SWIMMING TALE
CAPITOLO NOVE
“Il
mercante di giochi di parole”
L'aeroporto, come ho
descritto tre giorni fa, è uno dei luoghi più malinconici del
mondo.
Persone che vanno e che vengono, fidanzati che si lasciano
e altri che si ritrovano, famiglie che si separano e ragazzi che
iniziano una nuova vita.
Poi c'è Kyle che, arrivatomi di fronte,
mi guarda e mi dice semplicemente: – Lui è Sebastian.
Ora,
potete magnificamente immaginare come la mia espressione si sia
tramutata quando ho scoperto che Sebastian è un cucciolo di Beagle
rinchiuso nella gabbietta a mano che quell'altro deficiente si
trascinava dietro al posto della valigia.
Un cane, okay?
Poteva
essere una borsa piena di vestiti, un regalo, un cadavere da
nascondere o un nuovo arredamento per il tugurio ma no!, un cane.
Mancava il cane, no?
Così è il mio turno di guardarlo da capo a
piedi, portare le mani ai fianchi e finalmente esprimermi: – Perché
hai un cane?
– Mi ha seguito fino a qui.
– Sì, poi si è
messo nella gabbia e ti ha detto “ti prego, bau, portami a casa dal
tuo coinquilino, bau, sono sicuro che abbia spazio in casa per me,
bau!”, vero?
– Ha omesso i “bau” ma pressapoco il
discorso era quello.
La cosa divertente è che Kyle è serio,
crede in ciò che sta dicendo. Mi tiene guardato negli occhi come se
stesse intrattenendo un dibattito di politica e come se fosse del
tutto intenzionato a vincerlo, ma se lo può anche sognare che io
tenga un cane... Faccio già fatica a tenere lui!
– Vedi di
trovargli una sistemazione. – gli intimo sistemandomi gli occhiali
per il nervosismo cresciuto a dismisura nei primi sette secondi in
cui l'ho avuto davanti ai miei occhi, rimettendomi lo zaino sulle
spalle. – Quel coso non starà con noi.
– Ma non
possiamo abbandonarlo!
– Mica ho detto di metterlo per strada,
infatti. Se vuoi facciamo uno scambio: abbandono te e tengo
Sebastian. Ci stai?
Kyle fa una smorfia, inginocchiandosi poi di
fronte al trasportino: – Vedi, Sebastian? Te l'avevo detto di non
seguirmi.
– Tra due mesi compi diciannove anni, imbecille,
dimostrali! – sbotto dandogli un calcio nel didietro, notando come
chi ci sta intorno stia iniziando a guardarci male e a ridacchiare
imbarazzato per la scena. Che c'è? Avete qualche genere di problema?
“Problema” è il mio secondo nome ormai.
– Io non abbandono
Sebastian, Anguilla.
– Ah, bene! – Alzo entrambe le mani in
un segno di imprecazione, dandogli le spalle. – Mi fa piacere che
tu non voglia abbandonare il cane ma non ti fai così tanti problemi
quando si tratta delle persone.
– Devo coglierla come una velata
frecciatina?
– Non era velata.
– Allora scusami, Robin
Hood.
Alzo il dito medio nella sua direzione, andando verso
l'uscita dell'aeroporto. Bene, direi che ci mancava il cane. Ero
talmente in ansia per questo momento in cui avrei rivisto Kyle dopo
tre giorni che mi ero perfino scordato della vasta gamma di cazzate
che avrebbe potuto combinare: e infatti, eccoci qui con un
trasportino rosso e Sebastian.
– E dai, aspettami! – si
lamenta Kyle da dietro rendendo la sua voce stridula e ancora più
fastidiosa del normale, col sottofondo del rumore infernale delle
ruote che strisciano sul pavimento mentre il cane di tanto in tanto
abbaia. – Anguilla, devo ancora dirti una cosa!
Buddha mi deve
dare tutta la sua forza fisica e morale per affrontare questo
individuo che sembra aver stabilito che la sua missione per la vita
sarà rendere impossibile ogni mio giorno, non fregandosene della mia
situazione psicologica messa a repentaglio dalla sua troppo
insistente presenza. Ho reso l'idea della mia disperazione?
Mi
giro così con uno sbuffo, aspettandomi l'ennesima cretinata che mi
farà odiare ancora di più Hick per aver sbagliato la prenotazione
dei posti in dormitorio ancora quasi un mese fa, capendo
immediatamente però di essere finito in una trappola. Senza il tempo
di reazione necessario mi faccio quindi prendere alla sprovvista da
Kyle che, con un'espressione che gli cancellerei dal volto con
varechina mista ad acido fluoridrico, porta repentinamente la mano
destra al mio polso e quella sinistra dietro la mia nuca,
costringendomi a stare fermo per il colpo più basso che potesse
tirarmi in questo momento: un bacio premeditato e a senso unico. Non
si fa così, non proprio ora che stavo metabolizzando la sua presenza
qui a Detroit e non proprio ora che mi ero convinto a poter far
funzionare le cose con la dovuta calma. Questa non mi sembra
esattamente la mia dovuta calma.
Non è nemmeno calma.
Erano
uno dei primi giorni del settembre di tre anni fa: pioveva, faceva
freddo e stavo per diventare un bravissimo bugiardo che avrebbe detto
ai suoi genitori che il suo ragazzo era morto e che invece di andare
al funerale immaginario sarebbe poi andato a bere col suo migliore
amico - più stupido di lui.
Ero bagnato dalla testa ai piedi
perché non mi ero portato un ombrello dal momento che fino a
mezz'ora prima non volevo saperne di recarmi in aeroporto, avevo
probabilmente più freddo di Jack Dawson nell'Atlantico e ancora più
freddo sentivo dentro di me nel vedere Kyle Adair con la valigia tra
le mani che fissava inerme i suoi genitori parlare con una coppia di
amici ad una trentina di metri da lui. Avevo visto i suoi capelli
neri tenuti in un ciuffo appiattito sulla fronte solo dopo essere
stati a letto a dormire o a fare altro - siamo discreti, okay?,
perciò vederlo in quello stato comatoso senza essere io la causa mi
faceva già sentire anni luce distante da lui, come se non mi potesse
sentire nonostante fossi a pochi metri dalle sue spalle.
– Che
ci fai qui?
E invece mi aveva sentito alla grande.
– Come
hai fatto a sentirmi?
Kyle si girò verso di me con un sorrisetto
beffardo, squadrandomi da capo a piedi senza pietà: – Hai il
fiatone e i tuoi passi sono pesanti. Poi le tue scarpe fanno splaf
splaf. Sarebbe difficile non sentirti arrivare per qualcuno che
ti conosce come me.
– Però non sapevi che sarei venuto, se no
non mi avresti chiesto perché sono qui. Forse non mi conosci così
bene.
– Io speravo, Himeragi, che tu non venissi. Ma
sapevo che saresti arrivato, fosse stato anche trenta secondi
prima dell'imbarco.
Lo ammetto: mi faceva rabbia in quel momento.
Ero arrabbiato perché aveva preferito il nuoto alla sua città
natale, alla sua scuola, alla sua famiglia, alla sua vita e a me. Non
lo sentivo come un colpo personale, ma sapevo che sarei stato una
delle persone che avrebbero sentito la sua mancanza come l'aria
quando si è claustrofobici.
E per la cronaca, io ero pure
claustrofobico - allegria!
–
Be', quindi levi le ancore? – gli domandai senza peli sulla lingua,
trovando un coraggio che mai un agnellino come me si sarebbe
immaginato di poter usare contro il proprio predatore. Un piccolo e
gracile nuotatore che si rivolgeva a chi stava per diventare l'idolo
di molte ragazzine troppo esaltate come Shion era un grande
paradosso, a quel tempo.
– Tecnicamente levo le mie valigie
dalla quattordicesima.
– Sesto distretto, numero sette.
–
Che bravo, sai anche il mio indirizzo?
– Ci passo la mia vita a
casa tua.
– Mai sentito parlare di retorica?
Lo guardai
nelle peggiori delle maniere, andando poi a sedermi accanto a lui
chiudendo l'argomento “retorica”, constatando che era l'ultimo
dei miei problemi se prendevo in considerazione il fatto che Kyle
stesse per lasciarmi da solo senza nemmeno più l'attesa di un suo
possibile ritorno. Due giorni prima mi aveva voluto vedere
urgentemente per dirmi della sua partenza, del fatto che volesse
lasciarmi e che non sarebbe più tornato a Detroit. In
quell'aeroporto, bagnato fradicio dalla testa ai piedi, in preda alla
disperazione, io non avevo motivo di esserci: non ero più il ragazzo
di Kyle Adair, ero stato lasciato su due piedi e la persona a cui
tenevo di più se ne doveva semplicemente andare senza troppe storie.
Ma non potevo, alla fine: non glielo avevo mai detto, ma io lo amavo.
Quel genere di “ti amo” che sembra sempre troppo piccolo e che si
ha paura di sbagliare a dire, ma quelle due parole le avevo sentite
più volte nello stomaco quando questo si contorceva per la paura e
l'ansia di non avere più Kyle al mio fianco.
E sì, ero
parecchio complessato per avere quindici anni. Ammesso e non
concesso.
– Non c'erano gli allenamenti oggi? – mi chiese
dopo qualche attimo di silenzio, stringendo le mani attorno al manico
della valigia ai suoi piedi.
– Sì.
– E li hai persi.
Bravo idiota.
– Ma piantala. – lo rimproverai roteando gli
occhi al cielo, alzando gli occhiali sulla nuca per tenere indietro i
capelli bagnati. Gesti di routine, lo faccio ancora oggi se sono
nervoso. E bagnato fradicio. Cosa che sono una la conseguenza e
l'altra la causa, perciò succede qualcosa come ogni volta che
dimentico l'ombrello. – Non me ne frega se mi hai lasciato, so che
non ti posso tenere qui ma non potevo pensare al tuo ultimo ricordo
come tu che mi dici che non ti frega della tua vita qui a Detroit e
che hai accettato l'offerta senza dirmi niente perché tanto meno di
frega di me.
– Lo sai anche tu che non lo penso. Speravo di
tenerti distante da qui.
– Tenta qualcosa di più convincente,
la prossima volta. Sempre che ce ne sia una, ovvio.
Kyle fece un
sorrisetto dispiaciuto, guardandomi con la coda dell'occhio di
sottecchi: – Cerchi di demolirmi, adesso?
– Nah, –
ricambiai la sua occhiata di sfuggita, guardando però davanti a me
per dimostrarmi un po' più forte rispetto al mio crogiolarmi
continuo. – Solo fartela pagare un po'.
– Sarebbe meglio che
tu tornassi a casa, Himeragi. Tra un po' il volo parte e alcuni
nostri compagni verranno a salutarmi.
– Io resto finché non ti
vedo più dall'oblò.
– Non fare il drammatico, non puoi farmi
questo favore? Te lo chiedo in ginocchio: va' a casa.
Senza
nemmeno metterci d'accordo ci alzammo tutti e due allo stesso tempo,
fronteggiandoci con i nostri sei o sette centimetri di differenza.
–
Se non te ne frega di me non dovrebbe farti né caldo né freddo la
mia presenza, o no?
Stronzo fino al midollo già da ragazzino. Che
gioiello!
– Himeragi, non dire stronzate, lo sai che io... –
Si bloccò improvvisamente, mi guardò negli occhi con una strana
scintilla negli occhi e passò la mano sulla mia guancia bagnata. –
Lo sai che io ti a...
E poi capii.
Capii che non volevo una
scena da film romantico, capii che Kyle mi stava veramente lasciando
senza pietà e che, ancora una volta, aveva dato dimostrazione del
lato di lui che lo aveva portato ad entrare in contatto con me nel
principio. La nostra non era una bella storia: faceva acqua da tutte
le parti.
Letteralmente.
– Non lo voglio sentire. – lo
interruppi prima che potesse atterrarmi una volta per tutte,
guardandolo negli occhi con la più disperata espressione che sapessi
fare. – Non sarò il povero ragazzo a cui è stata detta la più
smielata dichiarazione d'amore in aeroporto prima della partenza del
suo ex ragazzo. Mi fa schifo questo ruolo, io non lo voglio avere e
tanto meno ti puoi permettere di dire una cosa del genere in
un'occasione così. Preferisco vederti andare via sapendo che mi hai
lasciato perché non te ne frega di me e non sapendo che mi ami o
cazzate simili.
Kyle
sospirò, forse non deluso dal suo non essere riuscito a terminare la
frase ma più che altro dalla durezza che utilizzavo nel momento
terrificante dell'addio. Per qualche secondo forse fu solo indeciso
sul da farsi, ma alla fine mosse un passo avanti e mi baciò,
noncurante del fatto che fossimo in mezzo ad una marea di gente, del
fatto che io fossi bagnato dalla testa ai piedi e del fatto che
quelli sarebbero stati i nostri ultimi minuti insieme.
Credetemi,
sono sicuro che due ragazzini di quindici anni che si baciano in
aeroporto siano davvero una scena comica, non pretendo nemmeno di
essere sembrato come realmente mi sentivo ma, se vi fidate, penso sia
stata la sensazione più brutta che io abbia mai provato: toccare il
cielo con un dito tre giorni prima ed essere scaraventato a terra
dalla stessa persona che mi aveva permesso di andare così in alto.
– Allora ti lascio, Himeragi. – mormorò una volta che ci
staccammo, assumendo l'espressione che avrebbe ingannato chiunque se
di fronte a lui non ci fossi stato io. – Mi sono stancato di te.
Quasi mi venne da ridere in quel momento, ma mantenni una
facciata pressoché seria e giocai per l'ultima volta con lui: –
Tutto qui?
– No, ovviamente. – borbottò, incrociando le
braccia e squadrandomi da capo a piedi come faceva due anni prima - e
gli riuscì tremendamente bene. – Sei noioso, petulante e immaturo.
Io ci ho provato ad accettarti così come sei, ma siamo troppo
diversi e con uno come te io non potrei passare una sola ora di più.
Tra l'altro sei anche troppo sentimentale e a letto fai troppo rumore
e rischiamo ogni volta di farci beccare. Capisci che non possiamo
andare avanti, vero?
Annuii, fingendo di riflettere: – Lo
capisco, mi dispiace che sia andata così.
Kyle aggrottò le
sopracciglia, cambiando per un secondo espressione e pizzicandomi la
guancia: – Così non sei credibile, Anguilla. Dov'è il dramma?
–
Vuoi anche il dramma? Che pretenzioso. – Scacciai la sua
mano dalla guancia, assumendo di nuovo la maschera della recita. –
Ecco, vuoi sapere una cosa? Sono d'accordo con te, ci lasciamo, è
finita! Ma la vuoi sapere una cosa? Sei la peggiore delle persone che
io abbia mai conosciuto. Sei manchevole, sempre distratto e non ti
sei mai preoccupato per me; non hai mai fatto niente per farmi fare
meno rumore quindi la colpa è anche tua e infine sappi che di
sentimenti tu non capisci proprio nulla!
Kyle ridacchiò,
coprendosi la bocca con la mano per non lasciar trasparire il suo
sorriso: – Allora è ufficialmente finita, Himeragi. Nessun
rancore?
– Spero tu vada sotto un camion a New York.
–
Ancora rancore, ho capito. Posso almeno darti un amichevolissimo
abbraccio di addio?
Sorrisi, alzando le spalle ma alla fine
acconsentendo, fiondandomi tra le sue braccia e rannicchiandomici
dentro per quella che sarebbe stata - o almeno così credevo -
l'ultima volta. A quanto ricordo è successo di nuovo... ah sì, tre
giorni fa.
Sentivo la sua mano scorrere lungo tutta la mia
schiena, forse per calmarmi prima che mi facessi davvero prendere dal
panico e che cominciassi a piangere come un cretino come succedeva
ogni volta che andavamo al cinema a vedere film drammatici - per la
sua immensa gioia.
– Sappi che comunque sono arrabbiato. –
gli feci presente ancora con le mani a stringere la stoffa della sua
camicia. Molto credibile, vero?
– Sì, sì...
– E non fare
finta di crederci.
– Lo sai che ti adoro?
– Va' al diavolo,
Kyle.
Lui sospirò, prendendomi poi il viso tra le mani e
guardandomi dritto negli occhi prima di baciarmi. Ora, gli occhi di
Kyle per me erano sempre stati emblematici, scuri come i capelli e
come le intenzioni che non lasciava mai trasparire, ma in quel
momento li lessi meglio di quanto avessi mai fatto in due anni: mi
stava dicendo ciò che non gli avevo lasciato dire, e gli credetti.
Non ho mai avuto dubbi su questo, mai una volta; che poi fosse uno
stronzo quello dipende da altre circostanze.
– Mi sa che devo
tornare a casa. Mia mamma non ama che io stia con te, dice anche lei
che tu sia un bastardo. Quindi... Buon viaggio, Kyle.
Lui mi
sorrise, annuendo piano mentre il mio temperamento tranquillo
iniziava a crollare in un baratro in cui non avrei mai più trovato
nulla se non mera disperazione: – Grazie di tutto, Himeragi.
Tornando alla calma, la sto proprio perdendo.
Un
conto è che io e lui fossimo fidanzati, che lui fosse tornato da un
viaggio di un mese, che non si fosse portato un cane di nome
Sebastian dietro e che io fossi contento della situazione generale;
un altro è però che tutte le precedenti condizioni siano l'esatto
contrario e che lui si stia permettendo di baciarmi dopo i chiari
paletti che ho precedentemente e accuratamente messo.
Okay, lo
ammetto: mi sento schizzare in aria dall'adrenalina che mi sta
scorrendo dentro ma allo stesso tempo vorrei che fosse lui quello a
decollare verso l'infinito e oltre per poi schiantarsi
brutalmente contro il suolo. Con affetto, ovviamente. Per avere
diciotto anni riconosco che non so gestire molto bene la situazione
bacio-dell'-ex-in-aeroporto, ma la saprei gestire decisamente meglio
se fossi lucido nei suoi confronti. Il punto è che, sebbene la
sensazione delle sue labbra non mi sia nuova di recente data la mia
magnifica sbronza post visita dei miei genitori, mi sento ancora un
bambino quando si tratta di lui. Ho ancora la tendenza ad attaccarmi
a lui e ad avvertire quel genere di calore che neanche una coperta
riscaldata saprebbe farmi provare, come un non voler nemmeno
accettare l'idea di un possibile allontanamento dal suo corpo.
Sono
un idiota, lo so, perché nonostante io non faccia altro che negare
quando poi arriva la resa dei conti mi comporto esattamente come
facevo a quattordici anni, ma il fatto è che questo dannato ragazzo
è indelebile come anche il più piccolo tatuaggio nel più nascosto
centimetro di pelle è e non mi lascia via di scampo in qualsiasi
senso mi prenda. Potrei provare a fare resistenza con tutte le mie
forze, fino allo stremo, e sono sicuro che il risultato sarebbe
uguale all'inizio.
L'unica cosa che mi riporta sulla retta via -
grazie Dante per l'espressione - è la lingua di Kyle che si permette
un po' troppo e merita quindi la vecchia arma che usavo nella stessa
maniera tre anni fa: i denti.
Quando li serro, infatti, non so
dire se il guaito venga da Sebastian o da Kyle nel momento in cui si
stacca e porta una mano davanti alla bocca, serrando forte gli occhi
in una smorfia di dolore. Oh, che bello. Musica per le mie orecchie.
– Schifoso assassino da quattro soldi! – borbotta
piagnucolando come un idiota, facendomi automaticamente sorridere per
una scena che sa molto da déjà-vu. – Come hai potuto?!
–
Tu hai pomiciato con me qui in mezzo a tutti! E' il minimo,
maniaco!
– Mi pare ci stessi anche tu!
– Solo un attimo di
défaillance.
– E 'sti cazzi, Himeragi. Cosa c'era di
male?
Mi sistemo di nuovo gli occhiali, guardandolo male mentre
ci rimettiamo in cammino in compagnia di Sebastian: – Forse il
fatto che le regole stabiliscono chiaramente che non ci deve essere
contatto fisico?
– Permettimi di contraddirti. – In due
falcate riesce a mettersi al mio fianco, guardando dritto davanti a
sé mentre però sorride soddisfatto. – Uno, siamo fuori casa e le
regole non sono valide. Due, sei quasi venuto a letto con me poco più
di due settimane fa. E se vuoi togliamo il “quasi”.
– Non
sono venuto a letto con te in tutti i sensi della parola. –
specifico, cercando di infliggere meno colpi possibile alla mia
dignità.
– Fammi indovinare, un altro attimo di défaillance?
– Debellati.
– Certo che potevi almeno fare il
letto. – Kyle mi guarda male mentre entra nella camera da letto per
la prima volta da quando siamo arrivati, strofinandosi i capelli
bagnati facendo strane facce buffe.
Dal canto mio, spaparanzato
come mai nella vita e con Sebastian accoccolato di fianco a me, mi
limito a fare un cenno di disinteresse e ad osservare il cretino che
si lancia sul materasso a mo' di wrestling.
John Cena dei
poveri.
– Mi chiedo quanto si divertirà Landon ad averti per
casa e sentirti dire di rifare i letti. – ribatto con un sorrisetto
che punta all'ennesima frecciatina, constatando che forse potrei
stare leggermente esagerando. A mia discolpa dico comunque che so di
essere incoerente con ciò che dico o con come agisco, ma è Kyle ad
inibire tutto il mio buon senso e le mie buone intenzioni: io ci
provo, ma stiamo parlando di un ex ragazzo che deve andare a
convivere col suo ex ragazzo e che mi ha appena baciato in aeroporto.
Capite perché non ho molta lucidità a riguardo?
– Landon ha
una soglia di sopportazione molto più alta della tua, Anguilla.
–
Ha anche cinque anni in più di me, se è per questo. Ripensandoci,
non potevi restare là?
– Disse quello che fece la scenata di
gelosia via webcam. Molto credibile, Himeragi.
Lo guardo di
sbieco, notando come il sorrisetto nato sul suo viso mi mandi su
tutte le furie dato che è proprio lui ad avere ragione in questo
caso. Ogni mattone che posiziono sul precedente per creare il mio
muro di indifferenza viene prontamente demolito buttando giù anche
la colonna sotto di esso, lasciandomi con un foro irreparabile a cui
far fronte. Ogni colpo inferto dai suoi sorrisi soddisfatti è sempre
più profondo e butta giù sempre più mattoni alla volta,
lasciandomi completamente scoperto e privo di difesa, cosa che mi
porta poi ad avere i miei famosi attimi di défaillance.
–
Quindi la casa è a posto? – gli chiedo per cercare in qualche modo
di dimostrare di non avere troppe riserve sull'argomento “convivenza
con Landon” anche se in realtà ne ho così tante che potrei
crearne una naturale e darla ai castori.
Adoro i castori.
Kyle
si mette su un fianco, dandomi la fronte e passandosi la mano tra i
capelli scuri col suo solito fare da bello e impossibile: –
Manca ancora il frigorifero e uno dei due materassi ma Landon ha
detto che se ne occuperà lui, quindi se non ci sono problemi dovrei
restare qui a Detroit.
– Finché la vostra piscina non sarà in
ordine. – preciso con un tono di voce che però nella mia mente
suonava in tutt'altra maniera, risultando quasi triste. Bravo Hime,
continua a farti scoprire così, vedrai come Kyle rispetterà le
regole se gli dai il continuo via libera!
Come previsto infatti
Kyle assume un'espressione pensierosa, guardandomi negli occhi per
provare forse a capire che diavolo io stia pensando - cosa che sarei
molto curioso di capire anch'io. Il punto è che nemmeno io riesco a
fare chiarezza su ciò che voglio in questo momento: se vorrei che
restasse senza andarsene mai più o se vorrei che se ne andasse
domani mattina. Ho così tanti pensieri che mi fluttuano per la mente
che anche solo l'idea di prenderne uno in considerazione mi fa girare
la testa, avrei tanto voluto restare lucido e tenere il giusto
temperamento nei confronti di tutta la vicenda di Kyle qui a Detroit,
ma ad ogni minuto che passa ho sempre più confusione dentro di me e
mi sembra che non sia passato un solo minuto da quel giorno di
gennaio in cui mi baciò la prima volta negli spogliatoi. Sono un
tipo parecchio legato al passato, lo ammetto.
– Cosa devo fare
con te? – sbuffa lui, distendendo il braccio sul materasso e
lasciando quindi la testa ricadere sulla sua spalla. – Dimmi cosa
mi devo inventare, ti prego. Ogni cosa che faccio non va bene e poi
mi dici il contrario, tra l'altro prendendotela anche più del
dovuto. Non so più come scusarmi per essere partito ma tu sembri
continuare a volermela far pagare, anche io ho un limite anche se si
tratta di te. Ti chiedo solo di non tirare troppo la corda dal
momento che sai di avermi sul palmo della mano.
Ha ragione: ora
l'idiota sono io, non c'è ombra di dubbio. Possiamo negarlo? No, non
possiamo perché non ha nemmeno l'accenno di un leggero torto, non
c'è una singola cosa sbagliata che abbia detto.
Accettalo,
Himeragi, perché questa volta non puoi ribattere o nasconderti
dietro stupidi flashback di tre anni fa: davanti a te hai il ragazzo
che non hai mai dimenticato, che ti fa ancora sentire come un
imbecille - cosa che comunque realmente sei - e che, anche se non
intenzionalmente, stai usando nella più meschina delle maniere.
–
Mi dispiace. – mormoro quindi abbandonando tutte le mie difese,
lasciandomi completamente scoperto da un mese a questa parte. –
Davvero, mi dispiace, Kyle. Non so perché io mi stia comportando
così, credevo che avrei saputo tenere sotto controllo l'averti così
vicino a me ma non è così, sto solo facendo tanta confusione e non
ho assolutamente l'intenzione di tirare la corda, sfruttare il fatto
di averti sul palmo della mano e cose simili perché sai che non sono
così, tu mi conosci. Mi stai solo mandando fuori di testa.
– Mi
piace il “solo”, come se “mandarmi fuori di testa” fosse una
cosa da poco. – Finalmente sorride, questo basta già a sollevare
tutto il peso che sento gravare in questa stanza. – Anguilla,
potremmo anche dire di essere adulti ormai, no? Eppure ci stiamo
comportando entrambi come bambini. Ammetto che non sono sempre
“facile” da tenere a bada e so che magari può averti dato
fastidio il fatto che abbia approfittato di te... in più
occasioni... ma insomma tu eri ubriaco e poi c'era l'atmosfera del
ritorno dopo tre giorni lontani quindi ehi!, nessun rancore?
Lo
guardo con gli occhi spalancati.
Io.
Sono.
Allibito.
Da
tale scemenza.
– Ehi, hai gli occhi verdi. – constata come
un idiota, avvicinandosi di più al mio viso. Un attimo, che
giochetto è?
– Ma dai? Adesso me lo dici? – lo prendo in giro
a mia volta, sentendomi però affogare invece nei suoi, macchie nere
senza la minima sfumatura di colore che non lasciano spazio ad alcun
genere di emozione languida: solo algido nero, difficile da leggere
ma tiepido una volta esserne venuti a capo.
– Stupida Anguilla.
– ridacchia prima di trovare il mio consenso per poi baciarmi,
azzerando i pochi centimetri tra di noi e facendo quasi prendere
paura a Sebastian - special guest della serata. Dal contatto
delle nostre labbra non ci vuole molto prima che io mi ritrovi
quell'energumeno di Kyle sopra di me, Sebastian che ormai ci ha
mandati a quel paese e se n'è andato nella sua cuccia provvisoria
alias la poltrona e le nostre magliette già sul pavimento. Non è
più l'emozione che sentivo da ragazzino, ora è una morsa che si
propaga prima agli istinti e poi al cuore, facendolo battere per
l'adrenalina che inizia a scorrere anche nelle arterie. Forse sto
facendo una cretinata, ma non la sto facendo senza averla prima
pensata. Se volessi smettere mi basterebbe alzarmi da questo letto e
andare in cucina, ma non mi dà fastidio sentire la sua pelle sulla
mia né tanto meno le sue mani che sfiorano luoghi lasciati in pace
da un po' di tempo ormai. Ci sono con la testa, non sto vagando né
pensando a quanto stupido mi potrò sentire dopo, semplicemente
lascio andare e lascio i rimpianti a quando sarà ora di averne,
cercando di svuotare completamente la mente e di permettere quindi a
Kyle di trasportarmi come ha sempre saputo fare. Devo ammettere che
la sensazione di intimità non è poi così strana come avevo
immaginato, è solo da rispolverare un po' ma del resto mi sento -
stranamente - tranquillo, so che sto facendo questa cosa
consenzientemente e che sono grande abbastanza per capire se ciò che
faccio rientra nelle mie volontà o meno: boxer sul pavimento, la
volontà c'è al cento per cento. E' tutto come ai vecchi tempi, i
modi di Kyle non sono cambiati - e con essi anche la sua mancata
gentilezza nei movimenti per la mia gioia, riusciamo ad
equilibrare momenti frettolosi a momenti più lenti e calmi e,
finalmente, esistiamo solo noi e nient'altro di mezzo - da leggere
proprio letteralmente, non ci sono nemmeno i calzini.
Spero solo
che non ricominci la telecronaca.
– ...guilla, giuro
che ti conviene svegliarti o ti ammazzo nel sonno.
Ah, questi
risvegli sempre dolci e affettuosi, come non adorarli? Uccellini che
cinguettano, sole che filtra dalle finestre e il proprio ragazzo che
serve la colazione a letto.
Un mondo piuttosto utopico, no?
La
realtà è che credo che gli uccellini siano affogati nei loro nidi
per tutta la pioggia che è scesa stanotte, attualmente sta nevicando
e dalle finestre filtra solo un gran freddo e per finire il mio
non-proprio-ragazzo mi sta scuotendo da dieci minuti per buttarmi giù
dal letto. Senza colazione.
Capite la crudeltà?
– Kyle... –
biascico senza troppa vitalità nel tono, spiaccicando la mia faccia
sul cuscino rendendo praticamente impossibile la comprensione delle
mie parole. Non ho la minima voglia di alzarmi, non di certo dopo la
notte che ho passato... Insomma, anche io ho bisogno di risposo dopo
un certo genere di attività.
– Ti ha chiamato
Muller.
Riposo? E chi ne ha bisogno?
– Sono in piedi! –
esclamo levandomi le coperte di dosso con uno scatto, mettendomi
seduto senza badare al famoso dolore che avevo quasi dimenticato.
Ahia.
– Mettiti almeno i boxer. – mi prende in giro il
simpaticone lanciandomi addosso l'indumento, uscendosene poi con un
sorrisetto che potrebbe facilmente provocare in me un tic nervoso. –
Devo dire che non sei peggiorato a letto, Anguilla.
Che
meraviglia sentire queste perle di dolcezza alle sette e mezza della
mattina. Mi riempiono sempre di poesia.
– Il che implica che io
sia peggiorato in qualcos'altro. – gli faccio notare con una non
esattamente gentile espressione, infilandomi i boxer per poi alzarmi
finalmente dal letto sotto lo sguardo attento del mio aguzzino.
Questa cosa mi mette ansia, dovrebbe smetterla di farmi sentire sotto
costante esame.
– Sei solo un po' più complicato. – risponde
con una semplice alzata di spalle, bloccandomi però prima che io
possa varcare la soglia. Bene, cosa vogliamo fare con Himeragi che
vuole passare col braccio di Kyle ad impedirgli il passaggio come in
una drammatica soap opera argentina? Da sottolineare il fatto che in
casa ci siano appena diciassette gradi e che siamo uno in boxer e
quell'altro appena uscito dalla doccia - sì, ha la mania per l'acqua
calda quel ragazzo, giuro che la bolletta la divideremo.
–
Kyle, devo andare in bagno. – puntualizzo con un che di “fammi
passare o ti castro”, indicando con lo sguardo il corridoio di
fronte a noi che porta alla mia Terra Promessa.
Lui mi guarda
invece con un'espressione che non so se interpretare come minacciosa
o semplicemente spaventosa, facendo crescere in me il vecchio
sentimento di timore nei momenti in cui ancora non riuscivo a
prevedere le sue mosse e mi lasciavo costantemente prendere alla
sprovvista.
– Perché me l'hai lasciato fare?
Lo guardo
stranito, la risposta sembra alquanto ovvia: – Be', in realtà non
te lo sto lasciando fare, sei tu che continui a impedirmi di passare
di là...
– Non... questo, Anguilla. – Penso stia per
prendere un coltello e ammazzarmi. Quoterei. – Stanotte, dicevo.
Ottimo Hime, bella figura di merda!
Non so nemmeno io cosa mi
sia preso stanotte, speravo che l'argomento fosse archiviato nel
momento in cui ci siamo messi a dormire e che non venisse più tirato
fuori, invece eccoci qua col suo sguardo accusatorio e con le mie
parole che vengono meno alla mia volontà.
– Non te l'ho
“lasciato fare”. – gli faccio presente sperando di risultare
fermo nel tono della voce. – C'ero dentro anch'io.
Lui mi
guarda con un sorrisetto, grattandosi distrattamente il retro del
collo: – Non eri esattamente tu quello dentro, in realtà...
–
Sei un porco senza religione.
– Cerco solo di farti ridere un
po'. – si difende alzando le mani all'aria, lasciandosi poi andare
ad uno sbuffo che assomiglia più all'uragano Camille del '69. –
Sei sempre teso, accidenti a te. Stanotte eri... diverso. E' per
questo che volevo sapere cosa ti è preso, perché l'hai fatto.
Pensavo non ne volessi sapere.
– Non mi ascolti abbastanza
attentamente, se è così. – ribatto, trovando il coraggio di
essere io a muovere un passo verso di lui, questa volta: appoggio
quindi la mia mano sul suo collo, avvicinandomi un po' di più al suo
viso. Wow, sono sorpreso da cotanta spavalderia nelle mie gesta.
– Ti ho detto che avrei provato ad innamorarmi di nuovo di te ed è
quello che sto facendo. Non mi pento di ciò che ho detto e nemmeno
me lo rimangio, l'aver passato la notte così è simbolo della
riuscita di tutto ciò. Devi solo darmi un altro po' di tempo.
–
Quindi deduco che tu non ne fossi del tutto convinto, questa notte.
Ma, ad ogni modo, ti darò quanto tempo vuoi, Anguilla. – mi
sorride finalmente in modo sincero, senza l'ombra di ironia sul suo
volto. – Ma non prendermi in giro. So di meritarmi il trattamento
di sfavore, ma con te io ho smesso di giocare. Spero solo che tu non
voglia farmela pagare.
Questi discorsi filosofici alle sette e
trentotto della mattina stonano completamente con l'immagine che Kyle
tende sempre a dare di sé, ma è proprio in questo modo che, anni
fa, mi ha fatto capire che sotto la facciata da stronzo cronico
patentato c'era in realtà un lato di lui che sapeva analizzare e
capire le situazioni nel migliore dei modi in maniera tale da
permettergli di usare anche le parole più adatte per giocare a suo
favore.
E per quanto costi ammetterlo, ci riesce alla
perfezione.
Che gran bastardo.
Dopo una serie di conflitti
interiori che manco Unione Sovietica e Giappone nel 1904, mi alzo
infine sulle punte facendo leva sulla mia mano appoggiata ora alla
sua spalla per tirarmi su e lo bacio, mandando momentaneamente a quel
paese tutti i miei buoni propositi di una vita sana e salutare senza
sbalzi umorali che potrebbero causare il mio impanicamento cronico.
Invece io mi impanico.
Madonna se mi impanico.
– Che
diavolo era questo, Anguilla? – ridacchia lui nel momento in cui i
miei talloni toccano di nuovo terra, guardandomi quasi stranito nel
senso però bello della parola, quel genere di confusione che fa
arrossire anche me. Okay, io arrossisco anche se vedo Sebastian
ringhiarmi contro ma questo è un altro conto, queste sono guance
rosse come il cappuccio di Cappuccetto.
– Era un “passa una
buona giornata senza starmi troppo tra i piedi e niente effusioni in
pubblico”, in realtà.
– Uh, modo efficace per esprimerlo. Ti
assicuro che avevo intuito esattamente tutto il messaggio.
–
Chiaro, vero?
Kyle mi guarda con un sorriso divertito, lasciandomi
finalmente passare con un pizzicotto sulla mia natica già dolorante:
– Cristallino.
Rileggo il messaggio del rettore in cui
mi dice di raggiungere quanto più velocemente possibile il suo
ufficio, preparandomi quindi mentalmente a vedere Albert Muller alle
otto e quaranta di mattina dopo una nottata passata quasi del tutto
insonne - per buone ragioni s'intende.
Il corridoio del college è
deserto come al solito dal momento che siamo in orario di lezioni,
non si sente una mosca volare se non per...
Be', un fischiettio
alquanto familiare devo ammettere.
Ditemi che non è come penso,
vi prego.
Un ragazzo pel di carota spunta da dietro l'angolo con
un caffè in mano e le cuffie alle orecchie, spalancando gli occhi
celesti non appena si accorge della mia presenza. Forse ha appena
capito di essere nei guai.
– Ti ammazzo.
– Partitina a
nascondino?
– Xavier.
Il rosso si sfila le cuffie
dalle orecchie, sorridendomi innocentemente ma con una leggera nota
di giustissima disperazione: – Conto io?
Mi spalmo la mano
sulla fronte, sospirando. Kyle e Xavier potrebbero senza dubbio fare
a gara su chi riesce meglio a farmi andare fuori di testa dal momento
che non so chi temere di più, posto anche che uno è un diciottenne
con manie infantili e quell'altro è un sedicenne troppo vissuto.
–
Perché non sei a lezione?
– Tecnicamente avrei ginnastica,
adesso. Non credo che Schneider volesse esattamente vedermi.
–
Potevi almeno presentarti, no? Poi ti avrebbe cacciato via, ma almeno
ti saresti fatto vedere.
– Oh sì, aspetta che prendo anche il
Galateo e stendo un tappeto rosso al professore di ginnastica che
vorrebbe vedermi annegato piuttosto di vedermi correre nella sua
palestra. Meglio rosso o blu, il tappeto?
Lo guardo male, gli
darei volentieri un leggero schiaffo come farei di norma ma ho tanto
l'impressione che finirei per vedere il suo bicchiere di caffè fare
la stessa fine delle cascate del Niagara, così mi evito la parte
scomoda del mio tentato gesto e mi limito a uno sbuffo, tanto non
avrei lo stesso più di tanta influenza su questo marmocchio.
–
Vuoi venire con me? – gli propongo alla fine, guardandolo con la
coda dell'occhio.
Xavier abbassa rapidamente lo sguardo dopo
averlo tenuto sulla mia maglietta per qualche istante, stringendo
appena la presa sul bicchiere. Da dove viene questo genere di
reazione bizzarra?
– Qualcosa non va? – gli chiedo guardandolo
ora negli occhi, posando lentamente la mano sulla sua spalla. Ammetto
di essere addirittura spaventato da certe espressioni di questo
ragazzo: quando non si capisce cosa gli passi per la testa diventa
rischioso qualsiasi genere di mossa. Ammettiamolo, sembra che io stia
parlando della SWAT più che di un ragazzo di sedici anni.
Himeragi
e i complessi.
Lui alza quasi a fatica lo sguardo, sperando
forse di vedermi svanire nell'istante in cui i suoi occhi incatenano
i miei - l'espressione dell'affetto, insomma: – Che hai fatto al
collo?
Al collo?
Passo rapidamente la mano sulla pelle,
capendo solo nell'istante in cui sento dolore la causa della reazione
di Xavier e la stessa causa del mio molto molto prossimo attacco di
panichira.
Sì, panichira. Panico e ira.
Come spiego
ora a Xavier che Kyle ha portato un Beagle di nome Sebastian da New
York, che mi ha baciato in aeroporto, che mi ha fatto capire quanto
io sia idiota e che mi ha convinto del fatto che andare a letto con
lui fosse un'idea grandiosa e che mi ha portato ad avere una serie di
piccole ma fastidiose macchie violacee sul collo?
Non che mi sia
pentito di aver preso in considerazione l'idea, ma della parola
“grandiosa” distinguerei la parte “grandi” dalla parte “osa”
e quest'ultima la attaccherei al prefisso “dolor”. Oggi siamo in
vena di giochi di parole.
– E' stato lo spigolo del tavolo.
Xavier alza le sopracciglia, fissandomi accigliato: – Spiegami,
stavi mangiando in ginocchio per prenderti lo spigolo sul collo?
–
Pregavo. – Sì Hime, non ci cascherà mai. – … Buddha.
Ora
sì che ragioniamo! Ci crederà di sicuro!
– Pensi che non sia
abbastanza grande da riconoscere un succhiotto, Anguilla? – Xavier
mi squadra da capo a piedi, peccato che non ci sia la minima traccia
di scherzo o di gioco nel suo intero comportamento momentaneo. Credo
che, per qualche astruso motivo, questo ragazzo si sia
improvvisamente arrabbiato a morte con me.
Arrivo quindi a
deporre le armi nella speranza di ottenere pietà dallo sguardo
troppo adulto di Xavier, ammettendo le mie colpe senza giri di
parole: – Hai ragione, scusami. E' stato Kyle.
– Ma non
dirmi. – commenta sarcastico lui, avvicinandosi poi per scostare la
mia mano dalla sua spalla ma in compenso per portare la sua
esattamente sulla zona incriminata del mio collo.
Fermate tutto,
cosa diavolo sta facendo questo piccolo assassino di pace
psicofisica?
Mi ritrovo costretto a deglutire e il contatto con i
suoi occhi sembra impensabile al momento, sento solo una strana
sensazione che ci rinchiude in un contesto solo nostro e
incredibilmente alienante nonostante la familiarità che avrei
giurato ci fosse tra me e lui.
Calmo Hime: è solo Xavier. Non è
Kyle, non può fare mosse troppo disturbanti per te, ha un
registro da rispettare e lo rispetterà, non ha mai avuto motivo per
trasgredire alle regole non scritte tra di noi - nonostante
ultimamente ci stiamo lasciando troppo andare agli abbracci e a
discorsi parecchio compromettenti.
– Cos'è, sei agitato? –
mi prende in giro con un sorriso divertito, continuando a passare il
dito sulle mie ferite di guerra. Che simpatico, fa pure umorismo!
–
Piantala, moccioso. – ribatto quindi cercando di mantenere la calma
e di guardarlo come se niente in realtà stesse succedendo, come se
lui non si stesse permettendo così tanto nei miei confronti e come
se lui sapesse a cosa sta andando incontro se intende andare avanti
ancora a lungo. Purtroppo io passo sopra a ogni genere di “azione
disturbante” nei miei confronti, ma quando queste sfociano in un
campo troppo intimo comincio a cercare incoscientemente una via
d'uscita, sia essa anche ribaltare i ruoli della potenziale brutta
situazione.
– Non pensavo ti desse fastidio questo genere di
contatto. – constata il rosso tirando decisamente troppo la corda,
mandandomi in tilt con il solo obbiettivo di uscirmene illeso da qui.
Mi dispiace, ma se l'è cercata.
Con i residui delle lezioni
di autodifesa che un insegnante di passaggio ci insegnò in seconda
superiore riesco quindi a liberarmi dalla presa di Xavier e a
ribaltare i ruoli, trovandomi dietro di lui con una mano che cinge il
suo busto e l'altra sulla sua guancia a tenere il volto girato verso
destra e quindi tutto il lato sinistro del collo libero.
–
Proviamo a vedere se a te dà fastidio? – mormoro al suo orecchio
solo dopo essermi assicurato che i corridoi siano ancora vuoti. Non
vorrei mai che Muller mi vedesse di nuovo in queste condizioni, mi sa
che il suo prossimo passo sarebbe chiedere il mio espatrio.
Xavier
si irrigidisce in un istante, portando le mani sui miei polsi senza
però voler veramente difendersi. Non riesco a vedere la sua
espressione ma sono quasi del tutto sicuro che le sue guance siano
rosse come poche volte ho visto essere e che si stia mordendo il
labbro inferiore come è solito fare quando si trova nei guai - cosa
che succede piuttosto frequentemente devo ammettere. Non voglio
fargli prendere paura o altro, voglio solo fargli capire quanto sia
irritante giocare su questo genere di argomenti e spero di riuscire
nella mia impresa senza causargli un trauma. Prego Dio che poi non
ricomincino le lettere minatorie sul parabrezza della mia auto
scrausa.
– Agitato? – chiedo quindi con lo stesso tono che
lui ha usato poco fa con me, sentendo con la mano appoggiata sulla
sua guancia la mascella irrigidirsi per deglutire. Mi sa di aver
centrato nel segno.
Anche se il mio istinto mi spingerebbe ad
andare oltre per la mia natura mi limito solo a soffiare sulla pelle
tirata appena sotto l'orecchio sinistro, liberandolo dalla presa
subito dopo. Purtroppo credo di avere difficoltà a mettere dei
paletti su “questa persona è Kyle” e “questa persona non è
Kyle”. Facile, direte voi, Kyle è solo una persona su sette
miliardi, ma non lo avete mai conosciuto. Kyle Adair è uno,
nessuno e centomila - sì, è solo un modo carino per chiamare la
mia sporadica ossessione compulsiva verso di lui.
– Accidenti a
te. – sibila tra i denti Xavier, alzando gli occhi furenti verso di
me mentre porta la mano sulla zona a cui ho dato fastidio. – Falle
con Adair queste cazzate.
– Devo ammettere che farle con te è
più divertente. – lo prendo in giro solo per un secondo,
rendendomi però conto di star tenendo un comportamento che non è da
me e che potrebbe fargli davvero male. Che diavolo mi sta succedendo?
– Stai bene?
– Che ne pensi di lasciarmi in pace? – ribatte
lui, prendendo bruscamente le distanze da me e gettando il bicchiere
quasi vuoto nel cestino.
– Oh, andiamo! – Recupero i due
passi che ci allontanano, guardandolo negli occhi che chissà cosa
stanno nascondendo. – Stavo scherzando, Xavier. Mi dispiace.
Il
rosso si dimostra di nuovo protetto da un infinito numero di muri
invalicabili, scrutandomi con diffidenza come se in un nanosecondo
riuscisse a resettare tutto ciò che insieme abbiamo passato: – Non
puoi scherzare su queste cose con me. Non farlo più.
Alzo le mani
all'aria, colto in contropiede dalla serietà del tono di voce di
questo ragazzo che continua a spiazzarmi nonostante sembra avermi già
rivelato tutte le sue carte. Cosa ci posso fare se io sono un idiota
clinico e non capisco mai fino dove posso spingermi prima di
combinare qualche disastro dei miei?
– Scusami. – ripeto,
veramente mortificato nel riconoscere la mia immonda stupidità nei
confronti di Xavier. – Posso farmi perdonare?
– Stasera mi
dai un passaggio. – borbotta abbassando gli occhi come se fosse
infastidito dalla sua stessa richiesta, gesto che risulta alquanto
divertente a vedersi.
Dal canto mio mi ritrovo a ridere e a
spettinargli i capelli rossi che tanto adoro, facendogli cenno di
seguirmi verso l'ufficio di Muller: – Ancora con questa storia, eh?
– Se non vuoi prendo l'autobus.
– Non intendevo quello. –
mi correggo, riservandogli un ultimo sorriso prima di chiudere
l'argomento per non sfociare nel sentimentale. – Dicevo che non c'è
bisogno di chiedermelo.
L'ufficio di Muller non cambia
mai, esattamente come non cambia la sua espressione ogni volta che mi
vede con un individuo dotato di apparato genitale maschile accanto a
me - penso sia convinto che io sia una specie di uomo-squillo.
Incrocia le braccia, mi squadra da capo a piedi, squadra Xavier e
termina in un sospiro di esasperazione, portandosi infine la mano
alle tempie. Penso abbia adottato questo genere di comportamento
dalla prima volta che sono finito qui in presidenza dopo che aveva
beccato me e Kyle nel pieno del nostro primo bacio negli spogliatoi,
sono passati quattro anni ma vedo che il sentimento non è cambiato.
Sono proprio contento che il mio datore di lavoro mi veda come un
poco di buono che se la fa con ogni uomo presente sulla faccia della
Terra, devo solo ringraziare il mio essere discreto nel nuoto perché
se così non fosse credo che alla cerimonia del diploma, sapendo di
non vedermi più, avrebbe dato una festa e mi avrebbe spedito giù
dal palco con un bel calcio nel didietro. E uno striscione con
trombetta, non dimentichiamolo. La trombetta è tutto.
–
Fenwick.
– Mi cercava?
– Perché c'è anche Xavier?
Eh,
perché c'è anche Xavier?
Guardo così il rosso accanto a me che
semplicemente rotea gli occhi, riportando la mia attenzione poi su
Muller e il suo disappunto nonché disagio nell'avermi di fronte a
lui con un ragazzo accanto a me: – Dato che avrebbe educazione
fisica è rimasto fuori dalla palestra secondo gli ordini dati da
Schneider e gli ho chiesto se voleva rendersi utile e venire con me,
tutto qui.
Il rettore mi guarda passivamente per qualche secondo,
concludendo però con un'alzata di spalle rassegnata e allungandomi
invece due buste: – Queste sono per te, sono arrivate ieri da New
York.
Lettere?
Cauto, quindi, afferro lentamente i due oggetti
sospetti e li scruto attentamente, trovando solo il mio nome e il
mittente, “Dipartimento Selezioni Giovanile New York Swimming
Team”.
Non di nuovo, vi prego. Questo nome è stato più volte
oggetto dei miei incubi - insieme a Aydin vampiro che si aggirava per
casa mia in cerca di sangue, ma quello fa parte del lato contorto
della mia mente.
– Ho chiesto per telefono a Nico Casadei se ne
sapesse qualcosa. – ricomincia Muller, guardando prima Xavier e poi
me. – Mi ha detto che sa tutto ma non voleva svelare la sorpresa,
quindi presumo siano due belle notizie. Se fossi in te, Fenwick, le
aprirei il prima possibile.
– Lo farò. – annuisco, guardando
però con riluttanza le lettere.
Tre anni fa non hanno portato
nulla di buono quindi ammetto di essere prevenuto, specialmente poi
col parere dell'italiano che adesso ci sta provando con la mia ex
ragazza.
– Puoi andare. – mi dismette Muller con un cenno
lento della mano destra, indicando la porta con gli occhi ma finendo
poi sul ragazzo accanto a me. – Un'ultima cosa, Xavier.
Il rosso
si mette sull'attenti, cercando prima il mio appoggio con lo sguardo
e poi prestando attenzione al rettore. Il fatto di cercarmi
nonostante la situazione ammetto che mi fa comunque sorridere: per
quanto lui si possa dimostrare duro con me so che in realtà riuscirà
sempre a perdonarmi... Certo, quando ne ha bisogno. Altrimenti riesce
anche a non parlarmi per sette mesi e quattro giorni, ovviamente.
–
Sì? – domanda quindi nascondendo il timore che ha mostrato a me
solo nel frangente in cui i nostri occhi si sono incrociati e usando
invece il suo solito tono spassionato, quasi come se sapesse già che
cosa Muller ha da dirgli. Devo ammettere che per certi versi Xavier
mi ricorda Kyle quando aveva quattordici anni, in quei momenti in cui
sebbene io provassi a farlo ragionare lui non voleva sentire ragioni
e mi rispondeva con lo stesso tono che Xavier usa abitualmente - e la
cosa mi inquieta non poco.
Perché, mi chiedo, io devo essere
sempre inquietato da qualcosa? C'è sempre una costante di stranezza
che aleggia intorno a me che credo di essere io stesso a risultare
inquietante da quanto sono inquietato. Riuscite a inquietarmi?...
Capirmi, volevo dire. Capirmi.
Riuscite a capirmi?
–
Complimenti per le gare. – svela Muller sollevandomi da un grande
peso, finalmente sorridendo sotto i baffi tendenti al bianco. –
Spero che tu non faccia altre marachelle che possano compromettere la
tua carriera agonistica perché hai del potenziale. Non buttarlo via.
– E' colpa di Himeragi. – risponde con nonchalance il piccolo
mostriciattolo, alzando le spalle e indicandomi con la mano che sfila
dalla tasca. – Mi molesta.
Muller sgrana gli occhi gridacchiando
un: – Prego? – nel momento in cui io vorrei strozzare Xavier ma
allo stesso tempo sotterrarmi sotto il cemento in stile “Walled
In”. Perché doveva dire tale amenità, insomma?
Il
passaggio questa sera glielo do sul tetto dell'auto legato con una
corda ai due specchietti retrovisori, altro che sul sedile.
–
Sta scherzando! – mi difendo subito alzando le mani all'aria con
fare leggermente isterico, mi sa di non risultare troppo convincente
se mi comincia a venire il tic all'occhio da manicomio. – Che
burlone, vero?
Muller mi fissa sospettoso mentre Xavier si defila
lasciandomi da solo col mio datore di lavoro che, palesemente
indeciso se licenziarmi all'istante o aspettare venti secondi,
incrocia le braccia e mi guarda nella peggiore delle maniere: – Lo
sai che Xavier è ancora minorenne, Fenwick? Sei perseguibile
penalmente se lo molesti.
– Non molesto Xavier! – sbotto
maledicendo mentalmente il ragazzino per avermi messo in questa
brutta situazione. Questa me la paga.
– Spero solo di non
doverti richiamare per gli stessi motivi di tre anni fa, Fenwick.
–
Se quei richiami li lascia a tre anni fa, si fidi, sto anche
meglio.
– Problemi con Adair?
Non so se sia più triste che
il mio datore di lavoro si preoccupi di farmi un richiamo per
presunte molestie o perché si preoccupa della mia relazione
omosessuale col mio ex compagno di scuola e di squadra. E' davvero
una assai triste storia - che finirà con Kyle illeso, Xavier che se
la ride e Himeragi con un nome di merda.
– Pressapoco. –
me ne esco senza addentrarmi nell'argomento, facendo poi un cenno a
Muller per dileguarmi prima che la situazione possa farsi troppo
preoccupante.
Appena due passi alla destra della porta Xavier mi
guarda tutto soddisfatto con le mani nelle tasche e un sorriso che
potrebbe far tornare in me lo spirito da manicomio che sto
trattenendo molto faticosamente in questo periodo insieme alla voglia
di fuggire in Guatemala e chiamarmi Ganapati Gulal.
– Tu volevi
farmela pagare o sbaglio? – gli domando senza nemmeno girarmi a
guardarlo, impegnandomi per reprimere istinti che potrebbero sul
serio costarmi la prigione.
– Diciamo pure così. – sorride
lui arrivandomi accanto, sbattendo più volte le palpebre da finto
innocente.
Adesso lo picchio.
– Non giocare col fuoco,
moccioso. – Picchio una delle due lettere sulla sua nuca,
porgendogliela poi all'altezza delle mani. – Leggi questa, se vuoi
farti perdonare. Io leggo l'altra.
Il rosso annuisce ridacchiando
con un'allegria che non è da lui, fermandosi poi con le spalle al
muro per appoggiare la schiena e aprire la busta. Mi chiedo
sinceramente il motivo della sua spensieratezza in questo momento
quando prima potrei giurare che volesse togliermi la carotide a
martellate, ma tanto meglio: se lui è contento sembra che anche
l'atmosfera tra di noi non sia così lugubre come al solito.
Mi
metto così di fronte a lui per scartare la busta, tirando poi fuori
la missiva con discreta tranquillità. Questa beata tranquillità
però svanisce non appena arrivo nemmeno a metà, sentendo la gola
diventarmi secca e un senso di insensata irrequietezza entrare sempre
più in circolo nelle mie vene. Alzo gli occhi verso Xavier, lui mi
sta già fissando con la mia stessa espressione.
Dove dovevano
essere le buone notizie?
Xavier deglutisce e poi, senza alcuna
traccia di allegria enuncia il risultato: – Ti hanno proposto di
allenare la Nyst.
Annuisco, non capendo forse davvero cosa sta
succedendo: – Hanno selezionato Tammie... E anche te. – concludo
con la stessa enfasi, fissando queste due lettere a mezz'aria.
Questo mi sa tanto di tragedia in arrivo.
Dove sono i
violinisti di Titanic quando servono?
Eeee sì, finalmente eccoci qui. Non mi sono dimenticata di Swimming Tale ma avevo perso le credenziali di accesso e ci ho messo un po' per ritrovarle.
Ad ogni modo spero che la storia vi continui a piacere e vi lascio quindi in allegato un piccolo spoiler dal capitolo 10!
Xavier mi tende la mano e mi aiuta a rimettermi in piedi, squadrandomi da capo a piedi con i suoi occhietti malefici: – Botta a parte, potrei dire lo stesso di te. Hai pianto?
– E' il freddo.
Il rosso annuisce, guardandomi però con la sua tipica faccia da “dimmi se secondo te ti sto credendo” che diventa poi una smorfia di confusione: – Cosa ci fai qui a quest'ora?
Averlo qui davanti cambia le carte in tavola, cos'ho da perdere se gli dico il vero motivo per cui sono venuto qui?
– Puoi saltare scuola, domani?
A presto pesciolini! :*
Ale xx