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Autore: lucille94    09/01/2018    1 recensioni
Aprile 1199. Una tragedia piomba sulla Normandia, e molte altre ancora la seguiranno. Rebecca si trova straniera, sola, indifesa. Dapprima la paura, poi la prudenza guideranno i suoi passi: ma in gioco c'è un bene più grande...
*
*
Dopo il mio sequel di Ivanhoe, "Paix entre Nous", pubblico ora il primo capitolo di "Je veux t'attendre", ulteriore prosecuzione della storia. Visto che sto ancora scrivendo, avviso da subito che pubblicherò i capitoli con intervalli piuttosto lunghi.
Genere: Avventura, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aveva chiesto di poter dormire con i propri bambini. Quella notte era stata ancora peggio delle precedenti, ma per un motivo tutto diverso: ora che sapeva di dover abbandonare qualsiasi speranza di rivederlo, aveva paura che anche tutto ciò che amava le sarebbe stato portato via. I suoi figli prima di tutto, perché erano figli di tutti e due. David aveva rubato i suoi occhi e questo era fuori discussione. I tratti del suo viso mostravano già di aver ereditato qualcosa e il suo temperamento vivace l’aveva fatta sorridere molte volte in tempi più sereni. Ora le provocava solo nuovi scoppi di pianto quando credeva di aver ripreso il controllo di sé. Judith somigliava al padre in modo ancora indefinito: crescendo, però, avrebbe sicuramente portato la sua parte di eredità dal casato dei Bois-Guilbert.
Ripensare a quella notte la distoglieva un po’ dal pensiero della vedovanza: avrebbe dovuto imparare a convivere con questa nuova condizione e avrebbe dovuto farlo in fretta. Ora, a distanza di un giorno, Rebecca era ancora alla stessa finestra. La lettera che aveva lasciato stropicciata sul davanzale era stata portata via dal vento e chissà dov’era finita... ma dubitava che qualcuno avrebbe trovato interesse in un foglio scritto di fretta, in brutta grafia per via del sostegno scomodo cui lui doveva essersi appoggiato, contenente solo poche informazioni per nulla rilevanti. Il ricordo più intimo, e per questo più doloroso, era custodito nello scrigno del suo cuore. La sua mano sul petto contava i battiti, mentre i suoi occhi indagavano il paesaggio conosciuto delle campagne circostanti. Cosa si preparava là fuori? Minacce? Vendette? A distanza di un giorno dalla notizia, Rebecca non aspettava più che il marito tornasse, ma temeva che arrivasse qualcun altro che con violenza l’avrebbe cacciata dal castello con i suoi figli; perché lei era un’ebrea senza protettori.
«Signora...» la sorprese la voce della sua serva, che era comparsa sulla soglia senza che lei se ne accorgesse.
«Ditemi, cara Madeleine» rispose, quasi con timidezza.
«Non volete scendere dai poveri, oggi? Preferite forse farlo stasera?» domandò la serva.
Rebecca esitò, quindi rispose con un’altra domanda: «Quei tre sconosciuti sono ancora qui?»
La serva annuì senza parlare; Rebecca allora si scosse e corrugando la fronte disse: «Non oggi. Vedrò, forse un altro giorno... Forse quando quei tre uomini se ne saranno andati – si allontanò dalla finestra con fare pensieroso, poi aggiunse – Fatevi dire se desiderano del denaro o del cibo... E invitateli ad andare al monastero, se proprio cercano accoglienza. Dite loro che il numero dei questuanti abituali è già troppo alto per questo sfortunato castello»
 
28 aprile
 
Passarono sette giorni di preghiera e solitudine. Solo i due bambini erano ammessi nelle sue stanze; Rebecca non si sentiva che una povera creatura in balia del fato, sballottata, ingannata e quindi, presto, perduta. Le riflessioni cupe che aveva tentato con scarso successo di scacciare nei giorni precedenti non avevano più motivo di essere respinte. Si era abbandonata al lutto, rimandando a memoria le parole di un giorno lontano: “Anche il lutto ha dei limiti precisi. Superali e sarà come se tu avessi osato varcare le porte dell’Inferno per trarne la persona cara che hai perso: finiresti con il precipitare nell’abisso e a nulla varrebbero le parole degli amici a consolarti”. Già una volta aveva scelto di varcarle per lui: in quella settimana di lacrime aveva rafforzato questa decisione, giurando a se stessa che la sua vita sarebbe stata unicamente per il bene dei suoi figli. I figli di lui, di Brian. La sua vita era consacrata a loro.
L’ottavo giorno si mostrò nuovamente agli abitanti del castello. Aveva intenzione di parlare con i due cavalieri che le avevano portato la notizia: da un lato, era loro debitrice di qualcosa che aveva atteso a lungo; dall’altro, il castellano le aveva fatto sapere tramite la serva Madeleine che anche loro avrebbero voluto scambiare qualche parola con lei. Perciò, per non rimandare troppo a lungo un momento inevitabile, Rebecca li invitò nella stanza più intima del castello, una saletta spoglia, fornita solo di qualche sedia e un tavolino. Li attese in compagnia delle due dame che costituivano il suo corteo. Una, Bernadette, aveva quindici anni ed era promossa sposa al vassallo di un potente vicino; l’altra, Eleanor, ne aveva diciotto, senza che nessun fidanzamento fosse ancora stato stipulato. Rebecca le amava come fossero sue sorelle minori, le viziava ogni qual volta le capitava l’occasione, le educava secondo le regole della cortesia. E loro ricambiavano il suo affetto, nutrendo tuttavia una segreta diffidenza per le sue origini, la sua religione e la lingua incomprensibile che, talvolta, capitava loro di ascoltare dalle sue labbra.
I due uomini entrarono senza bussare e fecero sobbalzare tutte e tre le donne che aspettavano in silenzio oltre la porta.
«Signori – li accolse Rebecca, cercando di abbozzare un sorriso – Vi sono grata per avermi comunicato la triste notizia... Spero che l’ospitalità del nostro castello vi abbia ristorato dal lungo viaggio che vi siete lasciati alle spalle...»
Le parole facevano fatica a uscire dalle sue labbra senza un leggero tremito. Gli occhi lucidi manifestavano quanto profondamente fosse ancora scossa. Il cavaliere più anziano fece un passo avanti. Aveva i capelli brizzolati e molto corti, le guance accuratamente rasate, e un aspetto complessivamente curato. I suoi occhi castani avevano riflessi ambrati quasi intriganti e le sue labbra sottili donavano all’espressione un indizio di furbizia. Rebecca cercò di indovinare la sua età: forse quarant’anni... come Brian.
«Voi conoscevate mio marito, signore?» domandò di getto.
L’uomo tese le labbra e scoprì due file di denti regolari: «Non di persona, soltanto di fama. La sua fama era grande, signora, certo più grande della mia»
«Perdonate la mia maleducazione – continuò Rebecca – se non mi sono ancora interessata di conoscere i vostri nomi. L’ultima settimana è stata piuttosto faticosa»
L’uomo di fronte a lei chinò il capo con la stessa naturalezza del loro primo incontro e rispose: «Io sono ser Thomas de Limager, mentre il mio giovane compagno è Robert de La Blanche. Siamo cavalieri della corona inglese e abbiamo combattuto al fianco di re Richard nell’ultima guerra»
Rebecca affilò lo sguardo: «E non vi è mai capitato di parlare a mio marito? Nemmeno di vederlo, davvero?»
Limager, imbarazzato, alzò leggermente le spalle: «Mi è capitato di vederlo. Ma non ci siamo mai presentati né abbiamo mai parlato insieme...»
Rebecca abbassò gli occhi e sospirò. Cercava la vita là dove ormai non era altro che morte. Dove era perito il cavaliere era perito anche il re.
«Vi sono grata» ripeté in un soffio, accostandosi a una sedia. Prima di accomodarsi, invitò Limager e La Blanche a fare altrettanto.
«Signora – ribatté Limager, con voce ancora più cupa – vorrei parlarvi in privato. Senza nessun testimone»
Rebecca ristette, ancora in piedi. Era stata colta alla sprovvista e lì per lì non seppe cosa rispondere. Lanciò un’occhiata alle due dame e, balbettando, ordinò loro di accompagnare La Blanche nel salone. Fu Limager a chiudere la porta quando furono usciti. Rebecca nel frattempo si era seduta e attendeva che il cavaliere la imitasse. Contro tutte le aspettative, però, quello rimase in piedi e mosse alcuni passi prima di tornare a parlarle.
«Voglio comunicarvi – disse – Un messaggio più segreto da parte del re. E voglio farlo ora e qui perché questo messaggio riguarda entrambi, voi e me»
Rebecca spalancò gli occhi e lo invitò a proseguire senza indugi.
«La vostra condizione non è più sicura e credo che ve ne siate resa conto»
«Certo, ne sono consapevole» ribatté asciutta.
Limager annuì: «Richard si è preoccupato di garantire a voi e agli orfani un futuro al riparo da ritorsioni e da povertà. Ora che il re è morto, la decisione giacerà unicamente nelle vostre mani. Volete che prosegua descrivendovi il pensiero del re?»
Rebecca rabbrividì udendo la parola “orfani” riferita ai suoi bambini; c’era un che di spietato nel modo in cui quella parola era stata proferita, e per un istante la sua mente si offuscò. Poi, tornando padrona di sé, confermò di voler ascoltare quanto il cavaliere aveva da dire.
«Il piano del re era piuttosto semplice: sottrarvi allo stato vedovile appena fosse stato possibile. Io ero uno dei cavalieri di cui si fidava e uno dei pochi, tra questi, ancora celibe. Per questo ha scelto me per comunicarvi la notizia: affinché vi presentassi ufficialmente la mia proposta di matrimonio. Ora, io non avanzo nessuna osservazione contraria: so che siete un’ebrea, ma se il mio re ha ritenuto che questa unione sia per me una cosa lodevole, quasi un onore, io non posso che riconoscere, d’altra parte, che voi siete una donna molto bella e ancora piuttosto giovane. A voi la scelta, quindi. Valutate liberamente la vostra situazione e non sentitevi più legata dall’ordine regale, perché il re è morto. Vi basti sapere che Limager non si tirerà indietro»
Rebecca ascoltò con attenzione, impallidendo man mano sempre di più. Si prese un momento per riflettere, un momento molto breve, poi rispose: «Cinque anni fa un altro cavaliere mi presentò una proposta molto simile; e un re diede il suo benestare a un’unione che io stessa, non molto tempo prima, avrei rigettato. Allora non credevo che fosse possibile un matrimonio tra due popoli tanto diversi, tra due temperamenti tanto forti quali il mio e quello di mio marito. Oggi, signore, in tutta sincerità, preferisco la vedovanza vissuta con dignità a un secondo matrimonio contratto unicamente per convenienza. Se dovrò perdere ciò che re Richard mi aveva concesso attraverso mio marito, lo perderò senza rimpianti. Il dono più prezioso che mi era stato fatto è già perduto. Non voglio illudermi di poter trovare in voi ciò che lui era per me. Vi ringrazio, ma declino»
Limager accolse le sue parole con un’apparente tranquillità d’animo. Si riservò solo di aggiungere, dopo una pausa: «Oggi parlate scossa da un grande dolore, e comprendo che forse non discernete appieno il significato delle mie parole. Tuttavia avrete ancora tempo. Il tempo, sapete, è la medicina migliore contro questi mali. Bisogna solo essere in grado di servirsene nel modo giusto al momento opportuno»
Rebecca ricambiò quel consiglio con un’espressione rassegnata: «Anche se volessi, le usanze del mio popolo mi impongono un mese di lutto. Fino ad allora non sarò libera dal vincolo che mi lega a mio marito, mi è impedita qualsiasi festa e soprattutto il matrimonio. Vi prego, dunque, di rispettare la mia condizione e di non avanzare oltre sul cammino che il re vi ha indicato»
Limager chinò ancora il capo. Rebecca invece non distolse un momento gli occhi da lui.
«Così sia, mia signora. Passo allora a trattare di un altro grave problema: se Richard fosse ancora vivo, tornerei seduta stante da lui a offrire il mio braccio per la sua impresa. Non potrò più farlo; vi chiedo, dunque, di accordare al mio compagno e a me una permanenza più lunga, fino a che non saranno chiare le sorti di questa terra contesa. Non un giorno di più, mia signora. In questo modo avrete anche voi più tempo per prendere la decisione definitiva» concluse Limager, tornando a guardarla.
“La mia decisione è già definitiva” avrebbe voluto rispondergli, ma qualcosa la trattenne. Non una parola sfuggì alle sue labbra, non un lamento. Gli indirizzò un cenno di intesa e lo precedette uscendo dalla porta. Lui la seguì portandole il rispetto che si deve a una regina.
 
Quando vide sua madre apparire sulla soglia del salone, David le corse incontro: erano giorni che se ne stava chiusa nella sua camera e ormai il bambino pensava che non ne sarebbe uscita più. Quando vide che a seguirla da vicino c’era il cavaliere misterioso avvampò di gioia. Forse era proprio per merito del cavaliere che la mamma aveva deciso di comparire come una visione nel salone ancora addobbato a lutto. Non aveva mai visto un cavaliere, o almeno non ne ricordava nessuno: era la prima volta che vedeva un’armatura vera indosso a un uomo così alto e possente e di primo acchito aveva pensato che fosse suo padre tornato dalla guerra. Perché anche suo padre era un cavaliere grande e coraggioso. Ma suo padre era morto, cioè sparito. Come se non fosse mai realmente esistito. Invece il cavaliere era lì e anche il suo destriero, con cui aveva cavalcato miglia e miglia. Per un attimo si era domandato come fosse il cavallo di suo padre e aveva pensato che sarebbe stato bello poterlo vedere. Ma poi si era ricordato che suo padre era morto e probabilmente anche il cavallo era morto con lui. E anche il re era morto. Questo concetto gli sembrava un po’ vago e contraddittorio: non aveva mai sentito di un re che muore, semplicemente aveva sempre ritenuto che un re non potesse morire. Un re c’era sempre stato. Ma non gli importava davvero, come non gli importava che anche suo padre fosse morto. Nemmeno di un padre sapeva che potesse morire. I fiori muoiono, gli animali e anche i servi. Ora aveva scoperto che anche i padri e i re possono morire.
David si aggrappò alle ginocchia di sua madre, gioendo del vederla di nuovo in mezzo agli altri abitanti del castello. Constance, da lontano, l’aveva tenuto d’occhio cullando Judith. Rebecca si chinò e prese il bambino tra le braccia, sollevandolo per gioco. La risata di David riecheggiò nella sala, fino al soffitto, sovrastando le chiacchiere di quei distratti che non si erano accorti del sopraggiungere della loro signora. Tutti ammutolirono, e la risata di David crebbe più forte, mentre sua madre gli premeva la propria guancia contro la sua, in uno scambio di coccole da sciogliere il cuore più insensibile. Gli occhi azzurri di suo figlio si fissarono su di lei e le tolsero il respiro per un istante. Erano gli occhi di un morto, pensò. Rabbrividì, Rebecca, e strinse a sé il figlioletto alzando lo sguardo, per evitare di incontrare ancora le sue iridi colore del cielo.
David si aggrappò alle sue spalle e si sporse verso il cavaliere che seguiva sua madre. Gli tese la mano e gli sorrise, ma quello non gli corrispose nemmeno un briciolo di attenzione. Quasi ignorandolo si portò in disparte, avvicinandosi all’altro giovane cavaliere; questi aveva passato tutto il tempo da quando era entrato nella sala a discutere educatamente con Eleanor, mentre Bernadette giocava con lui.
“Siete fidanzata?” le aveva domandato a un tratto. David non conosceva il senso di quella parola e aveva chiesto spiegazioni. Il giovane, ridendo, aveva risposto: “E’ una cosa da grandi”. A David non piacevano risposte come queste, ma in quel momento era arrivata la mamma e tutto era passato in secondo piano.
«David, tranquillo...» sussurrò Rebecca al suo orecchio. Lo accarezzò sulla schiena e lo aiutò a tirarsi dritto, quindi gli diede un bacio sulla guancia e trattenne a stento le lacrime. La sua mente mescolò ai ricordi più lontani le parole che Limager le aveva rivolto solo qualche minuto prima e una sottile incertezza cominciò a insinuarsi dentro di lei: girò uno sguardo tutt’attorno, soffermandosi su ogni viso che incontrava. Erano visi pronti a tradirla, erano visi solo apparentemente cordiali e compassionevoli. D’un tratto si scoprì più vulnerabile che mai.
«Mamma, mi fate male!» pigolò David, divincolandosi. Si accorse così di averlo stretto a sé con troppa foga.
«Scusa, tesoro mio...» sussurrò ancora, cercando l’altra figlia, la dolce Judith, che giocava non lontano con un sonaglio. Si diresse speditamente verso di lei, con l’ansia di stringere anche lei tra le braccia e saperla vicina, forse al sicuro. Constance si stupì del suo stato al limite dell’allucinato e le cedette il posto sulla seggiola senza nemmeno aspettare che la sua signora glielo chiedesse. Mentre David sedeva sulla sua coscia destra, Rebecca si accomodò Judith sulla sinistra, baciandola sui capelli. La bambina festeggiò con teneri gridolini, lasciando da parte il giocattolo e tentando di afferrare i capelli di sua madre. Non riuscendoci, si aggrappò al sottilissimo velo che le celava il volto e glielo strappò dalla fronte. Un mormorio si alzò dai gruppi di spettatori, ma Rebecca non fece caso a loro. La sua attenzione ora era sui bambini e, segretamente, su Limager. Alzò fugacemente gli occhi nella sua direzione e incontrò il suo sguardo. Non l’aveva persa di vista nemmeno per un istante. Che si fosse già assunto il compito di proteggerla? All’improvviso, Rebecca non desiderò altro che la sua protezione.
Le tornò di colpo alla memoria il modo in cui uno dei tre sconosciuti, nell’atrio dei poveri, avesse girato il viso nella sua direzione. Quanto avrebbe dato per poterlo vedere in faccia! Invece il cappuccio celava la sua identità; e anche gli altri due uomini, nascosti dai loro mantelli, non le ispiravano affatto fiducia. Cominciò a riflettere sulla possibilità che quegli stranieri volessero il suo male: non a caso erano comparsi quando tutti i suoi protettori erano già scomparsi. Se solo Brian... No, inutile rifugiarsi nel passato: Brian non era più. Guardò ancora Limager, confortandosi con la sua presenza. Aveva la spada al fianco, l’insegna del re sul petto. I suoi bambini si dimenavano tra le sue braccia, vivaci come tutti i bambini: stavano bene. Il fatto che David dimostrasse già una simpatia per i due cavalieri contribuiva a rasserenarla. E Judith era così piccola che si sarebbe affezionata... Si scoprì immersa nella fantasia a immaginare qualcosa che in coscienza rigettava. Ma, d’altra parte, aveva trascorso quasi due anni ad aspettare e ora, d’un tratto, si trovava sciolta quasi come una fanciulla... E quell’uomo le aveva rivolto parole avvedute e, da un certo punto di vista, tiepide. Brian non era più. I suoi figli avevano bisogno di protezione...
   
 
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