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Autore: AutisticZucchina    14/01/2018    0 recensioni
Swami, una ragazza ebrea di quattordici anni, che frequenta il liceo artistico, sta inseguendo il suo sogno di diventare un'artista.
Stava passando un brutto periodo, quando scopre che la sua migliore amica era entrata in un gruppo di nazisti, e che ora frequentava la sua nemesi.
Tutto questo la fa star male dentro, e per questo inizia a inventarsi personaggi - con cui inizierà anche a parlarci da sola - per storie che mancano di originalità oltre al fatto che inizierà anche a progettare il suo piano contro le due.
[Tratto da una storia molto vera]
Genere: Comico, Demenziale, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Guardò fuori dalla finestra della sua classe, Swami, annoiata dalla lezione, si scostò un ciuffo di capelli lontano dalla faccia. Tirò fuori il suo astuccio in pelliccia di cane; essa di recente aveva subito una grande perdita.

Aveva perso la sua compagna di avventure: Sheila, il suo cane, e colmare il vuoto che le attanagliava il cuore, decise di farne un astuccio con il suo pelo; prima di disegnare lo accarezzava sempre.

Prese infine la sua matita, regalatagli quattro anni prima dal padre ambientalista: il legno di cui era fatta la matita veniva direttamente da una zona disboscata recentemente.

Accarezzò il suo astuccio; non poteva credere che dopo sei mesi senza averlo lavato, profumasse ancora così tanto di cane.

Ancora si ricorda quella sera, in cui il ronzio delle zanzare riempiva il silenzio. Il corpo del cane ancora fresco; ricoperto di mosche. Cercava di scacciarle, ma più lo faceva e più sembravano aumentare.

Allora si arrese, ignorandole.

Prese pelo per pelo e lo cucì nella stoffa del suo astuccio. Non li aveva lavati prima di farlo, no, preferiva così: preferiva lasciare che l'odore di sterco, che aveva accompagnato Sheila in tutti questi anni, rimanesse lì per sempre.

Sempre sotto al suo naso. In modo che lei possa sempre ricordarsi di lei.

Sospirò, con una nota di malinconia nel ricordare tutti quei bei momenti. Mosse la mano un paio di volte, come se avesse il morbo di Parkinson, e con questo movimento abile, della mano, disegnò un lupo: fiero e orgoglioso che ululava alla luna.

Finito lo schizzo del disegno, guardò di nuovo di fuori, e sbuffò soddisfatta di quest'ultimo: c’erano voluti ben sette anni di allenamento - in cui non fece altro che guardare tutorials su youtube - ma finalmente era riuscita a disegnare la testa di un lupo.

Amava i lupi, se non si fosse capito. Fin da quando era piccola, la loro figura l'aveva accompagnata fino ad oggi, dove ancora sognava di poter essere una di loro. Correre, sentendo il vento tra la pelliccia, sentire la libertà scivolarti via dalle mani. Quella che loro chiamavano libertà, per Swami aveva un altro nome.

Persa nei suoi pensieri, riemerse da essi quando vide un maestoso lupo volare.

''Non può essere...'' si disse incredula, ma proprio in quel momento, il suono squillante della campanella riportò alla realtà Swami, che sobbalzò insieme ai suoi compagni di classe. Camminò velocemente, tra i corridoi della scuola, a passo largo, per raggiungere il cortile: dove aveva visto il lupo volante.

Arrivata, seguì quel lupo, rendendosi conto che era soltanto un volantino. Quasi delusa, lo prese comunque in mano, per leggerne il contenuto, ma fu subito distratta dal magnifico disegno su di esso. Si chiedeva chi avrebbe potuto aver fatto quel disegno, e escludendo ogni persona dentro la sua scuola arrivò ad autoconvincersi che sia stata proprio lei a disegnarlo.

Lo mise nella sua tasca della giacca, quando gliene cadde un altro in testa; alzò quest'ultima al cielo, vedendo la casetta che alcuni studenti avevano costruito in cortile. Forse quel volantino proveniva da lì dentro, e forse lì dentro c'era la persona che l'aveva disegnato.

La casetta era fatiscente: sembrava cadere a pezzi da un momento all'altro. La guardò bene, e solo dopo qualche minuto si accorse del grande stendardo nazista attaccato al lato di essa.

''Come hanno osato?'' Si chiese tra sè e sè, mentre saliva le scale. ''Sarà sicuramente stata quella nazista di Ivana, lei e il suo stupido gruppo di nazisti.''

Arrivata in cima, aprì la porta e osservò le due ragazze che a loro volta la guardarono spaventate, a causa della sua improvvisa entrata; infatti Swami non aveva nemmeno bussato.

La prima aveva una cresta con i lati della testa rasati, portava come mantello la bandiera nazista, aveva una maglia nera e pantaloncini verde militare e dei polsini portati fin su alla spalle con una svastica. Per non contare anche la bandana nazista che le teneva i capelli su.

L'altra era molto alta rispetto all’altra. Era vestita con una felpa molto larga e nera, con sopra disegnato un Hitler che camminava sotto un arcobaleno. Poi aveva dei leggings neri e delle scarpe basse, con i capelli rasati ai lati e lunghi sopra raccolti con una coda.

Swami non credette alla sua vista: era Ivana, la bulla nazista della scuola e Valentina, la sua migliore amica.

Swami si sentì tradita in quel momento. Non riusciva neanche a descrivere quel fritto misto di emozioni che provava.

''Lo sapevo! Ivana ti ha contagiata!'' Urlò Swami dando contro a Valentina che rimase scioccata. Swami era venuta a conoscenza del suo segreto.

''Va via, giudea! Non è posto per te!'' Rispose intromettendosi la nazista.

''Stavi parlando male di me, Valentina? Solo perchè sono l'unica ebrea? Lo so che facevo lo stesso, ma lasciati il passato alle spalle! Non me lo sarei mai aspettato da te! Sono delusa!'' continuò l'ebrea alzando la voce sull'ultima frase detta.

''Tu mi hai abbandonata per quel gruppo di ragazza spastiche che disegnano solo fumetti su gatti obesi!'' rispose tutto d'un fiato Valentina, esponendo i suoi sentimenti. ''Non avevo altri che lei.''

Swami la guardò sconcertata, cercando di trattenere le lacrime; scese dalla casetta.

''Mi stai per caso dando la colpa di tutto, Valentina?'' disse una volta scesa. ''Lo sai che è un brutto momento per me. L'Olocausto non era nulla in confronto a quello che sto passando adesso.'' la guardò dritta negli occhi.

''Tutte scuse.'' rispose l'amica affacciandosi dalla finestra. ''Non credere che io non sappia che è il fatto che stia con Ivana che ti fa star male. Una volta facevi parte di questo gruppo. Anzi, l'avevi fondato assieme a lei. Non negare.''

L'altra sgranò gli occhi, e la fulminò con lo sguardo, ''Sai che io odio i nazisti.'' disse ''Ivana o non Ivana. Mi fanno schifo per quello che hanno fatto. E comunque sia, deciditi Valentina, o me, o Ivana. Hai due scelte. Ne riparleremo domani, nel cortile, sotto la vostra base di nazisti, ma senza il vostro Fuhrer. Pensaci bene.''

Appena finita scuola, Swami si affrettò ad arrivare a casa o suo fratello, il padrone, l'avrebbe messa a lavorare più del solito.

Nell'ultimo pezzo di tragitto che la separava da casa, si mise a correre, mentre in mente aveva solo un pensiero: Valentina. Era la sua unica amica che non era ossessionata da Garfield, e ora l'aveva abbandonata per una nazista, nonostante sapesse che lei li odiava, siccome era una ebrea nera omosessuale.

Entrò dentro casa, e suo fratello la frustò. ''Smettila di piangere, bambinella. Non hai tempo per queste sciocchezze.''

Nel frattempo che Swami lavorava nel campo di cotone dietro casa sua, si fece sera. Essa non sentiva più il dolore pungente alle mani che di solito la consumava, anzi, non sentiva nulla se non il mostro che la stava divorando all'interno.

Pensava solo a quello. Al suo tradimento.

 
   
 
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