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Autore: Trainzfan    28/12/2017    2 recensioni
7000 d.c. - L’umanità è divisa in due ceti: aristocrazia/clero e popolo. Tutta l’economia della Terra è basata sull’energia fornita dal Goddafin, sorta di raggi di immensa potenza che discendono dal cielo finendo dentro a cupole blindate, gestiti e distribuiti dall’aristocrazia/clero che, grazie a questo, può tenere in suo potere tutto il resto dell’umanità: il popolo. Esso dipende dal clero sia per l’energia necessaria per calore e illuminazione sia per attrezzature metalliche necessarie alla coltivazione o piccole operazioni quotidiane. Per evitare una ribellione la classe dirigente mantiene il popolo nell’analfabetismo e soggezione mediante una religione che insegna quanto il popolo sia costituito dai superstiti risparmiati da Dio, durante lo scatenarsi della sua ira in un lontanissimo passato mentre l’aristocrazia rappresenta l’eredità del popolo eletto assurto a guardiano dell’energia donata da Dio agli uomini mediante i raggi del Goddafin che da millenni alimenta la Terra.
Chi-Dan, giovane archeologo dell’aristocrazia della Celeste Sede (sorta di Vaticano della religione del Goddafin), viene incaricato dallo zio, Sommo Tecnocrate, di indagare su di un misterioso ritrovamento che aprirà letteralmente un mondo nuovo sconvolgendo e cancellando drasticamente tutto quanto è stato ritenuto sacro e reale
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Entrò, infine, nell’enorme sala perfettamente illuminata, già affollato dalla maggior parte dei membri del turno montante.
Vide il suo vecchio compagno di Seminario Ban-Xu che lo stava salutando con un cenno amichevole del capo coperto dal cappuccio bordato di azzurro degli opertec delle squadre addette alla manutenzione idraulica.
Rispose, sorridendo, con un cenno e proseguì per raggiungere la posizione della sua squadra.
Lungo il tragitto gli si fece incontro suo cugino Gora-Chin che era a capo di una delle squadre degli addetti alla gestione degli impianti termici ed energetici, come visibile dalla bordatura scarlatta del cappuccio del suo manto ora rovesciato all’indietro sulle spalle lasciando il suo capo totalmente scoperto. La cosa, pur non essendo specificatamente proibita dalla Regola, era comunque considerata sconveniente e poco rispettosa.
Il suo aspetto fisico, i folti capelli neri e lisci, come pure gli occhi scuri di taglio allungato denotavano le sue pure origini Cinlen.
L’arroganza dei modi e degli atteggiamenti, come sempre, infastidì il giovane prelato.
 
“Il solito esibizionista!” pensò So-Dan nel vederlo “Sa che come parente, anche se di secondo grado, del Sommo Tecnocrate nessuno avrà mai l’ardire di rimproverarlo ma così facendo non si attira certo le simpatie degli altri ed i soli ‘amici’ che ha sono quelli che lo seguono sperando nei loro interessi personali”.
 
«Ehi, fiorellino» si sentì apostrofare da Gora-Chin «è questa l’ora di arrivare?»
 
So-Dan si sentì immediatamente avvampare guardando il cugino diritto negli occhi. Dio, come odiava quel nomignolo che lo strafottente cugino gli aveva affibbiato anni prima quando, ancora decenne, era stato affrontato da Gora-Chin, di due anni più grande, che, assieme ad altri suoi degni compari, gli aveva chiesto a bruciapelo «Ma tu lo sai come nascono i bambini?» e lui, candidamente, aveva risposto quello che aveva sempre sentito dire: «Sì! Lo sanno tutti! Li porta il Divino Spirito!».
A quel punto i ragazzi più grandi, dopo essersi guardati in viso l’un l’altro, erano scoppiati in fragorose risate e suo cugino se n’era uscito con quella frase che ancora oggi gli bruciava nelle orecchie: «Ah! Ah! Avete sentito che candido fiorellino?!?».
Dopo di che si erano allontanati sghignazzando e lasciandolo lì, rosso di vergogna e con gli occhi umidi di pianto represso, davanti a tutti gli altri bambini che lo additavano.
 
«Gora!» gli disse gelido «Ti ho già detto migliaia di volte di non usare mai più quel termine men che meno alla presenza di altri! Non siamo più bambini! Guarda, piuttosto, al tuo aspetto ed al disonore che arrechi al tuo abito atteggiandoti in questo modo!».
Detto questo So-Dan passò oltre, senza altro aggiungere, lasciandosi alle spalle un Gora-Chin a metà fra il sorpreso ed il risentito al quale, ormai, non restava altro da fare che incassare il rimbrotto pubblico e rientrare nei ranghi della sua squadra borbottando stizzito: «Borioso incapace!».
Lasciatosi alle spalle quell’elemento perturbatore So-Dan riuscì in breve tempo a ritrovare il suo precedente stato d’animo. Raggiunse la posizione dove le squadre degli addetti al Goddafin si radunavano per il Camtur.
Vide immediatamente il suo vecchio mentore Bogo-Lin il quale gli si avvicinò con quel sorriso bonario che, come So-Dan ben conosceva, illuminava frequentemente il suo viso tondo da Buddha.
 
«Non te la prendere, So-Dan» esordì pacatamente con la sua sonora voce che così tante volte aveva apprezzato nel passato «è come una scimmia che pensa che il suo albero sia tutta la giungla».
 
La saggezza di Bogo-Lin era conosciuta da tutti nella Celeste Sede e So-Dan si augurava ogni giorno di poterne ottenere almeno un decimo nel corso della sua vita.
 
«Lo so, Bogo-Lin» replicò con un mesto sorriso «ma ogni volta la sua sola presenza è capace di mandare a monte ogni mio proposito, nonostante tutti i miei sforzi a riguardo».
 
«Non ti preoccupare, giovane So-Dan!» gli rispose «il tempo aiuta la saggezza contro l’impulsività ed io sono certo che tu sia già ben avviato sulla buona strada».
 
«Grazie, Bogo-Lin» disse So-Dan «I tuoi consigli mi sono stati e sempre mi saranno molto preziosi! Ora è meglio che io vada dai miei genop a vedere se tutto è a posto».
 
«Sei sempre il benvenuto» concluse l’anziano opertec.
 
So-Dan si diresse verso i suoi nuovi assistenti e, passandogli accanto, salutò cordialmente Bodi-Gan, l’altro opertec con il cappuccio bordato di giallo oro, il quale, alzando appena lo sguardo verso di lui, gli rispose con un vago mormorio.
Il giovane prelato si strinse nelle spalle continuando verso la sua squadra. Non riusciva a capire l’atteggiamento di Bodi-Gan. Questa sua scontrosità unita ai modi bruschi con cui trattava la propria squadra non lo avevano certo agevolato nella carriera tant’è che, nonostante fosse opertec da più di dieci anni, il logo del Goddafin che spiccava sul suo mantello nero era ancora di un colore candido come la neve dei monti.
Raggiunta la sua squadra li salutò e, contandoli, si accorse che ne mancava ancora uno.
 
«Dov’è Obi-Lan?» chiese agli altri ragazzi i quali, guardandosi attorno, realizzarono solo allora di non esserci tutti. Proprio in quell’istante si sentirono dei passi di corsa che si avvicinavano e, improvvisamente, comparve fra loro il viso trafelato del giovane Obi-Lan, sudato e con il cappuccio bruno bordato di giallo oro del mantello parzialmente disceso a lasciargli scoperta mezza testa adornata di capelli colore del rame attorno ad un viso chiaro con una spruzzata di efelidi sul piccolo naso.
 
«Scusate, padre So-Dan» balbettò il nuovo arrivato «non avevo sentito la sveglia».
 
Un sommesso suono di risatine soffocate provenne dal piccolo gruppo dei giovanissimi genop.
 
«Va bene, Obi-Lan, lasciamo stare.» sentenziò So-Dan con aria semi rassegnata «vedi di rimetterti in ordine e voi… piantatela di fare gli sciocchi. Siamo qui per qualcosa di estremamente serio ed importante quindi … dignità!».
 
A questo rimbrotto i ragazzi ripresero la attenta serietà che regnava prima di questo goffo contrattempo.
 
«Attenti, allievi» avvertì So-Dan rivolto alla sua squadra «fra breve arriverà il Sommo Tecnocrate e la cerimonia avrà quindi inizio. Come sapete noi siamo la terza squadra della Processione per cui saremo abbastanza vicini al Proman Saru-Dan III da essere sotto il suo sguardo diretto. Vi ricordate tutto?»
 
«Sì, Maestro So-Dan!» risposero entusiasticamente i nove genop di fronte a lui.
 
Avrebbe anche lui voluto essere così sicuro sul fatto che tutto sarebbe andato liscio. In fin dei conti, benché avesse partecipato a numerosissime celebrazioni del Camtur anche nella loro solenne versione del Primo Camtur che avveniva una volta all’anno alla presenza dello staman e dello stesso Sommo Tecnocrate, suo zio, il proman Saru-Dan III in persona, il celebrare il suo primo Primo Camtur come opertec lo preoccupava non poco.
Mentalmente ripassò l’intera procedura della cerimonia a partire dallo spalancarsi delle colossali porte scorrevoli della Sala del Goddafin, allo sfilare delle squadre uscenti fino all’ingresso della sua stessa squadra nel sancta sanctorum della Celeste Sede e, quindi, alla conseguente richiusura degli enormi portali che avrebbe segnato la fine del sacro rito ed il ritorno, finalmente, alla routine lavorativa quotidiana. Non vedeva l’ora che tutto fosse finito.

Lo schieramento, osservò, era esattamente come descritto nel cerimoniale. Dalla parte destra c’era il turno montante costituito dalle tre squadre oro degli addetti al Goddafin seguite da due squadre rosse della manutenzione energetica e termica. Dopo di questi erano posizionate le due squadre azzurre degli addetti alla manutenzione idrica con a seguito la squadra con i cappucci bordati di bianco dei dieci del servizio medico e di pronto intervento. La squadra nera degli amministrativi e missionari chiudeva, infine, lo schieramento.
Dalla parte opposta, ad esclusione delle tre squadre oro, c’era lo schieramento smontante posizionato in modo esattamente speculare.
Lo staman era al di là delle porte ancora chiuse della Sala del Goddafin e mancava, ora, solo l’arrivo del Proman Saru-Dan III. So-Dan guardò fugacemente il suo segnatempo e vide che mancava oramai pochissimo allo scattare dell’ora prima.
Sul fondo della sala si aprì una grande porta scorrendo all’interno del muro e da questa entrò la vettura del Sommo Tecnocrate che avanzò accompagnata dal lieve ronzio di un motore alimentato dalla stessa energia del Goddafin. Il bianco veicolo, scoperto e simile ad una sorta di kart, aveva un sedile anteriore su cui sedeva un opertec che portava il caratteristico manto col cappuccio bordato in nero. Alle spalle di questo vi era una sorta di piattaforma su cui troneggiava lo scranno dorato del Sommo Tecnocrate. In questo momento, mentre attraversava lentamente la sala passando di fronte alle squadre allineate, egli era in piedi avvolto nel suo candido manto adornato da preziosissimi ricami in filo d’oro, creati da grandi artisti di un remoto passato, richiamanti la simbologia del Goddafin.

Mentre la sua mano destra era sollevata in una sorta di gesto benedicente la sinistra impugnava una lunga asta metallica sormontata dallo stemma del Goddafin chiamata il Bastone del Comando. Questo non era un mero simbolo della funzione ma conteneva l’energia stessa di Dio e, per questo, aveva il potere di impartire persino la morte a chi si fosse opposto al suo volere.
Superato il luogo dove So-Dan e gli altri attendevano, il veicolo svoltò a destra e si fermò a margine di una preziosa passatoia color giallo oro la cui tessitura, si narrava, pareva risalisse addirittura al tempo del grande Saru-Dan I, circa due millenni prima.
Questa passatoia, lunga circa una decina di metri, portava ad un piccolo podio, posto appena a lato dei colossali portali ancora chiusi, dove il Sommo Tecnocrate avrebbe tenuto la breve omelia che dava il via alla solenne cerimonia.

Saru-Dan III, aiutato dal prelato autista, scese dal kart e si avviò lungo la passatoia. Salì i due gradini del podio e si voltò verso le squadre schierate.
Per qualche istante fece scorrere il suo sguardo penetrante su tutto lo schieramento che lo fronteggiava. I suoi lineamenti erano caratterizzati dal prominente naso adunco che sovrastava una bocca piccola con due labbra sottili ed esangui eternamente atteggiate in una sorta di altezzoso disgusto che il mento aguzzo rendeva ancora più marcato. I suoi occhi, intensi e chiari, erano un po’ troppo ravvicinati ed il candido cappuccio nascondeva alla vista il liscio cranio totalmente privo di capelli e le grandi orecchie lievemente appuntite.
Improvvisamente la sua voce, sottile ed un po’ nasale, uscì dagli altoparlanti disseminati sulle pareti della grande sala.
 
«Popolo di Dio!» esordì «Celebriamo oggi la solennità del Primo Camtur. Prima di iniziare il rito riflettiamo sui doni divini che giornalmente riceviamo e rendiamo grazie all’Altissimo per il Goddafin che incessantemente ci viene elargito».
 
«Rendiamo grazie a te, o Dio!» risposero all’unisono gli astanti.
 
Alzando le mani al cielo il Sommo Tecnocrate recitò:
 
«Guada a noi, o Dio, e benedici sempre la nostra Fede. Alza la tua mano sui peccatori perché temano la tua divina potenza. Rinnova anche oggi il prodigio del Goddafin e con esso glorifica i tuoi umili servi. Sia consumato dal tuo fuoco divino l’empio ed il miscredente. Sia santificato sempre il tuo popolo fedele».
 
«Ora e sempre nel Goddafin!» conclusero tutti i prelati ad una sola voce.
 
Ci fu un momento di attesa poi, d’improvviso, il silenzio fu squarciato dal penetrante suono della Santa Sirena, posizionata sul culmine della immensa cupola, la quale segnalava lo scoccare della ora prima.
 
«Che i sacri portali del Goddafin siano aperti, nel nome di Dio!» Tuonò la voce acuta di Saru-Dan III.
 
Un forte cicalino gracchiante cominciò a suonare in modo intermittente mentre una luce lampeggiante gialla ruotava alle spalle del podio. Improvvisamente gli enormi portali che separavano la sala delle cerimonie da quella del Goddafin cominciarono ad aprirsi scorrendo di lato. Una intensa luce color dell’oro, abbagliante, fuoriuscì dalla fessura che si andava allargando sempre più fra i due colossali battenti.
Man mano che il portale si apriva aumentava il volume del cupo ronzio generato dal Goddafin. Chiunque nella sala poteva percepire fisicamente la potenza di Dio stesso. Pur avendo prestato servizio nella sala del Goddafin innumerevoli volte So-Dan provava sempre un senso di timore e smarrimento come se Dio medesimo stesse penetrandolo fin nel più profondo delle sue ossa.

Si girò per un attimo attorno guardando i visi dei suoi giovanissimi genop illuminati fortemente dalla abbagliante luce. Tutti erano al loro primo Primo Camtur e le espressioni dei loro volti erano un misto di stupore e di terrore. Obi-Lan era immobile, con gli occhi sbarrati e la bocca semi aperta, totalmente assorbito dal terrificante spettacolo che si stava svolgendo davanti a lui.
Saru-Dan III discese dal podio e si portò fino ad un punto poco più avanti rispetto alla posizione attualmente occupata da Bogo-Lin il quale era a capo della prima squadra oro degli addetti al Goddafin.
I grandi portali della sala erano, oramai, completamente aperti e la luce, accompagnata dal profondo rombo, pervadeva anche tutta la sala delle cerimonie.
Dal varco aperto si videro avanzare le tre squadre smontanti precedute dalla figura dello Staman avvolta nella sua tunica scarlatta da cerimonia.
Vuoi per la solennità dei movimenti, vuoi per la sensazione di potenza emanata dal Goddafin, a So-Dan pareva veramente che Dio in persona fosse presente lì e in quel momento.
Nel frattempo le squadre guidate dallo Staman erano, a loro volta, giunte nella sala delle cerimonie e l’altro prelato dal manto scarlatto si posizionò esattamente di fronte a Saru-Dan III.
Vennero eseguiti gli adempimenti richiesti dal rito culminanti nella consegna da parte dello Staman del Sacro Testo, scritto con i misteriosi ed arcaici caratteri degli antichi, risalente ancora all’epoca in cui Dio scese sulla Terra e di cui tutti ignoravano il significato, chiamato Ordser contenuto in una preziosissima cartellina semitrasparente di una particolare materia plastica liscia, lucida e resistentissima il cui segreto di fabbricazione si era tramandato fin dalla notte dei tempi.

Il Sommo Tecnocrate replicò con le frasi di rito che da secoli lui ed ogni suo predecessore avevano innumerevoli volte recitato e, spostandosi di qualche passo a lato, lasciò libero il passaggio al prelato a capo delle squadre smontanti le quali oltrepassarono il punto dell’incontro portandosi, quindi, verso il fondo della sala.
Tutto si svolgeva immutato da tempo immemorabile secondo uno schema così collaudato da sembrare quasi una sorta di danza perfettamente coreografata.
Una volta che le squadre del Goddafin guidate dal porporato giunsero al previsto punto di arresto le squadre della manutenzione, quelle di pronto intervento e quelle amministrative smontanti avanzarono all’unisono verso il centro della sala posizionandosi subito dietro alle tre squadre appena giunte dalla sala adiacente.
Contemporaneamente le squadre montanti non destinate alla gestione del Goddafin si spostarono con ordine verso la parete alle loro spalle.
Ad un nuovo suono potente della Santa Sirena le tre squadre di cui faceva parte anche So-Dan, capeggiate dallo stesso Sommo Tecnocrate, si avvicinarono con passo solenne verso la Sala del Goddafin mentre, allo stesso momento, tutte le squadre smontanti si misero in marcia verso la porta di uscita da cui, poco prima, era entrato il kart di Saru-Dan III.

La squadra di So-Dan arrivò, infine, ai colossali portali e li oltrepassò.
Mentre questi, accompagnati dal suono del cicalino intermittente e dalla luce gialla lampeggiante, tornavano lentamente a chiudersi alle loro spalle lo sguardo di tutti i giovani componenti del gruppo di So-Dan si alzarono verso l’altissimo soffitto dell’enorme sala, a più di trenta metri sopra le loro teste, fino al larghissimo foro posto esattamente nel suo centro.
Da questo, incredibile, inconcepibile, immensa e terrificante scendeva l’abbacinante colonna bianco-oro del Goddafin o, come veniva chiamato dal Credo, il Dito di Dio.
   
 
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