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Autore: Shireith    08/01/2018    5 recensioni
«Vuoi essere la mia Ladybug?»
«La tua chi?»
«La mia Ladybug! La mia partner. Due supereroi che la notte di Halloween difendono i deboli e gli innocenti dai cattivi, portando caramelle ai bambini buoni.»
Marinette pensò che quel bambino dovesse averne davvero tanta, di fantasia, ma doveva ammettere che c’era qualcosa in lui che l’attirava. Aveva un sorriso raggiante, di un’intensità pari a quella del sole. Era comparso dal nulla, l’aveva salvata da quei bulli e adesso blaterava idee strane sui supereroi – strane, già, ma anche divertenti, motivo per cui accettò. «Va bene.»

{Adrien/Marinette, Nino/Alya, side!Chloé | Volleyball!AU}
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

15 settembre 2017, venerdì,
  ore 7:59, Parigi

  Com’era ormai sua consuetudine, Marinette era in ritardo.
  Per Sabine e Tom era diventata una routine. Quasi non si accorsero della figlia che saettò giù dalle scale, rischiando due volte di inciampare e provocarsi una commozione cerebrale, e uscì maledicendosi da sola.
  «Uno…» iniziò Sabine.
  «Due…» continuò Tom.
  Al tre congiunto degli sposi, Marinette fu di nuovo dentro: non poteva di certo andare a scuola senza zaino.
  «Non cambierà mai.»
  «No.»
  La fortuna volle che riuscisse a entrare in classe e sistemarsi al suo banco prima che la professoressa di matematica fosse lì. L’anno scolastico era iniziato da poco più di una settimana e lei già collezionava ritardi; che ai professori ne sfuggisse qualcuno ogni tanto non poteva dunque essere che positivo.
  «Certo che per abitare qui dietro l’angolo è incredibile come tu riesca ad arrivare sempre in ritardo» la canzonò Alya con affetto mentre la sua amica prendeva posto di fianco a lei.
  «Ti prego, non ti ci mettere anche tu, Alya.»
  Frattanto, dietro di loro, alcuni compagni di classe avevano deciso di approfittare del ritardo dell’insegnante per chiacchierare tra loro.
  Marinette non era interessata a origliare le conversazione altrui, ma un commento di Rose su un certo arrivo del giorno dopo attirò la sua attenzione. Tuttavia non fece neanche in tempo a girarsi per unirsi alla discussione e chiedere chiarimenti che subito entrò la professoressa.
15 settembre 2017, venerdì,
  ore 15:13, Parigi

  Furono libere dagli impegni scolastici alle tre del pomeriggio, e Marinette minacciava di cadere a terra come un peso morto. Non bastava essere rimasta sveglia fino a tardi a causa dell’ansia che aveva per l’imminente partita ed essersi dimenticata di fare colazione, adesso ci si mettevano pure gli allenamenti di pallavolo pomeridiani. Di venerdì. Dalle cinque alle otto. Tuttavia, prima che dovesse correre a casa e poi in palestra, le due amiche ne approfittarono per concedersi un breve stacco. Si fermarono al parco lì vicino, alla loro solita panchina, e si rinfrescarono con un gelato, siccome il clima ancora lo permetteva.
  «Alya, ti prego, ammazzami» la implorò con teatralità, accasciandosi contro la sua spalla. Era ancora metà settembre e già i mille impegni di quando era nel periodo scolastico sembravano travolgerla come un mare in tempesta.
  «E tu mi lasceresti da sola con Chloé?»
  «C’è pur sempre Nino.»
  «Se io t’ammazzassi, le ragazze della squadra ammazzerebbero me.»
  Marinette rise. Nonostante fosse talmente maldestra da cadere pure con i piedi incollati al pavimento, nello sport che praticava da sette anni, la pallavolo, era molto coordinata e guidava la squadra come il capitano che era. Quando si trovava sul campo, tutto ciò che rappresentava nei panni di Marinette Dupain-Cheng spariva: diventava in tutto e per tutto la numero 1 che i compagni di squadra amavano e gli avversari temevano.
  «L’allenamento è alle cinque, giusto?» domandò Alya, più per introdurre il discorso che per averne conferma, dato che oramai conosceva bene gli orari della migliore amica.
  «Sì.»
  «Allora ci conviene sbrigarci, o tu farai tardi e Nino mi tirerà per i capelli.» Si alzò dalla panchina, cominciando a racimolare la sua roba.
  «Non ne avrebbe mai il coraggio» ridacchiò Marinette.
  «Vero.»
  Marinette, Alya e Nino si erano conosciuti il primo anno di scuole medie e da allora formavano un trio inseparabile. Poi, un giorno, Marinette aveva capito che a Nino piaceva Alya, e lei, da buona amica, lo aveva aiutato a dichiararsi quando aveva capito che la diretta interessata ricambiava. Ogni tanto si sentiva un terzo incomodo, sebbene sapesse che i suoi amici non la pensavano affatto così. Ogni tanto Nino desiderava non essere l’unico maschio del gruppo, perché non riusciva a tenere mai testa alle due – quanti film d’amore fossero andati a vedere negli ultimi anni, ormai non se lo ricordava. Ma, a discapito di tutto, erano inseparabili.
  Alya decise di accompagnare Marinette fino alla sua abitazione, così da ritagliarsi un po’ di tempo in più per conversare in tranquillità.
  «Da quant’è che non uscite insieme?» domandò la castana.
  «Circa una settimana. Lui è sempre così impegnato con la sua musica e io con il giornalismo.» Alya era la direttrice del giornalino scolastico e teneva un blog dove affrontava questioni di attualità o più semplicemente parlava di sé e di ciò che le interessava. Per citare un esempio, assistere a una partita della squadra di Marinette le aveva fatto assumere una concezione del tutto nuova della pallavolo, e, poiché appassionata di fotografia e cinema, non c’era occasione che si facesse sfuggire per girare delle riprese. La pallavolo è uno sport in cui la palla non può essere stoppata e tutto accade velocemente, ma con la sua videocamera Alya si sentiva capace di cogliere la vera essenza di ogni singola azione – un salvataggio impossibile del libero o un’alzata precisa al centimetro di Marinette, ad esempio. «Come se non bastasse, a volte, quando siamo liberi, devo fare da babysitter ai miei fratelli» concluse.
  Su quel fronte, Marinette avrebbe tanto desiderato aiutarla, ma a occupare quasi tutte le sue ore libere ci pensava la pallavolo. «Questo weekend?»
  «Niente da fare.»
  «Se non venite alla partita, lunedì, avrete tutto un pomeriggio da passare insieme» propose. Dopo tutte le volte che i suoi due amici erano andati a sostenerla, non le dispiaceva rinunciare a loro per un pomeriggio, se questo poteva significare aiutarli a ritagliarsi un po’ di tempo per sé.
  «Ma non ci pensare neanche! Non ci perderemmo mai una partita.» Oltre a raccogliere materiale audiovisivo, la presenza di Alya e Nino a tutte le partite di Marinette era dettata dall’affetto, dal rifiuto categorico a privare l’amica del loro sostegno.
  La giovane sorrise, continuando a camminare al fianco di Alya: quei due erano i migliori amici che potesse mai desiderare di avere.
18 settembre 2017, lunedì,
  ore 8:01, Parigi

  Lunedì era il giorno dei quarti di finale dipartimentali del campionato femminile e Marinette era tesa come una corda di violino. L’ansia pre partita diventava sempre più intensa: se nelle ultime notti aveva dormito male, in quella che precedeva il giorno della partita non chiuse proprio occhio. Certo riuscì a fare colazione, a prepararsi per bene e ad andare a scuola con tutta calma, ma bisognava vedere se sarebbe riuscita ad arrivare all’ora della partita senza cadere a terra dal sonno. Sperava che almeno il caffè sarebbe riuscita a tenerla sveglia; poi, una volta entrata in campo, ci avrebbe pensato l’adrenalina.
  «Quindi ce la fai ogni tanto ad arrivare in orario, Marinette» fu il commento assolutamente non richiesto di Chloé Bourgeois quando lei e Alya comparvero in classe. Per quanto riguardava quell’arpia, non sarebbero bastate venti ore di sonno e dieci caffè per mandarla giù.
  «Non siamo mica tutti come te, che si alzano quattro ore prima solo per farsi capelli e trucco» la rimbeccò, superandola come se tutt’un tratto fosse diventata invisibile e non contasse più niente.
  Arrivata al suo posto, però, trovò un imprevisto: un ragazzo biondo era inginocchiato di fianco alla sua sedia e, sebbene girato di spalle, Marinette giurò di non averlo mai visto prima. «Scusa, che cosa…?» lo approcciò, allungando il collo per capire cosa stesse facendo. «Ma stai attaccando una cicca alla mia sedia?!»
  Preso alla sprovvista, il ragazzo sobbalzò. Si voltò e trovò lo sguardo della giovane che, duro e diffidente, lo scrutava dall’alto. «Cosa? No! Io—» tentò di dire, ma non poté mai terminare la frase.
  Dietro di loro, Chloé e Sabrina scoppiarono a ridere.
  «Oh, ho capito» commentò Marinette, arricciando contrariata le labbra nel tentativo di restare calma. «Molto divertente. Davvero bravo.» Lo allontanò dal suo posto con uno sgarbo che non le apparteneva.
  «Senti—» insisté l’altro mentre tentava di riavvicinarsi alla sedia.
  «Lascia perdere.» Gli sbarrò la strada e si piegò sulla sedia, adoperandosi per togliere il simpatico regalino che quello gli aveva lasciato. Lo richiuse disgustata in un fazzoletto e lo gettò nel cestino; poi tornò nuovamente al suo posto, dove il ragazzo continuava a osservarla senza dire niente. «Tanto ho già capito. Tu sei l’amico di Chloé, quello nuovo, giusto?» Ricordava di averne sentito parlare il venerdì precedente, ma non aveva approfondito la questione e non sapeva chi fosse quel tizio, solo che era amico di Chloé.
  Perché me lo chiedono tutti?, si domandò costui, affranto dalla brutta impressione che quella ragazza si era appena fatta di lui. Si andò a sedere due posti più avanti, di fianco a Nino, dov’era presente l’unico banco libero.  «Perché non gli hai detto che è stata Chloé?» gli chiese proprio quest’ultimo, che aveva osservato la scena dall’inizio. Mentre gli altri erano distratti e alcuni ancora mancavano, Nino era entrato nel momento esatto in cui Chloé aveva attaccato la gomma da masticare alla sedia di Marinette. Adrien aveva protestato e, dopo aver ascoltato le chiacchiere di Chloé per circa mezzo minuto, aveva deciso di toglierla; proprio in quel momento Marinette aveva fatto la sua apparizione in classe e aveva frainteso. Quello che Nino non capiva, però, era perché Adrien, compreso il malinteso, non avesse messo in chiaro le cose.
  Il biondo poggiò sconsolato il mento sul palmo della mano e osservò con la coda dell’occhio Chloé e Sabrina che, nella fila opposta, se la ridevano di gusto. Incredibile ma vero, stava proteggendo quella persona. «È l’unica amica che abbia mai avuto, in un certo senso; non mi andava di tradirla» confessò.
  Nino pensò che dovesse essere un bravo ragazzo, se ci teneva a metterci la faccia per Chloé. «Capisco. Be’, Adrien, in tal caso, penso che sia l’ora che tu ti faccia dei nuovi amici. Piacere, io sono Nino» disse, porgendogli la mano in segno di amicizia.

  Il giovane Agreste ricambiò la stretta. «Adrien.» Almeno uno dei suoi nuovi compagni non si era fatto un’opinione sbagliata sul suo conto, era già qualcosa.
  Mentre Nino prendeva il libro di inglese dallo zaino, lui studiò senza farsi notare la ragazza che aveva gli occhi del colore del mare con la sensazione che gli sfuggisse qualcosa.
  «Sai, Alya,» stava intanto dicendo Marinette alla sua migliore amica, «ha un che di familiare, quel tipo.»
  «Ma certo che sì: è Adrien Agreste, il figlio del milionario Gabriel Agreste» le fece presente, mostrandole dal suo cellulare delle foto appena trovate su internet.
  Marinette sgranò gli occhi. «Ma certo! Come ho fatto a non accorgermene prima? Gabriel Agreste è il mio stilista preferito, e suo figlio appare in tutte le riviste di moda più rinomate come suo modello.» Pensò che sarebbe stato bello stringere amicizia con lui, peccato che fosse come Chloé, se non peggio.
  «Ricco, figlio d’arte, bambino prodigio e per giunta amico di Chloé… faremo meglio a stargli alla larga» sentenziò Alya.
18 settembre 2017, lunedì,
  ore 17:09, Parigi

  Finite le lezioni, Adrien era combattuto: da una parte aveva ancora impresso nella mente lo sguardo carico di disappunto che Marinette gli aveva lanciato all’inizio della giornata; dall’altra, invece, era contento di essere riuscito a farsi già un amico: Nino, il suo compagno di banco, che proprio in quel momento lo stava invitando a uscire con lui, Alya e Marinette.
  «Nino, Marinette già mi odia, e Alya non sarà da meno» ribatté di fronte alle insistenze dell’altro.
  «Tranquillo, amico, gli spiego tutto io» gli assicurò. Dopo ciò che era successo alla prima ora, Nino credeva fermamente che Adrien avesse bisogno di nuovi amici e l’idea di avere finalmente un altro ragazzo nel gruppo non lo disgustava affatto. «Dai, davvero non vuoi venire?»
  «Mi piacerebbe tanto, sul serio, ma te l’ho detto: non mi va di tradire Chloé.»
  «E te lo dico di nuovo anch’io: non ne vale la pena, per quella lì.»
  «Sarà» fu la sua risposta, accompagnata da una scrollata di spalle. «Ma comunque oggi pomeriggio non posso proprio, ho da fare.»
  «Tuo padre?» Conosceva Adrien da solo un paio d’ore, eppure già questi gli aveva accennato quanto fosse severo e iperprotettivo il genitore.
  «Per una volta no» rispose accennando un mezzo sorriso. Quella era l’unica attività che avesse mai svolto per suo piacere personale e non su ordine del padre – al contrario, era stato difficile ottenere il suo consenso.
  Nino era sul punto di chiedergli cosa fosse, quando una voce alle loro spalle li distrasse dalla loro conversazione. «Nino!» chiamò Alya da dietro mentre si avvicinava con passo svelto. «Dove ti eri cacciato? Se non ci sbrighiamo non faremo mai in tempo per…» Notò Adrien solo in quel momento e gli rivolse un’occhiata severa, anche se mai gelida quanto quella di Marinette. «Ah, ciao.»
  «Ciao» rispose Adrien, a disagio perché sapeva di starle antipatico.
  «Se non ti dispiace, io e il mio ragazzo dovremmo andare.»
  «Alya, guarda che ti sbagli…» cercò di difenderlo Nino, ma Adrien lo zittì, lanciandogli un’occhiata che gli chiedeva di mantenere la promessa.
  «È tutto a posto. Alya ha ragione, è meglio che andiate. Ci vediamo domani.»
  Nino lo osservò andarsene con dispiacere, poi spostò lo sguardo su Alya, infine di nuovo su Adrien. A malincuore, decise che per lui avrebbe mantenuto il segreto, anche se andava solo a discapito suo.
18 settembre 2017, lunedì,
  ore 17:46, Parigi

  Marinette era una ritardataria nata, ma almeno per quanto riguardava le partite riusciva a essere puntuale – questo più che altro perché gli orari non implicavano alzarsi alle sette di mattina e abbandonare controvoglia il suo beneamato letto.
  Come era necessario fare prima di un match, era indaffarata nel riscaldamento, mentre osservava i suoi genitori e amici disporsi sugli spalti. Era grata di avere tutte le persone più importanti della sua vita raccolte lì a sostenerla; tuttavia era sempre vivo in lei il timore che, sbadata com’era, avrebbe commesso un errore sciocco proprio nel momento meno adatto, quando un solo punto separava la squadra avversaria dalla vittoria, e che loro sarebbero stati lì ad assistere. Non avrebbero riso di lei, ma li avrebbe delusi.
  Tutte le sue insicurezze, però, sparivano non appena la partita aveva inizio. Da quell’istante fino a quando la palla non fosse caduta a terra per l’ultima volta, la vita di Marinette si concentrava al solo interno di quelle quattro linee bianche: vedeva chiaramente la palla, la rete, le sue compagne e la squadra avversaria; al di fuori di esse, tutto il resto non aveva più importanza.
  Fu proprio questa sua concentrazione che, da alzatrice nonché capitano, le permise di coordinare al meglio la sua squadra e condurla un’altra volta alla vittoria. Questo perché, acquistando sicurezza, in campo Marinette riusciva a tirar fuori tutto il suo lato ingegnoso e creativo, uscendosene con le giocate più strambe e fantasiose. Certo grande parte del merito andava anche a tutte le sue compagne, ciascuna delle quali aveva un ruolo decisivo in ogni vittoria che conquistavano. Non si può giocare a pallavolo da soli, e questo Marinette lo sapeva bene.
18 settembre 2017, lunedì,
  ore 18:52, Parigi

  Negli spogliatoi, Alya raggiunse la squadra, vogliosa di complimentarsi con loro e di mostrargli le riprese che aveva girato. Come migliore amica di Marinette, conosceva piuttosto bene anche le altre ragazze.
  «Marinette!»
  «Alya!»
  «Marinette!»
  «ALYA! Ma hai visto?»
  «Certo che sì, ero in prima fila! Siete in semifinale!»
  «Lo so!»
  Le due amiche si abbracciarono, una più felice dell’altra. Quando si separarono di nuovo Alya strinse la videocamera con entrambe le mani e si avvicinò al resto della squadra. «Ragazze, volete vedere le riprese? Esther,» si rivolse alla numero 3 nonché schiacciatrice laterale delle Coccinelle «la tua schiacciata che vi ha fatto vincere il primo set è venuta benissimo, non puoi nemmeno immaginare. Andrà a finire sicuramente sul mio blog. Ovviamente ci va anche la tua alzata da fondo campo, Marinette.»
  «Non ti sembra un po’ di esagerare?»
  «Scherzi?»
  «Ok, come vuoi tu.»
  «Comunque, se ci sbrighiamo, credo che facciamo ancora in tempo ad andare a vedere la partita della categoria maschile. È oggi che giocava la squadra che ha quel giocatore super bravo e super figo?»
  Marinette arrossì. «I-Io ho solo detto che è bravo.»
  «Ma è anche bello da morire» sentenziò Esther.
  «Ti piace, Marinette?» domandò Camille.
  «Ma se neanche so com’è fatto!» sbraitò. Sebbene circolassero già voci sul suo talento, il giocatore in questione era diventato da poco titolare e sul suo conto Marinette non sapeva molto.
  «Andiamo a giudicare coi nostri occhi, allora» disse Alya, quindi prese Marinette per un braccio e la trascinò fuori dagli spogliatoi.
  «Devo ricordarti che ce l’hai già, un ragazzo?»
  «Non tradirei mai Nino!»

  Quando le due giovani e Nino, che le aveva raggiunte poco prima, fecero la loro comparsa nel corridoio in cima agli spalti, il match non era ancora terminato.
  «Qual è il risultato?» chiese Marinette alla prima persona che le capitò a tiro.
  «Hanno vinto un set a testa stesso e ora i Gatti Neri sono arrivati al match point; conducono per 14 a 11.»
14 a 11? Un pericoloso distacco, considerando che i Gatti Neri sono a un punto dal prendersi il set, decretò la giovane alzatrice nella sua mente.
  Lo spettatore a cui aveva chiesto il punteggio la squadrò con più attenzione e notò la divisa delle coccinelle fare capolino dalla felpa bianca a strisce rosse semichiusa. «Ma tu sei delle Coccinelle! Se non sbaglio giocavate anche voi oggi, giusto? Com’è andata, avete vinto?»
  «Ah, sì» rispose distrattamente. Tutta la sua attenzione era rivolta alla partita: fece saettare velocemente lo sguardo su tutta la superficie del campo finché non adocchiò il numero 9, l’alzatore laterale di cui aveva tanto sentito parlare nelle ultime settimane. Quando finalmente gli mise gli occhi addosso, questi era nel settore 1.
  L’alzatore mise la palla dalla parte opposta del campo, dove un corvino alto come minimo un metro e ottanta – il numero 5 – era pronto a ricevere l’alzata e a schiacciarla.
  Marinette pensò che un tocco di seconda intenzione sarebbe stata la scelta ideale, ma con tutte le probabilità l’alzatore non aveva avuto il tempo di pensarci, vista la velocità dell’azione.
  Poi l’impensabile accadde.
  Il numero 5 saltò prima del previsto, tendendo una trappola al muro avversario: quando da dietro il gigante spuntò il numero 9, questo non fece in tempo a saltare di nuovo, e lo schiacciatore laterale dei Gatti Neri poté schiacciare senza ostacoli. Fu una schiacciata forte e decisa, che culminò nell’angolo destro della metà campo avversaria.
  «Wow! Quel tizio è stato fenomenale!» commentò Nino.
  «E mi ha regalato delle riprese straordinarie» aggiunse Alya.
  Marinette credeva che il numero 9 dei Gatti Neri fosse stato più che fenomenale. Era stato… be’, qualsiasi aggettivo rendesse di più di “fenomenale”. Quell’ultima azione aveva stupito tutto il pubblico, ma solo chi conosceva la pallavolo come lei poteva coglierne a pieno l’essenza.
  Il numero 9 dei Gatti Neri ne aveva di talento, eccome.  Certamente anche l’alzatore era talentuoso e dovevano esserlo tutti gli altri, ne era sicura pur non avendoli visti in azione, ma lui aveva qualcosa in più. Non sapeva che cosa fosse, solo che avrebbe pagato oro per giocarci insieme e alzargli la palla anche solo per una volta.
  «Terra chiama Marinette» disse Alya, sventolandole una mano davanti agli occhi.
  Niente, sembrava uno zombie. Poi, tutt’un tratto, con un cambiamento così repentino da cogliere di sorpresa Nino e Alya, Marinette si mosse.
  «Marinette, ma dove stai andando?» le urlò dietro Nino, senza ottenere risposta. Lui e Alya si scambiarono un’occhiata confusa e decisero di lasciarla fare, limitandosi a seguirla con lo sguardo per scoprire quali fossero le sue intenzioni.
  In un attimo era già arrivata alle scale e le scendeva con rapidità, dirigendosi verso il campo in cui i Gatti Neri e le Aquile avevano appena disputato la loro partita. Attirò molti sguardi – fin troppi – e non era nemmeno permesso farlo, ma non le importava.
  Uno dei primi a notarla fu il numero 1, ossia l’alzatore. La conosceva molto bene, perché, pur facendo parte di una categoria differente, la considerava alla stregua di un obiettivo da raggiungere e superare. L’alzatrice delle Coccinelle, di fatti, era piuttosto rinomata per il modo in cui dominava il campo: guidava la squadra con strategie talmente fantasiose e imprevedibili da spiazzare l’avversario, possedendo una capacità di ragionare sotto pressione davvero ammirevole; ed era, al tempo stesso, in grado di realizzare alzate precise al centimetro.
  Il numero 9 era girato di spalle e, un po’ in disparte rispetto al resto della squadra, sorseggiava dell’acqua. Il tempo di arrivargli alle spalle e l’avevano notata tutti. Normalmente sarebbe morta dalla vergogna, ma in quel frangente le importava solo il ragazzo che aveva di fronte.
  «Scusami,» esordì, attirando finalmente la sua attenzione. Fece per continuare, ma si bloccò, capendo solo in quel momento chi aveva di fronte: Adrien. Adrien Agreste. Quell’insopportabile di Adrien Agreste.
  «Marinette?» domandò, lanciandole un’occhiata confusa e al tempo stesso preoccupata per la sua improvvisa catalessi.
  La corvina scosse la testa e tornò alla realtà. «E-eh?» farfugliò, spaesata, nonostante fosse Adrien quello dei due ad avere più ragione di esserlo.
  «Cosa ci fai qui?»
  «Io…» Cosa ci faceva li? Forse voleva complimentarsi con lui perché era stato fantastico, superlativo? Sì, decisamente. Gliel’avrebbe detto, ora che sapeva chi era? No, decisamente. «… devo andare. Ciao.» E così, sotto gli occhi di tutti, se ne andò, desiderando che la terra la inghiottisse.

  «Sono un’idiota, Alya. Una scema. Una cretina.»
  «E dai, Marinette, non fare la melodrammatica.»
  «“Non fare la melodrammatica”? Vorrei ricordarti che mi hanno vista tutti, Alya. Tutti! E adesso quel bellimbusto di Adrien Agreste penserà chissà cosa di me, come se non fosse già abbastanza lo scherzo della gomma. Non poteva accontentarsi di essere bello, ricco e quant’altro? No, deve essere anche un prodigio, e per giunta nella pallavolo! Non poteva essere bravo nelle corse con le slitte, così se ne andava al Polo Nord?»
  «Sicura che le corse con le slitte siano al Polo Nord?»
  «Alya!»
  «Ok, scusami. Senti, Marinette,» iniziò, mettendole una mano sulla spalla «i nostri compagni che sono venuti a vederti sono rimasti nella palestra in cui hai giocato tu, non sono venuti a vedere anche i Gatti Neri, quindi non sanno niente. C’era solo Nino, che non lo dirà mai a nessuno. Gli altri chi li conosce? E poi nessuno di loro ha sentito le cose sconclusionate che hai detto ad Adrien, vi hanno solo visto in parlare. Chi se ne frega cosa penseranno loro o quell'idiota!»
  «Grazie, Alya.»
  «Siamo o non siamo amiche?»
  «Ma ti ricordo che c’erano le telecamere.»
  «Ah.»
  «Già.»
   
 
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