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Autore: Vago    13/01/2018    3 recensioni
Questo mondo è impazzito ed io non posso farci nulla.
Non so cos'hanno visto in me, ma non sono in grado di salvare chi mi sta vicino, figurarsi le centinaia di persone che stanno rischiando la vita in questo momento.
Sono un allenatore, un normale allenatore, non uno di quegli eroi di cui si parla nelle storie sui Pokémon leggendari.
Ed ora, isolato dal mondo, posso contare solo sulla mia squadra e sulle mie capacità, nulla di più.
Sono nella merda fino al collo. No, peggio, sono completamente fottuto.
Non so perchè stia succedendo tutto questo, se c'entrino davvero i leggendari o sia qualcosa di diverso a generare tutto questo, ma, sicuramente, è tutto troppo più grande di me.
Hoenn, Sinnoh, due regioni in ginocchio, migliaia di persone sfollate a Johto dove, almeno per ora, pare che il caos non sia ancora arrivato.
Non ho idea di come potrò uscirne, soprattutto ora che sono solo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Rocco Petri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Videogioco
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Il mondo sfumato mi scorreva addosso viscoso, turbolento, come se l’aria pesante si stesse contraendo attorno a me.
La mano di Gardevoir teneva saldamente la mia, inerme.
Il sangue continuava a colare dai fori sul mio braccio, cadendo nel vuoto per ricomparire chissà dove nel mondo.
Il fottuto Arceus.
Non riuscivo a togliermi dalla testa  l’immagine di quel corpo imponente. Dannazione, era uguale alle sue fottute rappresentazioni.
Potevo pensare di poter competere con un Custode fuori di testa, magari accompagnato da uno di quei leggendari minori che nessuno si caga, tolti quei due giorni di festa che le bancherelle itineranti gli dedicano.
Non con il fottuto dio creatore e signore di tutti i fottuti pokémon, l’alpha e l’omega e tutti quegli altri titoli che gli hanno affibbiato.
Cosa avrei potuto fare contro quel coso?
Le tinte che coloravano l’aria si fecero più definite, così come divenne più reale il terreno su cui caddi violentemente.
Mi alzai in piedi, guardandomi intorno. La pioggia, intanto, era tornata a cadere sulle mie spalle.
Dove ero finito? Dove mi aveva portato Gardevoir?
Maledizione. Non di nuovo qui.
Le alte pareti di bianca pietra lavica bloccavano la mia vista in tutte le direzioni. In basso, ai piedi dei gradoni, Il lago salato veniva continuamente perturbato dalle gocce che cadevano incessanti.
Porco Arceus, non di nuovo Ceneride.
Non voglio più vederla questa merdosa città.
Le tracce di sangue lasciate dalla mia ultima visita erano state lavate via dal tempo inclemente, pronte ad essere sostituite dal rosso liquido che continuava a colare dalle mie dita.
Qualche povero bastardo doveva avere avuto pena per il cadavere di Jacob, visto che non se ne vedeva più la benchè minima traccia da nessuna parte.
Il mio braccio destro si sollevò come da solo. Solo quando abbassai lo sguardo mi resi conto che Gardevoir aveva fatto pochi passi verso i gradoni più alti, cercando di portarmi con sé.
La manica della mia giacca era ormai imbrattata di sangue e la ferita che mi ero fatto infliggere ormai non sembrava nemmeno intenzionata a richiudersi un minimo.
Il centro medico.
Gardevoir mi aveva portato lì perché c’era il centro medico.
Ogni tanto i miei pokémon sono davvero più logici del loro allenatore.
Mi mossi lentamente, salendo le scale che mi avrebbero portato all’imponente struttura che ospitava il materiale ospedaliero.
Le nubi nel cerchio di cielo che riuscivo ad intravedere si erano tinte di rosso, vorticando attorno a più centri in quella volta celeste.
Sembrava un fottuto quadro impressionista, quel cielo.
Arrivai in cima quasi senza accorgermene, risvegliandomi dal mio torpore mentale solo quando le trasparenti porte di vetro si aprirono, sotto il comando della loro fotocellula.
- Un medico… per favore. – provai a dire, ma la voce uscì più flebile di quanto temessi.
Caddi in avanti, sul pavimento lucido, sotto gli occhi una vecchia infermiera dal camice bianco sporco di decine di diverse sostanze.
Porca troia se ero esausto.
E morto.
Sperai più esausto che morto.
Gli ultimi suoni che sentii furono il verso dolce di Gardevoir e una serie di insopportabili rotelle che si spostavano sul pavimento lucido, facendo un fracasso infernale. Poi, per fortuna, il mio organismo smaltì gli ultimi rimasugli di adrenalina, permettendomi di svenire.

Mi riebbi su una barella rigida, con una coperta fredda che appoggiava direttamente sulla mia pelle sporca.
Vidi quasi per sbaglio una macchia bianco-verdastra muoversi accanto a me.
- Gardevoir… - borbottai con le labbra asciutte.
Il verso del mio compagno mi risuonò nelle orecchie in risposta.
Provai a mettermi seduto, ma qualcosa mi trattenne, costringendo il mio braccio destro attaccato al lettino.
Dovetti sbattere più volte le palpebre per mettere a fuoco.
Un paio di spesse cinghie tenevano il mio arto saldamente attaccato alla superficie bianca su cui mi avevano sistemati. Poco sotto il gomito fasciato da uno spesso strato di bende, si insinuava l’ago collegato da una canula trasparente alla grossa flebo attaccata al supporto sopra la mia testa.
- Ehi! – provai a dire con voce roca.
Nessuno sembro sentirmi.
- Ehi! – ripetei, costringendomi ad alzare la voce.
Questa volta riuscii a creare un po’ di disordine in una stanza accanto.
Un infermiere dalle braccia spesse raggiunse il mio capezzale dopo mezza dozzina di minuti, scrutandomi come se fossi un ospite sgradito.
- Senti… - provai a dirgli, quando fui sicuro che si fosse fermato – Io devo veramente andarmene da qua. E dovreste farlo anche voi. –
L’uomo non mi rispose, lo sentii però prendere qualcosa di metallico dal bordo della mia barella.
Le membra mi si contrassero involontariamente di paura.
Non voleva uccidermi. Mi dissi.
Non tutte le persone al mondo vogliono uccidermi.
- Il medico che ti ha preso in carico ha espressamente lasciato scritto che hai bisogno di rimanere a letto in osservazione per almeno tre giorni. –
Tre giorni?
- Sentimi, coso. So che non c’entri nulla, ma ho avuto una pessima giornata, quando sono arrivato. Da quanto sono qui? –
Cercai di controllarmi, avrei voluto sputare su quella faccia squadrata che mi sovrastava.
- Qui c’è scritto che sei entrato in osservazione ieri pomeriggio. –
Qui c’è scritto. Dannazione, tu dove cazzo hai passato le ultime giornate?
- Ok, ho già perso troppo tempo. Slegami da questa barella e toglimi quell’ago dal braccio. Devo assolutamente andarmene. –
- Non posso. Il medico ha lasciato scritto che… -
- Senti, sei inutile e, tra l’altro, stai risultando pericoloso per metà delle regioni. Guardati accanto, quella Gardevoir ha aperto il culo ad Adriano. Ora, se non vuoi passare un brutto quarto d’ora vai a chiamare un medico che possa farmi uscire di qui. Ora. –
L’infermiere parve indugiare fin troppo, ma fu sufficiente un leggero movimento delle braccia del mio compagno per incentivarlo nella giusta direzione.
Rimasi immobile a guardare il soffitto, in attesa che qualcuno con un po’ più di cervello arrivasse a tirarmi fuori.
Doveva fare qualcosa, almeno per quei poveracci che ancora occupavano quell’isola deserta. Gli avrei dovuto dire di scappare il prima possibile.
I passi frettolosi di qualcuno dalle gambe corte finalmente parvero voler venire verso di me.
- L’infermiere mi ha detto che non hai smaltito male l’anestesia. Come sta ora il mio paziente? –
- Incazzato. – gli risposi – E ho smaltito fin troppo bene l’anestesia. Ora, mi ascolti. Sono uno dei pochi allenatori rimasti di quelli che lavoravano per la commissione della lega e ho una notizia orribile. Ho visto il fottuto Arceus sul Monte Camino e c’è il presidente della commissione che ha intenzione di farci qualcosa. Devo andarmene da qui. Ora. La prego, mi lasci andare. –
Lo sguardo della dottoressa era evidentemente carico di sarcasmo, non credeva a una sola parola di quello che stavo dicendo.
- Senta, la prego, mi lasci andare via. – continuai a dire, più supplichevole.
- Resterai qui finché non starai meglio. Ti assicuro che è la miglior cosa che possiamo fare per te. –
- Oh! Fanculo! Gardevoir, portami via di qui. –
La dottoressa mi guardò spalancando gli occhi, ma non poté far nulla per evitare che il mio compagno scomparisse nell’etere, trascinandomi con sé.
Non mi ero mai fatto teletrasportare in una condizione come questa.
La barella a cui ero ancora legato pareva aver perso completamente il suo peso, mentre il mondo mi scivolava addosso.
Ricomparvi sotto lo sguardo terrorizzato di un viso noto.
- Oh, tu! – esclamai esterrefatto non appena lo riconobbi – Il ranger della Fossa oceanica! Liberami da questa roba, ho avuto una giornataccia. Intanto, è successo qualcosa nelle ultime ventiquattr’ore? –
Ero leggermente sovraeccitato, ma ero vivo, e questa già era un’ottima notizia.
- Na… Nail? Come sei arrivato qui? – mi chiese il ragazzo, che con le mani tremanti si avvicinò alle cinghie che tenevano bloccato l’unico braccio che riuscivo a muovere.
- È una lunga storia. Se sopravviviamo te la racconterò. Karden e Mary sono tornati? E qualcuno di là si è svegliato? –
- I tuoi compagni di viaggio non sono ancora tornati, avrebbero dovuto? Dei ragazzi che avete portato qua se ne è svegliato uno solo. –
- Uno è meglio che niente. Gli avete spiegato com’è la situazione? –
- Per quanto potevamo, si. –
- Ottimo. –
Non appena fui libero mi alzai in piedi, controllando cosa mi avessero fatto mentre non ero cosciente.
Il braccio era bendato, ma non sembrava ci fossero macchie di sangue fresco. Potevano avermi ricucito.
Mi venne un’idea.
Dovevo provare a chiamare Rudi, forse lui poteva aiutarmi ad essere ascoltato.
Non potevo fermare Arceus, ma potevo almeno salvare qualcuno.
Corsi con le gambe intorpidite fino al bancone da centro pokémon del Laboratorio C, su cui appoggiai velocemente le mie sfere per far rimettere in sesto i miei compagni. Poi, mentre la luce ultravioletta scannerizzava le sfere, collegai il pokènav al PC.
Lo schermo si illuminò immediatamente, mostrandomi decine di notifiche di chiamate perse.
Mia madre.
Poi un unico messaggio da parte sua.
Chiamami, è importante.
Merda.
   
 
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