Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Sayami    12/01/2018    1 recensioni
"-La vita non è fatta per essere semplice, Laney, non lo è per nessuno. Ma se non provi, se non fallisci, se non cadi e ti rialzi dieci, cento, mille volte, puoi dire davvero di aver vissuto?
Laney esitò per un breve intervallo, valutò, soppesò la dichiarazione di Samuel con la massima cura, infine rispose: -No, credo di no."

Laney odia il mondo. Letteralmente. Misantropa, remissiva e un tantino paranoica, si chiede spesso quale sia stato il momento esatto in cui la sua vita ha preso la piega sbagliata, portandola a crollare sull'ultimo gradino della scala sociale: quello degli emarginati. Mentre le sue giornate procedono monotone, tra una sistematica opera di autodemolizione e il penoso tentativo di sopravvivere all'ultimo anno di liceo, in città fa ritorno Samuel, cugino della sua migliore - nonché unica - amica. Niente di eccezionale, non foss'altro che il nuovo arrivato, oltre a essere un tipo bizzarro, è anche un grandissimo impiccione! Così, tra situazioni paradossali, equivoci, incontri-scontri e un piano infallibile per realizzare tutti i sogni, Laney e Samuel scopriranno pensieri e sensazioni che credevano di aver sepolto tempo prima, insieme a un'ultima solenne promessa.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
  

Image and video hosting by TinyPic

Parte Prima: Tiny Town

"Mi manca

il tepore

e mi manca
il sole.

Mi manca
la baia.

Ciascuno
mi manca.

E mi mancano
i ponti.

Quell'arco
sul mare...

Stanotte
sembra secoli fa."

 

1.1

"E' solo una festa" le avevano detto.
"Vedrai, sarà divertente!" le avevano detto.
Ma in quel momento, impalata di fronte al portone di casa Carson, con la musica che le trapanava i timpani e il cuore in gola, Laney sapeva - perché lo sapeva - che quella di lasciarsi convincere era stata una pessima idea.
Tutto era cominciato appena una settimana prima, quando, per festeggiare il suo ventesimo compleanno, Veronika aveva deciso di organizzare un party in vero stile americano, invitando "solo un paio di personcine che sanno dove dimora il divertimento".
Ma, come prevedibile, la situazione le era un po' sfuggita di mano: il loro isolato era stato invaso dalla squadra di rugby del Nowhere College e la ragazza si era ritrovata la veranda piena di imbucati.
Di certo Laney non avrebbe abbandonato Vera proprio in un'occasione simile, ma non aveva mai avuto un buon rapporto con gli eventi sociali, men che meno con le feste di compleanno, che le portavano alla mente una valanga di pessimi ricordi. Come se non bastasse, quella sera sua madre l'aveva costretta a recarsi all'evento indossando uno stupidissimo vestito di trine comprato in saldo al Mall, un sacco brutto e largo di cui andava terribilmente fiera.
Ad ogni modo, Laney prese un bel respiro e si costrinse a guardare avanti. Il campanello incombeva minaccioso alla sua destra; sembrava dicesse: "Che aspetti? Suonami!", anche se lei, di suonarlo, non aveva la benché minima voglia.
Però era ancora in tempo, avrebbe potuto semplicemente girare i tacchi e tornarsene a casa.
"E poi chi la sente Vera?"
Assorta com'era nei suoi pensieri, quando la porta si spalancò, ci mancò poco che non le venisse un infarto.
Di fronte a lei si materializzò la silhouette minuta della festeggiata, vestita di tutto punto e felice come una Pasqua. Alle sue spalle era ammassata una calca nutrita di ragazzi, tutti visibilmente alticci e fin troppo eccitati. Fu un'immagine stranamente confortante: era un raduno di universitari, il che significava niente liceali rompiscatole tra i piedi. Forse.
-Ehilà!- esordì Vera, avvolgendola in un caloroso abbraccio. -Ti ho vista dalla finestra! Scommetto che stavi pensando di dartela a gambe.-
Quando si separarono, Laney mise su un sorrisino colpevole e la ragazza le scoccò un'occhiata penetrante. Non per niente Veronika era la sua migliore amica.
-Lo sai che non ti avrei lasciata da sola proprio stasera- rimbeccò lei, mollandole senza tante cerimonie una busta rossa mitragliata di lustrini, contenente il suo regalo di compleanno.
L'altra le sorrise, raggiante. -Certo che lo so- disse sicura. -Ed è anche il motivo per cui ti adoro.- Detto questo, l'afferrò per un braccio, la tirò in casa e richiuse la porta.
Forse merito del clima afoso di fine estate, forse del sovraffollamento in cui verteva la sala da pranzo, o forse di entrambe le cose, all'interno della casa faceva un caldo infernale.
La musica era assordante. I faretti e la plafoniera sul soffitto illuminavano di luci aranciate un marasma di stoviglie di plastica abbandonate in giro alla rinfusa, rimasugli di cibo, bottiglie vuote di spumante e mobili tutti addossati alle pareti per permettere agli invitati di ballare. Mentre Laney osservava allibita la scena, dedicando una pensiero solidale ai poveri signori Carson, Vera si era alzata in punta di piedi per sussurrarle qualcosa all'orecchio.
-Dei tuoi compagni neanche l'ombra- annunciò, dandosi aria di grande segretezza.
A quella conferma, Laney sentì un macigno rotolarle giù dal petto. -Grazie- sospirò riconoscente, stringendo forte la mano dell'amica. Quasi non riusciva a credere che avrebbe superato la serata senza complicazioni.
Vera però non sembrava aver finito, quindi aggiunse, ancora arrampicata sulla sua spalla: -E' arrivata una persona che devi assolutamente incontrare. Aspettami qui!-
Prima ancora che Laney potesse fermarla, la bionda si era tuffata nella mischia di corpi sudaticci che si contorcevano al centro della stanza, portandosi dietro il suo regalo e sparendo in un battibaleno su per le scale.
Lei rimase di sasso. Si guardò intorno, spaesata, cercando di escogitare un piano efficace per non sembrare un'idiota impalata vicino alla porta.
"Aspettare? Ma come diavolo ti viene in mente di mollarmi qui da sola?!" pensò, mentre intanto l'ansia sociale ricominciava ad attanagliarle lo stomaco.
Istintivamente indietreggiò e si strinse al muro, nel disperato tentativo di mimetizzarsi con l'arredamento, anche se aveva l'impressione che non avrebbe funzionato.
Poi, all'improvviso, scorse tra la folla Peter, il ragazzo di Vera. Era un tipo smilzo e dinoccolato, bianco come un cencio, con una zazzera di capelli rossicci, occhi piccoli e azzurri, guance scavate e un naso da topo, ma aveva un sorriso gentile e trattava Vera come fosse una principessa, ragion per cui le era sempre andato a genio. Stava conversando con un energumeno che era quasi il doppio di lui, in piedi accanto al televisore, stringendo in mano un bicchiere mezzo vuoto di punch.
Solo in quel momento Laney si accorse che la stava guardando, lanciandole di tanto in tanto occhiatine apprensive. Sapeva che non aveva cattive intenzioni, ma quel gesto contribuì soltanto a farla sentire ancor più inadatta e fuori posto.
Quando i loro occhi si incontrarono, Laney si sforzò di mettere su un ghigno conciliante, ma non dovette riuscirle un granché, data l'espressione sul viso di Peter. A ogni modo, lui le fece un cenno di saluto con la mano, a cui la ragazza rispose con un altro cenno, prima di voltarsi e filare dritta in cucina.
Se doveva sembrare una completa imbranata, preferiva farlo in un posto meno affollato e, se Veronika l'avesse cercata, Peter le avrebbe detto dove si trovava.
Lo stato della cucina non era migliore di quello del salone. Sembrava che fosse esplosa una bomba: terrine un tempo colme di salatini giacevano rovesciate sull'isola centrale; sui fornelli, chiazze di pomodoro bruciato e sostanze verdastre non meglio identificate; a terra, pozzanghere di bevande gassate e un numero non quantificabile di tovaglioli di carta, cocci di vetro e altro ancora.
Sulla soglia, Laney incrociò una ragazza. Doveva essere passata a prendere qualcosa da bere, dal momento che aveva con sé due grossi bicchieri straripanti di vino rosso e continuava a ridacchiare soddisfatta, barcollando ora a destra e ora a sinistra. Uscendo, la sconosciuta la urtò inavvertitamente, quindi si girò, le rivolse prima uno sguardo smarrito e poi un sorriso estasiato, infine riprese per dove era diretta.
Laney rimase immobile per qualche istante, prima di decidersi a entrare definitivamente in cucina. Lì la musica arrivava ovattata, forse smorzata dal tramezzo che divideva i due locali che componevano il pianterreno.
Si avvicinò circospetta all'isola e accarezzò il ripiano di marmo con la punta delle dita. Conosceva quel posto come le sue tasche, era abituata ai profumi, ai sapori e ai colori. Da quando ne aveva memoria, la sua famiglia e quella di Veronika erano sempre state vicine di casa. Erano cresciute così, giocando con gli altri bambini a rincorrersi per tutto l'isolato e facendosi le trecce a vicenda, condividendo i pasti, i vestiti e, qualche volta, perfino i genitori.
Forse era quello il motivo per cui, pur essendo figlia unica, Laney non si era mai sentita sola: Vera era sempre stata come una sorella maggiore per lei, e sapeva che nessuno al mondo la conosceva meglio.
Quella sera, però, casa Carson le sembrava un po' diversa, presa d'assedio da perfetti estranei e messa a soqquadro da capo a piedi.
A dirla tutta, sperava solo che la festa finisse presto.
-Ehi!-
Una voce. Maschile, per la precisione, e un po' impastata. Qualcuno era entrato in cucina, ma lei non poteva vederlo dal momento che stava di schiena.
"Non parla con me" pensò subito Laney, ma si sbagliava.
Il nuovo arrivato avanzò nella stanza e le mise una mano sulla spalla. -Parlo con te, moretta.-
La ragazza trasalì, sentendo i peli sulla nuca che si rizzavano uno dopo l'altro. Si voltò di scatto, ritrovandosi davanti a un giovane di media statura, coperto di tatuaggi e decisamente ubriaco: a malapena si reggeva in piedi, gli occhi gli si erano fatti rossi come tizzoni e aveva un alito a dir poco pestilenziale.
Con un movimento lento, Laney arretrò, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra di loro. Il palmo viscido dello sconosciuto le scivolò lungo il braccio, lasciato scoperto dal vestito, per poi ricadere pesantemente giù.
Lui però non fece una piega. Tirò col naso un paio di volte e poi biascicò, in una lingua quasi incomprensibile: -Sai dov'è il bagno?-
Laney sentì un brivido risalirle su per la schiena, le gambe molli come gelatina. Iniziò a sudare freddo. -Il bagno...- annaspò, mangiandosi le parole. -Il bagno è di sopra- bisbigliò alla fine, tutto d'un fiato.
L'altro però non sembrava aver capito, perché contrasse il viso in un grugno confuso e si sporse in avanti, su di lei, piantando una mano alla sua sinistra, sul piano dell'isola, per non perdere l'equilibrio e capitombolare per terra. -Parla più forte!- le intimò. -Non ti sento!- Dal tono che aveva usato, sembrava che si stesse innervosendo.
Laney indietreggiò ancora, spalle al frigorifero.
"Avanti, diglielo!" cercò di spronarla il suo cervello. "Così se ne andrà e ti lascerà in pace."
Ma a quel punto, anche se avrebbe tanto voluto parlare, le parole non le uscivano più. Aveva un groppo all'altezza della gola, ed era certa che, se avesse anche solo provato a emettere un suono qualsiasi, avrebbe urlato per l'agitazione.
"Vattene" pensò. "Non riesco a dirtelo, quindi vattene, per favore."
Ma l'altro non demordeva, continuava a scrutarla con quei suoi enormi occhi arrossati, in attesa di una risposta che non sarebbe arrivata.
-Ah...- rantolò.
"Vattene."
Pregò il cielo che qualcuno venisse ad aiutarla e, per qualche strana coincidenza astrale, le sue preghiere vennero esaudite.
In quel momento, in cucina arrivò qualcuno. Qualcuno che approdò al lavello, aprì il rubinetto e si riempì di acqua il bicchiere. Laney vide che li stava esaminando da lontano e sperò dal profondo del cuore che venisse a darle una mano. Inaspettatamente, fu proprio quello che lui fece. -C'è qualche problema?- domandò.
L'altro ragazzo, quello ubriaco, si voltò e le diede le spalle. Poco mancò che le ginocchia di Laney cedessero. Si lasciò andare a un lungo respiro sollevato, cercando di non dare nell'occhio.
-Sai dov'è il bagno?- tartagliò di nuovo il primo sconosciuto.
-E' di sopra- tagliò corto l'altro. Una frase semplice, lineare, pronunciata senza esitazioni. E, d'altra parte, non c'era poi molto da esitare: si trattava di una banalissima informazione. Laney sentì la frustrazione montarle in corpo come la marea. Una disadattata, ecco cos'era diventata. Una stupida, insignificante, penosa disadattata.
Incastrò il labbro inferiore tra i denti, mentre l'universitario ubriaco ringraziava e usciva dalla cucina, incespicando come era entrato.
A quel punto, Laney pensò che anche il secondo ragazzo se ne sarebbe andato per i fatti suoi, ma così non fu, perché quello aggirò l'isola e la raggiunse, senza però avvicinarsi troppo. Lei non riusciva ad alzare il viso. Anche se non poteva negare di essergli riconoscente, ora stava iniziando a desiderare che sparisse anche lui.
Per qualche istante, tra di loro regnò il silenzio, rotto solo dalle note che provenivano dall'altra stanza. Poi lui le domandò: -Va tutto bene?-
A quel punto, Laney si convinse a sollevare lo sguardo. In seguito, non avrebbe mai saputo spiegare che cosa provò quando i suoi occhi si posarono sulla sua figura.
La persona che ora aveva davanti era alta, molto più di lei, e slanciata. Aveva spalle larghe, gambe lunghe, una corporatura asciutta ma atletica, prestante.
Sul viso, di forma ovale, si poteva individuare qualche imperfezione: un neo solitario sotto all'occhio destro, le labbra sottili, anche se a forma di cuore, il naso tondo e le guance piene e colorite. Per concludere, i capelli, castani e lisci, gli ricadevano a ciocche sulla fronte e sopra agli occhi grandi, brillanti e allungati, dello stesso colore scuro.
Anche se indossava solo un paio di jeans e una t-shirt di cotone, sembrava appena uscito da uno dei più quotati fashion blog in circolazione.
Era bellissimo, forse il più bel ragazzo che Laney avesse mai visto. Semplicemente, era perfetto.
Rimase a fissarlo inebetita per un tempo che le parve un'eternità. C'era qualcosa di tremendamente familiare, in lui, qualcosa che non riusciva a identificare, seppure fosse lì, a portata di mano.
Anche l'altro però la stava studiando in modo strano: fermava lo sguardo prima sui suoi corti ricci bruni, poi sulle spalle, sulle labbra, sul naso e infine ricambiava il suo, di sguardo, prima di ricominciare il giro da capo.
Alla fine sgranò gli occhi, incredulo, come se gli avessero appena detto che aveva vinto alla lotteria. Si sporse in avanti e, quando parlò, lo fece a voce bassissima.
-... Laney?- sussurrò.
La ragazza spalancò la bocca, stupita. Come faceva quel tipo a conoscerla?
-Tu... come... come sai il mio nome?- balbettò.
L'altro le sorrise, un sorriso splendido, perché gli partiva dalle guance e arrivava a illuminargli le iridi, proprio come quello di un bambino. -Non ti ricordi di me?- le chiese, sbattendo le palpebre e avvicinandosi ancora. Laney, che non aveva più spazio per indietreggiare, sentì il cuore che le cadeva in fondo alla pancia.
L'ansia le stava nuovamente chiedendo il conto, con ancora maggiore insistenza, questa volta.
"Chi cavolo sei?!" avrebbe voluto dirgli, ma si trattenne, e continuò solo ad analizzare centimetro per centimetro il suo interlocutore, in cerca di una risposta. Così notò le ciglia corte e scure, la mascella squadrata, il piercing in cima all'orecchio sinistro e le unghie mangiucchiate, ma non trovò alcun indizio che potesse rivelare la sua identità.
Poi lui, forse per trarla d'impaccio, fece una cosa. Una cosa che Laney non credeva sarebbe mai veramente successa, una cosa semplice, che però le riportò alla memoria una montagna di ricordi.
Il ragazzo le mostrò il braccio. Intorno al polso portava allacciato un vecchio braccialetto di conchiglie scheggiate e perline rosso fuoco. Lo stesso vecchio braccialetto che Laney riconobbe come quello che si erano scambiati più di dieci anni prima, in riva all'oceano, lo stesso braccialetto che aveva anche lei, chiuso nell'ultimo cassetto della scrivania da chissà quanto tempo.
Non poteva crederci. Era quasi irriconoscibile.
Alzò gli occhi di scatto, sconcertata. Si trattava proprio di...
-Samuel- chiamò, senza nemmeno accorgersene.
Samuel le fece un sorriso talmente largo che Laney temette per un attimo che gli si sarebbe strappata la faccia. -Mio Dio...- le disse, portandosi una mano dietro alla nuca. -E' passato un sacco di tempo.-
-Già- replicò asciutta lei, non avendo idea di cos'altro aggiungere.
Si sentiva strana, ma non in senso positivo. Era come se qualcuno l'avesse presa di forza e messa in un grosso frullatore, per poi tirarla fuori così: disorientata, incapace di formulare un discorso di senso compiuto e per giunta conciata come un pastore protestante, con quello stupido vestito di trine che, più che un vestito, sembrava un abito talare.
In quel momento, si pentì amaramente di non essersi messa qualcosa di un po' più carino, di non aver nemmeno provato ad acconciarsi i capelli, a truccarsi o a indossare un paio di scarpe che non fossero le solite sneakers sporche e consumate.
Era solo che non credeva ne sarebbe valsa la pena, dal momento che, in genere, il modo in cui le piaceva vestire non faceva che attirare occhiatine torve e battute ironiche. Così, semplicemente, aveva smesso. Anche se, in realtà, quella non era l'unica cosa che "semplicemente aveva smesso", in quegli anni.
Forse avrebbe dovuto dirglielo?
A lui, che era diventato tanto bello, che sembrava così spigliato e disinvolto, che le sorrideva con gli occhi, come se non fosse passato nemmeno un minuto, da quando si erano separati? A lui che non sapeva più niente di lei e di cui lei non sapeva più niente?
Avrebbe dovuto dirgli che le giornate erano diventate invivibili da quando era iniziato il liceo? Che aveva scoperto che il mondo faceva schifo e aveva smesso di parlare con gli altri, di sorridere, perfino di uscire, da qualche tempo?
A lui, che chissà quali traguardi aveva raggiunto, quante cose aveva fatto e visto, che novità aveva conosciuto, in giro per il mondo... a lui, in quel momento, avrebbe dovuto dire che era stanca, che avrebbe voluto scappare via, lontano lontano, lasciare quella vita, quella città e anche quella festa?
Si ritrovò sull'orlo delle lacrime. Samuel non fiatava, sorrideva e basta. E cosa avrebbe mai dovuto dire, a un rifiuto?
-Senti- si decise infine il ragazzo, ma lei troncò la conversazione sul nascere.
-Scusa- disse. -Devo andare.- Con un movimento agile, scartò di lato, superò il ragazzo e si precipitò più veloce che poteva fuori dalla cucina, nella baraonda tremenda della sala da pranzo. Raggiunse la porta, la spalancò e si guardò alle spalle giusto il tempo necessario per confermare che non sarebbe mai riuscita a trovare Veronika, in mezzo a tutta quella marmaglia; poi uscì e richiuse la porta, diretta verso casa.
Era buio pesto, in strada. Quando fu a metà tra il proprio giardino e quello di Vera, Laney dovette fermarsi a prendere un respiro profondo per ricacciare indietro le lacrime e il magone. Non avrebbe pianto, nossignore, era già abbastanza miserabile così.
Il punto era che sapeva che quell'incontro le si sarebbe piantato nel cervello come un tarlo fastidioso, fino a roderle anche il fegato e le budella.
Perché lui aveva mantenuto la promessa ed era tornato davvero. Samuel Carson, il cugino di Vera, il suo primo amore. Forse l'unica persona che non sarebbe mai dovuta tornare.
E se fosse andato a scuola? Che fine avrebbe fatto il ricordo di quella bambina gentile e divertente, la memoria della ragazzina spensierata con cui si divertiva ad acchiappare le lucertole e a giocare a nascondino? Che fine avrebbe fatto quel poco che le restava, l'idea che qualcuno, là fuori, avrebbe ancora potuto nutrire stima e rispetto per la sua persona?
Invece Samuel avrebbe scoperto tutto, avrebbe visto ogni cosa. Avrebbe fatto anche lui quello che facevano gli altri. E sarebbe stato un miliardo di volte peggio.
A metà strada tra il proprio giardino e quello di Veronika, quella sera, Laney si sentì morire dentro ancora un po', affondare lentamente nel fango e nella melma di una situazione insostenibile.
Non aveva più nulla: dignità, speranza o qualcuno che custodisse un bel ricordo di lei.
Era finito tutto.
O almeno così credeva.
Ma si sbagliava di grosso.

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Sayami