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Autore: HamletRedDiablo    26/06/2009    10 recensioni
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A chi non ha più tempo per sognare… non rimane che illudersi.
Che male c’è a credere in un’illusione, quando la realtà ti ha dimostrato che non puoi più fidarti di lei? (SasuHina)
Parecchio angst.
Questa fic si è classificata seconda e ha vinto il premio per lo stile al concorso "Ti scatterò una foto" indetto da DarkRose86
Dedicata a Ro ^_^
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Red Diablo
Titolo: Non è Solo una Foto…
Personaggi/Pairing: Sasuke, Hinata (SasuHina)
Genere: Drammatico
Rating: Giallo
Avvertimenti: Angst, Alternative Universe (AU), One-shot, death character
Note dell'Autore ( se ce ne sono ): forse qui Sasuke può risultare troppo tenero… però ipotizzando un mondo in cui la sua famiglia non è stata sterminata ho immaginato che avesse un carattere meno brusco, e poi la situazione che andrò a descrivere è molto particolare e i caratteri delle persone cambiano in queste circostanze (lo so per esperienza personale purtroppo)… ad ogni modo mi rimetto al giudizio della giudice ^^. Ah, un’altra precisazione: ad un certo punto compare il nome “Crono”; è il nome del dio greco del tempo.
Introduzione: A chi non ha più tempo per sognare… non rimane che illudersi. Che male c’è a credere in un’illusione, quando la realtà ti ha dimostrato che non puoi più fidarti di lei? (SasuHina) Parecchio angst.

Presente – Istantanea

Il mouse sembrava impazzito tanto frequenti e striduli erano gli squittii che emetteva sotto il tamburellare frenetico delle dita del giovane.

Ritagliare… sovrapporre… incollare… clic, clic, clic.

Afferrò bruscamente la tazza di caffè a lato del computer e la tracannò d’un fiato. La fretta con cui lavorava era tale che non gli permise neppure di accorgersi che il liquido gli aveva ustionato la gola: il dolore per la bruciatura fu gettato nel dimenticatoio in una frazione di secondo, sommerso dalla valanga di preoccupazioni che assillavano il ragazzo.

E se non avesse trovato tutto il materiale necessario? Se il suo lavoro non fosse stato gradito? Se… se non fosse riuscito a finire prima che…

Clic, clic, clic!

La parte del suo corpo che più detestava in quel momento era la sua spina dorsale.

Era relativamente facile distrarre la mente dai presagi funesti che da qualche tempo gli davano il tormento: bastava dirottare la sua attenzione sullo schermo pallido, sui gridolini del mouse, sull’organizzazione del lavoro. Ma quella sequela di vertebre era subdola: sembrava accudire quel presagio nel suo midollo, in modo da difenderlo dalla razionalità con cui il giovane cercava di scacciarlo; quei dischi d’osso fremevano in continuazione, con scosse gelide che arrivavano con le loro diramazioni fino al cuore…

La colonna vertebrale sembrò avere un guizzo convulso appena il telefono squillò.

Il suo trillo echeggiò spettrale tra le mura della camera immobile, nella quale persino il mouse si era azzittito.

Uno squillo, due, tre.

Sembravano riempire la stanza con il loro richiamo monotono, che al ragazzo suonò orrendamente simile ad un allarme rosso.

Ne era certo, quella chiamata non portava nulla di buono, come le nubi gravide di pioggia non possono che annunciare tempesta.

Quarto squillo.

Protese la mano e afferrò la cornetta, cercando di convincersi che erano tutte invenzioni della sua mente paranoica: in realtà andava tutto bene, il mondo era meraviglioso e la vita un’amica benevola…

Un sospiro tremulo rantolò fuori dalla cornetta del telefono, un ansito oscillante come quello prodotto dal respiro che si fa strada in una gola ingombra di lacrime.

Si era sbagliato. In realtà nulla andava bene, il mondo era un letamaio e la vita una schifosa traditrice.

Inghiottì un groppo di saliva e attese con inquietudine che il suo interlocutore si decidesse a parlare. -Sta morendo…- ondeggiò la voce, un tempo ferma, dell’uomo all’altro capo del telefono.

Tutti i liquidi del suo corpo si spostarono sulle mani, tanto che per poco la cornetta non gli scivolò dalla presa come un rospo viscido; all’opposto, la sua bocca era più arida di un deserto.

Il suo cuore sembrò congelarsi per alcuni attimi, per poi cominciare a pulsare come un pazzo, tanto che gli echi del suo frenetico pompare rimbombarono fino a scuotergli la gola.

Sbatté un paio di volte le palpebre sugli occhi spiritati che sembravano aver perso la capacità di mettere a fuoco il mondo.

Sta succedendo…

Era quello che gli stava sussurrando la spina dorsale, con la sua vibrazione perversa.

Sta succedendo davvero…

-Devi venire subito…- la voce dall’altro capo del telefono tremò fino ad infrangersi in un singhiozzo. –Non credo che domani… che domani…-

Il ragazzo riuscì a forza a sciogliere l’orrendo masso che gli ostruiva la gola e gracchiò: -Sto arrivando, signore-

Chiuse la comunicazione un istante prima che l’uomo liberasse il suo torrente di lacrime.

Per lui il dolore era qualcosa di strettamente intimo, quasi sacro: ognuno ha diritto di dare libero sfogo alle sue angosce senza dover sottostare all’osservazione altrui, come un credente ha diritto di rivolgere le sue preghiere all’effige sacra senza farle approvare preventivamente da tutta la comunità. Spiare la sofferenza altrui era vera e propria pornografia dei sentimenti.

Per quanto lo riguardava…

Dette l’avvio alla stampa e cominciò a vestirsi, mentre la stampante sbuffava e ronzava inghiottendo fogli bianchi e restituendoli umidi di colore.

Quello era il modo in cui lui sfogava la sua angoscia.



***

Passato – Foto ricordo

-Sono interessanti le tue foto-

La giovane alzò lo sguardo stupita.

In quattro anni che si frequentavano, era la prima volta che Sasuke Uchiha si interessava a quella sua passione quasi maniacale: la fotografia.

-D-davvero?- tartagliò, sistemando nervosamente una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio. Il giovane annuì serio.

-Cogli delle azioni che dovrebbero concludersi in un attimo- affermò lui, disponendo sul banco le foto della Hyuuga. –Il cadere di una goccia… un uccello che spicca il volo… il salto di un bambino…- elencò, indicando man mano i soggetti. –Sembra quasi che tu voglia fermare il tempo- Un ombra scese ad oscurare il piccolo viso di Hinata quando la giovane socchiuse gli occhi e soffiò: -Fermare il tempo?-

Si diresse a passi aggraziati verso la finestra e appoggiò la fronte al vetro sottile, osservando il mondo dal basso verso l’alto.

La mente dell’Uchiha accostò senza preavviso quell’immagine ad un’altra: un suddito che si inchina sconfitto di fronte al suo padrone, troppo potente da contrastare.

Aggrottò la fronte, perplesso: che razza di paragoni faceva?

-Non sarebbe bello fermare il tempo- mormorò la Hyuuga, calando mestamente le palpebre. –Lo stesso istante ripetuto per tutta l’eternità… se una cosa non può cambiare, è come se non esistesse neppure-

Hinata si scostò dalla finestra e addossò la schiena alle fredde pietre del muro.

-Però… se si potesse rallentare il tempo…- meditò ad alta voce, alzando le iridi madreperlacee verso il soffitto come se stesse pregando. –Se si potesse fare in modo che il suo scorrere non fosse così veloce… quello sarebbe bello…- abbassò nuovamente gli occhi, tirando le labbra in un sorriso stanco. –Ma non è possibile, vero?- domandò alle piastrelle del pavimento.

Sasuke inclinò la testa di lato, studiandola con attenzione.

C’era qualcosa di diverso in lei… qualcosa di indefinibile, impalpabile… eppure c’era. E non gli piaceva per nulla.

-Dimmi una cosa- chiese lei, estraendo la macchina fotografica dalla cartella e puntando l’obiettivo contro il ragazzo. –Ti piacerebbe se esistesse una macchina in grado di immortalare il futuro?-

Sasuke si dondolò silenzioso sulle gambe della sedia prima di decidere:

-No, decisamente no. Se sapessi che il futuro non andrà come voglio io, perderei la voglia di combattere. E anche se scoprissi che andrà come desidero…- aggiunse. -… non credo che esulterei-

-Perché?- domandò Hinata, osservandolo perplessa da sopra il profilo scuro della macchina fotografica.

-Sarebbe come partecipare ad una gara truccata, dove si sa già il nome del vincitore. Non ci sarebbe più lo stimolo della competizione- spiegò lui.

Hinata nascose un sorriso dietro la sua fedele produttrice di tante fotografie.

“Competizione” era una parola che si adattava alla perfezione a descrivere lo stile di vita dell’algido Uchiha: in quanto estremamente orgoglioso, prendeva ogni minimo evento come una sfida personale. Esattamente il contrario di Hinata, totalmente estranea al sapore corrompente dell’adrenalina da gara.

-E se invece potesse fotografare l’anima delle persone?- domandò, poggiando la macchina sul tavolo e ricalcandone il bordo con un dito affusolato.

-No, nemmeno questo mi piacerebbe- decretò Sasuke, storcendo il viso. –Ci sono certe cose che è meglio non sapere, se si vuole continuare a convivere pacificamente con la gente-

-Dici?- soppesò Hinata, poggiando il mento nella conca dei palmi.

-Prova a pensare a Freud e alla sua filosofia: “la mente umana è un iceberg, e la razionalità ne rappresenta unicamente la punta che emerge dal mare”- si sporse leggermente sul tavolo e argomentò: -Immagina di poter fotografare ciò che sta sotto la superficie marina: tutti i recessi più labirintici dello spirito umano…- trattenne a stento un ghigno nell’osservare l’espressione atterrita della giovane. –Verrebbero fuori delle foto degne dei racconti di Stephen King-

-Hai ragione- ammise la Hyuuga. –E se invece potessi immortalare i sogni e le speranze?- tentò di nuovo.

Sasuke le assegnò uno sguardo obliquo.

-Come mai tutte queste domande?- indagò.

La Hyuuga cominciò a tracciare nervosamente dei cerchi sul tavolo con le dita magre.

-Sono solo due chiacchiere…- biascicò come giustificazione.

L’Uchiha trasse un profondo respiro e asserì:

-Per quanto mi riguarda, il fotografo rimarrebbe deluso: non desidero nulla in particolare-

Il moro attirò a sé la macchina fotografica e la girò in modo che l’obiettivo inquadrasse la ragazza di fronte a lui.

-Ora rispondi tu- sentenziò.

La Hyuuga allungò le braccia incrociate sul banco e vi poggiò sopra la testa.

-Le foto all’anima non piacerebbero neppure a me- dichiarò. –Quelle al futuro sarebbero inutili per me, perché io…- la ragazza si morsicò il labbro inferiore prima di sussurrare: -Ma quelle alle speranze… sì, quelle mi piacerebbero-

-E che cosa si vedrebbe in quelle foto?- domandò il ragazzo, spostando la macchina di lato e assumendo la stessa posa della giovane, in modo che i loro visi fossero alla stessa altezza.

Hinata affondò vergognosa il volto nelle braccia; le sue risposte giunsero così soffocate alle orecchie del ragazzo:

-Si vedrebbe innanzitutto il diploma… poi una laurea in fotografia… una collaborazione con una qualche rivista… qualche azione di beneficenza… e…- fece una pausa, prima di buttare fuori in un fiato solo: -emagariancheunmatrimonioedeifigli…-

-Cosa?- chiese l’Uchiha, che non aveva afferrato una sillaba dell’ultimo borbottio della giovane.

-Dicevo che mi piacerebbe metter su famiglia in futuro- ripeté lei, scandendo meglio le parole.

-Non sono sogni particolarmente ambiziosi- commentò Sasuke.

-No- concordò lei, emergendo dal nascondiglio dei suoi avambracci. –Ma mi basterebbero per essere felice. Però…- i suoi occhi assunsero di nuovo quella tinta di malinconia che l’Uchiha non vi aveva mai letto prima. -… non ho più tempo per sognare…-

-Hinata?- la chiamò lui, confuso.

Lei non rispose, torcendo le labbra come se volesse rimangiarsi quello che aveva appena detto.

-Non badare alle mie sciocchezze- cercò di minimizzare lei, drizzando la schiena e tendendo le labbra in un sorriso che risultò tremendamente falso, come i fiori di plastica. –Sono solo… un po’ sotto stress ultimamente. Passerà, non preoccuparti-

-Sei un po’ pallida- notò lui, squadrandola con occhio clinico.

-Ho dormito poco ieri notte- si giustificò Hinata, portandosi le mani sulle guance per impedire al ragazzo di osservare ulteriormente il loro colorito diafano. –Dobbiamo andare- decise, cominciando a raccogliere frettolosamente e goffamente le sue cose. –Naruto e Sakura ci staranno aspettando…-

Sasuke annuì, anche se non credeva affatto che Naruto potesse arrivare in orario ad un appuntamento: era più facile che il Sole cominciasse a ruotare attorno alla Terra.

-Hinata?- la chiamò di nuovo, mentre lei chiudeva le cerniere dello zaino.

La Hyuuga lo fissò con i suoi laghi di perla.

-Non strafare- borbottò, tendendole una mano.

La ragazza la afferrò e si lasciò issare in piedi.

-Non lo farò- garantì, con un sorriso più genuino di quello precedente. –Ti ringrazio-

Con il braccio ciascuno avvolto alla vita dell’altro, i due uscirono dalla scuola e si avviarono al luogo dell’appuntamento dove, ne erano certi, avrebbero aspettato assieme a Sakura quella testa quadra di Naruto per la consueta mezz’ora.



***

Presente – Foto commemorativa

Avrebbe dovuto capirlo già da allora che qualcosa non andava. Qualcosa di serio.

-Sono un idiota- ringhiò tra i denti, mentre correva come un disperato sotto la pioggia. –Idiota, idiota, idiota!-

Non sentiva quasi le gocce piombargli su tutto il viso come minuscoli sassolini, non badava alle dita gelide del vento che gli arruffavano i capelli in bizzarre acconciature e che gli congelavano i vestiti zuppi sulla pelle, non si accorgeva neppure delle pozzanghere in cui sprofondava fino alle caviglie e che gli riempivano le scarpe di fanghiglia: l’unica cosa di cui gli importava era il piccolo tesoro che stringeva al petto, ben protetto dalla bufera grazie ai robusti sacchetti di plastica che l’avvolgevano.

-Deficiente!- continuò ad insultarsi, mentre i piedi divoravano il marciapiede lasciandosi dietro l’eco liquido delle pozze calpestate e dell’acqua spremuta fuori dalle scarpe. –Cretino! Stupido!-

Non erano bastati i discorsi melanconici di Hinata, né il suo colorito insolitamente pallido, né la spaventosa magrezza delle sue braccia a fargli aprire gli occhi: lei continuava a ripetere che andava tutto bene, e a lui aveva fatto comodo credere che quella fosse la verità.

-Come uno struzzo- ansimò, cominciando ad avvertire una fatica bruciante arroventargli i muscoli delle gambe. –Come un fottutissimo pennuto senza cervello!-

Solo quando Hiashi, l’austero ed imperturbabile Hiashi, aveva singhiozzato: -Hinata sta male, molto male- si era finalmente deciso a guardare oltre le false rassicurazioni della Hyuuga.

Tumore.

Sapeva che esisteva, certo, ma non avrebbe mai immaginato che quella parola di trascinasse dietro una simile corte di dolore.

Lui il tumore lo aveva visto solo nei film, dove il malato se ne andava con un sorriso sulle labbra dopo aver compiuto qualcosa di grandioso, tipo realizzare il suo più grande sogno o svelare il senso della vita a chi resta… appariva quasi una morte gloriosa, magari accompagnata da una musica strappalacrime in sottofondo…

-Cazzate- gridò al cielo che, indifferente, continuava a svuotarsi sulla sua testa. –Tutte cazzate cinematografiche!-

La realtà non era così… non era per niente così.

Continuò a correre, costringendo le sue gambe sfinite a macinare la strada.

-Ti prego, ti prego, devo arrivare in tempo, ti prego…-

Lo ripeté talmente tante volte e a voce così alta che, se ci fosse stato un dio in ascolto, sicuramente l’avrebbe sentito.



***

-Vuole un asciugamano?-

-No, grazie-

-Ma si prenderà un raffreddore…-

L’occhiata quasi feroce che il ragazzo inzuppato di tempesta gli rifilò convinse il maggiordomo a desistere dal suo intento di sistemare quel giovanotto. Trattenne un sospiro tra i denti al pensiero delle macchie che quelle scarpe inzaccherate avrebbero lasciato sul parquet… e che gli sarebbe toccato ripulire con detersivo e olio di gomito.

Il moro procedette spedito verso la stanza principale di casa Hyuuga, totalmente incurante della pioggia che sgocciolava dai suoi capelli e dai suoi vestiti; il raffreddore gli sembrava una barzelletta in confronto al morbo che affliggeva Hinata: era come paragonare un granello di sabbia all’Everest.

-Sasuke?- una voce profonda ed erosa dal pianto gli diede il benvenuto nel salotto della villa.

Il ragazzo irrigidì i muscoli facciali: sarebbe stato davvero scortese mostrare la sua sorpresa per le condizioni del capofamiglia e di Neji.

Sembrava che Crono avesse accidentalmente scaricato una carriola di anni in più sulla schiena di Hiashi: i capelli si erano diradati, indeboliti dalle troppe volte in cui il capofamiglia vi aveva passato nervosamente le mani, e avevano cominciato a migrare verso le tempie, lasciando scoperta la fronte sulla quale la preoccupazione si era divertita a scavare profonde rughe. Tutto curvo su se stesso, Hiashi sembrava incredibilmente piccolo e debole a confronto con la mole solida della poltrona in cui era sprofondato.

Neji sembrava essere stato vittima di un vampiro: colorito pallido come se tutti i suoi globuli rossi fossero stati risucchiati, occhiaie nerastre che potevano reggere il confronto con quelle del rosso di Suna, ed ogni traccia di forza era come evaporata dal suo sguardo e dai sui muscoli. L’Uchiha si trattenne a stento dallo sbirciare il collo dello Hyuuga per vedere se c’erano i due forellini distintivi.

-Hinata è di sopra?- domandò, sistemando meglio sotto il braccio il misterioso pacchetto. Hiashi annuì gravemente.

Sasuke fece per imboccare le scale, ma Neji lo bloccò.

-Senti Uchiha…- lo chiamò, alzandosi faticosamente in piedi.

Il moro lo fissò, contraendo istintivamente le spalle come se si aspettasse un attacco. Lui e Neji non erano mai stati amici: nutrivano un tacito disprezzo reciproco, e tra loro vigeva la regola non scritta: “tu non dai fastidio a me e io non darò fastidio a te”.

-Solo… grazie-

Sasuke spalancò gli occhi, incredulo.

-Continuava a dire: “verrà di sicuro a trovarmi”- rimembrò Neji, poggiandosi al muro come se fosse troppo faticoso reggersi in piedi. –Per cui forse… la tua presenza è l’unico antidolorifico ancora valido per lei- scrollò le spalle, quasi volesse rilassarle dopo aver portato un peso troppo grande. –Solo questo- tagliò corto.

Sasuke asserì, sgocciolando un po’ sul corrimano lustro.

-Vai- gli suggerì sgarbatamente Neji, riprendendo posto sul divano davanti al capofamiglia.

-Non darmi ordini- replicò a bassa voce Sasuke, prima di azzerare il numero di gradini che lo separavano dal piano superiore.



***

Hinata osservò la pioggia disegnare strani arabeschi tondeggianti sulla finestra.

Perfino lo scorrere delle gocce era troppo veloce.

Aveva ancora poco tempo, se lo sentiva nelle ossa: era come quando il professore scorreva l’elenco degli alunni sul registro e lei capiva in anticipo chi avrebbe scelto per l’interrogazione… solo che quella previsione si manifestava come uno sfarfallio vagamente velato di panico… adesso era un terrore che agiva sulle terminazioni nervose, neutralizzandole e paralizzandola peggio di una mummia.

Aveva poco tempo. E avrebbe tanto voluto che scorresse più lentamente…

-Permesso?-

Una voce che ben conosceva seguì il modesto cigolio della porta che si apriva.

Con enorme sforzo, Hinata stirò le labbra in un sorriso.

-Sei venuto…- gracidò, vergognandosi per il suono aspro della sua voce.

Tentò di coprirsi come meglio poteva con i lenzuoli: non voleva che lui fosse costretto a vedere per l’ennesima volta come la malattia l’avesse devastata.

Era dimagrita con una tale rapidità che sembrava quasi che un alieno se la stesse mangiando dall’interno: la carne era quasi sparita e, a coprire le ossa come una ridicola coperta consunta, stava un’epidermide sottile ed emaciata, dal colore talmente pallido da non sembrare neanche umano.

Era stata costretta a tagliare i capelli per via della chemioterapia: della lussureggiante chioma tormalina non era rimasto che uno sparuto ricordo nerastro sul capo della giovane.

Non che la chemio fosse servita a qualcosa: il suo fisico era talmente sottile che il lenzuolo sembrava appoggiare direttamente sul materasso.

Il ragazzo rabbrividì: Hinata era stesa con le braccia lungo il corpo e giaceva in un’immobilità quasi totale perché ogni minimo movimento le procurava dolore; lo aveva scoperto quando, una volta, le aveva stretto la mano e lei si era lasciata sfuggire un’esclamazione sofferente. In quella posa, però, sembrava già pronta per il loculo.

Solo gli occhi erano sfuggiti alla rovina della malattia: limpidi, puri, con una disperata voglia di vivere che infiammava le iridi candide.

Sasuke si sedette a fianco del letto, stando attento a non gocciolare addosso alla malata, e appoggiò lo strano pacchetto sulle ginocchia in uno strepitio di plastica.

Si lambiccò il cervello alla ricerca di qualcosa da dire: un “come stai?” era senza dubbio fuori luogo, così come un “ti trovo bene”.

-Sei fradicio- notò flebilmente lei, bloccata nella sua posa rigida.

-Piove- comunicò lui.

La Hyuuga sollevò una mano per sfiorargli la fronte umida con le dita gelide.

L’Uchiha poteva immaginare quanta fatica le costasse quel semplice movimento dal tremito incessante che scuoteva l’arto spolpato e dalla lentezza con cui lei lo muoveva, quasi che pesasse delle tonnellate.

-Fai attenzione alla tua salute- si raccomandò Hinata, lasciando ricadere il braccio.

-Sai…- raspò lei, fissando lo sguardo oltre la finestra. –Ci ho ripensato… forse, se il tempo potesse bloccarsi come in una foto… sarei contenta-

Gliene era rimasto così poco, e da vivere in modo così misero… e lei aveva ancora tanti progetti, tanti sogni… tanta voglia di vivere…

Sasuke avvicinò la mano e la posò vicino a quella scheletrica della Hyuuga, in modo che lei potesse avvertirne il calore. Almeno quel contatto non le avrebbe fatto male.

-Ma se il tempo si fermasse, non potrei darti questo- dichiarò lui, estraendo come un prestigiatore il contenuto del sacchetto.

-Un libro?- si sorprese Hinata, osservando curiosa la raffinata copertina bianca il cui candore era interrotto solo dal disegno stilizzato di un gatto nero.

-Un album- la corresse Sasuke, sorreggendolo in modo che la Hyuuga potesse guardarlo pur restando stesa a letto.

Aprì la copertina… e notò la bocca della ragazza spalancarsi a forma di “O”.

-Quando…- provò a chiedere lei, ma lui la interruppe, indicando la prima foto:

-Guarda, questa è la professoressa Kurenai che ti consegna il diploma- spiegò.

Hinata sorrise, osservando il fotomontaggio che la ritraeva felice assieme ad una commossa donna dagli occhi amaranto che le consegnava orgogliosa il tanto ambito pezzo di carta.

-E qui è quando sei entrata a fotografia. E poi quando ti sei laureata- proseguì lui, mostrandole le foto successive, dove appariva dapprima seduta composta al banco di un’aula universitaria e poi lacrimante di gioia mentre gettava in aria il famoso berretto nero.

-Hai realizzato la macchina che fotografa le speranze- notò lei.

-Io non ho detto “se”; ho detto “quando”- sottolineò lui. –Ho creato la macchina che fotografa il futuro-

“Ho creato la macchina che crea la vita anche dove non ce n’è più” pensò.

Hinata lasciò che le lacrime di commozione che le pizzicavano gli angoli degli occhi scendessero libere lungo le sue guance scavate, mentre l’Uchiha seguitava a mostrarle le foto successive: la collaborazione con un’importante rivista dal bizzarro titolo: “Hope”, che vantava migliaia di tirature ogni settimana; una montagna di bambini dai vestiti stracciati che facevano a gara per abbracciare la benefattrice che aveva permesso loro di studiare; e infine…

-Qui è quando ti sei sposata- annunciò lui.

-Con chi?- domandò la Hyuuga, osservando una versione di lei molto più in salute infilata in un elaborato abito bianco.

-Con l’uomo dei tuoi sogni- rispose l’Uchiha. –Sarà un amore che dura per tutta la vita, come nelle favole-

Hinata cercò di ridere, ma produsse solo un rumore sgraziato somigliante ad un latrato.

-E’ strano sentirti dire certe romanticherie- mormorò debolmente, affondando nei cuscini.

Sasuke non ritenne opportuno replicare: lo capiva anche lei che il suo atteggiamento insolitamente sentimentale era dovuto alla vicinanza della nera signora.

-E questi sono…- continuò lui, ma la Hyuuga lo precedette:

-Quella a sinistra è Sayaka, la primogenita, intelligente, ma molto schiva. E l’altro è Kentaro, allegro, ma meno brillante della sorellina-

La ragazza sospirò, chiudendo gli occhi spossati.

-Sono dei bei bambini, vero?- gongolò stancamente.

-Sì- telegrafò l’Uchiha.

-Ho avuto proprio… una bella famiglia- sussurrò lei.

-Sì- ripeté il ragazzo.

Maledizione, non doveva piangere! Era lei quella che stava male, non lui! Che diritto aveva di disperarsi? Lei aveva bisogno di qualcuno che le desse la forza di portare a termine ogni respiro fino alla fine, non di un moccioso che la deprimesse ancora di più con i suoi piagnistei.

-Sono felice- mormorò Hinata, accarezzando con gli occhi l’album. –Sono riuscita a fare… tutto ciò che mi ero prefissata…- spostò le iridi tremanti verso il moro e rantolò: -E devo ringraziare te per questo…- poi riportò lo sguardo sul soffitto. –Sono riuscita a fare tutto…- ripeté, con un accenno di lacrime nella voce. –Ho avuto una vita… davvero bellissima…-

Il ragazzo quasi sobbalzò sulla sedia nel notare il cambiamento negli occhi della giovane: erano diventati improvvisamente assenti come… come se fossero puntati su di un altro mondo. Allo stesso tempo il respiro di era fatto meno marcato, e una strana pace ultraterrena sembrava avviluppare il corpo della ragazza…

“Oh Kami, no! Non adesso!”

-Hinata!- la chiamò lui, sporgendosi sul letto. –Non andare! C’è ancora così tanto bisogno di te…-

Era un desiderio egoista, lo sapeva bene… ma quella malattia non aveva il diritto di portarsi via Hinata! Non adesso che doveva impegnarsi per tramutare quei fotomontaggi in realtà… non in quel modo, spegnendosi pian piano come una candela dimenticata…

Se la malattia fosse stata una persona, l’avrebbe picchiata finché non si fosse decisa a lasciare in pace la giovane Hyuuga: invece quella vigliacca si era insinuata nella membra della ragazza, distruggendole con metodica crudeltà, e nessuno sarebbe riuscito a tirarla fuori di lì per farla ragionare…

La Hyuuga sbatté le palpebre, e i suoi occhi sembrarono fissarsi nuovamente sul mondo materiale.

-Ve la saprete cavare tutti… anche senza di me- buttò fuori, esausta.

Non era giusto, non era giusto dannazione!

Perché proprio Hinata? Lui era sempre stato convinto che le malattie colpissero le persone malvagie, come una sorta di castigo divino… non quelle come lei, la cui unica pecca era un amore smodato per la fotografia.

-Sasuke… c’è una foto nel comodino… prendila- ordinò gentilmente lei.

Sasuke eseguì, e capì all’istante perché la Hyuuga avesse segregato quella stampa in un cassetto: il contrasto con la ragazza in fiore della foto e la moribonda che appassiva in quel letto era troppo stridente.

-Quando avrai bisogno di aiuto…- ansò lei. –Quando vorrai sfogarti… o semplicemente quando avrai voglia di fare due chiacchiere…-

-Una foto resta muta- evidenziò amaramente lui.

-No, Sasuke- lo contraddisse Hinata. –Le foto sono molto più che pezzi di carta. In loro si imprime il cuore del fotografo che le ha scattate e l’animo del soggetto raffigurato… quindi in quella foto… c’è una parte di me-

Sasuke spostò inquieto lo sguardo dalla stampa alla ragazza.

-Io sarò sempre con te- mormorò lei. –Le persone che ci vogliono bene non spariscono mai… cambiano forma, forse… ma non ci abbandonano mai…-

L’Uchiha strinse la foto, piegandola leggermente.

-Vorrei crederci, Hinata…- biascicò, facendo un enorme sforzo per controllare i condotti lacrimali.

-Devi crederci- rincarò lei. –Perché è così-

-Hinata, questa foto non mi ascolterà come facevi tu- le fece notare brutalmente lui. –Non si metterà a piangere o a ridere come te. Non risponderà mai…-

-Perché tu non vedi le cose nella giusta prospettiva- sorrise affettuosamente lei, come una madre che educa un bambino un po’ testardo. –Non avrò più un corpo, ma avrò altri modi per comunicare: le mie mani saranno il vento che ti soffia nei capelli… la mia voce sarà lo stormire degli alberi…- Hinata notò l’espressione tristemente scettica del giovane e considerò: - Anche un prestigiatore, se non svela il trucco, può farti credere di aver fatto sparire una tigre… basterà… lasciarsi illudere-

Illusioni.

Lui aveva sempre affermato che bisognava guardare in faccia la realtà per affrontarla degnamente…

Ma quando la vita ti dimostra la sua mancanza di cuore, colpendo la più buona delle sue creature…

Quando il tempo non rallenta la sua corsa, risucchiando avido ogni minuto di una vita troppo breve…

Quando la gente non spende neppure una parola di conforto per aiutarti ad emergere dal buco in cui sei caduto, anzi, ti porge una pala affinché tu possa scavare e arrivare ancora più in basso del fondo…

Quando persino gli dei rimangono indifferenti alle suppliche continue…

Quando non puoi più credere nella vita e neppure nel tempo, quando non hai più fiducia negli esseri umani né in quelli divini…

Forse l’unica cosa che rimane sono proprio le illusioni. le uniche che non ti tradiranno mai, che ti accoglieranno sempre a braccia aperte, e in cambio ti chiederanno solo di credere in loro…

-Mi fiderò- promise.

Hinata annuì appena con la testa.

-Ora sono stanca…- esalò. –Tanto stanca…-



***

Sasuke non si sorprese quando la mattina seguente Hiashi gli telefonò per dirgli che Hinata non era più con loro.

Lo aveva capito quando, alzatosi da letto dopo una nottata per cui la parola “infernale” era un eufemismo, aveva lanciato un’occhiata alla foto che gli aveva donato la ragazza.

E gli era parso che quell’immagine gli sorridesse.

Appena un guizzo, la folle impressione di un istante… ma sembrava essersi mossa davvero.

E la sua spina dorsale aveva vibrato.

Era stato in quel momento che aveva capito che l’anima di Hinata aveva lasciato l’ormai corroso involucro che l’aveva ospitata per diciassette anni e se ne era andata…

Dove non lo sapeva.

In Paradiso, secondo i cattolici. O forse si era fusa con l’essenza universale, come affermavano i panteisti. Oppure si era incarnata in qualche animale, stando al credo induista.

O forse era trasmigrata in quella piccola foto.

Come credeva lei.

Rimise la cornetta al suo posto e si gettò a peso morto sul letto, tenendo la foto davanti al viso.

-Non svelerò il trucco- promise alla ragazza che lo fissava sorridente nel suo abitino estivo. –Ma non sarà facile-

Non lo è mai gli suggerì un cigolio di assestamento delle assi del tetto.

-Mi mancherai-

Anche tu bisbigliò il fruscio del lenzuolo.

-Ma dovrò farmi forza-

Anch’io confermò la goccia che, dal rubinetto, andò ad infrangersi sul lavandino.

-Però su una cosa avevi ragione-

Cosa?

-La magia delle foto è davvero impagabile-

Di nuovo l’irrazionale sensazione che il sorriso della giovane si illuminasse.




Permettete che, almeno alla fine, sia io a lasciarvi due parole.

Io sono colei che ha accompagnato Sasuke fino alla fine del liceo,

colei che lo ascolta quando ha bisogno di sfogarsi

e che riposa nel suo taschino.

Io sono la foto che gli donò quel giorno Hinata.

Ah, già le sento le vostre domande.

Ma è vero che l’anima della Hyuuga si è reincarnata in te?

E che tramite te Sasuke può parlare con lei?

Io credo che, razionalmente, abbiate già una risposta.

Tuttavia non ho intenzione di confermarla.

Hinata è viva dentro di me? Forse.

Sasuke può parlare con lei attraverso me? Forse.

Non fraintendete, non mi comporto così per acidità.

Ma in un mondo come questo,

corrotto fino all’anima,

dove basta sfogliare una, una sola pagina di giornale

per implorare qualche santo di salvarci dagli orrori quotidiani…

che male c’è a consolarsi con una piccola, innocua illusione?

Vera? Falsa? Chi lo sa.

Chi decide cosa è vero o falso? La morale? L’opinione pubblica? O noi stessi?

Per Sasuke è vero che Hinata è dentro me e che continua a stargli accanto.

E’ la sua verità. E chi può dire che la sua valga meno di altre mille?

I tesori della vostra anima nessun ladro potrà mai rubarli.

I sogni sono uno di questi.

Per cui sognate, sognate più che potete.

Nessuno ha diritto di levarvi le vostre speranze.

Nessuno ha diritto di dirvi cosa sognare.

Se non si sperasse nell’amore eterno, non ci si innamorerebbe mai.

Se non si sognasse la pace, non ci sarebbero tante proteste contro la guerra.

Se non ci si illudesse che tutto può evolversi per il meglio,

non si lotterebbe per un futuro più appagante.

Sognate.

E finché ci sarà gente che sogna, che spera, che si illude…

Allora io non sarò più una semplice foto.

Sarò un ponte per il Paradiso.

Sarò un istante che dura in eterno.

Sarò ciò che tiene in vita chi ci ha lasciato.

Sarò tutto questo e anche di più.

E’ questa la forza infinita dei sogni.

E delle foto.







Questa fiction si è classificata seconda (*O*) e vincitrice del premio per lo stile (doppio *O*) al contest indetto da DarkRose “Ti scatterò una foto”. (i banner non cono riuscita a metterli perché ho dei problemi con l’html T_T li aggiungerò in seguito, perché sono veramente belli *ç*)
Sono davvero contenta che la fiction sia stata tanto apprezzata, anche perché ci ho riversato un pezzo del mio cuore e… anche del mio passato.
Oggi sono sei anni che il tumore si è portato via mio padre… e questo è il mio modo di dirgli: “grazie per tutto quello che mi hai insegnato, per tutto il bene che mi hai voluto”.
Se questa storia vi ha insegnato qualcosa, portatelo con voi.
Se vi ha annoiato, credete che non si è fatto apposta, come direbbe Manzoni.
Grazie a tutti voi che siete arrivati a leggere fin qui.
Red Diablo

   
 
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