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Autore: Heyale    14/01/2018    1 recensioni
Himeragi Fenwick deve convivere con tre grandi punti fissi:
1- Il nuoto
2- Il suo stramaledetto nome giapponese
3- Il ritorno del suo ex ragazzo dopo tre anni di assenza
Ora si tratta di dover mantenere i nervi saldi, continuare a fare vasche su vasche di dorso, allenare i suoi ragazzi per le imminenti gare, convivere con la sua vecchia fiamma Kyle, cercare di non ammazzare i suoi compagni di squadra e, in tutto questo, mantenere la calma.
Peccato che, di calma, Himeragi non abbia mai sentito parlare.
 
Dal testo:
Kyle alza un sopracciglio, facendo una smorfia per dirmi “ma chi vuoi prendere in giro, insulsa sirenetta dal nome del cazzo?”, concludendo però con un sorriso: – Non sei cambiato per niente.
– Tu... – Dai Hime, un insulto potente! La prima cosa che ti viene in mente, cattivo! – … Non dire cavolate.
Wow. Complimenti.
Hai proprio ferito i suoi sentimenti.
 
Genere: Comico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Swimming tale cap.9

SWIMMING TALE
CAPITOLO NOVE
“Il mercante di giochi di parole”


L'aeroporto, come ho descritto tre giorni fa, è uno dei luoghi più malinconici del mondo.
Persone che vanno e che vengono, fidanzati che si lasciano e altri che si ritrovano, famiglie che si separano e ragazzi che iniziano una nuova vita.
Poi c'è Kyle che, arrivatomi di fronte, mi guarda e mi dice semplicemente: – Lui è Sebastian.
Ora, potete magnificamente immaginare come la mia espressione si sia tramutata quando ho scoperto che Sebastian è un cucciolo di Beagle rinchiuso nella gabbietta a mano che quell'altro deficiente si trascinava dietro al posto della valigia.
Un cane, okay?
Poteva essere una borsa piena di vestiti, un regalo, un cadavere da nascondere o un nuovo arredamento per il tugurio ma no!, un cane. Mancava il cane, no?
Così è il mio turno di guardarlo da capo a piedi, portare le mani ai fianchi e finalmente esprimermi: – Perché hai un cane?
– Mi ha seguito fino a qui.
– Sì, poi si è messo nella gabbia e ti ha detto “ti prego, bau, portami a casa dal tuo coinquilino, bau, sono sicuro che abbia spazio in casa per me, bau!”, vero?
– Ha omesso i “bau” ma pressapoco il discorso era quello.
La cosa divertente è che Kyle è serio, crede in ciò che sta dicendo. Mi tiene guardato negli occhi come se stesse intrattenendo un dibattito di politica e come se fosse del tutto intenzionato a vincerlo, ma se lo può anche sognare che io tenga un cane... Faccio già fatica a tenere lui!
– Vedi di trovargli una sistemazione. – gli intimo sistemandomi gli occhiali per il nervosismo cresciuto a dismisura nei primi sette secondi in cui l'ho avuto davanti ai miei occhi, rimettendomi lo zaino sulle spalle. – Quel coso non starà con noi.
– Ma non possiamo abbandonarlo!
– Mica ho detto di metterlo per strada, infatti. Se vuoi facciamo uno scambio: abbandono te e tengo Sebastian. Ci stai?
Kyle fa una smorfia, inginocchiandosi poi di fronte al trasportino: – Vedi, Sebastian? Te l'avevo detto di non seguirmi.
– Tra due mesi compi diciannove anni, imbecille, dimostrali! – sbotto dandogli un calcio nel didietro, notando come chi ci sta intorno stia iniziando a guardarci male e a ridacchiare imbarazzato per la scena. Che c'è? Avete qualche genere di problema? “Problema” è il mio secondo nome ormai.
– Io non abbandono Sebastian, Anguilla.
– Ah, bene! – Alzo entrambe le mani in un segno di imprecazione, dandogli le spalle. – Mi fa piacere che tu non voglia abbandonare il cane ma non ti fai così tanti problemi quando si tratta delle persone.
– Devo coglierla come una velata frecciatina?
– Non era velata.
– Allora scusami, Robin Hood.
Alzo il dito medio nella sua direzione, andando verso l'uscita dell'aeroporto. Bene, direi che ci mancava il cane. Ero talmente in ansia per questo momento in cui avrei rivisto Kyle dopo tre giorni che mi ero perfino scordato della vasta gamma di cazzate che avrebbe potuto combinare: e infatti, eccoci qui con un trasportino rosso e Sebastian.
– E dai, aspettami! – si lamenta Kyle da dietro rendendo la sua voce stridula e ancora più fastidiosa del normale, col sottofondo del rumore infernale delle ruote che strisciano sul pavimento mentre il cane di tanto in tanto abbaia. – Anguilla, devo ancora dirti una cosa!
Buddha mi deve dare tutta la sua forza fisica e morale per affrontare questo individuo che sembra aver stabilito che la sua missione per la vita sarà rendere impossibile ogni mio giorno, non fregandosene della mia situazione psicologica messa a repentaglio dalla sua troppo insistente presenza. Ho reso l'idea della mia disperazione?
Mi giro così con uno sbuffo, aspettandomi l'ennesima cretinata che mi farà odiare ancora di più Hick per aver sbagliato la prenotazione dei posti in dormitorio ancora quasi un mese fa, capendo immediatamente però di essere finito in una trappola. Senza il tempo di reazione necessario mi faccio quindi prendere alla sprovvista da Kyle che, con un'espressione che gli cancellerei dal volto con varechina mista ad acido fluoridrico, porta repentinamente la mano destra al mio polso e quella sinistra dietro la mia nuca, costringendomi a stare fermo per il colpo più basso che potesse tirarmi in questo momento: un bacio premeditato e a senso unico. Non si fa così, non proprio ora che stavo metabolizzando la sua presenza qui a Detroit e non proprio ora che mi ero convinto a poter far funzionare le cose con la dovuta calma. Questa non mi sembra esattamente la mia dovuta calma.
Non è nemmeno calma.


Erano uno dei primi giorni del settembre di tre anni fa: pioveva, faceva freddo e stavo per diventare un bravissimo bugiardo che avrebbe detto ai suoi genitori che il suo ragazzo era morto e che invece di andare al funerale immaginario sarebbe poi andato a bere col suo migliore amico - più stupido di lui.
Ero bagnato dalla testa ai piedi perché non mi ero portato un ombrello dal momento che fino a mezz'ora prima non volevo saperne di recarmi in aeroporto, avevo probabilmente più freddo di Jack Dawson nell'Atlantico e ancora più freddo sentivo dentro di me nel vedere Kyle Adair con la valigia tra le mani che fissava inerme i suoi genitori parlare con una coppia di amici ad una trentina di metri da lui. Avevo visto i suoi capelli neri tenuti in un ciuffo appiattito sulla fronte solo dopo essere stati a letto a dormire o a fare altro - siamo discreti, okay?, perciò vederlo in quello stato comatoso senza essere io la causa mi faceva già sentire anni luce distante da lui, come se non mi potesse sentire nonostante fossi a pochi metri dalle sue spalle.
– Che ci fai qui?
E invece mi aveva sentito alla grande.
– Come hai fatto a sentirmi?
Kyle si girò verso di me con un sorrisetto beffardo, squadrandomi da capo a piedi senza pietà: – Hai il fiatone e i tuoi passi sono pesanti. Poi le tue scarpe fanno splaf splaf. Sarebbe difficile non sentirti arrivare per qualcuno che ti conosce come me.
– Però non sapevi che sarei venuto, se no non mi avresti chiesto perché sono qui. Forse non mi conosci così bene.
– Io speravo, Himeragi, che tu non venissi. Ma sapevo che saresti arrivato, fosse stato anche trenta secondi prima dell'imbarco.
Lo ammetto: mi faceva rabbia in quel momento. Ero arrabbiato perché aveva preferito il nuoto alla sua città natale, alla sua scuola, alla sua famiglia, alla sua vita e a me. Non lo sentivo come un colpo personale, ma sapevo che sarei stato una delle persone che avrebbero sentito la sua mancanza come l'aria quando si è claustrofobici.
E per la cronaca, io ero pure claustrofobico - allegria!
– Be', quindi levi le ancore? – gli domandai senza peli sulla lingua, trovando un coraggio che mai un agnellino come me si sarebbe immaginato di poter usare contro il proprio predatore. Un piccolo e gracile nuotatore che si rivolgeva a chi stava per diventare l'idolo di molte ragazzine troppo esaltate come Shion era un grande paradosso, a quel tempo.
– Tecnicamente levo le mie valigie dalla quattordicesima.
– Sesto distretto, numero sette.
– Che bravo, sai anche il mio indirizzo?
– Ci passo la mia vita a casa tua.
– Mai sentito parlare di retorica?
Lo guardai nelle peggiori delle maniere, andando poi a sedermi accanto a lui chiudendo l'argomento “retorica”, constatando che era l'ultimo dei miei problemi se prendevo in considerazione il fatto che Kyle stesse per lasciarmi da solo senza nemmeno più l'attesa di un suo possibile ritorno. Due giorni prima mi aveva voluto vedere urgentemente per dirmi della sua partenza, del fatto che volesse lasciarmi e che non sarebbe più tornato a Detroit. In quell'aeroporto, bagnato fradicio dalla testa ai piedi, in preda alla disperazione, io non avevo motivo di esserci: non ero più il ragazzo di Kyle Adair, ero stato lasciato su due piedi e la persona a cui tenevo di più se ne doveva semplicemente andare senza troppe storie. Ma non potevo, alla fine: non glielo avevo mai detto, ma io lo amavo. Quel genere di “ti amo” che sembra sempre troppo piccolo e che si ha paura di sbagliare a dire, ma quelle due parole le avevo sentite più volte nello stomaco quando questo si contorceva per la paura e l'ansia di non avere più Kyle al mio fianco.
E sì, ero parecchio complessato per avere quindici anni. Ammesso e non concesso.
– Non c'erano gli allenamenti oggi? – mi chiese dopo qualche attimo di silenzio, stringendo le mani attorno al manico della valigia ai suoi piedi.
– Sì.
– E li hai persi. Bravo idiota.
– Ma piantala. – lo rimproverai roteando gli occhi al cielo, alzando gli occhiali sulla nuca per tenere indietro i capelli bagnati. Gesti di routine, lo faccio ancora oggi se sono nervoso. E bagnato fradicio. Cosa che sono una la conseguenza e l'altra la causa, perciò succede qualcosa come ogni volta che dimentico l'ombrello. – Non me ne frega se mi hai lasciato, so che non ti posso tenere qui ma non potevo pensare al tuo ultimo ricordo come tu che mi dici che non ti frega della tua vita qui a Detroit e che hai accettato l'offerta senza dirmi niente perché tanto meno di frega di me.
– Lo sai anche tu che non lo penso. Speravo di tenerti distante da qui.
– Tenta qualcosa di più convincente, la prossima volta. Sempre che ce ne sia una, ovvio.
Kyle fece un sorrisetto dispiaciuto, guardandomi con la coda dell'occhio di sottecchi: – Cerchi di demolirmi, adesso?
– Nah, – ricambiai la sua occhiata di sfuggita, guardando però davanti a me per dimostrarmi un po' più forte rispetto al mio crogiolarmi continuo. – Solo fartela pagare un po'.
– Sarebbe meglio che tu tornassi a casa, Himeragi. Tra un po' il volo parte e alcuni nostri compagni verranno a salutarmi.
– Io resto finché non ti vedo più dall'oblò.
– Non fare il drammatico, non puoi farmi questo favore? Te lo chiedo in ginocchio: va' a casa.
Senza nemmeno metterci d'accordo ci alzammo tutti e due allo stesso tempo, fronteggiandoci con i nostri sei o sette centimetri di differenza.
– Se non te ne frega di me non dovrebbe farti né caldo né freddo la mia presenza, o no?
Stronzo fino al midollo già da ragazzino. Che gioiello!
– Himeragi, non dire stronzate, lo sai che io... – Si bloccò improvvisamente, mi guardò negli occhi con una strana scintilla negli occhi e passò la mano sulla mia guancia bagnata. – Lo sai che io ti a...
E poi capii.
Capii che non volevo una scena da film romantico, capii che Kyle mi stava veramente lasciando senza pietà e che, ancora una volta, aveva dato dimostrazione del lato di lui che lo aveva portato ad entrare in contatto con me nel principio. La nostra non era una bella storia: faceva acqua da tutte le parti.
Letteralmente.
– Non lo voglio sentire. – lo interruppi prima che potesse atterrarmi una volta per tutte, guardandolo negli occhi con la più disperata espressione che sapessi fare. – Non sarò il povero ragazzo a cui è stata detta la più smielata dichiarazione d'amore in aeroporto prima della partenza del suo ex ragazzo. Mi fa schifo questo ruolo, io non lo voglio avere e tanto meno ti puoi permettere di dire una cosa del genere in un'occasione così. Preferisco vederti andare via sapendo che mi hai lasciato perché non te ne frega di me e non sapendo che mi ami o cazzate simili.

Kyle sospirò, forse non deluso dal suo non essere riuscito a terminare la frase ma più che altro dalla durezza che utilizzavo nel momento terrificante dell'addio. Per qualche secondo forse fu solo indeciso sul da farsi, ma alla fine mosse un passo avanti e mi baciò, noncurante del fatto che fossimo in mezzo ad una marea di gente, del fatto che io fossi bagnato dalla testa ai piedi e del fatto che quelli sarebbero stati i nostri ultimi minuti insieme.
Credetemi, sono sicuro che due ragazzini di quindici anni che si baciano in aeroporto siano davvero una scena comica, non pretendo nemmeno di essere sembrato come realmente mi sentivo ma, se vi fidate, penso sia stata la sensazione più brutta che io abbia mai provato: toccare il cielo con un dito tre giorni prima ed essere scaraventato a terra dalla stessa persona che mi aveva permesso di andare così in alto.
– Allora ti lascio, Himeragi. – mormorò una volta che ci staccammo, assumendo l'espressione che avrebbe ingannato chiunque se di fronte a lui non ci fossi stato io. – Mi sono stancato di te.
Quasi mi venne da ridere in quel momento, ma mantenni una facciata pressoché seria e giocai per l'ultima volta con lui: – Tutto qui?
– No, ovviamente. – borbottò, incrociando le braccia e squadrandomi da capo a piedi come faceva due anni prima - e gli riuscì tremendamente bene. – Sei noioso, petulante e immaturo. Io ci ho provato ad accettarti così come sei, ma siamo troppo diversi e con uno come te io non potrei passare una sola ora di più. Tra l'altro sei anche troppo sentimentale e a letto fai troppo rumore e rischiamo ogni volta di farci beccare. Capisci che non possiamo andare avanti, vero?
Annuii, fingendo di riflettere: – Lo capisco, mi dispiace che sia andata così.
Kyle aggrottò le sopracciglia, cambiando per un secondo espressione e pizzicandomi la guancia: – Così non sei credibile, Anguilla. Dov'è il dramma?
– Vuoi anche il dramma? Che pretenzioso. – Scacciai la sua mano dalla guancia, assumendo di nuovo la maschera della recita. – Ecco, vuoi sapere una cosa? Sono d'accordo con te, ci lasciamo, è finita! Ma la vuoi sapere una cosa? Sei la peggiore delle persone che io abbia mai conosciuto. Sei manchevole, sempre distratto e non ti sei mai preoccupato per me; non hai mai fatto niente per farmi fare meno rumore quindi la colpa è anche tua e infine sappi che di sentimenti tu non capisci proprio nulla!
Kyle ridacchiò, coprendosi la bocca con la mano per non lasciar trasparire il suo sorriso: – Allora è ufficialmente finita, Himeragi. Nessun rancore?
– Spero tu vada sotto un camion a New York.
– Ancora rancore, ho capito. Posso almeno darti un amichevolissimo abbraccio di addio?
Sorrisi, alzando le spalle ma alla fine acconsentendo, fiondandomi tra le sue braccia e rannicchiandomici dentro per quella che sarebbe stata - o almeno così credevo - l'ultima volta. A quanto ricordo è successo di nuovo... ah sì, tre giorni fa.
Sentivo la sua mano scorrere lungo tutta la mia schiena, forse per calmarmi prima che mi facessi davvero prendere dal panico e che cominciassi a piangere come un cretino come succedeva ogni volta che andavamo al cinema a vedere film drammatici - per la sua immensa gioia.
– Sappi che comunque sono arrabbiato. – gli feci presente ancora con le mani a stringere la stoffa della sua camicia. Molto credibile, vero?
– Sì, sì...
– E non fare finta di crederci.
– Lo sai che ti adoro?
– Va' al diavolo, Kyle.
Lui sospirò, prendendomi poi il viso tra le mani e guardandomi dritto negli occhi prima di baciarmi. Ora, gli occhi di Kyle per me erano sempre stati emblematici, scuri come i capelli e come le intenzioni che non lasciava mai trasparire, ma in quel momento li lessi meglio di quanto avessi mai fatto in due anni: mi stava dicendo ciò che non gli avevo lasciato dire, e gli credetti. Non ho mai avuto dubbi su questo, mai una volta; che poi fosse uno stronzo quello dipende da altre circostanze.
– Mi sa che devo tornare a casa. Mia mamma non ama che io stia con te, dice anche lei che tu sia un bastardo. Quindi... Buon viaggio, Kyle.
Lui mi sorrise, annuendo piano mentre il mio temperamento tranquillo iniziava a crollare in un baratro in cui non avrei mai più trovato nulla se non mera disperazione: – Grazie di tutto, Himeragi.


Tornando alla calma, la sto proprio perdendo.
Un conto è che io e lui fossimo fidanzati, che lui fosse tornato da un viaggio di un mese, che non si fosse portato un cane di nome Sebastian dietro e che io fossi contento della situazione generale; un altro è però che tutte le precedenti condizioni siano l'esatto contrario e che lui si stia permettendo di baciarmi dopo i chiari paletti che ho precedentemente e accuratamente messo.
Okay, lo ammetto: mi sento schizzare in aria dall'adrenalina che mi sta scorrendo dentro ma allo stesso tempo vorrei che fosse lui quello a decollare verso l'infinito e oltre per poi schiantarsi brutalmente contro il suolo. Con affetto, ovviamente. Per avere diciotto anni riconosco che non so gestire molto bene la situazione bacio-dell'-ex-in-aeroporto, ma la saprei gestire decisamente meglio se fossi lucido nei suoi confronti. Il punto è che, sebbene la sensazione delle sue labbra non mi sia nuova di recente data la mia magnifica sbronza post visita dei miei genitori, mi sento ancora un bambino quando si tratta di lui. Ho ancora la tendenza ad attaccarmi a lui e ad avvertire quel genere di calore che neanche una coperta riscaldata saprebbe farmi provare, come un non voler nemmeno accettare l'idea di un possibile allontanamento dal suo corpo.
Sono un idiota, lo so, perché nonostante io non faccia altro che negare quando poi arriva la resa dei conti mi comporto esattamente come facevo a quattordici anni, ma il fatto è che questo dannato ragazzo è indelebile come anche il più piccolo tatuaggio nel più nascosto centimetro di pelle è e non mi lascia via di scampo in qualsiasi senso mi prenda. Potrei provare a fare resistenza con tutte le mie forze, fino allo stremo, e sono sicuro che il risultato sarebbe uguale all'inizio.
L'unica cosa che mi riporta sulla retta via - grazie Dante per l'espressione - è la lingua di Kyle che si permette un po' troppo e merita quindi la vecchia arma che usavo nella stessa maniera tre anni fa: i denti.
Quando li serro, infatti, non so dire se il guaito venga da Sebastian o da Kyle nel momento in cui si stacca e porta una mano davanti alla bocca, serrando forte gli occhi in una smorfia di dolore. Oh, che bello. Musica per le mie orecchie.
– Schifoso assassino da quattro soldi! – borbotta piagnucolando come un idiota, facendomi automaticamente sorridere per una scena che sa molto da déjà-vu. – Come hai potuto?!
– Tu hai pomiciato con me qui in mezzo a tutti! E' il minimo, maniaco!
– Mi pare ci stessi anche tu!
– Solo un attimo di défaillance.
– E 'sti cazzi, Himeragi. Cosa c'era di male?
Mi sistemo di nuovo gli occhiali, guardandolo male mentre ci rimettiamo in cammino in compagnia di Sebastian: – Forse il fatto che le regole stabiliscono chiaramente che non ci deve essere contatto fisico?
– Permettimi di contraddirti. – In due falcate riesce a mettersi al mio fianco, guardando dritto davanti a sé mentre però sorride soddisfatto. – Uno, siamo fuori casa e le regole non sono valide. Due, sei quasi venuto a letto con me poco più di due settimane fa. E se vuoi togliamo il “quasi”.
– Non sono venuto a letto con te in tutti i sensi della parola. – specifico, cercando di infliggere meno colpi possibile alla mia dignità.
– Fammi indovinare, un altro attimo di défaillance?
– Debellati.


– Certo che potevi almeno fare il letto. – Kyle mi guarda male mentre entra nella camera da letto per la prima volta da quando siamo arrivati, strofinandosi i capelli bagnati facendo strane facce buffe.
Dal canto mio, spaparanzato come mai nella vita e con Sebastian accoccolato di fianco a me, mi limito a fare un cenno di disinteresse e ad osservare il cretino che si lancia sul materasso a mo' di wrestling.
John Cena dei poveri.
– Mi chiedo quanto si divertirà Landon ad averti per casa e sentirti dire di rifare i letti. – ribatto con un sorrisetto che punta all'ennesima frecciatina, constatando che forse potrei stare leggermente esagerando. A mia discolpa dico comunque che so di essere incoerente con ciò che dico o con come agisco, ma è Kyle ad inibire tutto il mio buon senso e le mie buone intenzioni: io ci provo, ma stiamo parlando di un ex ragazzo che deve andare a convivere col suo ex ragazzo e che mi ha appena baciato in aeroporto. Capite perché non ho molta lucidità a riguardo?
– Landon ha una soglia di sopportazione molto più alta della tua, Anguilla.
– Ha anche cinque anni in più di me, se è per questo. Ripensandoci, non potevi restare là?
– Disse quello che fece la scenata di gelosia via webcam. Molto credibile, Himeragi.
Lo guardo di sbieco, notando come il sorrisetto nato sul suo viso mi mandi su tutte le furie dato che è proprio lui ad avere ragione in questo caso. Ogni mattone che posiziono sul precedente per creare il mio muro di indifferenza viene prontamente demolito buttando giù anche la colonna sotto di esso, lasciandomi con un foro irreparabile a cui far fronte. Ogni colpo inferto dai suoi sorrisi soddisfatti è sempre più profondo e butta giù sempre più mattoni alla volta, lasciandomi completamente scoperto e privo di difesa, cosa che mi porta poi ad avere i miei famosi attimi di défaillance.
– Quindi la casa è a posto? – gli chiedo per cercare in qualche modo di dimostrare di non avere troppe riserve sull'argomento “convivenza con Landon” anche se in realtà ne ho così tante che potrei crearne una naturale e darla ai castori.
Adoro i castori.
Kyle si mette su un fianco, dandomi la fronte e passandosi la mano tra i capelli scuri col suo solito fare da bello e impossibile: – Manca ancora il frigorifero e uno dei due materassi ma Landon ha detto che se ne occuperà lui, quindi se non ci sono problemi dovrei restare qui a Detroit.
– Finché la vostra piscina non sarà in ordine. – preciso con un tono di voce che però nella mia mente suonava in tutt'altra maniera, risultando quasi triste. Bravo Hime, continua a farti scoprire così, vedrai come Kyle rispetterà le regole se gli dai il continuo via libera!
Come previsto infatti Kyle assume un'espressione pensierosa, guardandomi negli occhi per provare forse a capire che diavolo io stia pensando - cosa che sarei molto curioso di capire anch'io. Il punto è che nemmeno io riesco a fare chiarezza su ciò che voglio in questo momento: se vorrei che restasse senza andarsene mai più o se vorrei che se ne andasse domani mattina. Ho così tanti pensieri che mi fluttuano per la mente che anche solo l'idea di prenderne uno in considerazione mi fa girare la testa, avrei tanto voluto restare lucido e tenere il giusto temperamento nei confronti di tutta la vicenda di Kyle qui a Detroit, ma ad ogni minuto che passa ho sempre più confusione dentro di me e mi sembra che non sia passato un solo minuto da quel giorno di gennaio in cui mi baciò la prima volta negli spogliatoi. Sono un tipo parecchio legato al passato, lo ammetto.
– Cosa devo fare con te? – sbuffa lui, distendendo il braccio sul materasso e lasciando quindi la testa ricadere sulla sua spalla. – Dimmi cosa mi devo inventare, ti prego. Ogni cosa che faccio non va bene e poi mi dici il contrario, tra l'altro prendendotela anche più del dovuto. Non so più come scusarmi per essere partito ma tu sembri continuare a volermela far pagare, anche io ho un limite anche se si tratta di te. Ti chiedo solo di non tirare troppo la corda dal momento che sai di avermi sul palmo della mano.
Ha ragione: ora l'idiota sono io, non c'è ombra di dubbio. Possiamo negarlo? No, non possiamo perché non ha nemmeno l'accenno di un leggero torto, non c'è una singola cosa sbagliata che abbia detto.
Accettalo, Himeragi, perché questa volta non puoi ribattere o nasconderti dietro stupidi flashback di tre anni fa: davanti a te hai il ragazzo che non hai mai dimenticato, che ti fa ancora sentire come un imbecille - cosa che comunque realmente sei - e che, anche se non intenzionalmente, stai usando nella più meschina delle maniere.
– Mi dispiace. – mormoro quindi abbandonando tutte le mie difese, lasciandomi completamente scoperto da un mese a questa parte. – Davvero, mi dispiace, Kyle. Non so perché io mi stia comportando così, credevo che avrei saputo tenere sotto controllo l'averti così vicino a me ma non è così, sto solo facendo tanta confusione e non ho assolutamente l'intenzione di tirare la corda, sfruttare il fatto di averti sul palmo della mano e cose simili perché sai che non sono così, tu mi conosci. Mi stai solo mandando fuori di testa.
– Mi piace il “solo”, come se “mandarmi fuori di testa” fosse una cosa da poco. – Finalmente sorride, questo basta già a sollevare tutto il peso che sento gravare in questa stanza. – Anguilla, potremmo anche dire di essere adulti ormai, no? Eppure ci stiamo comportando entrambi come bambini. Ammetto che non sono sempre “facile” da tenere a bada e so che magari può averti dato fastidio il fatto che abbia approfittato di te... in più occasioni... ma insomma tu eri ubriaco e poi c'era l'atmosfera del ritorno dopo tre giorni lontani quindi ehi!, nessun rancore?
Lo guardo con gli occhi spalancati.
Io.
Sono.
Allibito.
Da tale scemenza.
– Ehi, hai gli occhi verdi. – constata come un idiota, avvicinandosi di più al mio viso. Un attimo, che giochetto è?
– Ma dai? Adesso me lo dici? – lo prendo in giro a mia volta, sentendomi però affogare invece nei suoi, macchie nere senza la minima sfumatura di colore che non lasciano spazio ad alcun genere di emozione languida: solo algido nero, difficile da leggere ma tiepido una volta esserne venuti a capo.
– Stupida Anguilla. – ridacchia prima di trovare il mio consenso per poi baciarmi, azzerando i pochi centimetri tra di noi e facendo quasi prendere paura a Sebastian - special guest della serata. Dal contatto delle nostre labbra non ci vuole molto prima che io mi ritrovi quell'energumeno di Kyle sopra di me, Sebastian che ormai ci ha mandati a quel paese e se n'è andato nella sua cuccia provvisoria alias la poltrona e le nostre magliette già sul pavimento. Non è più l'emozione che sentivo da ragazzino, ora è una morsa che si propaga prima agli istinti e poi al cuore, facendolo battere per l'adrenalina che inizia a scorrere anche nelle arterie. Forse sto facendo una cretinata, ma non la sto facendo senza averla prima pensata. Se volessi smettere mi basterebbe alzarmi da questo letto e andare in cucina, ma non mi dà fastidio sentire la sua pelle sulla mia né tanto meno le sue mani che sfiorano luoghi lasciati in pace da un po' di tempo ormai. Ci sono con la testa, non sto vagando né pensando a quanto stupido mi potrò sentire dopo, semplicemente lascio andare e lascio i rimpianti a quando sarà ora di averne, cercando di svuotare completamente la mente e di permettere quindi a Kyle di trasportarmi come ha sempre saputo fare. Devo ammettere che la sensazione di intimità non è poi così strana come avevo immaginato, è solo da rispolverare un po' ma del resto mi sento - stranamente - tranquillo, so che sto facendo questa cosa consenzientemente e che sono grande abbastanza per capire se ciò che faccio rientra nelle mie volontà o meno: boxer sul pavimento, la volontà c'è al cento per cento. E' tutto come ai vecchi tempi, i modi di Kyle non sono cambiati - e con essi anche la sua mancata gentilezza nei movimenti per la mia gioia, riusciamo ad equilibrare momenti frettolosi a momenti più lenti e calmi e, finalmente, esistiamo solo noi e nient'altro di mezzo - da leggere proprio letteralmente, non ci sono nemmeno i calzini.
Spero solo che non ricominci la telecronaca.


– ...guilla, giuro che ti conviene svegliarti o ti ammazzo nel sonno.
Ah, questi risvegli sempre dolci e affettuosi, come non adorarli? Uccellini che cinguettano, sole che filtra dalle finestre e il proprio ragazzo che serve la colazione a letto.
Un mondo piuttosto utopico, no?
La realtà è che credo che gli uccellini siano affogati nei loro nidi per tutta la pioggia che è scesa stanotte, attualmente sta nevicando e dalle finestre filtra solo un gran freddo e per finire il mio non-proprio-ragazzo mi sta scuotendo da dieci minuti per buttarmi giù dal letto. Senza colazione.
Capite la crudeltà?
– Kyle... – biascico senza troppa vitalità nel tono, spiaccicando la mia faccia sul cuscino rendendo praticamente impossibile la comprensione delle mie parole. Non ho la minima voglia di alzarmi, non di certo dopo la notte che ho passato... Insomma, anche io ho bisogno di risposo dopo un certo genere di attività.
– Ti ha chiamato Muller.
Riposo? E chi ne ha bisogno?
– Sono in piedi! – esclamo levandomi le coperte di dosso con uno scatto, mettendomi seduto senza badare al famoso dolore che avevo quasi dimenticato. Ahia.
– Mettiti almeno i boxer. – mi prende in giro il simpaticone lanciandomi addosso l'indumento, uscendosene poi con un sorrisetto che potrebbe facilmente provocare in me un tic nervoso. – Devo dire che non sei peggiorato a letto, Anguilla.
Che meraviglia sentire queste perle di dolcezza alle sette e mezza della mattina. Mi riempiono sempre di poesia.
– Il che implica che io sia peggiorato in qualcos'altro. – gli faccio notare con una non esattamente gentile espressione, infilandomi i boxer per poi alzarmi finalmente dal letto sotto lo sguardo attento del mio aguzzino. Questa cosa mi mette ansia, dovrebbe smetterla di farmi sentire sotto costante esame.
– Sei solo un po' più complicato. – risponde con una semplice alzata di spalle, bloccandomi però prima che io possa varcare la soglia. Bene, cosa vogliamo fare con Himeragi che vuole passare col braccio di Kyle ad impedirgli il passaggio come in una drammatica soap opera argentina? Da sottolineare il fatto che in casa ci siano appena diciassette gradi e che siamo uno in boxer e quell'altro appena uscito dalla doccia - sì, ha la mania per l'acqua calda quel ragazzo, giuro che la bolletta la divideremo.
– Kyle, devo andare in bagno. – puntualizzo con un che di “fammi passare o ti castro”, indicando con lo sguardo il corridoio di fronte a noi che porta alla mia Terra Promessa.
Lui mi guarda invece con un'espressione che non so se interpretare come minacciosa o semplicemente spaventosa, facendo crescere in me il vecchio sentimento di timore nei momenti in cui ancora non riuscivo a prevedere le sue mosse e mi lasciavo costantemente prendere alla sprovvista.
– Perché me l'hai lasciato fare?
Lo guardo stranito, la risposta sembra alquanto ovvia: – Be', in realtà non te lo sto lasciando fare, sei tu che continui a impedirmi di passare di là...
– Non... questo, Anguilla. – Penso stia per prendere un coltello e ammazzarmi. Quoterei. – Stanotte, dicevo.
Ottimo Hime, bella figura di merda!
Non so nemmeno io cosa mi sia preso stanotte, speravo che l'argomento fosse archiviato nel momento in cui ci siamo messi a dormire e che non venisse più tirato fuori, invece eccoci qua col suo sguardo accusatorio e con le mie parole che vengono meno alla mia volontà.
– Non te l'ho “lasciato fare”. – gli faccio presente sperando di risultare fermo nel tono della voce. – C'ero dentro anch'io.
Lui mi guarda con un sorrisetto, grattandosi distrattamente il retro del collo: – Non eri esattamente tu quello dentro, in realtà...
– Sei un porco senza religione.
– Cerco solo di farti ridere un po'. – si difende alzando le mani all'aria, lasciandosi poi andare ad uno sbuffo che assomiglia più all'uragano Camille del '69. – Sei sempre teso, accidenti a te. Stanotte eri... diverso. E' per questo che volevo sapere cosa ti è preso, perché l'hai fatto. Pensavo non ne volessi sapere.
– Non mi ascolti abbastanza attentamente, se è così. – ribatto, trovando il coraggio di essere io a muovere un passo verso di lui, questa volta: appoggio quindi la mia mano sul suo collo, avvicinandomi un po' di più al suo viso. Wow, sono sorpreso da cotanta spavalderia nelle mie gesta. – Ti ho detto che avrei provato ad innamorarmi di nuovo di te ed è quello che sto facendo. Non mi pento di ciò che ho detto e nemmeno me lo rimangio, l'aver passato la notte così è simbolo della riuscita di tutto ciò. Devi solo darmi un altro po' di tempo.
– Quindi deduco che tu non ne fossi del tutto convinto, questa notte. Ma, ad ogni modo, ti darò quanto tempo vuoi, Anguilla. – mi sorride finalmente in modo sincero, senza l'ombra di ironia sul suo volto. – Ma non prendermi in giro. So di meritarmi il trattamento di sfavore, ma con te io ho smesso di giocare. Spero solo che tu non voglia farmela pagare.
Questi discorsi filosofici alle sette e trentotto della mattina stonano completamente con l'immagine che Kyle tende sempre a dare di sé, ma è proprio in questo modo che, anni fa, mi ha fatto capire che sotto la facciata da stronzo cronico patentato c'era in realtà un lato di lui che sapeva analizzare e capire le situazioni nel migliore dei modi in maniera tale da permettergli di usare anche le parole più adatte per giocare a suo favore.
E per quanto costi ammetterlo, ci riesce alla perfezione.
Che gran bastardo.
Dopo una serie di conflitti interiori che manco Unione Sovietica e Giappone nel 1904, mi alzo infine sulle punte facendo leva sulla mia mano appoggiata ora alla sua spalla per tirarmi su e lo bacio, mandando momentaneamente a quel paese tutti i miei buoni propositi di una vita sana e salutare senza sbalzi umorali che potrebbero causare il mio impanicamento cronico.
Invece io mi impanico.
Madonna se mi impanico.
– Che diavolo era questo, Anguilla? – ridacchia lui nel momento in cui i miei talloni toccano di nuovo terra, guardandomi quasi stranito nel senso però bello della parola, quel genere di confusione che fa arrossire anche me. Okay, io arrossisco anche se vedo Sebastian ringhiarmi contro ma questo è un altro conto, queste sono guance rosse come il cappuccio di Cappuccetto.
– Era un “passa una buona giornata senza starmi troppo tra i piedi e niente effusioni in pubblico”, in realtà.
– Uh, modo efficace per esprimerlo. Ti assicuro che avevo intuito esattamente tutto il messaggio.
– Chiaro, vero?
Kyle mi guarda con un sorriso divertito, lasciandomi finalmente passare con un pizzicotto sulla mia natica già dolorante: – Cristallino.


Rileggo il messaggio del rettore in cui mi dice di raggiungere quanto più velocemente possibile il suo ufficio, preparandomi quindi mentalmente a vedere Albert Muller alle otto e quaranta di mattina dopo una nottata passata quasi del tutto insonne - per buone ragioni s'intende.
Il corridoio del college è deserto come al solito dal momento che siamo in orario di lezioni, non si sente una mosca volare se non per...
Be', un fischiettio alquanto familiare devo ammettere.
Ditemi che non è come penso, vi prego.
Un ragazzo pel di carota spunta da dietro l'angolo con un caffè in mano e le cuffie alle orecchie, spalancando gli occhi celesti non appena si accorge della mia presenza. Forse ha appena capito di essere nei guai.
– Ti ammazzo.
– Partitina a nascondino?
Xavier.
Il rosso si sfila le cuffie dalle orecchie, sorridendomi innocentemente ma con una leggera nota di giustissima disperazione: – Conto io?
Mi spalmo la mano sulla fronte, sospirando. Kyle e Xavier potrebbero senza dubbio fare a gara su chi riesce meglio a farmi andare fuori di testa dal momento che non so chi temere di più, posto anche che uno è un diciottenne con manie infantili e quell'altro è un sedicenne troppo vissuto.
– Perché non sei a lezione?
– Tecnicamente avrei ginnastica, adesso. Non credo che Schneider volesse esattamente vedermi.
– Potevi almeno presentarti, no? Poi ti avrebbe cacciato via, ma almeno ti saresti fatto vedere.
– Oh sì, aspetta che prendo anche il Galateo e stendo un tappeto rosso al professore di ginnastica che vorrebbe vedermi annegato piuttosto di vedermi correre nella sua palestra. Meglio rosso o blu, il tappeto?
Lo guardo male, gli darei volentieri un leggero schiaffo come farei di norma ma ho tanto l'impressione che finirei per vedere il suo bicchiere di caffè fare la stessa fine delle cascate del Niagara, così mi evito la parte scomoda del mio tentato gesto e mi limito a uno sbuffo, tanto non avrei lo stesso più di tanta influenza su questo marmocchio.
– Vuoi venire con me? – gli propongo alla fine, guardandolo con la coda dell'occhio.
Xavier abbassa rapidamente lo sguardo dopo averlo tenuto sulla mia maglietta per qualche istante, stringendo appena la presa sul bicchiere. Da dove viene questo genere di reazione bizzarra?
– Qualcosa non va? – gli chiedo guardandolo ora negli occhi, posando lentamente la mano sulla sua spalla. Ammetto di essere addirittura spaventato da certe espressioni di questo ragazzo: quando non si capisce cosa gli passi per la testa diventa rischioso qualsiasi genere di mossa. Ammettiamolo, sembra che io stia parlando della SWAT più che di un ragazzo di sedici anni.
Himeragi e i complessi.
Lui alza quasi a fatica lo sguardo, sperando forse di vedermi svanire nell'istante in cui i suoi occhi incatenano i miei - l'espressione dell'affetto, insomma: – Che hai fatto al collo?
Al collo?
Passo rapidamente la mano sulla pelle, capendo solo nell'istante in cui sento dolore la causa della reazione di Xavier e la stessa causa del mio molto molto prossimo attacco di panichira.
Sì, panichira. Panico e ira.
Come spiego ora a Xavier che Kyle ha portato un Beagle di nome Sebastian da New York, che mi ha baciato in aeroporto, che mi ha fatto capire quanto io sia idiota e che mi ha convinto del fatto che andare a letto con lui fosse un'idea grandiosa e che mi ha portato ad avere una serie di piccole ma fastidiose macchie violacee sul collo?
Non che mi sia pentito di aver preso in considerazione l'idea, ma della parola “grandiosa” distinguerei la parte “grandi” dalla parte “osa” e quest'ultima la attaccherei al prefisso “dolor”. Oggi siamo in vena di giochi di parole.
– E' stato lo spigolo del tavolo.
Xavier alza le sopracciglia, fissandomi accigliato: – Spiegami, stavi mangiando in ginocchio per prenderti lo spigolo sul collo?
– Pregavo. – Sì Hime, non ci cascherà mai. – … Buddha.
Ora sì che ragioniamo! Ci crederà di sicuro!
– Pensi che non sia abbastanza grande da riconoscere un succhiotto, Anguilla? – Xavier mi squadra da capo a piedi, peccato che non ci sia la minima traccia di scherzo o di gioco nel suo intero comportamento momentaneo. Credo che, per qualche astruso motivo, questo ragazzo si sia improvvisamente arrabbiato a morte con me.
Arrivo quindi a deporre le armi nella speranza di ottenere pietà dallo sguardo troppo adulto di Xavier, ammettendo le mie colpe senza giri di parole: – Hai ragione, scusami. E' stato Kyle.
– Ma non dirmi. – commenta sarcastico lui, avvicinandosi poi per scostare la mia mano dalla sua spalla ma in compenso per portare la sua esattamente sulla zona incriminata del mio collo.
Fermate tutto, cosa diavolo sta facendo questo piccolo assassino di pace psicofisica?
Mi ritrovo costretto a deglutire e il contatto con i suoi occhi sembra impensabile al momento, sento solo una strana sensazione che ci rinchiude in un contesto solo nostro e incredibilmente alienante nonostante la familiarità che avrei giurato ci fosse tra me e lui.
Calmo Hime: è solo Xavier. Non è Kyle, non può fare mosse troppo disturbanti per te, ha un registro da rispettare e lo rispetterà, non ha mai avuto motivo per trasgredire alle regole non scritte tra di noi - nonostante ultimamente ci stiamo lasciando troppo andare agli abbracci e a discorsi parecchio compromettenti.
– Cos'è, sei agitato? – mi prende in giro con un sorriso divertito, continuando a passare il dito sulle mie ferite di guerra. Che simpatico, fa pure umorismo!
– Piantala, moccioso. – ribatto quindi cercando di mantenere la calma e di guardarlo come se niente in realtà stesse succedendo, come se lui non si stesse permettendo così tanto nei miei confronti e come se lui sapesse a cosa sta andando incontro se intende andare avanti ancora a lungo. Purtroppo io passo sopra a ogni genere di “azione disturbante” nei miei confronti, ma quando queste sfociano in un campo troppo intimo comincio a cercare incoscientemente una via d'uscita, sia essa anche ribaltare i ruoli della potenziale brutta situazione.
– Non pensavo ti desse fastidio questo genere di contatto. – constata il rosso tirando decisamente troppo la corda, mandandomi in tilt con il solo obbiettivo di uscirmene illeso da qui.
Mi dispiace, ma se l'è cercata.
Con i residui delle lezioni di autodifesa che un insegnante di passaggio ci insegnò in seconda superiore riesco quindi a liberarmi dalla presa di Xavier e a ribaltare i ruoli, trovandomi dietro di lui con una mano che cinge il suo busto e l'altra sulla sua guancia a tenere il volto girato verso destra e quindi tutto il lato sinistro del collo libero.
– Proviamo a vedere se a te dà fastidio? – mormoro al suo orecchio solo dopo essermi assicurato che i corridoi siano ancora vuoti. Non vorrei mai che Muller mi vedesse di nuovo in queste condizioni, mi sa che il suo prossimo passo sarebbe chiedere il mio espatrio.
Xavier si irrigidisce in un istante, portando le mani sui miei polsi senza però voler veramente difendersi. Non riesco a vedere la sua espressione ma sono quasi del tutto sicuro che le sue guance siano rosse come poche volte ho visto essere e che si stia mordendo il labbro inferiore come è solito fare quando si trova nei guai - cosa che succede piuttosto frequentemente devo ammettere. Non voglio fargli prendere paura o altro, voglio solo fargli capire quanto sia irritante giocare su questo genere di argomenti e spero di riuscire nella mia impresa senza causargli un trauma. Prego Dio che poi non ricomincino le lettere minatorie sul parabrezza della mia auto scrausa.
– Agitato? – chiedo quindi con lo stesso tono che lui ha usato poco fa con me, sentendo con la mano appoggiata sulla sua guancia la mascella irrigidirsi per deglutire. Mi sa di aver centrato nel segno.
Anche se il mio istinto mi spingerebbe ad andare oltre per la mia natura mi limito solo a soffiare sulla pelle tirata appena sotto l'orecchio sinistro, liberandolo dalla presa subito dopo. Purtroppo credo di avere difficoltà a mettere dei paletti su “questa persona è Kyle” e “questa persona non è Kyle”. Facile, direte voi, Kyle è solo una persona su sette miliardi, ma non lo avete mai conosciuto. Kyle Adair è uno, nessuno e centomila - sì, è solo un modo carino per chiamare la mia sporadica ossessione compulsiva verso di lui.
– Accidenti a te. – sibila tra i denti Xavier, alzando gli occhi furenti verso di me mentre porta la mano sulla zona a cui ho dato fastidio. – Falle con Adair queste cazzate.
– Devo ammettere che farle con te è più divertente. – lo prendo in giro solo per un secondo, rendendomi però conto di star tenendo un comportamento che non è da me e che potrebbe fargli davvero male. Che diavolo mi sta succedendo? – Stai bene?
– Che ne pensi di lasciarmi in pace? – ribatte lui, prendendo bruscamente le distanze da me e gettando il bicchiere quasi vuoto nel cestino.
– Oh, andiamo! – Recupero i due passi che ci allontanano, guardandolo negli occhi che chissà cosa stanno nascondendo. – Stavo scherzando, Xavier. Mi dispiace.
Il rosso si dimostra di nuovo protetto da un infinito numero di muri invalicabili, scrutandomi con diffidenza come se in un nanosecondo riuscisse a resettare tutto ciò che insieme abbiamo passato: – Non puoi scherzare su queste cose con me. Non farlo più.
Alzo le mani all'aria, colto in contropiede dalla serietà del tono di voce di questo ragazzo che continua a spiazzarmi nonostante sembra avermi già rivelato tutte le sue carte. Cosa ci posso fare se io sono un idiota clinico e non capisco mai fino dove posso spingermi prima di combinare qualche disastro dei miei?
– Scusami. – ripeto, veramente mortificato nel riconoscere la mia immonda stupidità nei confronti di Xavier. – Posso farmi perdonare?
– Stasera mi dai un passaggio. – borbotta abbassando gli occhi come se fosse infastidito dalla sua stessa richiesta, gesto che risulta alquanto divertente a vedersi.
Dal canto mio mi ritrovo a ridere e a spettinargli i capelli rossi che tanto adoro, facendogli cenno di seguirmi verso l'ufficio di Muller: – Ancora con questa storia, eh?
– Se non vuoi prendo l'autobus.
– Non intendevo quello. – mi correggo, riservandogli un ultimo sorriso prima di chiudere l'argomento per non sfociare nel sentimentale. – Dicevo che non c'è bisogno di chiedermelo.


L'ufficio di Muller non cambia mai, esattamente come non cambia la sua espressione ogni volta che mi vede con un individuo dotato di apparato genitale maschile accanto a me - penso sia convinto che io sia una specie di uomo-squillo. Incrocia le braccia, mi squadra da capo a piedi, squadra Xavier e termina in un sospiro di esasperazione, portandosi infine la mano alle tempie. Penso abbia adottato questo genere di comportamento dalla prima volta che sono finito qui in presidenza dopo che aveva beccato me e Kyle nel pieno del nostro primo bacio negli spogliatoi, sono passati quattro anni ma vedo che il sentimento non è cambiato. Sono proprio contento che il mio datore di lavoro mi veda come un poco di buono che se la fa con ogni uomo presente sulla faccia della Terra, devo solo ringraziare il mio essere discreto nel nuoto perché se così non fosse credo che alla cerimonia del diploma, sapendo di non vedermi più, avrebbe dato una festa e mi avrebbe spedito giù dal palco con un bel calcio nel didietro. E uno striscione con trombetta, non dimentichiamolo. La trombetta è tutto.
– Fenwick.
– Mi cercava?
– Perché c'è anche Xavier?
Eh, perché c'è anche Xavier?
Guardo così il rosso accanto a me che semplicemente rotea gli occhi, riportando la mia attenzione poi su Muller e il suo disappunto nonché disagio nell'avermi di fronte a lui con un ragazzo accanto a me: – Dato che avrebbe educazione fisica è rimasto fuori dalla palestra secondo gli ordini dati da Schneider e gli ho chiesto se voleva rendersi utile e venire con me, tutto qui.
Il rettore mi guarda passivamente per qualche secondo, concludendo però con un'alzata di spalle rassegnata e allungandomi invece due buste: – Queste sono per te, sono arrivate ieri da New York.
Lettere?
Cauto, quindi, afferro lentamente i due oggetti sospetti e li scruto attentamente, trovando solo il mio nome e il mittente, “Dipartimento Selezioni Giovanile New York Swimming Team”.
Non di nuovo, vi prego. Questo nome è stato più volte oggetto dei miei incubi - insieme a Aydin vampiro che si aggirava per casa mia in cerca di sangue, ma quello fa parte del lato contorto della mia mente.
– Ho chiesto per telefono a Nico Casadei se ne sapesse qualcosa. – ricomincia Muller, guardando prima Xavier e poi me. – Mi ha detto che sa tutto ma non voleva svelare la sorpresa, quindi presumo siano due belle notizie. Se fossi in te, Fenwick, le aprirei il prima possibile.
– Lo farò. – annuisco, guardando però con riluttanza le lettere.
Tre anni fa non hanno portato nulla di buono quindi ammetto di essere prevenuto, specialmente poi col parere dell'italiano che adesso ci sta provando con la mia ex ragazza.
– Puoi andare. – mi dismette Muller con un cenno lento della mano destra, indicando la porta con gli occhi ma finendo poi sul ragazzo accanto a me. – Un'ultima cosa, Xavier.
Il rosso si mette sull'attenti, cercando prima il mio appoggio con lo sguardo e poi prestando attenzione al rettore. Il fatto di cercarmi nonostante la situazione ammetto che mi fa comunque sorridere: per quanto lui si possa dimostrare duro con me so che in realtà riuscirà sempre a perdonarmi... Certo, quando ne ha bisogno. Altrimenti riesce anche a non parlarmi per sette mesi e quattro giorni, ovviamente.
– Sì? – domanda quindi nascondendo il timore che ha mostrato a me solo nel frangente in cui i nostri occhi si sono incrociati e usando invece il suo solito tono spassionato, quasi come se sapesse già che cosa Muller ha da dirgli. Devo ammettere che per certi versi Xavier mi ricorda Kyle quando aveva quattordici anni, in quei momenti in cui sebbene io provassi a farlo ragionare lui non voleva sentire ragioni e mi rispondeva con lo stesso tono che Xavier usa abitualmente - e la cosa mi inquieta non poco.
Perché, mi chiedo, io devo essere sempre inquietato da qualcosa? C'è sempre una costante di stranezza che aleggia intorno a me che credo di essere io stesso a risultare inquietante da quanto sono inquietato. Riuscite a inquietarmi?... Capirmi, volevo dire. Capirmi.
Riuscite a capirmi?
– Complimenti per le gare. – svela Muller sollevandomi da un grande peso, finalmente sorridendo sotto i baffi tendenti al bianco. – Spero che tu non faccia altre marachelle che possano compromettere la tua carriera agonistica perché hai del potenziale. Non buttarlo via.
– E' colpa di Himeragi. – risponde con nonchalance il piccolo mostriciattolo, alzando le spalle e indicandomi con la mano che sfila dalla tasca. – Mi molesta.
Muller sgrana gli occhi gridacchiando un: – Prego? – nel momento in cui io vorrei strozzare Xavier ma allo stesso tempo sotterrarmi sotto il cemento in stile “Walled In”. Perché doveva dire tale amenità, insomma?
Il passaggio questa sera glielo do sul tetto dell'auto legato con una corda ai due specchietti retrovisori, altro che sul sedile.
– Sta scherzando! – mi difendo subito alzando le mani all'aria con fare leggermente isterico, mi sa di non risultare troppo convincente se mi comincia a venire il tic all'occhio da manicomio. – Che burlone, vero?
Muller mi fissa sospettoso mentre Xavier si defila lasciandomi da solo col mio datore di lavoro che, palesemente indeciso se licenziarmi all'istante o aspettare venti secondi, incrocia le braccia e mi guarda nella peggiore delle maniere: – Lo sai che Xavier è ancora minorenne, Fenwick? Sei perseguibile penalmente se lo molesti.
– Non molesto Xavier! – sbotto maledicendo mentalmente il ragazzino per avermi messo in questa brutta situazione. Questa me la paga.
– Spero solo di non doverti richiamare per gli stessi motivi di tre anni fa, Fenwick.
– Se quei richiami li lascia a tre anni fa, si fidi, sto anche meglio.
– Problemi con Adair?
Non so se sia più triste che il mio datore di lavoro si preoccupi di farmi un richiamo per presunte molestie o perché si preoccupa della mia relazione omosessuale col mio ex compagno di scuola e di squadra. E' davvero una assai triste storia - che finirà con Kyle illeso, Xavier che se la ride e Himeragi con un nome di merda.
– Pressapoco. – me ne esco senza addentrarmi nell'argomento, facendo poi un cenno a Muller per dileguarmi prima che la situazione possa farsi troppo preoccupante.
Appena due passi alla destra della porta Xavier mi guarda tutto soddisfatto con le mani nelle tasche e un sorriso che potrebbe far tornare in me lo spirito da manicomio che sto trattenendo molto faticosamente in questo periodo insieme alla voglia di fuggire in Guatemala e chiamarmi Ganapati Gulal.
– Tu volevi farmela pagare o sbaglio? – gli domando senza nemmeno girarmi a guardarlo, impegnandomi per reprimere istinti che potrebbero sul serio costarmi la prigione.
– Diciamo pure così. – sorride lui arrivandomi accanto, sbattendo più volte le palpebre da finto innocente.
Adesso lo picchio.
– Non giocare col fuoco, moccioso. – Picchio una delle due lettere sulla sua nuca, porgendogliela poi all'altezza delle mani. – Leggi questa, se vuoi farti perdonare. Io leggo l'altra.
Il rosso annuisce ridacchiando con un'allegria che non è da lui, fermandosi poi con le spalle al muro per appoggiare la schiena e aprire la busta. Mi chiedo sinceramente il motivo della sua spensieratezza in questo momento quando prima potrei giurare che volesse togliermi la carotide a martellate, ma tanto meglio: se lui è contento sembra che anche l'atmosfera tra di noi non sia così lugubre come al solito.
Mi metto così di fronte a lui per scartare la busta, tirando poi fuori la missiva con discreta tranquillità. Questa beata tranquillità però svanisce non appena arrivo nemmeno a metà, sentendo la gola diventarmi secca e un senso di insensata irrequietezza entrare sempre più in circolo nelle mie vene. Alzo gli occhi verso Xavier, lui mi sta già fissando con la mia stessa espressione.
Dove dovevano essere le buone notizie?
Xavier deglutisce e poi, senza alcuna traccia di allegria enuncia il risultato: – Ti hanno proposto di allenare la Nyst.
Annuisco, non capendo forse davvero cosa sta succedendo: – Hanno selezionato Tammie... E anche te. – concludo con la stessa enfasi, fissando queste due lettere a mezz'aria.
Questo mi sa tanto di tragedia in arrivo.
Dove sono i violinisti di Titanic quando servono?






ANGOLO AUTRICE
Eeee sì, finalmente eccoci qui. Non mi sono dimenticata di Swimming Tale ma avevo perso le credenziali di accesso e ci ho messo un po' per ritrovarle.
Ad ogni modo spero che la storia vi continui a piacere e vi lascio quindi in allegato un piccolo spoiler dal capitolo 10!

– Bene, allora siamo sulla stessa barca. Sembri sconvolto.
Xavier mi tende la mano e mi aiuta a rimettermi in piedi, squadrandomi da capo a piedi con i suoi occhietti malefici: – Botta a parte, potrei dire lo stesso di te. Hai pianto?
– E' il freddo.
Il rosso annuisce, guardandomi però con la sua tipica faccia da “dimmi se secondo te ti sto credendo” che diventa poi una smorfia di confusione: – Cosa ci fai qui a quest'ora?
Averlo qui davanti cambia le carte in tavola, cos'ho da perdere se gli dico il vero motivo per cui sono venuto qui?
– Puoi saltare scuola, domani?

A presto pesciolini! :*
Ale xx
  
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