania. Recuperò soltanto l’Holovox che aveva lasciato prima di uscire per poter mandare un messaggio a Elisio e avvisarlo di essere tornato. Poi posò il dispositivo insieme al resto e si stiracchiò con uno sbadiglio.
   «Sei davvero sicuro di aver fatto la scelta giusta rivolgendoti a loro?».
   Platan sussultò all'improvviso. Nonostante fosse diventata una cosa ormai consueta dal momento in cui Elisio aveva riaperto la porta d'accesso all'Arma Suprema, ancora non si era abituato a sentire Floette parlargli. Nel corso di tremila anni il Pokémon aveva imparato il linguaggio degli esseri umani, ma aveva deciso di rivelarlo soltanto in quell'istante di pericolo, ed esclusivamente alle orecchie di Platan.
   La voce di Floette risuonava come un tintinnio di campanelli, fedele al suo verso naturale, talmente graziosa e argentina che era un piacere ascoltarla. Tuttavia nella sua intonazione vi era un che di remoto e lontano, saggio, come di una donna anziana che avesse vissuto per tanto tempo. Forse era questo che ancora sconvolgeva Platan di fronte a quel suono melodioso: quell’inflessione gli dava la sensazione di trovarsi al cospetto di qualcosa di intoccabile e solenne, che non poteva essere trattato come un semplice Pokémon qualsiasi.
   «Loro sono il mio braccio destro e il mio braccio sinistro. Sono un po’ parte di me e non avrei potuto lasciarli ancora indietro. Ma se non volessero aiutarmi, come credo che sia, allora agirò da solo e li proteggerò a tutti i costi. Solo, non so ancora in che modo», rispose.
   «Non arrovellarti troppo, adesso. Hai già fatto molto oggi», lo rassicurò il Pokémon, prendendo il camice dall’appendiabiti e cominciando a sistemarglielo sulle spalle. Platan infilò le braccia all’interno delle maniche arrotolando poi gli orli fin sui gomiti.
   «Tu, piuttosto: hai faticato abbastanza questa sera, è meglio che ti riposi. Anche se mi pare di vedere che ormai ti sia rimesso quasi del tutto», disse l’uomo prendendo gentilmente Floette tra le mani e portandolo verso il lato opposto dello studio: vicino al davanzale interno della finestra, dietro la sua scrivania, aveva fatto costruire una piccola culla per lui, così che potesse prendersene cura in seguito al suo malore e averlo sotto controllo costantemente.
   «È vero, però ci tenevo a venire con te! Quando mi hai raccontato di come ti sei sentito dopo aver parlato con Serena temevo che potessi fare qualcosa di azzardato. Non è stato così, per fortuna».
   Platan ridacchiò. Sapeva che Floette lo stava prendendo un po’ in giro, ma non poté fare a meno di pensare che qualche assurdità sarebbe ben stato capace di farla se non ci fosse stato lui a guidarlo tra le sue idee confuse dopo essere tornato da Temperopoli così infervorato per mettersi subito all’opera. Anche se non era riuscito a scoprire se Serena fosse una prescelta, dal loro incontro aveva comunque tratto un grande incoraggiamento.
   «Ascolta, Floette», disse mentre controllava che i suoi valori di salute fossero nella norma dal monitor incorporato nella culla «Anche tu sai di questa storia, non è vero? Per questo hai deciso di rivolgermi la parola».
   «La storia dei due fanciulli e dell’Arma Suprema? Certo. Mi è stata raccontata dai Pokémon Leggendari, ma essendo il loro un riposo lungo mille anni, non ho mai avuto l’occasione di chiedergli chi fossero questi due fanciulli. Nel giorno in cui ho incontrato te ed Elisio ho visto che il libro scritto dal fratello di AZ era nelle vostre mani. Dal modo in cui sembravate legati, ho capito che essi dovevate essere voi: col passare del tempo ne ho avuto di volta in volta maggiori conferme. Per questo ho deciso di restare. Non posso tollerare che si ripeta la stessa vicenda accaduta tremila anni fa e, se potessi contribuire almeno un minimo, vorrei offrirti il mio aiuto».
   Il Professore annuì. Gli diede un’ultima carezza per incitarlo a prendere sonno mentre si stringeva al suo fiore dalle tinte purpuree, poi con voce bassa sussurrò: «Ti ringrazio di cuore Floette, il tuo aiuto mi sarà certamente utile. Adesso però chiudi gli occhi e riposa. Io ho ancora da lavorare, ma resterò sempre qui al tuo fianco».
 
 
   Nonostante fossero ormai passati diversi anni, Elisio trovava ancora piacevole affacciarsi alla finestra di quel vecchio appartamento: l’aveva comprato nel periodo in cui aveva deciso di mettersi in proprio, ai piani superiori di quella che poi sarebbe diventata la caffetteria, in modo da poter seguire meglio i lavori di ristrutturazione del locale e successivamente gli affari.
   Ormai non ci trascorreva più molto tempo, e alcune stanze erano anche state sacrificate per far posto agli ambienti dei Laboratori, tuttavia aveva deciso di mantenere intatto lo studiolo. Nei momenti di pausa gli piaceva rimanerci qualche minuto dentro, per ricordarsi da dove era partito e notare con maggiore evidenza i progressi che aveva compiuto nel corso degli anni.
   Bussarono alla porta. Elisio si girò e sulla soglia vide Xante con in mano un plico particolarmente voluminoso di fogli. Lo invitò ad entrare, ma continuò a tenere lo sguardo fisso di fuori, verso il viale gremito di turisti impazienti di arrivare agli ingressi della Torre Prisma.
   «Elisio, è piuttosto urgente. Ti pregerei di prestarmi attenzione».
   «Non temere, Xante. Ti ascolto».
   L’uomo sbuffò stancamente, strofinando le lenti degli occhiali contro un lembo della maglia. Poi diede l’ennesima letta alle cifre scritte sui fogli e spiegò: «Abbiamo stilato un bilancio delle entrate e delle uscite. Elisio, non siamo più in grado di favorire l’ingresso gratuito alle nuove reclute che vogliano unirsi alla nostra organizzazione. Siamo a corto di fondi per mandare avanti i lavori, dovremo stabilire una tassa d’iscrizione per i nuovi membri».
   «Come? No, non è possibile. Fammi vedere», disse, allontanandosi dalla finestra e facendosi dare il plico. Controllò i valori e le voci a cui si riferivano. Tra le spese c’era una somma particolarmente ingente, versata a suo nome, tuttavia non era stata devoluta allo svolgimento delle attività dell’organizzazione, né ai Laboratori, ma ad un terzo nome. Certamente, gli sarebbe risultata di grande aiuto se avessero potuto utilizzarla per i propri scopi, eppure Elisio pensò che, anche in quella situazione precaria, sarebbe stato ben disposto a ripetere nuovamente il gesto, se ce ne fosse stato il bisogno.
   «Per il contributo che saremo costretti a stabilire, abbiamo stimato una cifra di circa cinque milioni. Elisio, tutto questo non sarebbe successo se non ti fossi inutilmente prodigato per la restaurazione del Laboratorio Pokémon dopo l’incidente con quel Golurk. Il Professor Platan avrebbe potuto trovare finanziamenti altrove, non c’era bisogno che ti esponessi. Avresti dovuto rifletterci meglio».
   Xante lo guardò con un’espressione dura, quasi a volerlo rimproverare. Eppure quel modo di fare sembrò non avere alcuna conseguenza, perché Elisio lasciò semplicemente i fogli sulla scrivania e tornò ad appoggiarsi al davanzale della finestra.
   «E sia», disse, dopo un lungo silenzio in cui era rimasto a rimuginare su come muovere i passi successivi, tenendo a mente le difficoltà appena sorte «Se ritenete che non ci sia altra maniera di risollevare la situazione, allora agiremo così. Dopotutto, un sacrificio per assicurarsi un futuro migliore mi pare più che lecito».
   «Spero solo che tu ti renda conto del fatto che sia per causa tua se siamo costretti a prendere tali misure. E questo implica che, in futuro, dovrai assumerti tu personalmente la responsabilità dei problemi che dovessero sorgere per questa tua mancanza. Se il Professore…».
   «Basta così, Xante», lo bloccò «Sono consapevole dei miei errori e del danno che ho arrecato. Ma è l’unico modo in cui possa ancora fare qualcosa per Platan, per aiutarlo e mostrargli il mio affetto, averlo vicino ancora un po’ prima di abbandonarlo per sempre. Espormi in questa maniera nei suoi confronti è il minimo che io possa fare, ormai».
   Lo scienziato si era seduto su una delle poltrone di fronte al tavolo da lavoro. Da lì lo osservò, fermo all’altro capo della stanza, che gli dava le spalle. Si chiese quali intenzioni avesse effettivamente, se fosse davvero persuaso a portare avanti il progetto come avevano stabilito all’inizio o se nel frattempo avesse avuto dei ripensamenti. Stando in quella posizione, ritto, con la testa poggiata tra le mani, il mento e le labbra nascoste dietro le dita, lo sguardo assorto, pareva esalare un che di grave e pesante, come se fosse intento a combattere dentro di sé un conflitto tra forze inconciliabili tra loro. Xante ne era sicuro, e da parecchio, ormai: l’unica cosa che lo stava frenando doveva essere quel Platan. Sospirò, lasciandosi andare contro lo schienale di pelle nera e lucida.
   «Certo che lo ami molto. Avrei dovuto farmene una ragione tanto tempo fa», disse sovrappensiero.
   Ricordava ancora quando, diversi anni prima, poco dopo essersi conosciuti durante un corso all’università, Xante e Elisio avevano deciso di fare associazione per lavorare allo sviluppo dell’Holovox di cui il ragazzo aveva già fornito alcuni prototipi ancora elementari: ragazzo, perché a quei tempi era stato molto giovane. Xante era rimasto sorpreso dall’intelligenza che lui aveva mostrato in diverse occasioni e, come suo solito, inizialmente aveva pensato di approfittare di quella sua mente geniale per raggiungere più facilmente i propri scopi. Con il tempo aveva finito anche per apprezzarlo come persona, nonostante spesso non si trovasse d’accordo con le sue opinioni o comunque con quell’animo a volte troppo focoso e impulsivo – ma, giustamente, cosa mai si sarebbe dovuto aspettare da un ragazzo, per di più con una differenza d’età piuttosto considerevole rispetto alla sua.
   Era stato in un giorno simile a quello: la caffetteria era stata inaugurata da poche settimane, ma negli appartamenti dei futuri Laboratori avevano ancora da sistemare alcune stanze. Xante si ricordava il dolore al braccio indolenzito, mentre lo teneva alzato per ridipingere il soffitto col pennello, inginocchiato in cima alla scala. Elisio stava facendo qualche minuto di pausa, appoggiato con la schiena al muro, accanto alla finestra, ma non affacciato ad essa: si passava continuamente un dito su un punto del viso dove era andata una macchia di vernice. Aveva i vestiti sporchi e i capelli spettinati, come anche la barba che da qualche tempo aveva iniziato ad acconciarsi a punte, ed era madido di sudore per la fatica. Tutt’a un tratto gli aveva chiesto, senza alcun preavviso:
   «Xante, secondo te come ci si sente ad essere innamorati?».
   Al che Xante non aveva potuto far altro che rivolgergli un’occhiata sorpresa. Elisio non era mai stato una persona che parlasse tanto liberamente dei propri sentimenti, nemmeno da giovane.
   «Ah, Elisio», aveva detto «L’amore non è altro che un blando impulso fisico. Un inutile fardello. Distrae la mente da ciò che è realmente importante per poi arrecare soltanto dolore. Io non ho tempo da sprecare in queste cose, preferisco impiegarlo in attività più proficue, che mi portino un successo sicuro. Però, non posso fare a meno di chiedermi chi mai ti abbia suscitato certe pulsioni».
   «Ne parli come se fosse qualcosa di orribile», aveva commentato lui. Per qualche secondo era rimasto in silenzio, poi un’espressione di tenerezza gli aveva illuminato il volto.
   Fuori cinguettavano i Pidgey, appollaiati sui tetti dei palazzi. Dalla strada proveniva un brusio di voci distratte, ognuna immersa nei propri discorsi.
   «C’è un ragazzo, nella caffetteria», il suo tono era risuonato sottile e lieve, come se stesse recitando una poesia delicata «Arriva a metà mattinata con una faccia assonnata e si siede sempre allo stesso tavolo. Non ha mai cambiato posto dal primo giorno in cui è venuto. Poi ordina un caffè, qualche pasticcino e dei bignè per i suoi Pokémon e dalla borsa prende due, tre quaderni e si mette a leggere e a scrivere, concentratissimo».
   «Un secchioncello, insomma».
   «Beh, forse. Non saprei. Non gli ho mai rivolto la parola. È molto carino. E gentile, anche. Per quello che ho visto, intendo dire. Non gli ho mai parlato».
   All’improvviso un Fletchinder si era posato sul davanzale, forse in cerca di cibo. Era rimasto pochi secondi a guardarsi attorno, poi, dopo aver incontrato gli occhi di Elisio se ne era svolazzato via.
   «Sai, ha un modo di portarsi i capelli dietro l’orecchio che non posso fare a meno di trovare grazioso. Mette le dita in una certa maniera così che il mignolo stia un po’ distaccato, e poi…».
   Xante aveva smesso di lavorare. Si era seduto sulla scala con le gambe penzoloni e il braccio dolorante lasciato cadere sulle cosce, concedendosi qualche minuto di riposo.
   «Il suo sorriso mi fa pensare al sole che sorge all’alba. Tutto, di lui, mi fa pensare al sole all’alba. Solo, non riesco a capire se si tratti di semplice ammirazione o se io mi stia per caso innamorando. Xante, non ti sei mai sentito così?».
   L’uomo allora l’aveva guardato attentamente. Scuotendo la testa, era sceso.
   «Non ci hai nemmeno parlato», aveva tentato di confortarlo «Probabilmente sarai rimasto affascinato dal suo aspetto. Soltanto questo. E il fatto di aver trovato un altro patito dello studio matto e disperatissimo come te, deve averti indotto a creare un’immagine idealizzata e distorta che si adattasse ai tuoi bisogni. Non ci si può innamorare di una persona senza conoscerla neppure».
   Ma Elisio non gli aveva detto che ogni volta che si fermava ad osservarlo aveva come la sensazione di conoscerlo già da tanto, incalcolabile tempo, nonostante fosse abbastanza sicuro di non averlo mai incontrato prima. Tuttavia era anche consapevole che una cosa del genere fosse del tutto assurda e stupida, perciò si era ben guardato dal rivelargli quel dettaglio, per mantenere intatta la propria dignità.
   Spesso, nei discorsi di Xante, aveva percepito un forte scetticismo. Quel giorno Elisio si era dispiaciuto di scoprire che avesse una così cinica visione dell’amore. Allora aveva sperato che prima o poi potesse cambiare idea.
   Forse, chissà, un giorno avrebbe trovato anche lui l’amore o un affetto parimenti importante.
   «Se non hai altro da dirmi, Xante, puoi andare».
   Con quelle parole Elisio l’aveva sottratto così brutalmente dai ricordi che Xante si ritrovò a sobbalzare sulla poltrona. Si affrettò ad afferrare gli occhiali prima che gli scivolassero giù dal naso.
   «Hai la mia autorizzazione per procedere nel modo che tu e gli altri responsabili avete definito migliore. Se non c’è altra soluzione, non posso oppormi».
   «D’accordo, allora».
   Quindi lo scienziato si alzò, recuperò i propri fogli e prima di andarsene si arrestò davanti alla porta. Rivolse a Elisio un ultimo sguardo, tentando di intercettare ancora una volta quali pensieri mai avesse per la mente. Fu comunque inutile.
   «Beh. Tolgo il disturbo», salutò, ricevendo da parte dell’altro appena un tintinnio della testa in risposta.
   Elisio sentì i suoi passi allontanarsi verso il corridoio. Si girò un istante per controllare più cautamente di essere solo e si concedette un lungo sospiro, massaggiandosi le tempie con le dita di una mano e tornando ad accucciarsi sul davanzale della finestra. Gli scappò un’imprecazione sibilata tra i denti.
   Si ricompose appena in tempo, perché intanto, nel corridoio, i passi sembravano star tornando indietro. Bussarono di nuovo alla porta.
   «Che cosa c’è ancora, Xante?» domandò, voltandosi quasi di scatto. Un’espressione spaesata gli si impresse sul viso per una frazione di secondo, poi le sue labbra si incurvarono in un sorriso cordiale e bendisposto.
   «Ah, Akebia. Prego, entra pure».
   «Disturbo?».
   «No, no, ci mancherebbe altro. Accomodati».
   Scostò la poltroncina dove poco prima era stato Xante invitandola a sedersi, dopodiché si sistemò dall’altro capo del tavolo in modo che potessero stare l’uno di fronte all’altra.
   «Mi sono accertata che il Professore non si avvicinasse alla Centrale di Kalos la scorsa notte, come mi avevi chiesto. Credo che a un certo punto si sia accorto del fatto che lo stessi osservando, ma sono abbastanza sicura che non sia riuscito a vedermi».
   «Sì, Platan mi ha mandato un messaggio quando è tornato al Laboratorio per rassicurarmi di star bene. Anche se, in effetti, mi è sembrato fosse rincasato piuttosto tardi rispetto a quel che mi aspettavo... Comunque, ti ringrazio per il tuo aiuto, Akebia. So che si tratta di un affare esclusivamente personale e che non eri tenuta a mantenere un simile impegno».
   «Non c’è problema, Elisio. Comprendo la tua situazione e quello che provi, e se c’è un modo in cui posso darti una mano non mi tirerò indietro. Dopotutto, è il minimo che posso fare per ricambiare l’aiuto che tu hai dato a me tanti anni fa».
   Elisio si chiese se veramente Akebia comprendesse. Poi gli tornò alla mente l’immagine del giorno in cui si erano incontrati, la prima volta in cui aveva visto il viso di lei. Allora capì che non avrebbe potuto dubitare della sua sincerità. Le rivolse un sorriso tenero, grato, di quelli che di solito mostrava appena a qualche prescelto, quasi compassionevole. Era per le persone come lei che intendeva costruire un mondo migliore.
   «Per quanto riguarda la missione, invece,» cominciò a introdurre la ragazza passando all’argomento che più interessava ad entrambi, «non ho nessun problema da segnalare, tutto si è svolto come previsto. Questo pomeriggio procederemo con l’ultima prova generale, dopodiché potremo dedicarci all’azione vera e propria. Resta soltanto da definire chi sarà il responsabile dell’operazione».
   «Sarai tu, Akebia», disse Elisio, avendolo ormai deciso segretamente già da diverso tempo, provocando la sorpresa della sua sottoposta «Dopotutto, con un lavoro svolto in maniera così puntuale, non posso che affidare a te questo compito. Nutro delle grandi aspettative nei tuoi confronti, perciò spero che non mi deluderai. Tuttavia, sono certo che non accadrà».
   «Grazie Elisio, vedrai che sarò all’altezza!» esclamò, carica al massimo e pronta a compiere qualunque sacrificio pur di portare a termine l’incarico nel migliore dei modi, esattamente la reazione che l’uomo aveva previsto di ottenere «Non ti deluderò! Il Team Flare sarà presto pronto a compiere il suo prossimo passo!».
 
 
   C’era una donna dai lunghi capelli biondi che camminava scalza lungo il corso di un fiume. Dalle sue spalle scendeva un mantello leggero e maestoso che andava a sfiorare la superficie dell’acqua. Lui era rimasto a guardarla in silenzio, come meravigliato, e lentamente l’aveva seguita, bagnandosi i piedi e rabbrividendo.
   Nel cielo notturno le luci delle stelle splendevano come fossero fiori. Allora, desiderando abbellire quel grazioso mantello, ne aveva raccolta una dal riflesso dell’acqua, e con del filo l’aveva cucita sul tessuto scuro. Poi ne aveva presa un’altra e un’altra ancora, e, tenendo ogni scintilla tra le dita, delicatamente le aveva ricamate una accanto all’altra. Da quei bagliori erano nati dei petali e dai petali erano fioriti innumerevoli ranuncoli gialli. Allora la donna si era girata e gli aveva rivolto il proprio sorriso. Era rimasto sconvolto nel riconoscere sul suo viso quello di Serena.
   Ella aveva allungato le proprie braccia su di lui, come per stringerlo in un abbraccio e vincerlo, le sue ciocche ondulate e sinuose l’avevano raggiunto con il loro profumo dolce. L’acqua del fiume era talmente limpida al punto che non si riusciva a percepire quale fosse il suolo e quale il cielo, ed egli aveva avuto la sensazione di fluttuare gentilmente in una coltre di stelle impalpabile e sconfinata. Il volto di lei sovrastava ogni cosa, bellissimo e terrificante, come una visione, un amaro miraggio.
   «Elisio».
   Improvvisamente si riscosse dai suoi pensieri e alzando lo sguardo vide Platan osservarlo dal vano opposto dello scaffale, tatticamente appostato oltre lo spazio lasciato vuoto dai dischi che aveva preso in mano.
   «Oh. Sì?» si affrettò a dire.
   «Ti eri incantato», mormorò lui di rimando con un piccolo sorriso «Hai trovato qualcosa d’interessante da quelle parti?».
   «Non saprei», rispose ricontrollando rapidamente le custodie che teneva tra le dita, «Ma tu che ci fai lì così?».
   Platan ridacchiò, un po’ timido, infilò la testa ancor più in fondo al vano e posò il mento tra le mani.
   «Hai presente quando in certi film una persona sta cercando qualcosa nella libreria e invece all'improvviso trova la sua anima gemella?» disse.
   «Certo. Ma penso sarebbe meglio se lo facessi con più discrezione. Ci stanno osservando», lo riprese rapidamente, facendogli notare che alcuni occhi si erano posati su di loro con una certa insistenza. Tuttavia non poté fare a meno di sorridere un po’ a quel suo modo di fare ingenuo: aveva come l’impressione che quel giorno Platan fosse particolarmente di buonumore e la cosa lo rallegrava.
   Arrossendo, il Professore si allontanò dal vano e si accorse che effettivamente qualcuno li stava guardando. Sforzandosi di far finta di nulla, raggiunse Elisio in silenzio, portando dietro il cestino che già avevano riempito con un paio di spartiti e dischi.
   Finalmente erano riusciti a recuperare quell’uscita per andare insieme al negozio di musica. Alla radio stavano trasmettendo una canzone della Capopalestra Velia e, sebbene non si trattasse del genere preferito di entrambi, Platan si ritrovava comunque a canticchiare qualche parola di tanto in tanto.
   Elisio ripose i dischi che aveva preso, indugiando però su quello con la copertina con la dama bionda vestita di un lungo mantello ed accompagnata da un bambino che gli aveva fatto tornare alla mente lo strano sogno che aveva avuto quella notte, tra un turno di lavoro e l’altro. Platan disse di non conoscere quel gruppo musicale, ma che se Elisio avesse voluto avrebbero potuto prendere ugualmente il CD. Al contrario il rosso scosse la testa e lo rimise a posto insieme agli altri.
   «Ascolta, mi piacerebbe comprare un paio di vinili nuovi. Mi accompagni a vedere dove sono?».
   «D’accordo».
   Si fermarono di fronte ai vari espositori e Platan si sfregò le mani, esaminando con interesse le numerose custodie che sporgevano, impilate l’una dietro l’altra.
   «Sai, mi fa piacere che siamo riusciti a trovare un po’ di tempo per stare insieme. Ultimamente non capita tanto spesso».
   «È vero, per questo ieri sono rimasto sorpreso quando ti sei presentato in caffetteria. Fa piacere anche a me».
   «Dovremmo vederci più di frequente, non credi?».
   «Di' un po', stai forse cercando di spianare il terreno per chiedermi un appuntamento?».
   «Chissà? Non sarebbe una cattiva idea, comunque».
   «No, hai ragione».
   A Elisio pareva piacere particolarmente questa intraprendenza che stava mostrando Platan. Per un istante gli sembrò essere tornata quella serenità nel loro rapporto che da tanto tempo mancava. Sentì, nello sguardo che l'altro gli aveva rivolto, che anche solo per un attimo si poteva scherzare di nuovo insieme e godere del tempo. Sorrise al compagno, che subito ricambiò con altrettanto riguardo.
   Tuttavia, all'improvviso la voce di Velia tacque e calò il buio. L'atmosfera tranquilla che si era creata si dissolse bruscamente nel giro di qualche secondo, e tornarono le solite preoccupazioni e le solite maschere.
   La gente, confusa, cercò di riversarsi in parte fuori dal negozio, ma le porte a vetri erano bloccate a causa della mancanza di corrente. Qualcuno si lasciò andare ad uno sfogo nervoso di fronte all'ennesimo blackout, altri erano spaventati, altri ancora, timorosi, erano rimasti fermi al proprio posto, incerti sul da farsi.
   «Che cosa?» un ragazzo al telefono stava riuscendo ad ottenere delle informazioni, che si affrettò a comunicare ad alta voce, incredulo: «L’intero Corso Alto è rimasto senza elettricità? E le porte della città sono chiuse e non c’è modo di attraversarle!».
   Platan si guardò attorno a scrutare la confusione che si stava creando tra le persone, avendo un'intuizione di quel che stava succedendo. Infatti, non rimase sorpreso quando Elisio lo cinse con fermezza alla vita con un braccio, in modo da tenerselo vicino, e gli sussurrò di non muoversi.
   «È questione di qualche minuto», aveva aggiunto poi.
   Dall’ascensore per il piano superiore si sentivano provenire grida e colpi battuti contro le pareti da parte di coloro che erano rimasti intrappolati dentro e volevano uscire. Elisio e Platan vennero sorpassati da un gruppo che stava correndo in quella direzione nel tentativo di dare una mano.
   «Dovremmo andare anche noi», disse il Professore.
   «Ho detto di no. Non durerà molto, devi stare tranquillo», replicò però l’altro.
   «Non posso rimanere qui a non fare nulla mentre gli altri hanno bisogno del mio aiuto!».
   «Se anche tu andassi sarebbe inutile. L’unica cosa da fare, adesso, è aspettare che torni la corrente. Resta al mio fianco».
   Platan cominciò a sentirsi leggermente intimidito dal suo modo di fare. Tuttavia, quando Elisio allentò la presa per poter poggiare il braccio sulle sue spalle con gesto saldo e protettivo si calmò, poiché capì che, almeno in quel frangente, era lucido e non aveva intenzione di attaccare o di dar sfogo ai propri piani. Nonostante questo, sul suo viso aveva comunque intravisto l’impronta di un’ossessione malsana e cruenta.
   E fu in quel momento. Posando la testa contro il petto di Elisio, contrastando il suo tirarsi indietro per timore di trovarsi troppo vicini e di essere visti, Platan decise per la prima volta che l’avrebbe fronteggiato con ogni mezzo per distruggere quel germe che gli aveva visto fiorire nello sguardo morboso.
   «Questo è soltanto l’ennesimo esempio di quello che farà il Team Flare una volta che avrete preso possesso della Centrale Elettrica, non è vero?».
   A quel punto Elisio fu costretto a concedere l’appoggio, seppur pericoloso, che Platan reclamava. Abbassando il viso a propria volta in modo che potessero parlare per sussurri, rispose: «Sì. Stiamo ultimando i nostri test».
   «Quanto tempo resta, ancora?».
   «Abbiamo quasi terminato».
   «Quanto?».
   Ci fu un sospiro spazientito.
   «T’es vraiment obstiné aujourd’hui, hein?» sibilò Elisio, in verità quasi divertito «Agiremo tra una settimana. Ma adesso non chiedermi altro. Non è il luogo adatto, questo».
   «D’accord. Je ne dirai rien non plus», rispose l’altro allontanandosi, avendo ricevuto la risposta che aveva voluto ottenere.
   Dopo pochi minuti la luce tornò, così come anche la voce di Velia e il suono del suo basso. Nel negozio si ricreò quel clima sereno che aveva regnato in precedenza, nonostante alcuni fossero ancora disorientati. Anche per strada, nei quartieri e nelle piazze, ogni cosa sembrò tornare alla normalità. La confusione scomparve e così anche la paura.
   Con il cestino riempito ormai fino all’orlo, Platan esclamò: «Io credo di aver finito! C’è altro che tu vuoi vedere o mi accompagni alla cassa?».
 
 
   Più tardi, Elisio fermò l’auto davanti casa di Platan. Aspettò che si slacciasse la cintura e tolse il blocco dagli sportelli in modo che potesse scendere. Il Professore controllò di avere tutto nella busta di carta e poi si girò verso di lui, nascondendo uno sbadiglio dietro le dita: quella notte non aveva dormito per niente e non vedeva l’ora di potersi andare a riposare un po’, ne aveva davvero bisogno. Gli sorrise.
   «Grazie per il passaggio. E per il bel pomeriggio», disse «Per favore, tieni in considerazione ciò che ti ho detto. Mi piacerebbe stare insieme più spesso, come abbiamo fatto oggi».
   «Certo, Platan. Farebbe molto piacere anche a me, lo sai questo. Ti chiedo solo di scusarmi per l’inconveniente che abbiamo dovuto affrontare. Per il resto, spero che ti sia trovato bene».
   Avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma la mano dell’altro che si era posata all’improvviso ad accarezzargli una guancia glielo fece dimenticare. Le dita di Platan passavano leggere tra la sua barba, con tale amorevolezza che ne rimase sorpreso. Abbassò il viso per non fargli capire troppo chiaramente quale dolcissima sensazione l’avesse colto. Avrebbe volentieri allungato il palmo per stringergli il dorso della mano, ma il proprio orgoglio, o forse una paura nascosta, lo frenò. Allora, si limitò semplicemente a incontrare i suoi occhi, a immergere l’azzurro nel grigio. Nel silenzio sospeso fatto dei loro respiri e dei loro sguardi, per un istante gli sembrò di essere tornato ancora una volta a quei tempi in cui si erano trovati e avevano iniziato da poco ad amarsi. Le sue labbra si distesero lievemente, il sorriso incalzato dal bel ricordo.
   Platan se ne accorse.
   Solcò un’ultima volta la linea che dall’orecchio si allungava sulla mandibola per poi chiudersi sul mento, arricciando tra il pollice e l’indice l’ultimo ciuffo di barba rossa che gli cresceva sulla punta.
   «Buonanotte, Elisio», disse, la voce modulata in un sussurro.
   «Buonanotte», mormorò l'altro di rimando.
   Rimase a guardarlo mentre scendeva dall’auto. Si rivolsero ancora un cenno di saluto, separati dal vetro del finestrino, dopodiché Platan si allontanò, le chiavi già in mano, la borsa in spalla. Elisio stava per ripartire quando, tutt’a un tratto, si ricordò quel qualcosa che avrebbe dovuto aggiungere in precedenza. Si piegò verso i sedili posteriori e afferrò la giacca che aveva dimenticato lì, vicino ai suoi bagagli: «Ah, Platan!» si affrettò a chiamarlo, ma ormai, vide, il portone si era già richiuso alle sue spalle.
   Quindi restò da solo, incerto, il cappotto stretto in una mano. Non sapeva se avvisarlo o se provare a corrergli dietro. Poi pensò che quella parte un po’ distratta del carattere di Platan gli piaceva molto. Così, senza una ragione particolare.
   Sull’indumento c’era il suo profumo. Elisio avvicinò il colletto al naso, in maniera molto discreta, per non farsi scoprire dai passanti, e riuscì a percepirne l’odore: non quello della colonia, ma della sua pelle, dei suoi capelli. Per un attimo ebbe l’impressione di averlo ancora vicino, con le dita che gli sfioravano la guancia soltanto un altro po’.
   La posò con cura sul sedile accanto a lui. Decise che per quella sera l’avrebbe tenuta con sé. Se non altro, avrebbero avuto un valido motivo per rivedersi.




***
Angolo del francese.
      * Je t'attends en bas = Ti aspetto di sotto ;
      * Je n'y crois pas = Non ci posso credere ;
      * Te's vraiment obstiné aujourd'hui, hein? = Sei veramente ostinato oggi, eh? ;
      * D'accord. Je ne dirai rien non plus = D'accordo. Non dirò più nulla .




 


  

  *È un'ipotesi che mi è venuta in mente quando cercando qualche fan art mi sono imbattuta in questo adorabile disegno di quest'artista (ormai è qualche anno che non aggiorna più la pagina, però se volete date comunque un'occhiata perché merita).
In effetti confrontando gli artwork dei Fantallenatori di XY e questa immagine da PokéSpe (che io non ho letto anche se mi è capitato di vedere qualche tavola a caso in giro santo cielo rip Elisio e Malva, ma era l'unica immagine ufficiale che potessi usare dato che si trovano solo fan art) le divise sono molto simili: è come se praticamente avessero mantenuto lo stesso vestiario, ma in bianco per avere una maggiore aderenza ad un camice da laboratorio o
 qualcosa del genere. È anche vero che purtroppo X e Y sono i giochi più sacrificati di tutti, per cui non si può indagare più di tanto, ma sarebbe bello in futuro scoprire qualcosa di più su questi due personaggi allo stesso tempo allenatori, assistenti e paladini mascherati!


Buongiorno a tutti e buona festa della Befana! Spero che questi ultimi giorni di vacanza stiano trascorrendo nel migliore dei modi.
Siccome tra poco inzierà la sessione d'esami ci tenevo a pubblicare questo capitolo durante il periodo di feste, dato che non so nelle prossime settimane quanto tempo avrò (sempre se lo avrò) per mettermi con calma al computer... Spero vi sia piaciuto!
Non penso che ci sia bisogno di dirlo, ma sono stata veramente felice quando ho incontrato Sina e Dexio nel mio Pokémon Luna e ho scoperto di poterli sfidare durante il viaggio. Credo che in proposito si sia già detto abbastanza prima, comunque a questo punto per i prossimi sviluppi e la loro caratterizzazione mi baserò anche sulle informazioni dei giochi di settima generazione.
L'unica cosa che forse mi mette un po' sotto pressione di questo capitolo è Floette. So che non si potrebbe accostarlo ad un Pokémon Leggendario o Misterioso, però essendo comunque un Pokémon speciale, mi sarebbe piaciuto dargli una caratteristica particolare che potesse differenziarlo dagli altri Floette. Qualche tipo di telepatia mi sembrava troppo eccessiva, mentre questa soluzione penso possa essere un po' più verosimile visti i suoi trascorsi. Spero che non vi abbia dato un'impressione troppo banale, comunque mi farebbe piacere sapere un vostro parere al riguardo!
Nel frattempo vi mando un caro augurio per il 2018! In bocca al lupo per tutto quanto e non arrendetevi di fronte agli ostacoli che vi presenterà questo anno! Sono certa che in qualche modo riuscirete a superare ogni cosa.
A presto,
Persej

  
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