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Autore: Avaenly    10/01/2018    0 recensioni
2017. Quando Phil Hutchinson prega sua nipote Keira di sbarazzarlo del vecchio diario di sua moglie, la ragazza non ha la minima idea di cosa la aspetti tra le sue pagine ingiallite.
1962. Skye Talbot, il cuore infranto, strappa l’ultima pagina del suo diario e la lascia nella bara del giovane James Cartwright, legando per sempre l’anima del suo amato alle pagine del quaderno.
Dal primo capitolo: “Ma prima di tutto questo, prima del diario, prima di lui, all’epoca in cui si svolge la storia che sto per raccontarvi, ero solo Keira di Glennhill, una diciannovenne senza la benché minima speranza per il futuro. […] Se fossi andata a consultare una chiromante, all’epoca, mi avrebbe sicuramente predetto qualcosa del genere: «Condurrai un'esistenza lunga e monotona. [...] Vedrai tuo fratello [...] costruirsi una vita mentre tu starai ancora a chiederti se ti piace di più Jon Snow o Steve Harrington, e quando finalmente arriverai alla conclusione che Jon Snow è senza ombra di dubbio più figo di chiunque altro, i tuoi genitori moriranno e tu ti ritroverai [...] da sola, finché non morirai a tua volta, sepolta dai debiti e dalle bottiglie di vodka vuote.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL NONNO
 


«MAMMAAAAAA! DOVE CAZZO HAI MESSO LA MIA MAGLIAAAA?!»
Grugnii, rigirandomi nel letto e schiacciandomi il cuscino sulle orecchie, cercando disperatamente di riprendere il filo del mio sogno e maledicendo il giorno in cui qualcuno aveva deciso che la mia stanza e l’unico bagno della casa avrebbero avuto una parete in comune. 
«SI PUÒ SAPERE DA QUANDO IN QUA TI RIVOLGI IN QUESTO MODO A TUA MADRE?» gli rispose urlando Papà, che visibilmente nutriva nei confronti del mio sonno e dei miei nervi lo stesso interesse che poteva avere per la riproduzione delle formiche rosse dell’Uzbekistan. 
Subito dopo, ci si mise anche la Mamma. «Non lo so, Dean, prova a guardare nell’armadio!»
«Ma hai sentito come si è rivolto a te, scusa?» 
«NON C’È NEL CAZZO DI ARMADIO
«OH MA CHI TI CREDI DI ESSERE?!»
«Mamma, Kathy mi ha rubato una scarpa!» piagnucolò Lucy. 
«KATHERINE! RIDAI LA SCARPA A TUA SORELLA
«UFFAAAA! IO NON LA VOLEVO NEANCHE UNA SORELLA, POI!» strillò Kathy.
Sbuffai, mentre sentivo un’ondata di frustrazione salirmi alla testa. «SONO LE SETTE DEL MATTINO, CAZZO
«MODERA IL LINGUAGGIO!» sbraitò Papà.
«MAMMAAAAAAAA!» chiamò di nuovo Dean, che era ancora alla ricerca della maglietta perduta.
A quel punto la Mamma si mise a strillare. Un acuto e potente “AAAAAH!” che di solito precedeva il classico: «Se qualcuno dice ancora una volta “Mamma” lo uccido.» Al che, solitamente, il simpatico di turno (solitamente Dean) esclamava “Madre!”. E a quel punto poteva finire soltanto in due modi: o scoppiavamo tutti a ridere o ci arrabbiavamo ancora di più. Quella mattina optammo tutti per la seconda opzione.
Mentre Lucy e Kathy si allacciavano le scarpe, Dean si ammirava allo specchio nell’ingresso e i miei genitori cercavano ovunque le chiavi dell’auto e si assicuravano che gli zaini delle gemelle fossero riempiti con i libri giusti, finalmente mi decisi ad alzarmi dal letto, poiché di riaddormentarmi non ne ero mai stata capace.
«Keira!» mi chiamò la Mamma dal piano di sotto, non appena mi allacciai il reggiseno. «Devi farmi un favore.»
Sbuffai leggermente, infilandomi un maglione e affacciandomi dalle scale senza badare ai capelli sottili che galleggiavano intorno alla mia testa elettrizzati dalla lana. «Che c’è?»
«Papà deve andare subito al ristorante per un problema alla caldaia…» iniziò la Mamma, che aveva la fastidiosa abitudine di girare sempre intorno al nocciolo della questione, condendo le sue richieste e i suoi racconti con un sacco di dettagli a mio avviso estremamente superflui. «Io devo accompagnare tuo fratello e le tue sorelle a scuola - e siamo già in ritardo, tra l’altro. Quindi Papà non ha tempo di passare dal Nonno stamattina. Puoi andare tu?»
Il Nonno era l’unico parente di più di sessant’anni che mi fosse rimasto. Era il padre di mio padre, un vecchietto di nome Philipp Hutchinson dall’accento irlandese così strascicato che a volte nemmeno capivo il senso delle sue frasi. O forse era colpa dell’Alzheimer.
Papà faceva visita al Nonno quasi tutti i giorni da quando lo avevamo spedito nella “Casa di Riposo del Salice Sorridente”, ormai quasi sei mesi prima. Il povero vecchio non avrebbe mai voluto lasciare casa sua, e Papà si sentiva in colpa per averlo confinato in quella specie di albergo per ottantenni squinternati e dimenticati dalle loro famiglie. Ma non ebbe altra scelta: cercò di gestire da solo la malattia del Nonno finché lui non provò a strangolarlo, perso in uno dei suoi ricordi più tormentati. Negli ultimi tempi era convinto di avere di nuovo vent’anni e di essere lo scapolo più ricco e turbolento di tutta Glennhill. Per fortuna le mura del “Salice Sorridente” gli impedivano di andarsene a zonzo per la cittadina fino alle due di notte facendo a botte nei pub con qualche scozzese.
Insomma, questo era mio Nonno (il più delle volte): un ventenne mezzo pazzo e scorbutico nel corpo raggrinzito di un settantenne ancora più pazzo e scorbutico. E, sinceramente, non avevo particolarmente voglia di imbattermi in una delle molteplici versioni di Philipp Hutchinson, quella mattina. Ma quella di mia madre non sembrava esattamente una richiesta… bensì un ordine, o forse persino una minaccia. Perciò decisi di non lanciarmi nel solito monologo polemico e le risposi che «Okay, Ma’», sarei andata a trovare il vecchio Phil nel suo ospizio a due o tre isolati da casa nostra. Dopotutto, non avevo nulla di meglio da fare.


- SPAZIO AUTRICE -

Ciao! Grazie per essere arrivato/a fin qui, chiunque tu sia spero che la mia storia ti stia piacendo, per il momento. I capitoli sono estremamenti brevi,  lo so, ma ho deciso di non sforzarmi a scrivere troppo e di pubblicare qualcosa ogni volta che, per così dire, concludevo un argomento o era tempo di cambiare scena e ambientazione. Questo perché ho tendenza a non finire mai le storie che inizio a scrivere (per svariati motivi), perciò stavolta ho deciso di incastrarmi da sola, ah-ah! Scrivo un po' e, tac!, pubblico subito, senza rimuginarci troppo.
Anche perché questa storia la scrivo un po' per allenamento, un po' per noia. Così, per distrarmi un po'. Non per niente molti elementi si ispirano alla mia stessa vita. Esempio: la famiglia di Keira. Da quando ho finito il liceo e iniziato le lezioni in accademia dormo un sacco alla mattina... o almeno ci provo. Insomma, non è sempre facile con due sorelle e un fratello sempre in piedi alle sette giusto giusto per spaccarmi i timpani. Quindi, sì, possiamo dire che questa storia è un po' il riflesso della mia vita. Con un tocco di magia in più.
Ok, bando alle ciance. Fammi sapere cosa ne pensi finora, ti prego! So che non c'è molto su cui basarsi per scrivere una recensione, ma mi piacerebbe sapere se sei curioso/a di sapere come continua, tutto qua.
Grazie ancora per aver letto! A presto!
 

 

   
 
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