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Autore: Unissons    11/01/2018    0 recensioni
[Suicide squad]
Dal capitolo 9:
"Oh no, non voglio ucciderti" disse, mentre mi infilava in bocca la cintura [...]
"Voglio solo farti male" [..]
"Molto, molto male"
Genere: Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Trasalii quando sentii l’ago iniziare a bucargli la pelle e vidi il sangue fuoriuscire a goccioline dalle punture. Deglutii e cercai di concentrarmi, per portare a termine ciò che mi era stato imposto. Non era un’operazione molto semplice, però. Non solo non avevo mai eseguito un tatuaggio, ma si trattava di doverglielo fare sul pettorale e mi sentivo enormemente attratta. Il segno del passaggio delle mie unghie ancora non era scomparso e ne fui felice. Doveva rimanere li, segnava il dato di fatto che lui fosse mio. “Bambolina, concentrati, di certo non voglio una ‘H’, oppure una ‘A’ scritta male. Sbrigati, che poi ho da fare” disse, sbrigativo il mio Puddin. In effetti da quando era andato nell’altra stanza a prendere tutto il necessario per fare tatuaggi e lo avevo sentito urlare al cellulare, era cambiato. Non sentivo più quella romantica indifferenza che aveva segnato il suo assalto precedente, sentivo solo distacco.
Pensava ad altro, era in un altro mondo.
“Credevo non avessi nulla da fare, oggi” sussurrai, mordendomi il labbro e iniziando a lasciare l’inchiostro scuro sotto la sua pelle. Una perfetta ‘H’ nacque sotto le mie mani, prendendo la forma della mia calligrafia. Sperai che proprio per questo gli piacesse.
“Il lavoro è così faticoso” sbuffò, come se veramente la sua carriera lo sfaticasse. Sorrisi, immaginandomelo mentre correva per le strade della città, con una mitragliatrice fuori dal finestrino  a sparare sulla folla, magari appena fuggito da una rapina appena compiuta.
Questa volta sotto le mie mani nacque una ‘A’ e presi un tovagliolino imbevuto di disinfettante per togliere l’inchiostro in eccesso. Quando poggiai ancora la penna sul suo petto, il suo capezzolo si rizzò e io mi leccai le labbra. La mano sinistra, libera, si poggiò contro l’altro suo pettorale e all’istante presi la scossa. Aprii la bocca per prendere più fiato.
Deglutii più volte e poi dissi:”Cosa devi fare questa volta?”
“Uccidere persone, rubare cose.. le solite cose” si limitò a dire, sbuffando ancora una volta. Sembrava avere fretta, ma allora perché non aveva rimandato ad un altro giorno il tatuaggio?
Ancora una volta sotto le mie mani alcune lettere presero vita e pian piano ci passai il disinfettante, notando che in quel modo il suo petto pallido sembrava ancor di più sexy.
Pensai alle banche presenti a Gotham e mi chiesi quali ancora lui non avesse svaligiato. Poche, se non si contava quella che lui aveva tentato di svaligiare dopo la morte della moglie.
A quella parola, la mia mano si strinse contro il suo petto, tralasciando altri piccoli graffi sulla sua pelle. Sotto le mie dita sentii crearsi dell’umido e quando distolsi lo sguardo dalla mia opera, notai di aver fatto uscire alcune goccioline di sangue.
“Devi stare più attenta con quelle unghie, Harl” sussurrò Joker, alzandomi il mento, in modo tale che lo guardassi in faccia.
Non avresti dovuto farlo.
Continuando a guardarlo, con la lingua passai dove il sangue stava fuori uscendo e leccai. Il sapore di bagnoschiuma si mescolò a quello metallico del sangue, regalandomi una sensazione paradisiaca. Chiusi gli occhi e godetti di quella sensazione, sempre con la testa alta, rivolta verso il mio dio.
“Porca puttana” sussurrò, per poi tirarmi uno schiaffo. La sua imprecazione e il gesto che compì subito dopo, non avevano senso. Avevo percepito il fatto che quell’esclamazione fosse dovuta al fatto che il mio gesto lo avesse, in qualche modo, eccitato, ma il gesto era stato opposto. Non solo mi aveva rifiutata, ma lo aveva fatto nel più dolcemente brutale dei modi. Mi tenni la guancia e raccolsi la penna per tatuaggi da terra, che mi era caduta durante l’impatto.
“Ragazzina, ho fretta!” urlò e io presi a continuare il tatuaggio. Mi sentivo una sciocca, perciò rimasi zitta, senza lamentarmi. Era ovvio che non volesse che io facessi una cosa del genere. Aveva fretta e in più io gli stavo facendo perdere altro tempo.
Man mano sotto le mie mani altri lettere iniziarono a prendere forma, fino a finire il mio piccolo quadro. Un’enorme risata era nata la dove  i miei graffi  avevano segnato il mio amore.
Passai ancora una volta il disinfettante sul pettorale e poi mi tolsi di mezzo, in modo tale che lui potesse alzarsi e andarsi a specchiare nell’enorme specchio presente nel suo immenso salotto. Chissà quante scene avrebbe potuto raccontare quella superficie, chissà quanti complotti, chissà quante amanti.
Una mano fredda mi strinse le budella e io digrignai i denti per l’improvvisa gelosia.
Il mio Puddin ammirò il suo nuovo stendardo per qualche secondo e poi si voltò sorridendomi, con quel suo fare inquietante e allucinato di sempre.
“Perfetto, Zuccherino” esclamò, per poi raccogliere la camicia bordeaux che aveva lasciato cadere sul tappeto rosso sul pavimento, qualche minuto prima che io cominciassi a tatuarlo. Se la mise e l’allacciò, camminando verso l’ascensore, che lo avrebbe portato all’entrata nascosta.
Era per questo che casa sua non era mai stata rintracciata da Batman, non era possibile raggiungerla, a meno che si conoscesse quell’entrata, all’interno di un bar, nella parte più ricca di Gotham. Chi avrebbe mai detto che uno dei bar più rinomati, ospitasse la dimora di un pazzo?
L’ascensore arrivò al piano e io velocemente fui accanto a lui. Non volevo che mi abbandonasse ancora una volta, volevo essere utile, volevo stare con lui.
Mi aggrappai disperatamente alla manica della sua camicia e lui si voltò a guardarmi lentamente, come se fossi un insetto che si fosse attaccato al suo indumento.
Gli occhi mi pizzicavano, così come tutte le ferite fresche sulla mia pelle. Sentivo la sua presenza ovunque, benché in quel momento lui fosse troppo preso dalla sua carriera per poter badare troppo a me.
“Cosa vuoi,  ancora?” chiese annoiato e una stilettata mi attraversò il cuore da parte a parte. Non avrei voluto arrivare a tanto, non avrei voluto pregarlo di portarmi con se, ma era ciò che desideravo, volevo, perciò lo avrei fatto, a costo di ritrovarmi a terra, con le guancie o, se mi fosse andata meglio, tutto il corpo dolorante.
“Voglio venire con te” ammisi e per qualche istante lui mi scrutò negli occhi, come per poter scoprire se stessi scherzando o meno. Sembrò rifletterci un po’ e poi scoppiò a ridere, regalandomi un soffio di speranza.
Sorrisi e mi preparai  mentalmente per il mio secondo atto criminale.
“Levati, Zuccherino, mi saresti solo d’intralcio!” esclamò, per poi continuare a ridere.
Le mie illusioni caddero e si ruppero in mille pezzi, come elementi di cristalleria di gran valore. Sentii come se il mio cuore smettesse di battere e mi lasciai andare a terra in ginocchio, mentre davanti ai miei occhi, il mio Puddin entrava nell’ascensore.
La sua risata terminò lentamente e mentre le porte si stavano per chiudere sussurrai, in modo che potesse leggere solo il mio labiale:”Puddin”
E poi scoppiai a piangere.
   
 
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