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Autore: _Kalika_    12/01/2018    1 recensioni
La storia non tiene conto dei fatti ne "Le Sfide di Apollo"
Will è in preda ai sintomi di una terribile malattia, una maledizione che colpisce alcuni figli di Apollo… le possibilità di sopravvivenza sembrano scarse, ma Nico non intende perderlo. Riuscirà il figlio di Ade a superare le prove proposte, compreso lo scontro con un odiato nemico?
*
*
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«Che intendi dire?» Nico strinse il Ferro dello Stige, alternando lo sguardo tra la figura che si dimenava debole e l’ombra.
«Ti sarà richiesto soltanto un sacrificio. Devi scegliere tu se sei disposto ad accettare»
«Di cosa stai parlando?» Chiese ancora, irritato. L’ombra non rispose. Si mosse appena, poi scomparve con un risucchio nel terreno.
*
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«Sono ancora uno stupido, Raggio di Sole?»
Il figlio di Ade sbuffò, riappoggiando il capo sulla maglietta arancione del biondo. «Sì, moltissimo. Anche se non è stata tutta colpa tua.»
«Ah, no?»
«No. Probabilmente gli dei avevano già deciso che avresti fatto la stupida azione che hai fatto.»
«Mh. Quindi ti sei sbagliato a darmi uno schiaffo, prima.»
«No, non sto dicend…»
«E ti devi far perdonare.»
«Non…»
«Facciamo così: se farai un’azione più stupida della mia, allora potrò restituirti il torto.»
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cupido, Eros/Cupido, Nico di Angelo, Nico/Will, Nuovo personaggio, Will Solace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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Il Frutto del Sacrificio – Cap 4
 
 
 
«Oh Iride, dea dell’arcobaleno, mostrami Reyna al Campo Giove.»
L’immagine nell’arcobaleno tremolò. In attesa, Nico si preparò a rivedere la sua amica, sistemandosi in un gesto che poi valutò stupido i capelli. Dopo ciò che gli era successo sentiva di avere bisogno di un consiglio, e Reyna era una delle poche persone di cui si fidasse al punto da raccontargli di essere scappato dal campo. Erano diversi mesi che non aveva sue notizie all’infuori di qualche lettera, e sperò che non fosse troppo occupata dai suoi incarichi al Campo Giove.
Per un istante, il figlio di Ade riuscì a scorgere l’accampamento romano. Tralasciando nuovi edifici costruiti dopo la guerra contro Gea per accogliere i messaggeri del Campo Mezzosangue, la cui struttura Nico non aveva avuto occasione di vedere dal vivo, era tutto esattamente come se lo ricordava. Pur con una nitidezza incredibilmente sfocata, vide Reyna e Frank seduti sui troni dei pretori, impegnati in una leggera conversazione.
La ragazza sorrideva, almeno fino a che non pose attenzione al punto in cui si trovava Nico. Parve accigliarsi, come se vedesse un elemento di disturbo, ma soprattutto senza dimostrare di vedere il figlio di Ade. Mentre l’immagine diventava sempre più sfocata, lei si alzò dal trono e si avvicinò come per schiacciare un insetto fastidioso.
Nico provò a chiamarla, ma si rese conto che sarebbe stato tutto inutile quando la panoramica del messaggio Iride cambiò come se avesse preso il volo: rese una vista dell’intero Campo Giove, abbandonando la sala dei pretori, poi si librò verso il cielo oscurandosi. Dopo pochi istanti la visione si stabilizzò in un punto totalmente diverso da quello richiesto.
Nico riconobbe una strada di New York vicino alla parte occidentale di Central Park. Il messaggio-iride entrò in una bottega della via dall’aria trascurata, trovando un interno illuminato solo da qualche torcia del tutto simili a quelle usate al Campo Mezzosangue. Due individui stavano parlando fra loro.
Un signore piuttosto anziano, con i capelli quasi assenti ed il volto coperto dalle rughe, era un poco ricurvo e seduto su una poltrona. Si appoggiava con le braccia magre su un’austera scrivania, ed era senza dubbio il proprietario del luogo. Parlava piano, con voce roca, e sorrideva impercettibilmente.
L’esatto contrario dell’altra persona, che non ebbe bisogno di presentazioni. Ed.
Al posto della giacca a vento indossava una pesante felpa verde con il cappuccio tirato sul viso. Anche i pantaloni erano differenti da quelli che Nico gli aveva visto indosso la notte prima. Il figlio di Ade sperò che fosse a causa delle ferite che era riuscito ad infliggergli, mentre si guardava un poco rammaricato i suoi abiti stracciati.
«Mi serve il passaggio, vecchio» stava ringhiando Ed «so che sai come si arriva da Cupido.» Provò ad avanzare verso l’altro uomo, ma il volto si stirò in un’espressione di dolore, mentre zoppicando poggiava i palmi delle mani sulla scrivania per sorreggersi. «Ho finito l’ambrosia, vuoi capirlo o no?»
L’anziano signore inclinò la testa, stringendo gli occhi come per cercare di vederlo meglio. «Sì, sì, va bene. Ma prima il pagamento.» Allungò la mano per richiedere dei soldi, ma Ed sbattè ancora le mani sul tavolo, adirato, senza tuttavia impressionare l’altro.
«Non ho niente! Né dracme, né armi o qualcosa di valore, niente di niente! Fammi passare!» Ordinò con furore.
Il vecchio si alzò con calma. Raggirò la scrivania lentamente, appoggiandosi ad un bastone, e quando fu abbastanza vicino parlò: «Niente pagamento, niente passaggio. Sono le regole.»
Ed ringhiò dalla frustrazione.
Da quel momento in poi, si fece tutto sfocato. Nico riuscì solo a vedere il ragazzo che aggrediva l’altro e lo faceva cadere a terra. Sentì un fischio nelle orecchie, e parve che la visione si allontanasse.
«No! Aspetta, aspetta!» Urlò all’arcobaleno, stando attento a non passare la mano sulla superficie. Gli sarebbero state utili altre informazioni.
Tutto inutile. Qualcosa attraversò il fascio di luce come una furia, travolgendo anche Nico in un misto di urla e… nitriti?
Sentì indistintamente qualcuno urlare il suo nome. Era certo che non provenisse più dal messaggio iride, ormai irrimediabilmente finito. Tossì, togliendosi dal viso la terra contro cui era stato trascinato, e solo dopo qualche istante si rese conto che qualcuno gli aveva preso il viso tra le mani. «Chi.. cosa?» Alzò le braccia per proteggersi dall’eventuale minaccia, ma trasalì quando una fitta alla spalla gli fece vedere tutto nero. Rimase immobile boccheggiando.
«Nico, fermati. Non voglio farti del male. Devi far riposare la spalla.» Il figlio di Ade obbedì, rapito dal tono dolce, anche se confuso com’era non riconobbe la voce, mentre delle dita esperte scostavano la maglietta dalle spalle e sistemavano la bendatura.
Nel giro di pochi minuti le vertigini scomparvero. Si tirò su, e non credette ai suoi occhi.
«Grazie, Blackjack. Non penso che tu sia in grado di trasportare tre persone, quindi d’ora in avanti ce la caveremo da soli. Puoi tornare al campo.»
«Helen?! Perché l’hai fatto?» Nico avanzò esterrefatto verso di lei. La semidea si voltò verso di lui, ben consapevole che non si riferisse al fatto di aver appena salutato il pegaso. Se prima aveva un sorriso sul volto, adesso si era spento.
«Mi dispiace, Nico. Non avevo pensato di arrivare a tanto. Si è svegliato questa mattina, e gli ho detto che eri partito.» Si avvicinò al tronco di un albero lì accanto, al quale era appoggiata una figura febbricitante. «Non ha voluto sentire ragioni, ed ha insistito per cercarti.»
Nico si accovacciò davanti a Will Solace, che lo osservava con espressione lievemente stralunata ed un sorriso sulle labbra. «Lo sai quanto sono insistente.» Borbottò ansimando.
Il figlio di Ade incupì il suo cipiglio arrabbiato. Aspettò un secondo, in cui nessun altro intervenne, poi alzò una mano e mollò un ceffone al biondo, facendo sussultare Helen. «Sì, lo so. E adesso so anche quanto sei stupido.» Appoggiò poi con delicatezza la stessa mano sulla fronte del ragazzo, che adesso aveva lo sguardo a terra. Tremava ed era bollente.
Senza cambiare posizione sulle gambe, sospirò e si passò stancamente le mani sulla faccia, fino a che non realizzò. La voce di Helen lo risvegliò. «Mi… mi dispiace» balbettò incerta, aspettandosi un’altra reazione furiosa del figlio di Ade.
Quello invece si limitò a rialzarsi scuotendo la testa. «No, no, mi avevano avvisato.»
«Cosa?»
«Mi avevano detto che avrei avuto dei compagni.» Spiegò in parole spicciole. Non aveva senso arrabbiarsi con lei, ma non avrebbe perdonato in due secondi l’avventatezza di Will. «Siete voi due. E dobbiamo far in modo di ottimizzare al massimo i tempi.» Il suo cervello lavorava senza interruzioni, collegando lentamente i tasselli. Privo di esitazioni prese dalla tasca della giacca la cura di Ermes e ne spiegò le capacità ad Helen.
«Non so quanto tempo ci servirà per concludere l’impresa, ma sarebbe inutile non usare la cura per paura di sprecarla. Se adesso Will si sentirà bene, riusciremo a muoverci senza problemi.» Concluse il suo ragionamento.
La figlia di Apollo annuì decisa, e insieme a Nico si riavvicinò a Will. «Mangia questo.» Gli ordinò il moro con tono un po’ duro.
«Che cos’è?»
«Una medicina, Will.» Gli rispose Helen con tono accondiscendente, tentando un sorriso mentre incrociava gli occhi lucidi del ragazzo. Lui non protestò e la masticò in un paio di morsi, mugugnando al sentire il gusto sorprendentemente buono. Aprì la bocca per commentare, ma nel giro di pochi istanti le pupille rotearono all’indietro e si accasciò inerme fra i due semidei.
Lo fecero sdraiare, e Nico posò ancora la mano sulla sua fronte – dubitava che quella storia delle labbra fosse vera – mentre Helen gli ascoltava il battito.
Passarono meno di trenta secondi, ed il figlio di Ade sentì la pelle lentigginosa farsi meno calda. «Sta calando la febbre.»
La semidea annuì. «Anche i battiti stanno tornando normali. Si riprenderà fra poco.» Detto questo, chiuse gli occhi con un sorriso e si appoggiò all’albero.
«Come avete fatto a trovarmi? Chirone vi ha dato una mano?»
Helen rise. «Chirone non ha cambiato idea sull’impresa. Siamo partiti questa mattina, prima della colazione. Beh… insomma, non appena il testone ha saputo la notizia.»
«E ti abbiamo trovato grazie all’odore di morte.» Aggiunse una voce maschile molto più lucida di quanto l’avessero ascoltata pochi minuti prima. Will si mise seduto con un sorriso acceso. Si stiracchiò disinvolto e sbadigliò.
«Come stai?»
«Bene. Molto bene.» Si guardò intorno, come se vedesse quegli alberi per la prima volta. Incrociò lo sguardo di Nico.
Il figlio di Ade era combattuto. Da una parte, era terribilmente arrabbiato con il biondo. Come gli era venuto in mente di uscire dalla protezione del campo e andare a cercarlo nelle condizioni in cui si trovava? Se non avesse avuto la cura, avrebbe rischiato la morte al primo aggravarsi della malattia. Dall’altra parte, Nico ormai aveva capito che era stata una mossa scelta dagli dei, dalle Parche o da chi per loro. Forse la cura gli sarebbe potuta servire più avanti. Forse no. In ogni caso, gli avevano dato occasione di sopravvivere. Ed era tremendamente sollevato dal vedere Will finalmente in forma, con un colorito acceso e non più in preda a febbre o dolori vari. Anche se si trattava di una situazione temporanea, il suo cuore si era alleggerito.
Nico non sapeva se mantenere il broncio, per far capire al ragazzo i pericoli a cui si era sottoposto, o abbracciarlo con tutte le sue forze e assaporare quel momento.
Fu Will a decidere per lui.
Non appena furono tutti e tre in piedi, si avvicinò a lui e lo strinse a sé, sospirando e sentendolo infossare il viso nel suo petto. Il figlio di Apollo gli accarezzò i capelli corvini mentre lui gli circondava la schiena con le braccia. Sentirlo vivo ed in salute fra le sue braccia restituì a Nico un sacco di energia. Sorrise impercettibilmente, mentre Will gli allontanava la testa dal petto e gli lasciava un casto bacio sulle labbra. «Sono ancora uno stupido, Raggio di Sole?»
Il figlio di Ade sbuffò, riappoggiando il capo sulla maglietta arancione del biondo. «Sì, moltissimo. Anche se non è stata tutta colpa tua.»
«Ah, no?»
«No. Probabilmente gli dei avevano già deciso che avresti fatto la stupida azione che hai fatto.»
«Mh. Quindi ti sei sbagliato a darmi uno schiaffo, prima.»
«No, non sto dicend…»
«E ti devi far perdonare.»
«Non…»
«Facciamo così: se farai un’azione più stupida della mia, allora potrò restituirti il torto.»
Nico alzò un sopracciglio. Poi sorrise, staccandosi dal ragazzo. «Va bene. Ma dubito che succederà mai.»
Raccolse da terra il prisma e si avviò insieme ai due figli di Apollo verso l’uscita del giardino. «Prima hai detto che mi avete trovato grazie all’odore di morte» riprese poi pensieroso «che cosa intendevi?»
«Intendo dire proprio quello che hai sentito. Qualche tempo fa, Percy mi aveva raccontato che i pegasi si erano rifiutati di portarti in groppa perché sentivano l’odore di morte. Ho pensato che avremmo potuto usarlo per rintracciarti, e Blackjack non ci ha delusi.»
«Mh, bella idea. Ma resti sempre stupido.»
 
«Adesso dove andiamo?»
Nico raccontò ai due ragazzi della visione che avevano interrotto con il loro arrivo. «Ho riconosciuto la strada, ci possiamo arrivare con un viaggio-ombra senza problemi.» Ebbe l’ardire di incrociare lo sguardo di Will, che si limitò ad una negazione del capo dal tono irrevocabile.
«Niente viaggi ombra. Andremo in taxi.» Decise inghiottendo un grosso boccone della piadina che teneva in mano. Si erano fermati all’osteria per pranzare, ed il figlio di Ade era riuscito ad evitare il cibo raccontando minuziosamente ciò che gli era capitato fino a quel momento. «E poi devi mangiare.»
Prima che la discussione si trasformasse in un litigio sulle loro abitudini alimentari, Helen prese posizione poggiando le braccia sul tavolo. «Per una volta, Will ha ragione. I viaggi-ombra ti stancano troppo.»
«Ma così facendo perderemo tempo! Non sappiamo quanto tempo durerà la cura, ed in più Ed potrebbe attaccarci in qualsiasi momento.»
«Se riuscissimo ad arrivare al posto e fosse una trappola, o ci fosse un qualsiasi pericolo, saremmo in difficoltà. Fra noi tre, sei il migliore per quanto riguarda il combattimento. Senza offesa, considerando quello che ti ha fatto Ed…» adocchiò la maglia sbrindellata e la spalla destra del corvino, che Will aveva guarito completamente grazie ad un incantesimo «avremo bisogno di tutte le nostre forze per sconfiggerlo.»
 Nico la fissò. Non aveva tutti i torti. Detestava l’idea di perdere tempo, ma a quanto pare non aveva scelta. Alla fine, acconsentì.
Will sorrise. Aveva ancora il segno delle cinque dita di Nico sulla guancia.
 
Il viaggio durò poco più di un’ora. Tre semidei adolescenti dovevano emanare un odore piuttosto potente per i mostri, e a prova di questo diversi nemici spuntarono durante il tragitto. La maggior parte di questi erano evitati e dopo poco rinunciavano di fronte alle manovre spericolate del tassista – “Ma cos’hanno i gabbiani oggi? Sembra che abbiano tutti voglia di buttarsi sulla mia macchina!” –, mentre i pochi più ambiziosi che tentarono di inseguirli vennero prontamente depistati da un paio di scheletri di Nico o ridotti in cenere dalle frecce dei figli di Apollo.
Nico notò che Will sembrava prediligere il tiro con l’arco, mentre la sorella risultava meno avvezza; si chiese se Helen avesse altri talenti da poter usare in battaglia.
Il taxi si fermò proprio di fronte alla bottega vista nella visione. I tre ragazzi scesero dal veicolo e, dopo uno scambio di occhiate, entrarono titubanti.
 
Un campanellino sulla porta avvisò la loro entrata. Una volta che la porta si richiuse dietro di loro, tutti i suoni della città parvero scomparire.
I semidei si guardarono attorno, e Nico si scoprì a rabbrividire di fronte all’aria tetra che emanava il luogo. Spinta dalla curiosità, Helen si avvicinò di qualche passo ad uno degli scaffali, osservando ammirata la mercanzia. Si trattava perlopiù di manufatti di metallo, tra i quali delicate statuine impreziosite da gemme che decoravano gli occhi dei personaggi e i dettagli dei loro abiti.
Appoggiò la mano al vetro della teca, come incantata dalla leggiadria delle figure, poi scorse con gli occhi un comodino in legno accanto allo scaffale. Vi si accostò, notando su di esso un cofanetto di legno intarsiato. Lo aprì, e ne uscirono fuori due piccole statuine di bronzo l’una accanto all’altra. Si udì un lieve cigolare, poi si diffuse nell’aria una dolcissima melodia, accompagnata dal danzare delle figure nel carillon.
Nico sussultò, sorpreso dall’improvviso rumore. Will fece altrettanto, ma dopo pochi istanti aggrottò la fronte, gli occhi pieni di genuino stupore. Si portò al fianco della sorella. «Io… conosco questa canzone»
«Anche io» sussurrò Helen con stupore nella voce. Avvicinò il volto al carillon, sorridendo malinconica. «La… la cantava mia madre per non farmi piangere, quando ero in fasce» Will annuì, riscontrandosi nel racconto, gli occhi lucidi di ricordi. «Gliel’aveva insegnata mio padre. Funzionava sempre.» aggiunse con voce provata.
Nico si avvicinò perplesso, trovando dal canto suo la melodia totalmente sconosciuta. Non parlò, né osò interrompere quel momento, ma accennò un sorriso intenerito quando riconobbe le statuine che stavano osservando: una donna dai lineamenti indefiniti che cullava amorevolmente un neonato fra le braccia, e accanto a lei il dio Apollo che, con eleganza e dolcezza innaturali, carezzava il bambino. Danzavano armoniosamente, donando un’incredibile e tenera atmosfera alla bottega.
La melodia finì dolcemente, ed il cofanetto si richiuse da solo. Di nuovo avvolti nel silenzio, Will si spostò di qualche passo, continuando l’esplorazione, mentre la sorella rimase a contemplare il carillon commossa. Il ragazzo si diresse incerto verso uno scaffale coperto da un telo, che sollevò e lasciò cadere a terra. La sua bocca si aprì dalla sorpresa.
«Ragazzi…»
La bacheca era piena di vasi ed anfore di diversi materiali, dall’argilla fino al bronzo. Tutti finemente decorati da motivi floreali, intagli elaborati e colori perfettamente accostati tra loro, ognuno di essi rappresentava una scena od un mito greco o romano. Ma non solo i miti. I semidei si avvicinarono, e gli occhi di tutti si spostarono presto su un’unica fila. Will ne prese uno in mano, rigirandoselo stupefatto. «Non ero presente, ma… riconosco quando è successo» Delineò con le dita le figure: un ragazzo steso a terra, con un pugnale in mano, dipinto nel momento in cui si portava l’arma in un punto imprecisato sotto l’ascella; accanto a lui, un ragazzo ed una ragazza più piccoli. La femmina era in lacrime, mentre l’espressione del maschio era atterrita, come se in quell’istante gli si fosse chiarito un quadro troppo complicato da vedere.
Will fece roteare l’anfora, mostrando l’immagine di un ragazzo sul dorso di un pegaso nero che si lanciava in battaglia contro un esercito capitanato dal Minotauro su un ponte di New York. Posò il vaso sulla mensola con un movimento convulso.
Abbassò lo sguardo sui vasi di altre file, evidentemente più vecchi. Ne osservò assente i dipinti e le scanalature, fino a che non vide delle incisioni sui bordi di alcuni di essi. Nico si inginocchiò accanto a lui, notando la stessa cosa. «Questo è latino… ehm, non sono ancora in grado di leggerlo» borbottò il figlio di Ade passando in rassegna con lo sguardo alcuni dei vasi più antichi. «Oh, aspetta, questo è greco…»
Si avvicinò per tradurlo, ma gli bastò uno sguardo per sbiancare. «Oh, dei…»
«Che cos’è? E come hai fatto a leggerlo così in fretta? È una scrittura fittissima!»
Nico guardò i due figli di Apollo con aria incredula. «Non ho avuto bisogno di leggerlo tutto. Direi che lo conosco già.» Lanciò una rapida occhiata al vaso, poi declamò le prime parole. «Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno. Fuoco o tempesta il mondo cader faranno…»
Non continuò, e nel silenzio si diffuse un’aria ansiosa ed inquietante.
«Beh… i Romani avevano la profezia già da molto tempo.» Rifletté Will.
«Ma l’incisione è in greco.» Replicò Helen con aria pensierosa. D’istinto, tutti e tre si allontanarono dallo scaffale. «Chi diamine è questo tizio? Nico, sei sicuro che possiamo fidarci di lui?»
«No, ma è la nostra unica possibilità per trovare Eros. Sempre ammesso che il vecchio sia ancora vivo. Ve l’ho detto, Ed sembrava intenzionato ad andarci pesante, quando si è spenta la visione. E non so nemmeno dove…»
«State cercando qualcuno, ragazzi?»
Una voce roca ed estremamente calma li sorprese. Soffocando un urletto Helen d’istinto arretrò, mentre i due ragazzi si girarono verso l’origine del rumore.
Alla sedia dietro la scrivania in fondo alla bottega, in parte oscurato ed in parte illuminato dalle candele, stava un anziano uomo. Le mani nodose e rovinate stringevano una stilografica con leggiadria, come se la stesse analizzando, mentre gli occhi offuscati ma al contempo vispi osservavano i semidei senza traccia di paura o di sorpresa.
«Sta… sta bene?» Nico si avvicinò barcollando, gli occhi sgranati come se vedesse un fantasma. Si girò appena verso i compagni, cercando di riprendere la calma. «È l’uomo della visione.» Confermò. Non capiva cosa gli prendesse. Era come se si trovasse di fronte ad una potentissima entità ostile, anche se a guardarlo il vecchio gli suggeriva tutt’altro.
«Io sto bene, giovanotto.» Rispose quello alla domanda di prima inclinando appena la testa come per scrutare meglio il figlio di Ade. «Tu invece non mi sembri in gran forma. Ti serve un secchio per vomitare?»
Nico non rispose, chiedendosi quando le sue mani avevano iniziato a tremare. In effetti incominciava a sentire un po’ di nausea. Si sentiva come stordito, e a malapena capiva il perché.
Quanto tempo era passato dalla visione? Nel peggiore dei casi, non più di due o tre ore. Ciò che aveva visto era sicuramente successivo al suo scontro con Ed. Come faceva quel vecchio ad essere già in forma? C’era qualcosa che non quadrava, ma al momento non riusciva a capire cosa. Percepiva solo una sensazione di pericolo imminente.
Era stato lui a portare Will ed Helen in quella bottega. Se fosse stata una trappola?
Una mano gli si posò sulla spalla per riscuoterlo, poi scese accarezzandogli la schiena e si fermò sul suo fianco destro. Nico voltò la testa, accorgendosi solo in quel momento di avere ancora gli occhi spalancati. Sbattè più volte le palpebre, trovandosi a fissare il volto di Will a pochi centimetri dal suo che lo scrutava preoccupato. «Va tutto bene? Il signore ha ragione, sei pallido.»
Il figlio di Ade deglutì, sentendo le ginocchia cedere. Ma ormai erano in ballo, tanto valeva ballare. Will lesse il suo sguardo ed annuì. Si rivolse al vecchio: «Sappiamo che puoi farci raggiungere Cupido. Abbiamo un’impresa da compiere, e dobbiamo trovarlo.»
L’uomo inclinò lentamente la testa dall’altro lato, fingendo di rifletterci. «Sì» Decise infine «Forse posso farvi accedere al passaggio. Ma prima il pagamento.» Posò la penna che teneva fra le dita sul tavolo, poi, in un gesto uguale a quello che Nico aveva visto nella visione, allungò una mano sul bancone.
Il figlio di Ade fece per tirare fuori dallo zaino la carta di credito dell’Hotel Lotus, ma il vecchio lo fermò sbattendo con forza i pugni sul tavolo, facendo tintinnare la stilografica. «No, no, NO! Non voglio niente del genere! Non tollero i trucchetti!» Nico sbiancò, come se un’ondata di energia nemica l’avesse travolto. Per qualche istante, tutto parve girare intorno a lui. Boccheggiò senza rendersene conto. Sentì la presa di Will farsi più forte, mentre la sorella lo aiutava a farlo scivolare su una sedia davanti la scrivania. «Ehi, ehi, che ti succede? Nico?» La voce di Will che gli sussurrava nelle orecchie lo riscosse un poco. Non riusciva a capire perché la presenza di quell’uomo riuscisse a destabilizzarlo in tal modo, né perché Will ed Helen ne sembrassero immuni.
«Cosa gli hai fatto, vecchio?» Il figlio di Apollo ringhiò verso l’uomo seduto alla scrivania. Lui alzò le mani, la rabbia di poco prima svanita. «Io non gli sto facendo proprio niente, ragazzo, hai la mia parola. I figli di Ade… sono molto sensibili a certe cose. Nico Di Angelo è molto potente e molto, molto sensibile dal punto di vista energetico.» scrollò le spalle «..questo negozio è tanto vecchio. Potrebbe avere con sé qualche incantesimo od energia che nuocciono al ragazzo.»
Nico non ebbe la forza di dissentire, anche se sapeva che la colpa non era del negozio. La debolezza che provava derivava direttamente da quel misterioso signore. «Cosa… vuoi come pagamento?» Chiese a fatica.
Il vecchio sorrise. «Avete dracme d’oro?»
I semidei si frugarono nelle tasche. Tirarono fuori una decina di dracme o poco più, decisamente insufficienti a soddisfare la richiesta dell’uomo, che li guardò borbottando. Schioccò la lingua in segno di disappunto. «No, no, non va bene.»
I ragazzi si ripresero le monete cupamente, ma l’anziano ridacchiò inclinando la testa. «Tranquilli! C’è un altro modo per pagarmi!»
«Ovvero?» Riuscì a borbottare Nico.
«Dovete fare per me una… come si dice.. sì, una specie di commissione.» Rispose l’altro inclinando nuovamente la testa e congiungendo fra loro le dita delle mani su cui appoggiò il mento.
I semidei si scambiarono un’occhiata dubbiosa. Probabilmente non si sarebbe trattato di andare al supermercato più vicino per comprare la pasta per dentiere. Ma, come al solito, non avevano altra scelta.
«Va bene, accettiamo.» Rispose Helen per tutti. «Di cosa si tratta?»
Il vecchio sorrise, mostrando i pochi denti che gli rimanevano in bocca. «Mia bella fanciulla, dovrete portarmi una profezia.»
«Una… cosa?»
«È scritta su una piccola lastra di bronzo celeste, ovviamente.» spiegò assumendo un’espressione esperta guardandosi intorno. «Come… come questa!» Tirò fuori da un cassetto della scrivania una piccola lastra incisa in greco antico, che mostrò ai semidei.  «Quella che voglio è tra le più recenti, e sicuramente la riconoscerete. Di solito quando si trova la giusta lastra, questa emette…» agitò coinvolto le dita in aria, cercando di spiegarsi meglio. «…uno scintillio, sì.»
Will si avvicinò ai vasi che aveva scoperto poco prima. «Ci farà un vaso? E poi, dove la prendiamo questa profezia?»
Il vecchio si alzò in piedi, rivelandosi ben più alto di quanto i figli di Apollo si fossero aspettati. «Basta domande, basta domande» ripeté come un mantra «Ora andate, andate.»
Prima che qualcun altro potesse chiedere dettagli schioccò le dita, e i tre semidei si ritrovarono a cadere nel vuoto.
 
 
 
 
 
 
***Angolo dell’Autrice***
Ho deciso di aggiornare oggi perché temo che fra poco non avrò più molto tempo a disposizione. Avevo questo capitolo già pronto quasi due dopo soli due giorni dall’aggiornamenti del terzo, ma ho voluto pazientare un po’ per rivederlo e correggerlo.
Ebbene sì, la storia si sta movimentando molto e la squadra di eroi si è già formata! Spero non siate delusi dalla mia scelta di inserire subito di nuovo Will ed Helen, ma non potevo aspettare oltre. Ho voluto inserire un paio di brevi scene Solangelo, nel prossimo capitolo ce ne sarà qualcun'altra, e anche se magari non ha un ruolo importante all’interno della trama spero che lo apprezziate.
Spero che la descrizione dell’“indirizzo”, se così si può chiamare, della bottega del vecchio sia stata un minimo soddisfacente, perché le mia conoscenze riguardo le strade di New York sono praticamente pari a zero e quindi ho dovuto improvvisare mantenendomi sul vago.
Non credo di avere altro da dire. Sto già lavorando al quinto capitolo che immagino si rivelerà insieme al sesto più complicato del previsto, e unito al fatto che sono finite le vacanze di Natale, non so quando aggiornerò di nuovo.
In ogni caso, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Ovviamente se volete farmelo sapere tramite una recensione, o magari se volete avvisarmi di qualche errore che ho commesso, mi renderete soltanto più felice e soddisfatta. Concludo ringraziando Panna_Malfoy che ha recensito immancabilmente anche lo scorso capitolo.
A presto!
_Kalika_
   
 
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