Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Trainzfan    09/01/2018    2 recensioni
7000 d.c. - L’umanità è divisa in due ceti: aristocrazia/clero e popolo. Tutta l’economia della Terra è basata sull’energia fornita dal Goddafin, sorta di raggi di immensa potenza che discendono dal cielo finendo dentro a cupole blindate, gestiti e distribuiti dall’aristocrazia/clero che, grazie a questo, può tenere in suo potere tutto il resto dell’umanità: il popolo. Esso dipende dal clero sia per l’energia necessaria per calore e illuminazione sia per attrezzature metalliche necessarie alla coltivazione o piccole operazioni quotidiane. Per evitare una ribellione la classe dirigente mantiene il popolo nell’analfabetismo e soggezione mediante una religione che insegna quanto il popolo sia costituito dai superstiti risparmiati da Dio, durante lo scatenarsi della sua ira in un lontanissimo passato mentre l’aristocrazia rappresenta l’eredità del popolo eletto assurto a guardiano dell’energia donata da Dio agli uomini mediante i raggi del Goddafin che da millenni alimenta la Terra.
Chi-Dan, giovane archeologo dell’aristocrazia della Celeste Sede (sorta di Vaticano della religione del Goddafin), viene incaricato dallo zio, Sommo Tecnocrate, di indagare su di un misterioso ritrovamento che aprirà letteralmente un mondo nuovo sconvolgendo e cancellando drasticamente tutto quanto è stato ritenuto sacro e reale
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 2 - Fuori

L'altura, coperta da folta vegetazione, pareva una collina naturale. Nessuno avrebbe mai sospettato quello che il dipartimento di archeologia dell’Accademia della Celeste Sede aveva scoperto: in realtà il tutto era un manufatto risalente all’epoca degli antichi.
Dagli scritti rinvenuti, redatti in antico cinlen, pareva che l’intera struttura non fosse altro che una colossale tomba di qualche oramai dimenticato regnante dell’antichità il quale, in una sorta di megalomania, si era fatto inumare in compagnia di un incredibile esercito costituito da centinaia di personaggi di terracotta a grandezza naturale finissimamente realizzati ed ognuno diverso dall’altro.
Il piccolo gruppo di studiosi era accampato vicino all’ingresso del complesso funerario.
Di questa stagione, all’ora sesta, il sole era da pochissimo sorto e, a causa dei folti alberi presenti attorno alla base della collina artificiale, la zona era ancora avvolta nella penombra. Riccioli di sottile nebbiolina, dovuta alla reazione dell’alto tasso d’umidità della foresta a contatto con il calore dei primi raggi di sole, si agitavano tutto attorno alle quattro tende brune che costituivano la base degli studiosi.
Una di queste conteneva la piccola cucina da campo alimentata dal rack di accumulatori portatili ad alta efficienza che fornivano, anche, l’energia necessaria al funzionamento dei varii strumenti d’analisi e all’illuminazione delle tende.
Le due tende laterali erano riservate al riposo dei membri della squadra, una per gli uomini e l’altra per le donne, mentre l’ultima, un po’ più vicina all’entrata del complesso sotterraneo, era quella che tutti definivano come il “laboratorio” dove erano sistemati gli strumenti di analisi ed i reperti portati momentaneamente alla luce per poter essere studiati, misurati e fotografati prima di tornare nuovamente e definitivamente nei loro rispettivi posti all’interno del complesso ipogeo.
Il telo d’ingresso di una delle tende adibite a dormitorio venne scostato dall’interno e spuntò la testa ricoperta dai folti e lisci capelli neri di Chi-Dan. Indossava una specie di sahariana che, a causa dell’onnipresente umidità, stava già cominciando ad appiccicarglisi addosso.
Mosse, di scatto, una mano dandosi un piccolo schiaffo sul collo.
 
«Maledette zanzare!» imprecò fra sé «Ma non vanno mai a riposarsi?».
 
Si guardò attorno per un attimo, stiracchiandosi e sbadigliando, poi si avviò in direzione della tenda cucina.
Aprì gli alamari che tenevano accostati i due teli d’ingresso, li arrotolò e bloccò sui lati quindi entrò. Prese il bricco metallico dal ripiano, lo riempì con l’acqua del serbatoio potabilizzatore, lo mise sulla piastra elettrica e la attivò.
Avvertì un lieve rumore alle sue spalle. Si voltò e si trovò davanti il bel viso dai lineamenti delicati, incorniciato da riccioli biondi, di Mae-Yong, la sua giovane prima assistente.
 
«C’è un po’ di caffè anche per me?» domandò con voce ancora un poco impastata dal sonno.
 
«Se questo intruglio semi tossico lo chiami caffè, sì» rispose lui con un sorriso.
 
Appena il caffè fu pronto Chi-Dan ne versò due tazze e raggiunse la ragazza al tavolo da campo posto davanti alla tenda che fungeva da cucina.
Bevvero qualche sorso senza proferire parola circondati dai soli suoni della foresta che si andava risvegliando.
 
«Che programma per oggi, capo?» interruppe il silenzio Mae.
 
«Dobbiamo finire di catalogare i reperti che abbiamo portato fuori ieri» rispose Chi «e poi riportarli al loro posto nella camera sepolcrale. Stasera devo pure stendere un rapporto da inviare all’Accademia».
 
«Allora sarà meglio che ci diamo da fare» concluse Mae appoggiando la tazza ormai vuota sul tavolo «Sciacquo le tazze e svegliamo gli altri»
 
*/*
 
Chi-Dan, a parte per gli occhi che erano scuri, assomigliava molto al fratello maggiore So anche se solo per l’aspetto fisico. Caratterialmente, infatti, erano sempre stati alquanto diversi: dove So era molto riflessivo, Chi era, al contrario, più impulsivo e questo, specie durante gli anni dell’adolescenza, aveva più volte adombrato, pur senza comprometterli, i suoi successi di studio.
D’altra parte, mentre l’irruente fratello minore era sempre stato estremamente duttile e prontamente aperto anche a novità che, potenzialmente, avrebbero potuto portare drastici cambiamenti delle sue abitudini, il fratello maggiore era refrattario a qualunque variazione della sua normale routine quotidiana.
Era stato, quindi, un dono del destino il fatto che il tranquillo So-Dan fosse stato destinato agli studi clericali mentre l’attivo Chi-Dan aveva potuto incanalare le sue energie negli studi accademici.
La sua innata curiosità lo aveva, fin da piccolo, portato a chiedersi il perché di ogni cosa. Questo, unito alla visita che, ancora bambino, aveva fatto con la sua classe al museo della storia della Terra, aveva contribuito a fargli germogliare la voglia di studiare il passato.
Gioco forza era stato intraprendere gli studi alla facoltà di archeologia presso l’Accademia della Celeste Sede la quale, fra l’altro, era considerata la migliore attualmente esistente a livello mondiale.
Ovviamente il suo grande impegno profuso negli studi lo aveva portato, in breve tempo, ad essere lo studente con i più elevati risultati del suo corso e questo, in più di un’occasione, l’aveva salvato dai guai provocati dal suo carattere ancora troppo spesso recalcitrante nei confronti delle rigide regole accademiche.
Terminati gli studi con il massimo dei voti era stato un fatto quasi automatico essere scelto dal professor Wono-Gan per entrare a far parte della sua selezionatissima squadra di apprendisti.
Poter lavorare con il professor Wono-Gan era il sogno di tutti gli studenti della facoltà giacché egli era il luminare che, con le scoperte e gli studi della sua vita, più di chiunque altro aveva contribuito a dare lustro all’Accademia della Celeste Sede.
In brevissimo tempo, anche sul campo, Chi-Dan aveva dato dimostrazione di ottime qualità nonché di buone capacità organizzative per cui, dopo due anni di apprendistato ed altri quattro come primo assistente del professore, ora, appena trentenne, era lui stesso, per la prima volta, a capo di una squadra di ricerca incaricata ufficialmente dalla facoltà dell’Accademia di esaminare e catalogare tutti i reperti di questo incredibile sito da poco riportato alla luce.
 
=*=
 
In una mezz’ora la squadra di archeologi era pronta ad iniziare la nuova giornata di lavoro.
Erano già un paio di mesi che Chi-Dan, Mae-Yong ed i quattro aiutanti stavano lavorando sul sito con una media di una decina di ore al giorno eppure avevano l’impressione di aver a malapena iniziato: il numero di reperti presenti era talmente elevato che, per quanto si dessero da fare, non si potevano scorgere ancora risultati apprezzabili. Era come tentare di svuotare il mare con un cucchiaino da caffè.
Probabilmente, prima o poi, avrebbe dovuto segnalare la necessità di avere sul campo un’ulteriore squadra di ricerca per velocizzare il ciclopico lavoro però, per ora, Chi-Dan preferiva aspettare: non sarebbe stato certo un punto di merito per la sua carriera professionale se avesse dovuto ammettere che non era in grado di assolvere all’incarico affidatogli dall’Accademia.
D’altra parte non voleva neppure rischiare di essere accusato di presunzione per aver voluto compiere da solo un lavoro troppo grande per una sola squadra. In fin dei conti questo sito era stato scoperto da pochissimo e la sua squadra era stata incaricata anche di valutare le proporzioni reali del ritrovamento e questo si era rivelato innegabilmente di dimensioni colossali.
 
«Bah!» pensò fra sé «Staremo a vedere. Per ora facciamo finta di nulla e andiamo avanti».
 
Mentre Chi-Dan ragionava su questo, il piccolo gruppo era giunto al “laboratorio” e, aperti e fissati i lembi di chiusura, entrarono nella tenda.
All’interno vi era un tavolo pieghevole, che occupava la parte centrale dello spazio disponibile, su cui erano posti alcuni dei reperti, portati alla luce il giorno precedente, che ancora necessitavano di catalogazione e misurazioni. Lungo la parete sinistra c’era una scaffalatura metallica sui cui ripiani stavano alloggiati i varii strumenti di analisi e gli attrezzi da lavoro ben ordinati.
Dalla parte opposta rispetto all’ingresso erano, infine, allineati tutti i reperti già catalogati e pronti per essere riportati nella loro precisa locazione, all’interno del sito, dove erano stati prelevati.
 
«Ok, ragazzi!» disse Chi-Dan «Diamoci da fare!».
 
«Mae, tu provvedi a finire con le foto e le misurazioni di questi oggetti» aggiunse indicando i reperti sul tavolo «Fatti aiutare da Roen-Jon. Io e Dori-Gal andiamo dentro la tomba per selezionare i nuovi reperti da studiare».
 
«Ok, Chi» confermò Mae-Yong attivandosi immediatamente.
 
«Voi altri, intanto» finì il giovane archeologo rivolgendosi ai rimanenti membri della squadra «cominciate a riportare gli oggetti al loro posto sotto la collina».
 
«Ok!» replicarono i due giovani.
 
Chi-Dan si avvicinò alla scaffalatura degli strumenti da lavoro, prelevò un paio di pennelli che venivano normalmente utilizzati per ripulire i reperti dal leggero strato di sporcizia che il tempo aveva accumulato su di loro, un coltellino per levare le eventuali incrostazioni e la macchina fotografica per immortalare la locazione esatta dei diversi oggetti al fine di riporli, poi, nella medesima posizione di ritrovamento.
 
«Prendi anche tu un paio di pennelli e andiamo» disse a Dori-Gal, la giovane apprendista che da poco più di un mese si era aggregata alla sua squadra, completandola.
Era stato lo stesso professor Wono-Gan a fargli avere sia Mae come prima assistente che tutti gli altri membri della squadra selezionandoli non solo in base alle specifiche competenze e capacità ma anche considerando il loro carattere ed entusiasmo.
Chi-Dan era veramente soddisfatto dal risultato di quest’alchimia ed aveva in animo di incontrare il suo mentore alla prima occasione per poterlo ringraziare direttamente.
Usciti dal “laboratorio” si diressero verso il vicino ingresso del complesso sotterraneo quando udirono l’inconfondibile rumore del motore di un hovercraft provenire da un punto imprecisato appena al di là dell’accampamento.
Qualche istante dopo furono investiti dal violento vento generato dai potenti rotori che permettevano al veicolo di librarsi ad una decina di metri d’altezza appena sopra le cime degli alberi del bosco.
 
«Ma chi diavolo è?» esclamò Chi-Dan chinandosi e riparandosi il viso e gli occhi dal turbine di terra e foglie che sferzò il “laboratorio” e tutta l’area circostante.
Il veicolo si allontanò in direzione della piccola radura nel bosco, posta ad una cinquantina di metri più in là, dove erano parcheggiati i due hovercraft da trasporto della spedizione.
 
«Ora vado là e gli dico il fatto suo a quel demente!» affermò il giovane archeologo accigliato e si avviò di corsa verso il luogo dove aveva visto dirigersi il veicolo disturbatore.
In lontananza, attutito dalla barriera formata dagli alberi, si sentiva il rumore dei rotori che, dopo l’atterraggio del mezzo volante, andavano spegnendosi.
Chi-Dan giunse nella radura giusto in tempo per vedere una figura avvolta in un manto nero uscire dalla cabina dell’hovercraft e dirigersi verso di lui.
«Ehi, tu!» lo apostrofò l’archeologo «Hai la più vaga idea del disastro che hai appena combinato? Che cosa diamine hai nella testa?!?».
 
Il prelato appena giunto si bloccò travolto dall’impetuoso torrente di rimbrotti ricevuto poi, dopo qualche istante, si avvicinò all’alterato Chi-Dan, tirò indietro il cappuccio del mantello lasciandolo ricadere sulle spalle scoprendosi la testa e, allungando amichevolmente la mano destra, disse sorridendo: «Buongiorno a te, Chi! Piacere di rivederti».
 
Per un lungo momento l’archeologo rimase immobile, con la bocca ancora aperta nel rimprovero, fissando il giovane viso roseo sormontato dalla folta chioma bionda del nuovo giunto.
 
«Roda-Yong! Tu?» riuscì, infine, a spiccicare.
 
«Già. E come sta la mia bella sorellina?» replicò il prelato.
 
«Bene, sta bene» disse Chi-Dan ora un po’ esitante «Ma che diamine ci fai tu qui?».
 
«Missione dalla Celeste Sede» rispose con tono enigmatico il nuovo arrivato «Ho viaggiato per buona parte della notte per arrivare».
 
«Immagino» replicò l’archeologo che aggiunse «vieni al campo così mi spieghi cosa ti ha spinto fino a questa remota regione mentre ci prendiamo un caffè».
 
In quell’istante il trasmettitore a corto raggio che portava appeso alla cintura gracchiò e la voce di Mae esordì: «Chi, cosa è successo? Rispondi».
 
Portato l’apparecchio al viso Chi-Dan rispose: «Nulla, Mae. Vieni, per favore, al campo». E chiuse la comunicazione.
Giunti nell’area delle tende Chi fece accomodare al tavolo il biondo prelato e si accinse a preparare un bricco di caffè fresco.
Quasi subito giunse nello spiazzo anche Mae che esordì: «Ma che diav…».
 
Riconoscendo improvvisamente il giovane ospite, l’assistente archeologa rimase, per un istante, bloccata a metà frase per la sorpresa poi, correndo gli ultimi passi che la separavano da lui, gridò: «Roda! Fratellone!».
 
Il biondo prelato ebbe appena il tempo di alzarsi che fu assalito dalla felicissima sorella minore. Erano passati diversi mesi da quando l’aveva incontrata l’ultima volta in occasione del compleanno della loro madre, Lady Yong.
 
«Mae, Mae…» la rimproverò scherzosamente «chi ti ha insegnato a parlare in quel modo, signorinella?!?».
 
La giovane si staccò di poco dal fratello, fece un ostentato inchino reso ancora più comico dall’ambiente circostante, e dichiarò: «Chiedo umilmente perdono a Sua Santità».
 
La finta solennità dell’atto fu definitivamente rovinata dalla irriverente linguaccia che Mae aggiunse al termine delle sue scuse.
 
«Ci rinuncio» desistette Roda allargando le braccia in un gesto di scherzosa rassegnazione «Sei decisamente incorreggibile» e la riabbracciò affettuosamente.
Chi, nel frattempo, aveva portato tre tazze di caffè al tavolo e ci si era seduto. Il prelato si sedette, a sua volta, di fronte a lui e la sorella gli si accomodò accanto.
Roda-Yong assaporò qualche sorso di caffè caldo gustando il sollievo che gli dava dopo la nottata trascorsa guidando attraverso le selvagge regioni che li separavano dalla cupola della Celeste Sede.
 
«Allora, Roda» esordì, infine, il giovane archeologo ansioso di sapere cosa fosse accaduto di così importante da mandare un inviato fin in quella remota regione «Che cosa ti ha portato fin qui?».
 
Il biondo opertec smise di sorseggiare il suo caffè e disse: «Come ti accennavo, missione dalla cupola. Mi manda direttamente Saru-Dan III in persona».
 
Chi-Dan fu molto sorpreso da questo.
 
«Che desidera da me il mio augusto zio?» chiese meravigliato.
L’ultima volta che aveva visto suo zio risaliva a qualche mese prima quando aveva assistito ad una cerimonia pubblica. L’ultima occasione in cui gli aveva potuto rivolgere la parola, invece, … non se la ricordava nemmeno più.
 
«Non ne ho la minima idea, Chi» replicò Roda scuotendo lievemente il capo «però mi ha ordinato di venire a prenderti e portarti da lui».
 
«Cosa?!?» esordì incredulo l’archeologo subito interrotto dal biondo prelato il quale continuò: «Ti aggiungo che, oltre a sottolinearmi l’estrema urgenza, mi ha imposto il totale riserbo su questa missione».
 
A quest’affermazione la sorpresa di Chi-Dan aumentò ancora di più. Che cosa poteva esserci di così urgente che il Sommo Tecnocrate in persona mandasse un emissario a centinaia di chilometri di distanza, in una landa selvaggia, per convocarlo, per di più in segreto.
La cosa, naturalmente, era da non prendere alla leggera ma, d’altra parte, anche il lavoro che stava svolgendo lì era di enorme importanza.
 
«Mi dispiace» cominciò a dire Chi con un poco di ritrovata calma «ma non mi è assolutamente possibile, almeno per ora, allontanarmi dal sito. Siamo nel pieno dello studio di questo enorme ed incredibile luogo. Non se ne parla nemmeno!» attestò concludendo.
 
«Ho paura, Chi, che questa non sia una questione trattabile» replicò, serio, Roda guardando l’archeologo negli occhi. «Il Sommo Tecnocrate è stato molto esplicito su questo» continuò l’opertec «Non mi è consentito tornare senza di te a bordo».
 
Mentre questa conversazione si svolgeva il viso di Chi-Dan mostrò, in sequenza, i sentimenti che lo attraversavano.
L’iniziale sorpresa era divenuta incredulità fino ad arrivare, ora, quasi a livello di ira a stento repressa.
 
«Questa spedizione» replicò rosso in viso «è qui sotto mandato ufficiale dell’Accademia e, quindi, solo il consiglio direttivo delle facoltà può consentire il mio allontanamento dal sito».
 
«Capisco la tua posizione, Chi, ed i tuoi sentimenti» disse Roda conciliante «ma ti posso assicurare che il consiglio direttivo dell’Accademia non avrebbe facoltà di opporsi ad un ordine diretto di Saru-Dan III. In ogni caso non ci sarebbe attualmente né la possibilità né il tempo di seguire i normali canali ufficiali».
 
«Dai, Chi» intervenne Mae che aveva fino a quel momento assistito in silenzio alla discussione «non ti preoccupare. Qui ci possiamo pensare noi in tua assenza. Tanto in un paio di giorni sarai indietro e potremo riprendere senza problemi».
 
«Forse hai ragione» assentì infine il giovane archeologo «D’altra parte se questi reperti hanno aspettato qui per qualche migliaio di anni penso che potranno aspettare ancora qualche giorno».
 
«Perfetto» concluse allora Roda «Prendi su quello che ti può servire per il viaggio e andiamo. Prima si parte, prima arriviamo».
 
«Ma sei appena arrivato!» protestò sua sorella imbronciandosi.
 
«Già, ma non c’è tempo da perdere» affermò il prelato «Avrò tempo di riposarmi quando sarò tornato alla cupola… spero!».
 
«Ok, dai» disse Chi-Dan, ormai convinto, alzandosi ed avviandosi verso la tenda che fungeva da dormitorio maschile «Prendo il mio zaino e andiamo».
 
Dieci minuti dopo erano tutti riuniti nella radura a fianco dell’hovercraft di Roda-Yong.
 
«Va bene, ragazzi» disse Chi mentre saliva a bordo del veicolo «ci vediamo in un paio di giorni. Mi raccomando, Mae, ricordati…».
 
«Sì, Chi» lo interruppe lei con un lieve sospiro di esasperazione «lo so… lo so. È tutto a posto. Vai, ora!».
 
Roda si sedette nell’abitacolo a fianco di Chi-Dan e cominciò ad azionare gli interruttori che avviavano i rotori.
Premette il bottone che attivava la chiusura a cupola trasparente della cabina del veicolo mentre i membri della squadra di archeologi si tiravano indietro per non essere investiti dal turbine di polvere ed erba secca provocato dall’hovercraft che iniziava a prendere quota.
Arrivato all’altezza di una decina di metri, al di sopra delle cime degli alberi, ruotò su se stesso fino a puntare in direzione est, lungo la rotta che li avrebbe portati alla loro lontanissima destinazione.
Aumentarono i giri della grande elica posteriore che comandava il moto orizzontale del veicolo e questo partì scomparendo subito alla vista.
In qualche secondo anche il rumore del motore andò affievolendosi fino a svanire del tutto ed i rumori usuali della foresta tornarono a regnare tutt’attorno.
 
«Forza, ragazzi» invitò Mae-Yong «Torniamo al nostro lavoro ‘che di cose da fare ne abbiamo abbastanza!».
 
=*=
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Trainzfan