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Autore: Mikirise    08/01/2018    2 recensioni
Tony ha incontrato Steve a 17 anni. Quando si sono sposati, aveva 21 anni. Adesso ha 24 anni e nessuno dei due vorrebbe davvero divorziare.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima

Steve nasconde il viso, poggiando la fronte sulla spalla di Tony e strofinando in un secondo momento il naso sul suo collo, cercando di dissimulare una risata, che sente essere trasmessa anche nel suo ragazzo. Le voci di Rhodey e Bucky arrivano loro ovattate, mentre sembrano discutere sul miglior modo per avere del cibo prima di sera e Janet è pericolosamente silenziosa. Steve sente uno di loro proporre una semplice insalata di pollo e Bucky protestare, perché, a quanto pare, nessuno di loro conosce la vera quantità di cibo ingurgitato da lui, o da Steve. E Rhodey scoppia a ridere. Tony, con le ginocchia premute contro il petto e davanti a una televisione spenta, inclina la testa per poterla poggiare sui capelli di Steve e sospira quando la voce di Janet si alza su quella degli altri due ragazzi e annuncia di aver ordinato italiano per dieci persone. Dieci. Con la carta di credito di Tony.

“Doveva essere un appuntamento” sospira di nuovo, inclinando il corpo intero verso Steve. “Non so come siamo arrivati a questo punto.”

“Penso che a questo punto vada bene anche così” risponde Steve, semplicemente. “Volevano solo venirmi a salutare, no?”

“Potevano farlo domani. Abbiamo una sola settima e guarda come siamo finiti. A organizzare una serata con Janet, Rhodey e Orso Emo.”

“Ho qualche dubbio sulle intenzioni di Rhodey, ora che ci penso. È venuto a salutarmi anche ieri.” Sorride e cerca di bloccare la risata che vuole uscire dalla gola. Strofina la fronte contro la mascella di Tony. “Qui gatta ci cova.”

“Lo sai che è praticamente il mio baby-sitter. Non che comunque avremmo potuto fare qualche cosa di sconcio, con Jarvis che si materializza nella mia stanza.”

“Non so di cosa lei stia parlando, signor Stark” risponde Jarvis e Steve sente ogni suo muscolo scattare sull’attenti, così come la sua testa che si allontana pericolosamente in fretta dal collo di Tony, che sorride appena. “Sono qui presente in quanto suo tutore e per annunciarle che sua zia Peggy ha deciso di invitarsi alla sua,” fa una smorfia, lanciando uno sguardo verso il gruppo di ragazzi che continua a discutere in cucina, “combriccola” conclude, sistemando le mani davanti alla pancia. Steve non può fare altro se non sorridere alla notizia. Nasconde il viso tra le mani e scuote la testa.

“Oh, certo. Più siamo meglio è” risponde Tony ruotando gli occhi.

“Sono lieto di questa sua risposta positiva. E le voglio ricordare che presentarsi in questo stato davanti a sua zia sarebbe irrispettoso.” Si gira verso l’enorme porta e, col suo portamento rigido, torna a scomparire nell’enorme casa. Steve ridacchia. Tony scuote la testa. Rhodey grida sulle voci di Janet e Bucky che se devono giocare a giochi da tavolo allora nessuno di loro toccherà mai Monopoli. Deve essere una loro maledizione.

“Sono sicuro che sa come funziona il sarcasmo” borbotta Tony, poggiando la testa sulla spalla di Steve. “Me lo ha insegnato lui. Non può non sapere come lo uso.”

“Sono io o ha evidenziato il fatto che compare nelle stanze perché è il tuo tutore?” Steve gli prende la mano per intrecciare le loro dita. Tony si lascia guidare placidamente. “Per farmi paura, forse? E che vuol dire presentarsi in questo stato?”

“Lo sai che uno dei suoi obiettivi è farmi arrivare ai ventuno anni senza una malattia venerea” ridacchia Tony, accoccolandosi contro il suo corpo. Si appallottola e sembra ancora più piccolo di quello che già è. Steve non può trattenersi dal passare un braccio intorno a lui, in un abbraccio dolce, tenero e bisognoso. Erano mesi che non potevano rimanere abbracciati.

“Ah, e io avrei la faccia di una persona che ti potrebbe passare una malattia venerea?”

Tony ride un altro po’. “Non volevo dirtelo.”

“Oh mio Dio.”

“Beh, tra due anni me le potrai passare tutte.”

Tony.”

“Adesso puoi passarmi la mononucleosi, se ci tieni così tanto.” Tony ride ancora e e alza la testa per lasciargli un bacio veloce sulla guancia. Poi si sposta verso le labbra e lo bacia con tutta la tenerezza e delicatezza che pochi sanno come trasmettere. “O potremmo di nuovo prenotare un hotel.”

È la volta di Steve di scoppiare a ridere. “È stato un disastro.”

“È stato divertente!”

“No! Siamo finiti-”

“Signor Stark.” Jarvis è di nuovo si fronte a loro, con le mani dietro la schiena e l’espressione neutra, che lo caratterizza. Steve chiude gli occhi e si porta una mano sulla bocca, come a voler bloccare le parole che escono da quella. Cosa che fa sorridere Tony. “La devo avvertire che la sua carta di credito è stata usata per ordinare,” fa una pausa sarcasticamente drammatica, “esattamente cinque cene diverse in cinque posti diversi. Cibo che sta arrivando in meno di mezz’ora.”

“Sì, ho lasciato la carta in mano a Janet. Penso dal giorno del mio compleanno quindi...”

“Non è una cosa molto saggia” commenta Steve, con le sopracciglia aggrottate.

“È Janet” risponde Tony, come se questo potesse sistemare tutto. “Avrebbe avuto mesi interi per truffarmi con la carta di credito. E anni per truffarmi in un altro modo. È -è Janet.”

“Non è per parlare delle sue idee bislacche che sono tornato, ma perché, vedendo la quantità di cibo che si sta accumulando in questa casa, mi sono preso la libertà di invitare i suoi amici più intimi perché vengano a porgere un saluto al suo amico.” Alza un sopracciglio al vedere la posizione di Steve e Tony, mentre Steve sente il sangue salirgli fino alle orecchie. “Quindi le devo dire che oltre ai suoi presenti amici e a sua zia Peggy, con sua cugina Sharon, si uniranno a lei nella sua cena intima anche la signorina Romanoff con Clint e ho avuto l'onore di parlare al telefono col suo amico Tiberius, che ha rifiutato non molto cortesemente l'offerta.”

“Jarvis. A nessuno piace Ty” risponde Tony frettolosamente, sotto lo sguardo confuso di Steve. Prende un respiro profondo. “Nemmeno a me” aggiunge e sembra essere quelle tipiche frasi che le persone dicono per tranquillizzare altre persone, anche l'espressione di Jarvis non cambia molto, se si mette da parte il suo sopracciglio alzato. “Non più.”

“Mi sono preso anche la libertà di sistemarle i vestiti nella camera, poiché il presentarsi in questo stato davanti a sua zia sarebbe veramente poco rispettoso nei suoi confronti.”

“Sto indossando dei pantaloncini, J.”

“Si è vestito come un senzatetto.”

“Oh mio Dio.” Tony si alza in piedi e sospira. “Steve non si lamenta dei miei pantaloncini!” Indica con gli occhi il ragazzo sul divano che sembra essere stata colpito da un pugno leggero.

“Non mi mettere in mezzo.”

“Credo bene che Steve non abbia nulla contro i suoi pantaloncini” risponde Jarvis, scuotendo la testa. “Sono indecenti e deve cambiarsi il prima possibile. Le ho preparato i vestiti e le sto chiedendo gentilmente di andarsi a cambiare.”

“Non ci posso credere che mi tratti ancora come un bambino.”

“Lei è legalmente un bambino.”

“In Europa sono legalmente un adulto.”

“Peccato che lei sia nato e cresciuto negli Stati Uniti D'America, Stato nel quale lei è ancora un bambino.”

“Non ci posso credere.” Tony inizia a sbattere i piedi sul pavimento, muovendosi verso la sua stanza come farebbe un bambino davanti ad un litigio col proprio padre. “Non ne sono felice, comunque, J. Non sono felice per niente” grida sbattendo la porta.

E Steve sorride. Gira la testa verso Jarvis, che sospira di fronte al comportamento infantile del ragazzo. “Ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiede ingenuamente e Jarvis sospira ancora una volta, scuotendo la testa e muovendosi verso la sala da pranzo, mentre Bucky annuncia a tutti che il gioco scelto per la serata è Twister.










 

I consulenza individuale





Anthony arriccia le labbra e sembra star pensando con intensità non irrilevante alla domanda di Thor, che si sistema sulla poltrona e gli lascia il tempo di pensare lentamente. Sembra essere un privilegio che Anthony Stark non si concede molto spesso. Pensare lentamente. Quindi accavalla le gambe, mostra un accenno di sorriso e scrolla le spalle.

Thor prende nota e non dice nulla, in attesa che Anthony risponda alla domanda. Lo stesso Anthony che fiorisce in un sorriso intenerito, forse sbocciato dai suoi pensieri.

“Ho incontrato la prima volta Steve al funerale dei miei genitori,” inizia, sistemandosi sul divano, con le braccia aperte, in una posizione di falsa sicurezza. “Non era passato neanche un mese, questo me lo ricordo bene, ma c’erano delle pressioni perché il loro funerale fosse organizzato il più in fretta possibile, ma non ricordo il perché di questo. Jarvis aveva preso in mano la situazione, quello sì. Ero ancora minorenne, quindi lui era legalmente il mio tutore legale, con la morte dei miei genitori, una delle cose che si sono sbrigati a fare è stato decidere chi avrebbe avuto il controllo della mia eredità.” Scuote la testa. “Obadahia ha avuto le Stark Industries e Jarvis ha avuto me. Voleva proteggermi. Se c’è una cosa che dice Jarvis sempre è che hanno visto il mio quoziente intellettivo e mi hanno dato giochi da grande per togliermi l’idea che fossi un bambino. Dice anche che questa mia intelligenza deve avermi tolto l’infanzia e che, finché sarei stato sotto la sua protezione,” sorride nel dire la parola, come se fosse qualcosa di divertente, “non mi sarei avvicinato a nulla che fosse non consono alla mia età. Quindi aveva preparato tutto lui. Aveva scelto cosa avrebbero suonato, chi avrebbe fatto il discorso, in quale stanza gli ospiti sarebbero potuti entrare e quindi le pietanze, i mobili e cose così. Ogni minimo dettaglio in società è un dettaglio di potere e questo l’ho imparato da Howard, mio padre. Jarvis mi ha protetto anche in quel modo, devo dire. E, ah, sì, beh, ha vietato a tutto il catering di darmi anche soltanto un goccio di alcol, il che è stato abbastanza stupido, perché poi, per non togliermi nessun appoggio emotivo, ha invitato Ty, che ha portato con sé una bottiglia di vodka, che ci siamo scolati durante i primi dieci minuti del funerale. E ancora non bastava. Ero troppo lucido. Lo dico perché riesco a ricordare ancora ogni minimo dettaglio. L’odore di nuovo di una stanza che non avevamo mai usato. Gli sguardi delle persone, mentre parlavo con Ty. Lo smoking in cui mi aveva infilato Jarvis, prima di darmi un colpetto sulla spalla e dirmi che potevo anche piangere se avessi voluto. E io che non ho pianto. Forse avevo bisogno di un altro po’ di alcol, perché quella notte -prima di quel momento non avevo pianto.

“Ricordo le voci delle persone intorno a me e quanto ne fossi rassicurato. Perché di solito casa mia è vuota. Ty mi ha dato una pacca sulla spalla a un certo punto. Avevamo finito il vodka, quindi deve essere stato poco dopo l’inizio della veglia. Si chiama veglia, giusto? A me sembrava una delle tante feste date da mia mamma. Se avessi dimenticato per cinque secondi che non sarei potuto salire in camera sua e aiutarla a chiudere il vestito, avrei potuto far finta che fosse una di quelle feste per beneficenza che ogni tanto dava e della quale era così fiera. Si emozionava sempre al prepararne una, con Jarvis e con la moglie di Jarvis, Ana. Ana è -È venuta a vivere con noi, poi, dopo la morte di mamma e, devo dire, non ho mai visto una donna tanto indipendente. La vedevamo poco. Quando c’era era una forza della natura. Finché non c’è stata più e siamo rimasti io e Jarvis. Fino i miei ventuno anni e Jarvis ha detto che non avevo più bisogno di lui. E se n’è andato anche lui. Comunque, Ty se n’è andato. Dieci minuti dopo l’inizio della veglia. Ha detto: sai che queste cose non sono per me. E io avrei voluto rispondere che, beh, quelle cose non erano neanche per me a dirla tutta, ma che erano appena morti entrambi i miei genitori e non conoscevo nessuno in quella stanza. Tipo. Nemmeno una persona. Tipo che mio padre mi aveva mandato il più lontano possibile da lui per non metterlo in imbarazzo e che non sapevo nemmeno chi fossero i suoi amici e chi no. E che non mi avrebbe potuto lasciare da solo, se fossimo stati davvero amici. Ma non ho detto niente. Ho fatto sì con la testa e tanti saluti. Puoi andare. Sono uno Stark, non ho bisogno di nessuno. E lui se n’è andato.” Scuote la testa con le sopracciglia aggrottate. “E io non potevo bere niente. Ed ero veramente troppo lucido.

“Penso sia stato a quel punto che ho visto zia Peggy. Se ne stava in silenzio, con le spalle poggiate al muro e un vestito blu. Non la vedevo da anni. Howard si vergognava così tanto di me da avermi allontanato anche da lei. E io comunque avevo diciassette anni e un quoziente intellettivo non indifferente. Davvero. Non avevo bisogno di nessuno. Zia Peggy è stata l’unica persona che ha fermato Jarvis e hanno parlato. Jarvis è stata una delle persone più vicine a mio padre e così anche zia Peggy. E nessuno dei due ha versato una sola lacrima, sai? Erano lì, che parlavano e ogni tanto lei faceva di sì con la testa a qualcosa che lui diceva. E in quel momento mi sono vergognato di me stesso. Perché zia e Jarvis hanno conosciuto Howard più di me e hanno avuto la forza di non mostrare quella debolezza che Howard odiava. Detestava quando piangevo, detestava quando cercavo un qualche contatto fisico, quando cercavo una vicinanza con lui. Ho costruito una macchina a quattro anni per assomigliargli e -che cosa da bambino. E io ero solo, sul punto di avere qualche stupisco crollo. Mi viene da ridere a pensarci. Piango quando la gente muore.” Si copre le labbra e scrolla ancora una volta le spalle. “Quindi mi sono girato e ho sperato di non scoppiare in qualche stupido comportamento. Solo che nel girarmi non ho controllato le persone intorno a me e sono andato a sbattere contro un ragazzo con due bicchieri di succo di frutta. Che sono finiti ovviamente sul mio smoking. E questo è l’incontro più stupido di tutta la mia vita, lo giuro. Ed eppure è successo così. Solo che quella volta ci siamo solo incontrati, non ci siamo veramente conosciuti perché, beh, penso sarebbe stato anche di cattivo gusto, da parte mia, no? Voglio dire. Io sono tutto un cattivo gusto dal punto di vista morale ed etico, immagino. Ma in quel momento, per quanto gli occhi di quel ragazzo mi avessero colpito. Per quanto quanto, dai, voglio dire, Steve è sempre stato un dono dal cielo ma… in quel momento un dono dal cielo non era esattamente quello che pensavo di meritare. O di volere. Voglio dire. Neanche adesso penso di meritarlo, vogliamo mettere?

“Quindi ho sorriso a quel bel ragazzo che continuava a parlare e chiedere scusa. Ho detto che era colpa mia. Ho fatto no con la testa e sono scappato in camera mia. Dove ho pianto. Ho pianto per ore. E continuavo a sentire la voce di mio padre che ripeteva che gli uomini Stark sono uomini d’acciaio, che non piangono. E l’unica cosa che riuscivo a pensare io era che non sono riuscito a far star tranquillo mio padre neanche da morto, se doveva tornare per ricordarmi queste cose.” Alza un lato delle labbra e poi sospira pesantemente quando la mano scorre sulla fronte. “Non penso nemmeno che Steve lo ricordi. È stato un dettaglio che è rimasto impresso nella mia mente e non saprei spiegare il perché. So solo che è successo.”

Thor annuisce in risposta, gioca con le dita delle mani, tra le quali si trova una matita che non utilizzerà. “Sembra un ricordo doloroso” commenta, con voce grave. Anthony alza un lato delle labbra.

“Immagino sia così” risponde, grattandosi il contorno dei suoi baffi. Thor annota mentalmente la parola immagino e, di nuovo, annuisce.

“E quando è stato il vostro primo vero incontro?” chiede. “Il momento in cui tu e Steve avete iniziato a conoscervi.” Fa un gesto con la mano, per invitarlo a parlare e Anthony arriccia le labbra. Poi sospira, con un mezzo sorriso.

“Rhodey dice sempre che ho un debole per i cavalieri sul cavallo bianco. Mi ha sempre preso in giro per questo e devo dire di non averne capito il motivo fino a Steve. In un certo senso Pepper mi ha salvato, ma Steve,” prende un respiro profondo, scuotendo la testa, il suo sguardo cade verso il basso. “Per me è stato un cavaliere dalla prima volta che l’ho conosciuto, devo dire. C’è stato un momento in cui lo conoscevo ma non lo avevo ben in mente. Steve era, forse lo è ancora, uno dei pupilli di mia zia Peggy. E Sharon, una nipote di zia, faceva dei commenti abbastanza casuali su di lui, perché a quanto pare Steve era uno di quei bravi ragazzi che vanno a fare volontariato negli ospedali e cose del genere. E poi, sia Sharon che Steve sarebbero entrati nell'esercito. Solo che Sharon è più brava ad ottenere informazioni e Steve ad ispirare persone coi suoi discorsi. E c’è stato quel momento molto imbarazzante al college, secondo lei, in cui lui ha provato a corteggiarla. E io, che dovevo stare lontano da tutto quello che è da adulti, me ne stavo lì a progettare aerei da combattimento e sentire con un orecchio Sharon, che provava a distrarmi con il chiacchiericcio casuale, e con l’altro orecchio Jarvis e zia Peggy che si chiedevano quanto fosse giusto tenermi completamente fuori dalla società fino ai ventuno anni. Quindi forse la seconda volta che ho incontrato Steve un po’ già lo conoscevo Steve. Ma devo dire che quello che diceva Sharon non gli ha mai reso giustizia.

“Jarvis mi aveva dato il permesso di assistere alla settimana della moda di New York. Sinceramente, per quanto mi piaccia essere vestito bene, odio dovermi ritrovare in posti del genere. Sono sempre pieni di persone ed eppure, sotto alcuni punti di vista, sono molto silenziosi, oltre a una musica monotona. Ma una mia vecchia amica, Janet, mi aveva chiesto di accompagnarla perché ci eravamo messi in testa che il giorno del mio diciottesimo compleanno ci saremmo vestiti abbinati e saremmo andati a fare baldoria fino alle tre del mattino. Non lo abbiamo mai fatto. Cioè. Sì. Ci siamo vestiti abbinati, ma poi siamo finiti in laboratorio, penso per una trappola di Jarvis, e siamo rimasti a parlare di microbiologia. Fino alle quattro del mattino. Abbiamo fermentato della birra in una notte. È stato bello. Con noi c’era anche Rhodey, è stato lui la cavia per la nostra birra istantanea e rudimentale. Comunque. Janet conosceva uno di questi stilisti. Alessandra Facchinetti, forse? Non ricordo molto bene. Ricordo che dovevamo parlare con lei alla fine di una sfilata e che Janet sembrava essere entusiasta di non so che colori e quindi ha iniziato a parlare a raffica e poi a correre. La vedo eccitata sempre e per tante cose. Ma ci sono cose per le quali si eccita un po’ di più. Tipo Hank Pym e la moda. E la scienza, Certo. Anche nel suo modo di fare Scienza, penso che Janet sia un’artista. E spero che un giorno non disegni soltanto i nostri abiti da compleanno, ma anche quelli di chiunque altro.

“Fatto sta che ad un certo punto, io ho perso lei, o lei ha perso me. E io sono entrato nel panico perché, per quanto fossi sicuro di sapere come tornare indietro, avevo paura di abbandonare Janet. E quindi, niente. Penso che quella sia stata la prima volta che il mio istinto mi ha tradito. Mi era sembrato di sentire -forse è stupido, ma mi era sembrato di sentire qualcuno bussare, quindi ho aperto una porta che ho scoperto essere dei camerini vuoti. E la porta, ovviamente si è chiusa dietro di me e tutta quella musica monotona che c’era prima scompare, così come ogni traccia di luce. Sento che il mio cuore accelera ma, sinceramente, pensavo fosse adrenalina o roba del genere. Inizio a cercare chi aveva bussato alla porta e mi rendo conto di essere solo, in una stanza chiusa, buia, senza nessun rumore. E il cuore continuava ad accelerare e stavo tremando. Sono -sono sicurissimo del fatto che stessi tremando e di non essere stato tanto sicuro di respirare. Allora mi sono mosso verso la porta, che però non aveva nessuna maniglia anti-panico e, credo, non aveva neanche una maniglia normale. E nel frattempo ero sicuro di star morendo. Non so come descriverlo. Ero solo sicuro di star morendo. Ho pensato che mio padre aveva avuto un infarto e che il mio braccio sinistro era intorpidito. Ho pensato ecco. Ecco Tony, questo è il posto in cui morirai. E ho iniziato a bussare alla porta con tutta la forza che avevo in corpo. E c’era la voce di mio padre che mi diceva che gli Stark non chiedono aiuto.” Sbuffa una risata. “Se tu fossi un vero psico-analista adesso dovresti dirmi in che fase della mia crescita mi sono fermato, per avere così tante volte in testa mio padre. Comunque. Io ero sicuro di morire. Stavo per morire.

“E poi arriva questo -qualcuno apre la porta da fuori, okay? Ricordo un fascio di luce e che continuava a farmi domande, e io continuavo a sentire di star morendo. E allora lui ha preso la mia mano e l'ha posata sul suo petto. Ricordo che si è messo a contare. Uno. Due. E ogni numero seguiva un tempo della sua respirazione. Arrivava fino a otto, contando due volte sulla sua mano, perché, beh, l'altra mano era premuta sulla mia. E io ho preso a respirare con lui. E lui continuava a respirare con me, okay. E ricominciavo a sentirmi le braccia e il cuore iniziava a battere un po' di meno e mi ero tranquillizzato e mi ritrovo questo ragazzo dagli occhi enormi e celesti che mi tiene una mano e ho pensato, uau, okay, magari sono veramente morto e qualcuno non mi vuol far pagare i miei peccati. Bello.

“Invece Steve si presenta, mi sorride, continua a tenermi la mano e mi chiede se voglio della cioccolata calda. Io rispondo che per me andrebbe bene della tequila o del rum e lui risponde che la cioccolata calda sarebbe andata bene per entrambi. Mi sono ritrovato a bere cioccolata calda con uno sconosciuto in un bar. Lui non faceva altro che fare domande e poi anche io non facevo altro che fare domande e invece di risponderci tutti e due ci facevamo domande. Era divertente. Era un cavaliere dall'armatura lucente che è venuto a salvarmi nel momento giusto. Quindi io gli dico, ehi, io sarei Tony Stark, comunque, se mi volessi cercare da qualche parte. E lui ha riso e ha detto che lui si chiama Steve Rogers e che ci saremmo potuti tenere in contatto. Perché lui è quel tipo di persona troppo gentile con tutti. A volte anche con me. Io penso di -non lo vorrei dire ad alta voce perché mi ricorda quanto sono patetico, ma penso di essermi preso uno bella cotta per lui esattamente in quel momento. Quando in quel bar mi ha sorriso e ha citato Harry Potter senza neanche rendersene conto. Mi sono detto, ecco, questo ragazzo è la cosa più bella che possa succederti. E quindi, ovviamente, non ho fatto mai nulla per conquistarlo, perché, ehi, io sono un disastro e Steve è... Steve.” Scrolla le spalle e si sistema sul divano.

“Com'è possibile, dunque, che adesso voi due siate sposati?” chiede Thor col tono più neutrale a sua disposizione.

“Un miracolo. Non c'è nessun altro modo per definirlo, davvero. Perché, per qualche strana ragione siamo diventati amici. E io ho tanti amici quante dita sulle mani, credo, forse meno. E Steve ha deciso di essermi amico. Aveva iniziato con messaggi sporadici per andare a prendere del cioccolato insieme. Poi ci sono stati quei messaggi. Diceva che mi avrebbe mandato un messaggio ogni volta che qualcosa gli avrebbe ricordato di me. Ed erano dei messaggi piacevoli, ma anche veramente poco gentili. Si ricordava di me quando guardava degli aerei, a volte, e a volte quando guardava un piccione, o un cagnolino veramente brutto nella vetrina degli animali. Uhm. No, è stato bello. Ci divertivamo parecchio. E a volte lo facciamo anche oggi perché, beh, non possiamo stare sempre insieme, ma così sa che lo penso. Voglio dire. Che ci pensiamo a vicenda. Penso che l'ultima foto che mi ha mandato è stata una tazza con la scritta Non-caffè, ma solo perché una volta mi sono bevuto l'olio per le macchine e... giuro che era una bella storia.”

“All'inizio della vostra relazione, eravate litigiosi come lo siete adesso?”

Anthony aggrotta le sopracciglia. “No” risponde, si sfrega le mani sui jeans e alza nervosamente le spalle.

“Perché pensi che adesso non facciate altro se non litigare?”

Anthony in un primo momento si morde le labbra, come a volersi bloccare dal dire qualsiasi cosa stia per dire, ma viene convinto da qualche passaggio mentale che parlare a volte vada bene. Che può dirlo in un luogo in cui niente verrà mai più ripetuto. Quindi prende un grosso respiro, stringe i pugni e si stacca dal contatto visivo precedentemente instaurato con Thor. “Io l'ho deluso” dice, prima di schiarirsi la gola. “E continuo a deluderlo. A volte mi sembra che non possa essere più deluso di me e poi faccio qualcosa, qualsiasi cosa e lui...” Sospira e si sfrega la mano contro una parte del viso. “E l'amore non finisce proprio quando una persona ti delude?” chiede con un fil di voce. Poi scuote la testa, alza un lato delle labbra e sembra essere tornato tutto in ordine. Va tutto bene, sembra voler dire.

“Credo tu abbia un concetto corrotto dell'amore” commenta gravemente Thor, intrecciando le dita delle mani. “Ne hai mai parlato con Steven?”

Anthony inclina la testa e sorride tristemente. “Nel momento in cui io dicessi una cosa del genere, non lo deluderei ancora di più?”

Thor scuote la testa e gioca con la matita tra le sue mani. Deve dire che non si aspettava qualcosa del genere da questo incontro. “Molto spesso parli di Jarvis, posso chiederti se è una figura ancora presente nella tua vita?”

Anthony aggrotta le sopracciglia e si morde le labbra, mentre scuote la testa, con qualche dubbio.

“Normalmente non lascio dei compiti da portare a termine individualmente, ma vorrei dartene uno, se me lo permetti.” Thor prende un respiro profondo e aspetta che Anthony alzi la testa per poterlo guardare negli occhi. “Potrai farlo quando vuoi.”










 

Dopo



“Non mi stai nemmeno ascoltando” commenta Steve in sospiro, prima di abbassare lo sguardo verso la sua tazza di caffè e Tony inclina la testa, cercando forse di tornare in se stesso. Steve non ha comunque intenzione di tornare a guardarlo, batte i polpastrelli accanto al cucchiaio e gira la testa verso la loro finestra.

“Ti sto ascoltando” risponde, aggrottando le sopracciglia e tirandosi in avanti. “Stavo solo pensando a quello che mi hai detto.”

“Non mi stavi ascoltando” ripete Steve, stringendo la mano sulle cosce in un pugno arrabbiato. Continua a guardare fuori dalla finestra e cerca di calmare il respiro e quindi anche il battito del cuore. Non dovrebbero andare così le loro colazioni prescritte da un consulente matrimoniale. Sarebbero dovuti andare in un altro modo.

“Ti stavo ascoltando” ripete anche Tony, questa volta più lentamente, come se Steve potesse non capirlo quando blatera velocemente. Il che è stupido. Steve si è innamorato di lui anche perché blatera velocemente. Si gira verso di lui, per fare in modo che i loro occhi si incontrino e si ritrova lo sguardo irritato di Tony, che probabilmente rispecchia il suo. Anche questo è completamente sbagliato. “Stavo solo pensando a quello che hai appena detto.”

“Ah. Davvero?” Non è una vera domanda. Steve si sorprende della stanchezza nel suo tono di voce e per un attimo abbassa lo sguardo, quando si rende conto di quella micro-smorfia sulle labbra di Tony.

“Sì. Davvero.” Prende un respiro profondo e cuore impercettibilmente la testa, per poter avere un modo casuale per spezzare il loro contatto visivo. “E spero tu sappia che non posso abbandonare le Stark Industries. Non così. Non io. E non per mio padre. Howard non c’entra niente. Va bene? Solo che -non so se te ne rendi conto, ma chiedermi di abbandonare le Stark Industries è come chiederti di abbandonare la tua -” Si blocca velocemente, sbarrando gli occhi. “Non -è stupido.” Si gratta nervosamente la testa, tirandosi verso lo schienale della sedia. Steve deve concentrarsi sulla respirazione e sperare di non esplodere. Chiude gli occhi e prende un respiro profondo. “Io non te lo avrei mai chiesto.”

“Ah,” Steve annuisce lentamente, aprendo gli occhi e sente i lati della bocca cadere verso il basso. “Passando sopra il fatto che non ti ho mai chiesto di abbandonarle, va bene. Perché lavorare alle Stark Industries ti rende felice. È una cosa che ami.”

“Smettila.” Tony scuote di nuovo la testa e si porta una mano sugli occhi, era poterli stropicciare entrambi con un solo movimento. “Smettila” ripete, e sembra essere una supplica, velata da attacco, ma Steve non la sente, sente soltanto il sangue ribollirgli nelle vene, mentre il suo respiro continua a non seguire uno schema regolare.

“Vuoi dire che quella fabbrica di armi che tu e Obadahia vi ostinate a portare avanti è il tuo fiore all'occhiello, la tua eredità per le generazioni future? Il tuo modo per cambiare per il meglio il mondo?” Fa una pausa e osserva come la mano sopra gli occhi di Tony scivola sul tavolo. Ma non risponde, rimane in silenzio a guardarlo, con un misto di rabbia e colpa che Steve spera, spera con tutto se stesso lo stia facendo tornare in sé. “Quindi sarebbe questo quello che ami” continua quando sembra chiaro che Tony non sembra voler aprire bocca.

“Crescere vuol dire anche scendere a patti, sai?” chiede, mordendosi le labbra con furiosa nervosismo.

“Non così.” Steve scuote la testa. “Non per te.”

L’ultima frase sembra far scattare qualcosa in Tony, che raddrizza la schiena e si tira in avanti, con occhi furenti che incontrano quelli ugualmente arrabbiati di Steve. “Spero che tu sappia che questa è la mia vita, è una mia decisione, quindi, sorpresa, non starò qui a sentire una ramanzina da un militare. Vendo armi all’America che tanto adori. Le vendo a te. Quindi non mi sembra che siamo tanto diversi, sai? Solo che io non sono così ipocrita da nascondermi dietro valori passati di moda.” Di nuovo, le sue mani iniziano a fremere alla ricerca di un movimento naturale e nervoso. Lui stesso si guarda intorno e sembra star tremando dalla tanta energia che deriva dalla sua rabbia. E Steve riesce a pensare solo ad una cosa.

“Non è la tua vita” dice e tenta di mantenere un tono grave e controllato, mentre il suo corpo continua a voler liberare lui stesso la sua rabbia, cosa che non può fare, non ha mai avuto il diritto di farlo. “Ogni -spero tu ti renda conto che ogni tua decisione ha delle conseguenze su di me. Che noi la vita abbiamo deciso di condividerla. Che quando io devo prendere una decisione importante prima ne parlo con te, perché dovrebbe affettare noi, non solo me. Quindi è la nostra vita, va bene? Lo capisci questo?”

Tony sbatte lentamente le palpebre e sospira. “Non così” risponde, tirandosi indietro. Ci sono delle parole che Steve vede fluttuare nell’aria e che interpreta malamente, mentre Tony, si alza dalla sedia davanti a lui e alza le mani. “Questa cosa non sta funzionando” dice, allontanando la sedia dal tavolo, per poi cercare di allontanarsi il più velocemente possibile. Probabilmente è arrivato al punto in cui vuole scoppiare a piangere, ma non vuole farlo davanti alla persona che lo ha fatto piangere.

Quindi Steve lo lascia allontanarsi, seduto sulla sua sedia, con davanti una colazione che non ha intenzione di mangiare e quell'interpretazione del silenzio di Tony che spera sia erronea. Perché non potrebbe vivere in un mondo in cui Tony lo avverte che non sceglierebbe lui ad un’azienda che ha sempre dichiarato di odiare. “Comunque” dice, prima che Tony possa uscire dalla stanza, “stavo parlando della visita di tua zia Peggy, della prossima settimana.” Abbassa la testa e tiene ancora i pugni ben stretti. Sente su di sè lo sguardo di Tony. “E lo so che adesso noi siamo difficili ma…” Scuote la testa e alza una spalla. “Io lotterò sempre per noi.”

Tony abbassa lo sguardo e torna a sedersi al tavolo, in un silenzio quasi cerimonioso. Poggia la schiena sulla sedia, si morde le labbra, continua a giocherellare con le dita. “Siamo un disastro” mormora qualche secondo dopo, con la voce rauca.

“Almeno nessuno di noi è Erik” commenta di rimando, alzando gli occhi verso Tony, che sbuffa una lieve risata.

“Erik è un vero disastro” concorda, passandosi una mano sotto il naso. “E Charles è troppo buono.”

Steve allunga il braccio per afferrare la mano di Tony, che si aggrappa a lui quasi con disperazione. È in quel momento che ricorda che, in un modo o nell’altro, sarebbero sempre stati loro due.

Deve essere così.





 
  
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