1)La vita della
senz'anima.
Karima p.o.v.
Sono passati tre
mesi dalla morte dei miei genitori e i mie occhi sono asciutti, secchi.
Allah non
permette che nemmeno una lacrima scenda o forse dovrei dire Dio, ma
ogni volta
che pronuncio il nome del dio dei musulmani mi sento più
vicina alla mamma.
Mi manca e mi
manca papà, ma non riesco a esprimere questo sentimento come
non sono mai
riuscita a esprimere altri sentimenti in precedenza.
Sento che il mio
cuore è da sempre avvolto in uno strato di ghiaccio, una
zingara disse una
volta alla mamma che ero nata senza anima e che solo la mia anima
gemella mi
avrebbe restituito la mia mancante.
Non so se sia
vero, forse è stata solo una frottola per avere un
po’ di soldi, ma forse è
vero.
Perché io non
sento emozioni?
O se le sento, le
sento così lontane?
Mi hanno portato
da psichiatri e psicologi e nessuno è mai riuscito a venire
a capo del problema,
la cosa mi fa stare un po’ male. Male quanto può
stare una senza sentimenti.
Con un sospiro
prendo il mio basso verde e inizio a muovere delicatamente le mani
sulle corde,
lasciando che una melodia triste parli per me. Tutte le mie melodie
sono
tristi, ma quelle che compongo ora sono più tristi del
solito. Parlano di
perdita e disperazione al mio posto e provocano leggeri movimenti al
mio
interno, come topi che corrono in una vecchia casa.
Vorrei riuscire a
dirli a voce alta e con le lacrime agli occhi questi sentimenti, vorrei
essere
normale.
Qualcuno bussa
alla porta della mia camera e io appoggio delicatamente lo strumento al
suo
posto, in un angolo della stanza. Adam entra e si siede sul mio letto,
sul suo
volto c’è un’espressione seria.
Da dopo il
funerale è venuto praticamente a vivere da me per
controllare che non mi lasciassi
morire di fame o facessi qualche stupidagine.
“Karima, andrai
per un po’ da zio Tom e zia Jen.”
“Perché?”
“Sono preoccupato per te, sorellina. Non mangi, parli meno
del solito, indossi
sempre questo hijab. Io mi sento tagliato fuori, non so cosa fare per
farti
stare meglio, forse lo zio e la zia ci riusciranno. E poi ho un lavoro
da fare
che mi terrà lontano un mese da San Diego.”
Io abbasso gli occhi.
“Mi dispiace di
essere un peso per te e di farti soffrire ancora di più,
vorrei poterti aiutare,
so che anche tu eri affezionato ai miei genitori…. Ma non ci
riesco. Aspetto
che i sentimenti arrivino sempre, ma non sento nulla.”
Lui mi abbraccia.
“Io ti voglio bene
anche se non riesci a esprimere i tuoi sentimenti o sei nata senza
anima,
vorrei che tu stessi meglio.”
“Allora andrò dagli zii.”
Lui annuisce.
“Inizia a fare le
valigie.”
“Va bene.”
Lui esce e io inizio a infilare cose a caso in una grande valigia:
vestiti,
intimo, salviette, altre cose.
Alla fine riempio
due valigie e io e Adam partiamo alla volta della grande villa dei
DeLonge,
appena fuori San Diego, per far sì che io abbia pace e
tranquillità. Il cancello
si apre e lo zio mostra ad Adam dove parcheggiare la mia macchina, poi
ci
stringe in un abbraccio caloroso.
“Sei diventata
magra, piccolina. Devi mangiare.”
“Lo so, zio.”
Lui e Adam portano dentro i bagagli, i miei zii mi hanno riservato una
camera
grande e molto confortevole e – cosa più
importante – con un bagno personale.
Quando finisco di
mettere via le mie cose e scendo nel salone i miei cugini mi saltano in
braccio, prima Ava e poi Jonas.
“Sei diventato
ancora più bello.”
“E tu magra, Karima! Ma la mamma ti metterà a
posto.”
Una volta lasciati i ragazzi abbraccio la zia.
“Somigli tanto a Daniel,
ma vorrei che i tuoi occhi non fossero così
spenti.”
“Lo vorrei anche
io, zia.”
“Aida mi aveva detto del tuo problema, ma non pensavo fosse
così grave.
È pronta la cena
in ogni caso.”
Andiamo tutti nella grande sala da pranzo e zia ci serve una generosa
porzione
di lasagne, all’improvviso mi sento gli occhi di tutti
addosso.
Con lentezza
esasperante taglio un pezzo con il coltello e lo infilzo con la
forchetta e poi
lo porto alla bocca, mastico e lo inghiotto.
“Molto buone.”
Lei mi sorride radiosa.
“Allora
mangiale.”
Io cerco di
atteggiare la mia bocca a un sorriso e mangio un altro boccone.
Ogni volta che li
inghiotto è una fatica, ma sento di non poterli deludere,
che stanno facendo
tutto questo per me e per aiutarmi. Forse lo sanno meglio di me che se
fossi rimasta da sola mi lascerei morire di fame per raggiungere la mia
famiglia.
Mamma mi manca
soprattutto, lei è quella che si è sentita
più colpevole per il mio problema,
diceva che forse era una punizione di Allah per essersi sposata contro
il volere
dei suoi con un infedele. Le dispiaceva che pagassi per quella che
riteneva
fosse una sua colpa.
Finito di
mangiare la lasagne della zia, mangio anche il dolce e poi mi ritiro
per fare
una doccia, ne ho bisogno.
Sto in bagno per
quella che mi sembra un’eternità e quando esco
pulita, profumata e con i
capelli asciutti trovo mio zio in camera.
“Ehi, scricciolo.
Come va con il basso?”
“Bene, zio. Vuoi sentire qualcosa di mio?”
“Sì, mi
piacerebbe.”
Io inizio a suonare quello che stavo suonando prima che Adam mi
interrompesse,
lui mi guarda ammirato.
“Sai suonare
benissimo, perché non entri in una band?”
“Mi piace di più la fotografia, sento che riesco a
esprimere meglio i miei
sentimenti, anche se per adesso lavoro alla Fueled By Ramen
perché nessuno mi
chiama.”
Gli rivolgo un sorriso triste.
“Sono sicuro che
in futuro andrà meglio, Adam ti
aiuterà.”
Io annuisco e suoniamo insieme come quando ero piccola e lui mi
insegnava a
mettere le dita nel posto giusto.
Suoniamo fino a
mezzanotte, non pensavo che mi avrebbe portato via così
tanto tempo!
“Zio, io domani devo andare al lavoro.”
“Alla Fueled By Ramen?”
Io annuisco.
“Allora ti lascio
dormire.”
Lui esce ed entra mia zia con un bicchiere in mano, io la guardo
curiosa.
“È valeriana, ti
aiuterà a dormire.”
Io annuisco e la bevo senza fiatare.
“Buonanotte,
zia.”
“Buonanotte, Karima.”
Mi metto a letto
e dieci minuto dopo sono già addormentata.
La mattina dopo
mi sveglio e mi vesto con la solita cura: un paio di skinny strappati
neri, una
camicia dello stesso colore con due uccellini azzurri sulle tasche.
L’unica
nota di colore è la mia giacca rossa lunga e un
po’pelosa.
Scendo e trovo la
cucina affollata, Adam mi passa un piatto di uova e bacon.
“Ma…”
“Mangiale, Karima. Hai bisogno di energia.”
Mi dice lui paziente, io inizio lentamente a mangiarle.
Poi ingurgito del
succo di arancia e un paio di pancakes, poi io e lui lasciamo la
cucina, in
salotto noto le valigie.
“Io devo andare,
vedi di sopravvivere, voglio ritrovarti viva al mio ritorno, anche
perché ho
qualcosa che potrebbe interessarti.”
“Cosa?”
“Sorpresa!”
Ci abbracciamo e
poi lui se ne va con le valigie e la sua macchina fotografica al collo.
Io sospiro e mi
dirigo al lavoro, io lavoro in un ufficio della casa discografica.
Parcheggio la
macchina al solito posto e poi salgo in ufficio, ho una marea di
pratiche da
sbrigare, devo anche parlare con i tecnici per vedere cosa fare con le
band che
ogni giorno da noi registrano qualcosa. Alcuni sono bravi e
probabilmente
firmeranno un contratto, altri no, non sono semplicemente ancora pronti.
Alle dieci un
tecnico sale con un sorrisone stampato in faccia.
“Cosa succede,
Ismael?”
“Ci servi per sentire una band. Non riusciamo a decidere se
valga la pena .”
“Va bene. Amelie, puoi finire tu la mia pratica?”
“Sì, certo. Vai.”
Mi fa
l’occhiolino e io alzo gli occhi al cielo, crede che Ismael
mi corteggi.
Esco dalla stanza
insieme e non appena siamo fuori dalla stanza mi domanda
perché la mia amica mi
ha fatto l’occhiolino.
Imbarazzante.
“Non lo sa che ho
una ragazza?”
“No, pensa che saremmo una bella coppia, ha un po’
la mania di fare da cupido.”
“Capisco. Beh, forse dovremmo trovarle un ragazzo.”
“Sono d’accordo.”
“Ma adesso pensiamo alla band.”
Scendiamo nella zona dove ci sono gli studi di registrazione e trovo un
gruppo
di quattro ragazzi
sui vent’anni, uno ha
i capelli di un azzurro fosforescente.
“Lei è Karima,
lavora in ufficio e deciderà se vale la pena
mettervi sotto contratto. Noi
non abbiamo ancora preso una decisione.”
“Non presentarmi
come il giudice supremo! Lo odio.”
Come vi chiamate?”
“Blue Tomatoes.”
“Allora, Blue
Tomatoes. Dateci dentro!”
Dico con il mio solito sorriso falso che uso quando sono al lavoro per
incoraggiare qualcuno e poi mi siedo su una sedia tra i tecnici.
I ragazzi
prendono posto nella sala di registrazione e dopo aver sistemato gli
strumenti
iniziano a suonare un pop-punk veloce e anche un po’ grezzo,
pieno di energia,
anche se il cantante ogni tanto stecca e nemmeno gli altri musicisti
sono
perfetti.
Quando hanno
finito Ismael mi guarda.
“Che ne dici,
Karima?”
“Sono come un diamante grezzo. Hanno energia da vendere e un
sound che ti fa
venire voglia di saltare, se correggiamo gli errori tecnici ne
verrà fuori
qualcosa di buono.”
“Dici di proporli al grande capo?”
“Sì, ma prima fammi parlare con loro per
spiegargli il tutto. Sono sicura che
se darò loro una mano ce la potrebbero fare.”
I ragazzi escono dalla cabina e mi guardano speranzosi.
“Allora, partiamo
dai punti positivi: avete una grande energia e un suono grezzo molto
buono.
Il problema è il
cantante a volte stecca e il chitarrista ha sbagliato un paio di
entrate, ci
sarebbe anche un riff da sistemare.
Ho deciso di
darvi una mano, procuratemi una chitarra.”
“Puoi prendere la mia.”
Si offre il chitarrista, io annuisco e suono il suo riff.
“Questo risulta
poco incisivo in alcune parti.”
Suono un altro riff simile a quello precedente, ma più
energetico.
“Questo suona
meglio.”
“Hai ragione.”
“Allora inseriscilo nella canzone e togli una ripetizione del
ritornello. Mi
raccomando, capelli blu, non steccare e ricordati del riff.”
“Mi chiamo Darren.”
“Scusami.”
“È tutto a
posto.”
“Andate a provare.”
Ritornano nella cabina e questa volta sono decisamente migliori della
volta
precidente, i tecnici mi guardano soddisfatti.
“Karima, fai
miracoli.”
“Non esageriamo, erano solo due cose da sistemare.”
“Ottimo,
ragazzi!”
Urlo nel microfono.
“La prossima la
registriamo, dateci dentro.”
Annuiscono tutti e ci riprovano, questa volta dando il meglio di
sé e – Cristo
– non sembrano nemmeno la stessa band di prima.
“Te lo ripeto,
Jenkins, hai fatto un miracolo.”
Mi dice uno degli altri tecnici, Steve mi pare che si chiami.
“Non sembrano
nemmeno la stessa band di prima, hanno molte possibilità di
essere presi.”
“Allora saluto la band e me ne vado.”
I ragazzi escono dallo studio di registrazione e io vado loro incontro
sorridendo.
“Bella prova,
ragazzi.
Penso che ci sia
una buona possibilità che siate presi, ma io non sono una
dei capi non prendete
le mie parole per oro colato.
Se andasse male
continuate a provarci, mi raccomando.”
“Grazie mille da parte dei Blue Tomatoes, Karima.”
“Di nulla.”
Saluto i ragazzi
e i tecnici e torno in ufficio, Amelie mi aspetta con un sorrisone.
“Quando ti
deciderai ad ammettere che ti piace Ismael?”
“Ha già una ragazza, Amelie.”
“Ah, peccato. Sareste stati una bella coppia.”
“Amelie, hai bisogno di trovarti un ragazzo almeno
smetteresti di fare il cupido.”
Lei sbuffa.
“Smettila di
prendermi in giro.”
“Sono seria.”
Lei sbuffa di nuovo.
“Non dirmi che ti
sei offesa?”
“A volte sei troppo diretta e non te ne accorgi
nemmeno.”
“Scusa.”
Lei sbuffa e riprende a lavorare, ottimo, Karma.
Ottimo.
Hai poche amiche
e te le giochi con il tuo non sentire nulla.
“Amelie, mi
dispiace davvero.”
“È che da quando
Justin mi ha lasciato non riesco a farmene una ragione, non so dove ho
sbagliato.”
“Non ti ha
tradito?”
Lei annuisce sospirando.
“Allora
probabilmente non hai fatto nulla, a volte i ragazzi sono semplicemente
stronzi
per natura o così dice mio zio.”
“Ma non è sposato
con tua zia da una vita?”
“Non c’entra. Lui è Tom DeLonge e prima
di stare con lei è stato con parecchie
ragazze e poche di loro sono state trattate o lasciate
bene.”
“Che?!”
“Che cosa?”
“Tuo zio è Tom DeLonge?!”
“Mh, sì.”
“Perché non me l’hai mai
detto?”
“Non me l’hai mai chiesto.”
“Posso vedere le foto?”
Gliene faccio vedere alcune sul mio cellulare e lei è
sinceramente stupita.
“Un attimo. Tu ti
chiami Jenkins di cognome, come la moglie di Tom.”
“E infatti lei è
mia zia, è la sorella di mio padre.”
“Figo.”
Io annuisco e poi mi incupisco.
“Oh, scusa. Forse
non avrei dovuto parlare dei tuoi genitori, è ancora troppo
presto.”
Io sospiro.
“Prima o poi ne
devo parlare, non posso evitare sempre l’argomento.”
“Hai ragione.”
Lei alza lo
sguardo verso il grande orologio circolare con una nota musicale che
esce da un
piatto di ramen e annuisce.
“È ora di pranzo,
andiamo al solito Mac Donald?”
“Va benissimo.”
Ci alziamo e
prendiamo le nostre giacche, in corridoio incontriamo i nostri colleghi
e
nell’atrio i tecnici e i Blue Tomatoes mi salutano.
“Chi sono?”
“La band che mi hanno chiesto di ascoltare, si chiamano Blue
Tomatoes.”
“Il ragazzo con i capelli azzurri come si chiama?”
“Darren. Vuoi che te lo presenti?”
“Non mi dispiacerebbe.”
“Aspettami qui.”
Mi dirigo verso la band e i tecnici sorridendo.
“Ciao, ragazzi.
Vi piacerebbe uscire con me e con la mia collega?”
Loro guardano verso Amelie e il ragazzo dai capelli azzurri sembra
colpito da
lei.
“Va bene,
andiamo.”
Raggiungiamo Amelie e spero di essermi fatta perdonare la figuraccia di
prima
con questo invito.
Andiamo tutti e
sei al nostro solito Mac Donald, Darren e Amelie parlano tutto il
tempo, i suoi
compagni di band ridacchiano come scemi.
Ordiniamo e poi
ci sediamo.
“Ehi, Dar! Hai
fatto conquiste!”
Commenta il batterista, un corpulento ragazzo dai lunghi capelli neri
raccolti
in una coda.
“Invidioso?”
“Stronzo.”
“No, perché sembra proprio
così.”
“Non si può scherzare qui.”
Si butta sul suo
panino e per un po’la conversazione tace.
“Tu hai il
ragazzo?”
La domanda è del bassista, un biondino mingherlino.
“No, al momento
non ci penso.
I miei genitori
sono morti tre mesi fa e ancora ci sto facendo i conti.”
L’atmosfera si raffredda all’improvviso.
“Scusate, non
volevo rovinarvi il pranzo.”
Borbotto e riprendo a mangiare il mio
panino, pentendomi di avere aperto bocca, combino sempre
casini e non
imparo mai a tacere.
Finito il pranzo
Amelie e Darren si fumano una sigaretta insieme e lei gli lascia il suo
numero,
torniamo alla casa discografica con lei che sorride come una scema, il
suo pranzo
è andato discretamente bene.
“Grazie, Karima.”
“Per cosa?”
“Per avere invitato la band, Darren è
così simpatico, forse ci vedremo fuori
dalla casa discografica.”
“Ottimo, sono
felice per te.”
Rientriamo in ufficio e sono sicura che con questo ho rimediato alla
mia
figuraccia, missione compiuta, Kari!
Mi siedo alla mia
scrivania e ricomincio a lavorare pregando che a routine allontani il
dolore
fino a renderlo solo una macchia sul passato.
I miei genitori
mi mancano ogni giorno e non sono sicura di voler lavorare ancora qui,
la
fotografia mi manca almeno quanto loro. Il fatto è che non
riuscivo a trovare
incarichi e alla fine ho gettato la spugna, ma non sono più
certa che sia stata
una buona idea.
Cosa devo fare?
Non lo so, ma per
il momento è meglio che lavori se non voglio essere
licenziata.
Maledetta vita.