Un piccolo momento
tratto da BD dove Jacob ha un momento di
stress e va in cerca della sua dolce metà. Nella vera storia
non la trova... ma
qua perché non potrebbe andare diversamente?
Ovviamente sono ben
accetti consigli e critiche, quindi una
piccola recensione non farà male... ^_^
Bacini...
_ki_
Presi una lunga boccata
d’aria e mi feci coraggio con la mente. Infondo, un giro per
la città non
avrebbe fatto male, no? E poi, avevo un bisogno disperato di trovare
quella
maledetta ragazza che avrebbe costituito il mio punto fermo, il mio
universo,
il mio imprinting. Ora più che mai desideravo quel maledetto
colpo di fulmine.
Insomma, perché per una volta quel bastando che se ne stava
comodamente in
cielo non mi poteva accontentare? Perché non poteva -per una
volta sola dico,
non sempre- farmi avere questo dannatissimo imprinting? Era tanto
difficile
accontentarmi, almeno una misera e dannatissima volta? Maledetto...
Vicino ad un parco mi fermai.
Guardai le ragazze che passeggiavano, chi con il cane, chi con delle
amiche,
altre ancora con dei bambini e chi da sole. Ma, anche se le guardai
tutte da
cima a fondo, non riuscii a trovare nessuna che suscitasse in me almeno
una
parte di quello che Bella riusciva a farmi provare. Ed incominciai a
lanciare
mentalmente un’infinità strabiliante di insulti
verso il Signore che comodo
comodo se ne stava sdraiato su una nuvola e mi fissava, magari ridendo.
Guardai anche verso il cielo,
quel giorno assurdamente limpido. Incredibile, di solito quando uno si
sente
triste piove, invece mi ritrovavo contro anche il cielo. La mia vita
era
proprio una disgrazia.
Sbuffai talmente tante volte
che credetti di rimanere a corto di fiato. La gola secca, vegliai
ancora con lo
sguardo tutto il parco. E la mia coscienza mi diede dello stupido. Come
pensavo
che avrei trovato l’imprinting così, facilmente,
facendomi una passeggiata in
un parco di Seattle? Cercandola, per di più, quella
maledetta calamita. No, non
potevo essere così demente. Avevo davvero creduto che se
l’avessi cercata la
ragazza sarebbe venuta da me? Magari si sarebbe avvicinata e mi avrebbe
chiesto
se avevo
bisogno d’aiuto, se mi
ero
perso, o se mi andava di fare un giro con lei. Sì, era
chiaro, ero pazzo. Da
manicomio. Da Cullen.
Esasperato, roteai gli occhi
in aria. Ci mancava solo che diventassi pazzo almeno un po’
come quei
deficienti dei succhiasangue. Non mi serviva certo legarmi ancor
più a quella
famiglia di squilibrati. Non mi serviva affatto. Dovevo stare il
più lontano
possibile da quelle persone -beh, se
persone si possono definire,
sanguisughe del cazzo.
Decisi che, troppo stressato
per voler ritornare di corsa a casa con quegli esseri immondi, mi sarei
rilassato un po’ all’ombra di quel grosso albero,
in quella panchina piena delle
scritte che i giovani teppisti amavano fare. Beati gli umani, non
avevano certo
questi problemi del cazzo. A loro bastava vedere una persona e subito
ci
sbavavano dietro. Bastava trovarne una carina e subito si presentavano
e le
chiedevano di uscire. Perché non potevo essere
anch’io così? Perché non potevo
innamorarmi normalmente di una persona, come uno stramaledetto umano?
Perché
ero un cazzo di licantropo di merda?
«Scusa... quello a dir la
verità sarebbe il nostro posto, sai?» che strano,
mi sembrava che quella voce
fosse diretta a me. Non ci feci caso, evidentemente era solo una mia
impressione. Però, quando un piccolo dito mi
picchiettò sulla spalla ed una
voce soave disse: «Ehi, guarda che parlo a te,
eh?», decisi che parlavano
proprio a me. Aprii gli occhi con un po’ di riluttanza e
guardai quelli che mi
stavano davanti e che avevano osato disturbarmi. Una era una ragazzina
di sì e
no quindici anni, piccola e minuta, capelli corvini lunghi fino al
mento, occhi
di un incredibile verde smeraldo e almeno un chilo di trucco sul viso.
Aveva
anche uno strano piercing a forma di saetta su un
sopracciglio. Proprio non mi piaceva.
Il secondo era un ometto di
più o meno diciassette anni. Una copia pressoché
identica di Mike Newton. Quel
bifolco. Mi guardava a metà tra l’impaurito e lo
spaccone. Lo sguardo che gli
lanciai gli fece perdere l’aria da duro.
Il terzo se ne stava nascosto
dietro ai due, cosicché non lo potei vedere bene. Non ci
prestai molta
attenzione, la ragazzina con il piercing aveva già ripreso a
parlare.
«Senti, noi non abbiamo
niente contro di te. Ma questo è il nostro posto e solo
nostro. Quindi, ti
dispiacerebbe alzarti da questa panchina e lasciarcela a
noi?». Il mio sguardo
doveva averla terrorizzata, perché arretrò di
mezzo passo. Ma io non avevo
proprio capito. Cosa volevano questi da me? Da quando una panchina
è proprietà
di tre ragazzi
dall’aspetto
più bizzarro che abbia mai visto?
«Scusami, carina. Ma non
riesco a capire. Perché dovrei spostarmi? Infondo qui mica
c’è scritto il
vostro nome!» esclamai, fissandola dritto negli occhi. Il
sorriso beffardo che
le aleggiò in volto mi lasciò ancora
più confuso.
«Beh, carino»
e rimarcò per bene la parola. «il punto
è proprio questo.
Alzati un po’ che ti
faccio vedere i nostri nomi?»
Aggrottai le sopracciglia.
Visto che la ragazzina ancora mi guardava sorridente, mi alzai e
guardai in
mezzo alla massa di scritte di diversi colori che ricoprivano il legno
vecchio
e mezzo ammuffito.
La piccola, tendendo spavalda
il braccio verso di me, indicò un punto in cui tre nomi
risaltavano con una
scrittura ordinata e spessa, rosso fuoco.
Amber, Jack e Brandon.
Fissai i tre ragazzi,
sorpreso. Erano davvero così stupidi da credere che tre
semplicissime firme
decretassero il possesso di quella panchina? Ma ero stufo e non volevo
mettermi
a far rissa, anche perché non sarebbe finita bene per quei
tre sbruffoni.
Così, con
un’alzata di spalle
degna di me, spostai il ragazzo-fotocopia-di-Mike-Newton e mi avviai
verso
un’altra panchina. Quando mi sedetti, i tre ragazzi avevano
già preso possesso
della loro panchina.
E fu allora, mentre guardavo
quei tre che incominciavano a parlottare di chissà che cosa,
che i miei occhi
si posarono su di lui. Un fremito mi attraversò il corpo
come un fulmine a ciel
sereno. Ed i miei occhi non poterono fare a meno di chiedere con
insistenza la
visione di quel giovane che doveva essere o Jack o Brandon.
Aveva i capelli neri come la
pece, scompigliati davanti ad un paio di occhi chiari come il cielo
d’estate.
Il fisico muscoloso, il viso bellissimo. Un sorriso da mozzar il fiato.
Era davvero strano, lo devo
ammettere. Ma era possibile? Davvero possibile che avessi avuto
l’imprinting
con un ragazzo?
Eppure, non riuscivo a
togliere gli occhi da lui. Era come una droga, ne volevo sempre di
più.
Okay, ormai era deciso. La
mia sfiga non aveva davvero limiti.
PS:
scusate, ma
avevo scritto male i dialoghi e non mi erano venuti fuori. Per quelli
che hanno
letto e non c’hanno capito una mazza, ora l’ho
messa a posto. Scusate ancora,
bacini.