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Autore: Shireith    01/01/2018    8 recensioni
«Vuoi essere la mia Ladybug?»
«La tua chi?»
«La mia Ladybug! La mia partner. Due supereroi che la notte di Halloween difendono i deboli e gli innocenti dai cattivi, portando caramelle ai bambini buoni.»
Marinette pensò che quel bambino dovesse averne davvero tanta, di fantasia, ma doveva ammettere che c’era qualcosa in lui che l’attirava. Aveva un sorriso raggiante, di un’intensità pari a quella del sole. Era comparso dal nulla, l’aveva salvata da quei bulli e adesso blaterava idee strane sui supereroi – strane, già, ma anche divertenti, motivo per cui accettò. «Va bene.»

{Adrien/Marinette, Nino/Alya, side!Chloé | Volleyball!AU}
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

31 ottobre 2007, mercoledì,
  ore 18:03, Parigi

  Marinette tirò con insistenza il lembo di pantalone che stringeva tra le mani, rivolgendo al padre uno sguardo supplichevole. «Papà, sbrigati!»
  «Soltanto un attimo.» Tom le sorrise e le porse una caramella, poi posò sul tavolo la ciotola che ne conteneva tante altre diverse in gusto e forma: quella sera Sabine sarebbe rimasta a casa ad accogliere le richieste di caramelle da parte dei bambini della città, mentre lui avrebbe accompagnato Marinette a fare “dolcetto o scherzetto?”.
  Uscirono di casa alle sei e mezza; il cielo era già parzialmente oscurato e nelle strade guarnite delle decorazioni tipiche di Halloween si riversavano bambini di tutte le età e adulti che li accompagnavano.
  Marinette cominciò a tirare suo padre a destra e a sinistra alla ricerca di alcuni amici del quartiere: incontrò Claude, vestito da classico vampiro, poi Bernard e infine Cécile, coi quali passò in razzia circa una quindicina di case. Si fermavano davanti a una porta a recitare la solita filastrocca, ricevevano le caramelle di cui poco a poco si riempirono e in men che non si dica erano già passati alla casa successiva, come se si teletrasportassero.
  Era difficile, per Tom e gli altri genitori, stare dietro a dei marmocchietti carichi di zuccheri e in attesa di riceverne sempre di nuovi.
  In mezzo alla calca, i bambini furono presto non più sotto l’occhio vigile dei loro genitori – niente di cui preoccuparsi, comunque, poiché era una zona tranquilla e un po’ tutti si conoscevano. Parlando con Cécile dietro di lei, Marinette non si accorse del ragazzo che le sbarrò improvvisamente la strada finché non gli fu addosso.
  «Attenta a dove metti i piedi» ringhiò questi, guardandola dall’alto con l’espressione di chi prometteva di avere cattive intenzioni.
  Non era stato, infatti, uno scontro casuale. Il ragazzo e il suo gruppo li avevano notati da lontano e avevano deciso che sarebbero stati loro quattro le loro prossime vittime. Un gruppo di bambini più piccoli e indifesi: facile, no?
  Non appena i cinque cominciarono a circondarli, Marinette e i suoi amici capirono di avere a che fare con dei bulli. Prima che questi, più grandi di loro e con un vantaggio di cinque a quattro, potessero tentare una mossa, Claude gli rovesciò addosso tutte le caramelle che aveva nella zucca di plastica; gli altri tre lo imitarono, quindi approfittarono del diversivo e scapparono sparpagliandosi.
  Il primo pensiero di Marinette fu quello di raggiungere suo padre – chi mai avrebbe cercato di fare il prepotente, con lui? –, ma non lo trovò. Intorno a lei vedeva solo mostri, zombie, vampiri e orrori vari, in più c’erano molte persone più alte di lei che le bloccavano la visuale. Allora fece la prima cosa che le venne in mente: continuare a scappare e rifugiarsi da qualche parte. Magari quei bulli non la stavano nemmeno seguendo, e se anche così non fosse stato sarebbe sicuramente riuscita a seminarli, zigzagando qua e là tra la folla fino a raggiungere un posto più tranquillo.
  Ma si sbagliò.
  Fu proprio nel retro di una casa che venne stanata da due di quelli, dove non c’era nessuno e una staccionata in legno, complice anche il buio, copriva la visuale.
  «Guarda un po’ ‘sta qui come si è conciata!» sghignazzò il ragazzo più grosso, strattonandola a terra. «È ridicola.»
  Marinette cercò di attutire la caduta con i palmi delle mani, ferendosi superficialmente; sulla gonna ora sporca di terra qua e là si creò uno strappo. Era sul punto di piangere, ma trattenne le lacrime. «Non sono ridicola! È una coccinella e l’ho cucita io assieme a mia madre!» lo rimbeccò.
  «Ti sono rimaste un po’ di caramelle, coccinellina?»
  «N-No.» Gliele aveva buttate tutte addosso, ma questo era meglio non ricordarglielo.
  «Allora sei nei guai.» Marinette si coprì il capo con le braccia e si preparò al peggio: l’avrebbero picchiata? Era una bambina più piccola di almeno quattro anni, sarebbero davvero arrivati a tanto? Forse no, o forse sì. L’unica cosa che sapeva era che aveva paura di scoprirlo.
  Improvvisamente, una pioggia di caramelle – tante, tantissime caramelle – investì i due ragazzi.
  Attirata dai loro schiamazzi, Marinette ebbe il coraggio di osservare coi propri occhi cosa stesse succedendo.
  Nella direzione da cui erano piovuti i dolciumi c’era un bambino di circa sei anni vestito tutto di nero; questi si avvicinò e si interpose tra lei e i bulli. «Non si picchiano le ragazze!»
  I due che aveva di fronte scoppiarono a ridere: un po’ per il vestito particolare che indossava – a Marinette sembrò un gatto nero –, un po’ perché era basso e mingherlino e non c’era niente che potesse fare contro di loro.
  «Sennò che ci fai?»
  «Vi picchio» minacciò, mostrando i pugni. Anche solo a dirlo sembrava una presa in giro, eppure Marinette avvertì serietà nel suo tono – l’avrebbe colta anche nel volto, se solo il bambino non fosse stato girato di spalle.
  I bulli non lo presero sul serio, ridendo nuovamente di gusto.
  «Ah, sì?» Uno dei due gli si avvicinò e gli assestò un pugno in pieno addome, mozzandogli il fiato e facendolo cadere sulle ginocchia. «Tipo così?»
  Il bambino dai capelli biondi provò a dire qualcosa, ma tutto quello che uscì dalle sue labbra fu un affanno.
  «Ne vuoi un altro?»
  «Ehi, basta così» si allarmò il compare, usando il braccio come muro per separare l’amico dal bambino. «È solo un moccioso. Vuoi metterti nei guai?»
  Quello che aveva dato il pugno si prese qualche secondo per valutare la situazione e Marinette pregò che ascoltasse il consiglio dell’altro. «Hai ragione» decretò infine. «Meglio andarcene.» Dopotutto non erano altro che due prepotenti che si approfittavano dei più deboli, ma non avevano nemmeno il fegato di rischiare di essere beccati. Questo però Marinette non osò dirlo.
  Li guardò andarsene con il cuore in gola, liberando un sospiro di sollievo quando realizzò che non sarebbero più tornati. Si preoccupò allora del suo misterioso salvatore, ancora accasciato a terra. «Tutto bene? Ti hanno fatto tanto male?» si allarmò, posandogli una mano sulla schiena.
  Finalmente il bambino alzò il capo, puntando lo sguardo verde in quello di Marinette e indirizzandole un sorriso radioso. «Chi, quelli? Ti pare!» Ciò detto si alzò e si esibì in un inchino teatrale, la mano sinistra posata sul busto e quella destra che indicava la direzione da cui se n’erano andati. «La via è libera, my lady! Chat Noir qui per servirla!»
  La bambina rise. «Chi?»
  «Chat Noir!» ripeté lui, gesticolando nuovamente in modo teatrale. «La vuoi una caramella?» chiese poi, cacciandone una dalla tasca del costume.
  «Sì.» Anche lei si alzò, cominciando a spazzolarsi la gonna del vestito sporca di terra.
  «Quelli erano solo due idioti. A me il tuo vestito da coccinella piace!»
  Marinette arrossì. «Grazie. Tu invece che cosa sei, un gatto?»
  «Chat Noir, per la precisione, milady!» E si esibì per la seconda volta in un inchino che a Marinette ricordava quei tizi vestiti da pinguini che in TV gesticolavano in modo strano davanti a un’orchestra. «Vuoi essere la mia Ladybug?»
  «La tua chi?»
  «La mia Ladybug! La mia partner. Due supereroi che la notte di Halloween difendono i deboli e gli innocenti dai cattivi, portando caramelle ai bambini buoni.»
  Marinette pensò che quel bambino dovesse averne davvero tanta, di fantasia, ma doveva ammettere che c’era qualcosa in lui che la attirava. Aveva un sorriso raggiante, di un’intensità pari a quella del sole. Era comparso dal nulla, l’aveva salvata da quei bulli e adesso blaterava idee strane sui supereroi – strane, già, ma anche divertenti, motivo per cui accettò. «Va bene.»
  Nel sentire quelle due semplici parole, il bambino si aprì in un splendido, che colpì Marinette per tutta la contentezza che emanava. Tirò fuori dalla tasca due bracciali e le disse di porgere il braccio cosicché potesse farglielo indossare. «Questi saranno i nostri miraculous e ci daranno i poteri.» In realtà non erano che due bracciali che aveva creato con sua madre durante un pomeriggio di noia.
  «Sono un po’ larghi…» notò la bambina. Se alzava il braccio, il bracciale arrivava fino al gomito.
  «Aspetta, te lo stringo» si offrì, cominciando a tirare un filo che fece calzare perfettamente l’ornamento al polso di Marinette.
  Lei lo guardò soddisfatta, decidendo che le piaceva. «Miraculous, eh? E che poteri danno?»
  Il gatto corrugò la fronte: a quello, doveva ammetterlo, non ci aveva pensato. Non appena aveva visto due ragazzi più grandi prendersela con una più piccola di loro, il suo istinto gli aveva detto di intervenire; dopodiché, salvata la bambina, aveva ardentemente desiderato fare colpo su di lei, così aveva tirato fuori la storia di Ladybug e Chat Noir. I due bracciali li aveva realizzati la settimana precedente, durante un pomeriggio che era inaspettatamente riuscito a trascorrere con sua madre, per una volta non incastrata a lavoro. Con la sua fantasia ci aveva costruito attorno una breve storia, ma ora si rendeva conto di aver trascurato un dettaglio importante. «Non lo so: volare, la super forza…?»
  «Ma è scontato.» Marinette si zittì per una decina di secondi, valutando mentalmente alcune opzioni. «Che ne dici del potere di distruggere e di creare? Tu sei un gatto nero, la sfortuna, io la coccinella, la fortuna. Siamo opposti, no?»
  Sinceramente colpito dalla sua idea, il suo nuovo amico – se così si poteva definire – annuì convinto più volte. «Sei un genio!» Si era sempre ritenuto diverso – in un’accezione negativa del termine – dagli altri a causa del suo ceto sociale e non aveva mai avuto degli amici; credeva che gli altri, abituati a una libertà che lui non possedeva, non si sarebbero interessati a qualcosa come i supereroi. Si stupì non poco, quindi, quando realizzò che anche a un’altra bambina piacevano. E poi per i superpoteri aveva avuto un’idea degna di un fumetto.
  Marinette, a quel punto, iniziò a raccogliere da terra le decine di caramelle che il suo partner aveva lanciato. Erano tutte ricoperte da un involucro, perciò non c’era rischio che si fossero contaminate.
  «Che cosa fai?»
  «Sarebbe un peccato sprecare tutte queste caramelle, no?»
  «Hai ragione» disse, dunque la aiutò e insieme ne misero un po’ nella zucca di Marinette e un po’ nel suo secchiello verde con su inciso un pipistrello. Una volta finito uscirono da quel giardino e rispuntarono tra le strade, ancora gremite di bambini in costume.
  Insieme passarono un’ora, forse due, prima di perdersi di vista e non vedersi mai più. Marinette non ottenne nessun rimprovero dal padre, viste le circostanze che la avevano costretta ad allontanarsi, e raccontò di averlo cercato invano per tutto il tempo. Che ne avesse memoria, quella fu la prima bugia seria che ebbe mai raccontato ai suoi genitori, ma mai ne provò vergogna o rimorso, poiché la riteneva la chiave che la aiutava a custodire il suo segreto più caro. Una notte di Halloween, Marinette era stata la Ladybug di Chat Noir.
31 ottobre 2007, mercoledì,
  ore 20:11, Parigi

  Il momento di dividersi fu la parte più brutta della serata, quella che Adrien voleva non arrivasse mai, sebbene sapesse quanto fosse impossibile. La sua nuova amica disse di aver adocchiato suo padre, e anche lui vide il maggiordomo di famiglia girovagare per le strade del quartiere alla sua ricerca. Se c’era un momento adatto per mettere fine alla sua fuga, non poteva essere che quello.
  Adrien raccontò al maggiordomo di averlo perso in mezzo alla calca e costui gli credette, o forse volle credergli. Anche una volta tornati a casa, i coniugi Agreste non seppero mai niente della breve sparizione del figlio. Il bambino, rifugiatosi nelle pareti di camera sua, stette un po’ a contemplare il braccialetto che portava al polso e i ricordi che scaturivano da esso; alla fine lo ripose in un cassetto, certo che quella serata non l’avrebbe mai dimenticata. Ma la sua Ladybug, probabilmente, sì.
   
 
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