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Autore: Francine    07/01/2018    3 recensioni
Il potere dell’alcol è quello di sciogliere lingue e cuori, e il bicchiere della staffa è l’incantesimo più potente a sua disposizione. Specialmente quando hai appena salvato il mondo, Natale è dietro l’angolo e la neve fiocca senza pietà. Un cocktail micidiale, pensi, sorseggiando il tuo cognac. Si respira nell’aria la voglia di fare squadra, di conoscere meglio chi abbiamo accanto. O almeno provarci.
Cameratismo, lo definirebbe Alfred; vecchio, sano cameratismo d’una volta.
Le farebbe bene provare, Padron Bruce.
Sì, come no?, pensi. Eppure sei rimasto, perché quello del cicchetto – come lo definisce Jordan – è un rito piacevole. Un goccio di liquore riscalda e rinfranca permettendoti di arrivare a casa incolume e di crollare esausto sul letto.
Il bicchiere della staffa è quello che si beve prima di congedarsi dagli amici, un modo per prolungare ancora un po’ una serata in piacevole compagnia. E quando fai parte della gloriosa Justice League, le occasioni per farsi un ultimo goccetto non mancano mai.
Scommettiamo?
Questa raccolta partecipa all'iniziativa "Calendario dell'Avvento" (Ripopoliamo i Fandom) del gruppo facebook Il Giardino di EFP.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Green Arrow® Mort Weisinger e George Papp, 1951.
Green Lantern/Hal Jordan® John Broome e Gil Kane, 1959.

 
Tutti i personaggi nominati in questa storia appartengono alla DC Comics - Time Warner – e a chiunque ne detenga i diritti legali. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale; non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Francine) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
 
 
5.
Aggiungi un posto a tavola


Casella: #5 / Prompt: Scrivi una commedia. A e B finalmente soli per Natale, finché C (avendo litigato con D) decide di insediarsi a casa loro. / Luogo: Coast City/  


Aggiungi un posto a tavola
che c'è un amico in più
se sposti un po' la seggiola
stai comodo anche tu,
gli amici a questo servono
a stare in compagnia,
sorridi al nuovo ospite
non farlo andare via
dividi il companatico
raddoppia l'allegria.

(Garinei&Giovannini,
Aggiungi un posto a tavola, 1974)





 
«Ciao.»
Di Carol ti piacciono molte cose: le curve giuste al posto giusto; gli occhi di un viola intenso; la passione che nutrite per il volo; le gambe mozzafiato; il carattere deciso - granitico. Ma se c’è un aggettivo per definire Carol Ferris, quell’aggettivo è puntuale. «Ci vediamo a mezzogiorno», le hai detto e Carol ha suonato alla porta di casa tua alle dodici in punto. E adesso eccola qui che ti sorride, i piedi sullo zerbino e la borsa a tracolla, un delizioso alone rosato sulle guance che la fa assomigliare ad uno di quei cioccolatini al liquore da gustarsi dopo il caffè.
Un sorriso ti si disegna sulle labbra, una curva smagliante che va da un orecchio all’altro e si schiude su una chiostra di denti bianchissimi.
«Ciao», replichi, avvicinandoti e scoccandole un bacio mozzafiato. Come sono morbide le sue labbra. Come sono profumati i suoi capelli. Com’è caldo il suo… stomaco? Abbassi lo sguardo. Ha un fagotto tra le braccia, avvolto in una serie di strofinacci da cucina a fiori azzurri. E questo?, le chiedono i tuoi occhi.
«Ho preparato il tacchino», ti spiega, un sorriso soddisfatto. «È la ricetta di mia madre», aggiunge.
«Ah», dici. «È che…»
«Non dirmi che l'hai cucinato anche tu?», ti chiede con aria sorpresa – e anche un filo preoccupata – e ti ritrovi ad annuire, tuo malgrado.
«Sì. Ho pensato di farti una sorpresa», le dici. Ometti di essere ricorso ad un servizio di catering – che t’è costato un occhio della testa, ma sono dettagli – perché ai fornelli sei a malapena capace di sopravvivere, e di passare il giorno di Natale al pronto soccorso per una lavanda gastrica proprio non ti va.
«Non sapevo tu sapessi cucinare.»
«Certo che sì. Un uomo deve badare a se stesso», le spieghi. «E sono sicuro che il tuo tacchino sarà spettacolare. Com’era quello di tua madre.»
«E come farai con quello che hai cucinato tu?»
«Ho il poker coi ragazzi, mercoledì sera», la rassicuri. «Metterò tutto nel surgelatore e lo riscalderemo, sarà buonissimo lo stesso.» Mangerò tacchino per una settimana intera, pensi, ma non importa. «Ripieno di castagne, lamponi e rabarbaro?», domandi, indicando la pirofila che tiene tra le braccia.
«L’unico e il solo», risponde Carol. «E adesso che ne diresti di darmi una mano? Quest’affare pesa e qui fuori si gela!»
«Subito», e così dicendo la liberi del fagotto che tiene tra le braccia e ti scansi per lasciarla entrare.  «Accomodati. Io mi occupo di lui.»
Ti avvii in cucina col vostro pranzo tra le braccia e senti Carol chiudersi la porta alle spalle. Aspetta qui, amico, pensi, appoggiando il tacchino sul tavolo. Dalla porta della cucina puoi osservare Carol guardarsi attorno, e puoi concederti un sorriso soddisfatto: la casa brilla, da cima a fondo. Hai passato l’aspirapolvere, hai spolverato i mobili, hai cambiato le lenzuola e hai nascosto i calzini spaiati dentro l’armadio – li avresti sistemati in un meglio identificato dopo – e hai apparecchiato la tavola seguendo scrupolosamente – pedissequamente – le istruzioni di Martha Steward.
Insomma, hai sudato le proverbiali sette camicie, ma ne è valsa la pena: tutto deve essere più che perfetto per il vostro primo Natale insieme. E il fatto che lei indossi l’abito verde petrolio – quell’abito verde petrolio che le mette in risalto le gambe – è come scovare un regalo inaspettato sotto l’albero.
Adagio, campione, ti dice la tua coscienza, prendendo in prestito la voce di tuo padre. Non bruciare le tappe.
Lei si volta e ti sorride. E tu capisci che dovrai fare un enorme sforzo di volontà per non finire a letto in tre, due, uno…
«Carino, qui», dice lei, guardando una cornice sulla mensola: siete tu e tuo padre in una fotografia scattata una vita fa. Era arrivato il circo e tu brandivi una nuvola di zucchero filato grossa quanto la tua testa. «Quanti anni avevi?»
Ti avvicini e getti uno sguardo distratto alla foto. «Sette anni.»
«Carino», ripete, e non sai se stia parlando dell’attuale Hal Jordan, di te da bambino o dell’appartamento.
«È una casa da scapolo», dici, stringendoti nelle spalle. «Vuoi darmi il cappotto?»
Ecco, bella idea. Togli di mezzo quell’affare, così Carol non potrà darsela a gambe. Ma Carol non sembra avere la minima idea di piantarti in asso. Posa la cornice, si sfila il cappotto, te lo porge e si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Grazie», ti dice, e quando le tue dita sfiorano le sue, una scossa ti corre lungo il braccio, fino alla spalla. Arrossisce – appena appena – e abbassa lo sguardo.
Frena, campione!, ti ripete la voce di tuo padre. E sarà meglio darle retta, a quella voce, se non vorrai sciupare tutto quanto. Carol non è come le altre. Per quanto ti ha fatto sudare e penare e implorare anche solo per concederti un appuntamento – un appuntamento tra le stelle, nel vero senso della parola – ora vuoi goderti ogni attimo, senza correre. Per una volta – una sola, singola volta – vuoi fare le cose per bene.
Così, con uno sforzo di volontà, ti allontani e, mormorandole un «Torno subito», ti affretti verso la camera da letto. Getterai il cappotto di Carol dentro l’armadio – nella pia speranza che non esploda – e quando tornerai da lei ti occuperai del pranzo e nasconderai ogni traccia del passaggio del catering. Farai il bravo ragazzo. Il gentiluomo.
Ti chiedi cosa farebbe Ollie al posto tuo, per poi risponderti che, nei tuoi panni, Ollie starebbe già festeggiando tra le lenzuola.
E, pensando a Bruce, la risposta che ti dai non è poi tanto dissimile dalla precedente. E lo stesso vale per Barry, Arthur, Clark, Carter, Ray, eccetera eccetera eccetera.
Al buio, tutti i gatti sono grigi, diceva tua madre. Abbandoni il cappotto di Carol sul letto – le ante dell’armadio sono prossime all’implosione – ti sfili l’anello e lo chiudi nel primo cassetto del comodino; per una sera, una soltanto, i Puffi di Oa dovranno fare a meno di te.
Senza rancore, pensi, spegnendo la luce e tornando in salotto.
Carol sta guardando il panorama con aria pensosa.
«Che cielo grigio», commenta. «Dici che nevicherà?»
La abbracci da dietro e tuffi il viso nei suoi capelli. «Vorrà dire che avremo un Bianco Natale», rispondi stringendotela contro. «Hai fame?»
«Un pochino.»
«Vado ad occuparmi del tacchino.»
«Ti aiuto.»
«No, no», le dici voltandola, i suoi occhi viola nei tuoi. «Sei mia ospite, Carol. O non ti fidi e temi che io possa bruciare tutto?», la punzecchi.
Lei sorride, un lampo di rossetto color ciliegia. «Ho sfacchinato per due giorni, Highball. Vedi quello che puoi fare.»
«Sissignore!», rispondi, scattando sull’attenti. «Non ti deluderò.»
«Lo spero. Per te.»
«Torno subito. Intanto, gradisci del vino?»
«Perché no?»
Sparisci in cucina, liberi la pirofila col tacchino degli strofinacci, accendi il forno e ve la infili dentro. Recuperi la bottiglia di vino – suggeritati da Ollie – armeggi col tappo e riempi due bicchieri a calice. Ti trovi sulla soglia del salotto quando qualcuno decide mettersi a suonare il campanello di casa tua come se stesse andando a fuoco l’intera città.
«Aspetti qualcuno?»
Carol è perplessa quanto te.
«No», soffi, i bicchieri in mano e l’espressione più sconcertata del tuo repertorio. Chi diamine sarà?, ti chiedi, mentre il tuo sesto senso inizia ad urlare di non aprire quella porta, di far finta di essere morto, di ignorare quello scocciatore che ha deciso di venire a romperti le uova nel paniere sul più bello.
«Sarà qualche seccatore», dici. «Un piazzista dell’ultimo momento. Ignoriamolo, vedrai che se ne andrà.»
«Un piazzista? Il giorno di Natale?»
No, come spiegazione fa acqua da tutte le parti.
Ti stringi nelle spalle. «Io non aspetto nessuno», ripeti, facendo un piccolo passo avanti, mentre il seccatore misterioso ha deciso di incollare il proprio dito al campanello di casa tua.
«Chiunque sia, non sembra essere dello stesso avviso», ribatte Carol, gli occhi ridotti a due mezzelune affilate. E così dicendo fa dietro front e si dirige verso la porta.
«Carol, tesoro, aspetta…», dici, ma è troppo tardi. Lei è già sulla soglia di casa e ha spalancato la porta in un gesto fluido.
«Non crederai mai a quello che è successo!», ed Oliver Queen fa il suo ingresso nella tua casa e in questa storia scuotendo la testa e sbuffando come un toro inviperito, assieme ad un refolo d’aria gelida. Avanza a grandi falcate, una bottiglia di vino tra le mani, gli occhi rivolti al pavimento, e si lascia cadere a peso morto sul divano sotto gli occhi esterrefatti tuoi e di Carol.
«Mi ha sbattuto fuori di casa! Quella benedetta ragazza! E tutto perché la commessa ha sbagliato ad incartare il suo regalo! Io gliel’ho detto. Gliel’ho spiegato. Gliel’ho anche giurato! Ma non ha voluto sentire ragioni! Ma che ne potevo sapere io che avevano scambiato i pacchetti? Una scatola di Victoria’s Secrets è uguale a tutte le altre, e io credevo che quella fosse la mia! Che ne potevo sapere che dentro c’era un négligé leopardato taglia XXL?! Ah, le donne! Beato chi le capisce! E io adesso dove… oh. Salve.»
Conosci quello sguardo. È lo Sguardo Magico da Rimorchio Garantito che Oliver Queen sfodera con più esperienza e noncuranza di un seduttore navigato. Gliel’hai visto sfoggiare in più di un’occasione e sai quanto sappia essere micidiale. Fa centro ogni volta, garantisce lui, e temi che possa aver fatto colpo anche su Carol, che il diavolo lo strafulmini.
Si alza, si sistema la piega dei calzoni e fa un passo verso Carol, che ha ancora le dita attorno alla maniglia della porta.
«Oliver Queen», dice. E basta.
«Carol. Carol Ferris», ribatte lei e tu hai la sgradevolissima sensazione di essere di troppo. «Piacere.»
È abbastanza. Posi i calici di vino sul tavolo e ti avvicini. Ti frapponi tra Carol e Ollie, chiudi la porta e dici: «Ciao, Ollie. Lei è Carol. La mia ragazza.».
«Il piacere è tutto mio», ribatte Ollie, esibendosi in un taglia-fuori da manuale e in un successivo baciamano da antologia. «Spero di non aver interrotto qualcosa…», dice, rivolgendoti uno sguardo indecifrabile.
«Stavamo andando a pranzo», rispondi – ringhi – la maniglia tra le dita e un lampo omicida che ti attraversa lo sguardo. «Birretta domani pomeriggio, così mi racconti tutto?», gli proponi.
Ollie è un tuo amico, e sai che quelle di Dinah sono sfuriate che durano quanto la pioggia di Marzo: un bell’acquazzone monsonico e poi, rapido com’è iniziato, finisce tutto e ritorna il sereno e il cielo è terso e gli uccellini cantano sui rami. Adesso non hai proprio tempo per una sbronza. Figuriamoci, ti dici; Ollie capirà. È un uomo di mondo, lui. E sa quanto hai penato per conquistare Carol. E poi ha ancora il cappotto addosso, quindi non sarà troppo difficile sbatterlo fuori di casa prima che…
«Hal», e quando la voce di Carol assume quel tono, sai che è finita. No, cazzo, no. Non dopo quanto ho faticato… «Il tuo amico…»
«Ollie», la coregge lui.
«Ollie… non vorrai lasciarlo solo?»
Sì!, vorresti risponderle, ma opti per un più diplomatico: «Ma Carol, tesoro»,  sono sicuro che la sua ragazza lo sta aspettando a casa per fare pace… Sarebbe dovuta finire così, la tua replica.
E invece Carol ti fulmina sul posto: «Harold Martin Jordan!», e quando scandisce il tuo nome per esteso, è davvero finita. «Non avrai intenzione di abbandonare un amico il giorno di Natale?»
«No. Certo che no», dici – sospiri – allontanandoti dalla porta e issando bandiera bianca.
«Non vorrei disturbare», si schermisce Oliver, e tu vorresti strozzarlo colle tue mani. Ma sentitelo! Non vorrei disturbare! Che solenne faccia di bronzo!, pensi.
«Nessun disturbo!», trilla Carol. «C’è da mangiare per un reggimento, basterà aggiungere un posto a tavola. Vero, Hal?»
«Sicuro», rispondi, sputando fuori quelle parole come se fossero gocce di veleno. Sei ancora in tempo per girare sui tacchi e filartela, gli gridano i tuoi occhi, ma sembra che Oliver da quell’orecchio proprio non ci voglia sentire.
«Ecco cos’è questo buon profumo! Tacchino con castagne, lamponi e rabarbaro?»
«Esatto. Ricetta di famiglia.»
«Beh, se è così», dice, liberandosi del cappotto e affidandotelo. «Non posso sottrarmi. Sarà un piacere assaporare la sua cucina, signorina Ferris.»
«Può chiamarmi Carol», cinguetta lei. «Io ho preparato il tacchino. Al resto ci ha pensato Hal.»
La testa di Ollie si volta nella tua direzione come se fosse quella di un pupazzo caricato a molla. «Tu? Tu che il massimo che riesci ad organizzare è una scatola di fagioli riscaldati al microonde?», ti chiede.
«Io», ringhi. «Ma se il menù non è di suo gradimento, signor Queen…»
«E perdermi questo pranzo con te e Carol?! Ma scherzi?», domanda lui. «Per fortuna che ho portato il vino, allora!»
«Grazie», sibili. «Accomodati. Sistemo il tuo cappotto e penso al vino.»
Oliver si risiede sul divano, accavalla le gambe e ti rivolge un sorriso smagliante, uno di quelli che ti tira gli schiaffi dalle mani.
«Fagioli al microonde?», ti domanda Carol. Scettica.
«Non dargli retta. A Ollie piace scherzare. Vero, Ollie?»
«Oh, sì. Sono un mattacchione, io…»
«Una sagoma…»
Sbuffando come un toro, guadagni la camera da letto, getti il cappotto di Ollie in un angolo e tiri fuori l’anello dal cassetto in cui l’avevi rinchiuso. Il metallo è stranamente caldo e ti trasmette… gelosia? Non ti abbandonerò mai più, prometti. Poi i tuoi occhi si posano sul cellulare che se ne resta in religioso silenzio accanto al romanzo che stai leggendo. Sorridi – sogghigni – lo afferri, componi il numero e attendi in linea.
«Dinah? Sì. È qui da me. No, nessun disturbo. Certo. Certo che no. È a questo che servono gli amici. Ti passo a prendere tra dieci minuti.»
Riattacchi e dai una voce ai quei due in salotto: «Esco un secondo. Ho lasciato il regalo di Ollie in garage», e senza attendere risposta apri la finestra e voli via, in direzione di Star City.
Buona fortuna, Ollie. Qualcosa mi dice che ne avrai bisogno…







 
   
 
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