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Autore: Sapphire_    15/01/2018    2 recensioni
Tutti abbiamo un professore che odiamo in particolare, così anche Amelia.
Nel suo caso lui si chiama Alessandro Angelis, insegna matematica e fisica, è troppo bello ma anche troppo stronzo - e gode da matti a rifilarle insufficienze.
Il vero problema però si presenta quando la povera ragazza finisce per ritrovarselo a cena con i suoi genitori e l'unica cosa che può pensare, mentre lo guarda, è cosa abbia fatto di tanto male per meritarsi una punizione del genere.
~
Dal testo: "«Sto pensando di rimanere sempre sullo studio linguistico.» rispose.
«Fai bene, non credo che l’ambito scientifico possa offrirti concrete possibilità.» commentò con nonchalance Alessandro.
«Beh, a dire il vero» iniziò Amelia, mentre un pacato sorriso si apriva nel suo volto «sono contenta di non essere portata per le materie scientifiche. Secondo la mia esperienza sono adatte agli stronzi senza cuore.» fece candida e angelica.
Aveva appena dato dello "stronzo senza cuore" al proprio professore. Che la odiava."
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Eccomi qui dopo una sola settimana!
Questo capitolo era pronto da vari giorni, ma ho preferito aspettare comunque un po’ di tempo per una sistemata – anche se qualcosa mi dice che alcuni errori mi saranno sfuggiti di sicuro, in quel caso spero che voi possiate farmeli notare.
Ho notato con piacere che il primo capitolo è piaciuto abbastanza, spero che sia così anche per questo e per i prossimi (che sono già scritti fino al quinto, per ora).
Volevo dire un paio di cose prima di lasciarvi alla lettura: so che ci sono alcune situazioni che potrebbero far pensare “eh, ma sono poco probabili” e sono d’accordo con voi, ma la storia è a prescindere poco probabile – insomma, non è esattamente frequente che un professore e una studentessa inizino una relazione segreta. Per questo vi chiedo di comprendere alcune situazioni, anche se non esattamente “normali (e questo lo dico in seguito a un commento di una recensione).
Detto questo, vi lascio al prossimo capitolo e spero vi piaccia anche più del primo, buona lettura!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo due
~
Di interrogazioni mancate e autobus puntuali
 
 
 
«Ora tu mi racconti tutto. E quando dico tutto, intendo proprio ogni singolo dettaglio. Sono stato chiaro?»
Di fronte a lei, Daniele Longobardi la fissava impaziente spalancando il più possibile gli occhi così celesti che Amelia, per un attimo, si ritrovò accecata.
«Ti prego, Daniele, fammi almeno togliere il giubbotto.» bofonchiò lasciando cadere con un gesto la borsa per terra, che fece un preoccupante suono sordo, e crollando sulla sedia di fronte al proprio banco.
Si lasciò andare a uno sbadiglio e si costrinse a non stiracchiarsi, almeno per non essere troppo indecente; aveva voglia di stropicciarsi gli occhi, ma aveva dovuto abbondare di correttore quella mattina per coprire le occhiaie e voleva evitare di rovinare troppo il risultato.
«Sembri stanca.» commentò il suo amico, per un attimo dimentico della domanda che aveva posto impaziente; Amelia si girò a guardarlo e lo trovò con un gomito appoggiato al banco, mentre si teneva la testa cosparsa di riccioli castani con una mano.
«Non sembro. Lo sono.»
«Come mai?»
Un altro sbadiglio.
«Dopo essermi addormentata mi sono svegliata alle quattro del mattino e non sono più riuscita a prendere sonno.» spiegò.
Daniele corrugò la fronte.
«Brutti sogni?» chiese.
«No, ma ho iniziato a pensare alla figura di merda fatta con Angelis.»
Perché ovviamente, appena il professore aveva varcato l’uscio di casa per andarsene, era subito tornato Angelis e non più Alessandro.
Daniele si illuminò come un albero di Natale.
«Devi parlarmi proprio di questo!» fece con un sorriso curioso.
Amelia chiuse gli occhi, sempre più stanca.
«Non c’è molto da raccontare, a dire il vero.» borbottò, per poi far crollare la testa sul banco. I riccioli neri le si aprirono intorno come una cupa aureola.
«Non è vero, è solo che non hai voglia di raccontare.» l’accusò l’amico.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, non rispondendo. Ma in fondo, “chi tace acconsente”.
«Cosa vuoi sapere?» chiese solo.
«Tutto.» rispose candido l’amico.
Amelia buttò un occhio al proprio cellulare: erano le otto e quindici, a e trenta sarebbero iniziate le lezioni e la professoressa di tedesco ancora non si vedeva. Poteva farcela.
«Allora…»
 
Era la ricreazione e, dopo aver passato tre ore di agonia – le prime due di tedesco e la terza di italiano – Amelia poteva finalmente gustarsi una meritata pausa e un ancor più meritato caffè. Più il suo solito Mars preso alle macchinette.
«Avrei troppo voluto esserci.» considerò Daniele affianco a lei, appoggiato alla finestra per lasciarle lo spazio sul termosifone.
«Fidati, è stato terribile.»
Dopo tutto il racconto prima della lezione di tedesco, Daniele era fondamentalmente scoppiato a ridere in preda a quelle che avevano le sembianze di convulsioni e poi, con le lacrime agli occhi e senza alcuna pietà per la propria amica, le aveva detto che avrebbe voluto esserci per filmare tutta la scena e riguardarla quando era triste.
«Per te di sicuro. Io avrei solo riso un sacco.»
«Non credere, avrebbe preso di mira anche te!» esclamò Amelia, lanciandogli un’occhiataccia e dando un morso alla propria merenda, ignorando la coscienza che le chiedeva di pensare ai futuri brufoli.
«Non quanto te, credo. Io non ho la media del due.»
E Daniele aveva ragione: a differenza sua lui era riuscito, seppur faticosamente, a raggiungere la media del 6.5 che, il giovane sperava, fosse arrotondata a sette.
«A proposito, oggi sbaglio o ha detto che interrogava? Hai ripassato?»
Amelia impallidì.
«Merda!»
Daniele rise.
«Qualcosa mi dice che ti chiamerà, sai? Soprattutto dopo quella frase, quel “stronzo senza cuore” di ieri.» continuò tra le risate.
Amelia terminò in un solo sorso il caffè, rischiando di ustionarsi la lingua.
«Devo andare a ripassare.» disse solo, per finire in un solo morso anche il proprio cioccolato e precipitarsi verso la propria aula – mancava ancora più di metà ricreazione, forse qualcosina riusciva a farla.
Purtroppo, con la solita grazia di cui era dotata, riuscì a inciampare e a sbattere contro qualcuno che veniva in quella direzione. Alzò la testa e impallidì.
«Ehi, Amelia! Ti sei fatta male?»
Stefano Martini la guardò preoccupato dall’alto del suo metro e ottanta e qualcosa – non a caso era uno dei migliori a pallacanestro – gli occhi castani che la fissavano. Una mano la teneva per il braccio, cosa particolarmente utile dato che sentiva di starsi per sciogliere da un momento all’altro.
«Stefano.» si ritrovò a dire la mora, incapace di aggiungere altro.
«…Amelia?» continuò il ragazzo.
Ma ti faccio proprio schifo, eh, fortuna?
Perché non era mezzo crollata e non stava facendo la figura dell’idiota incapace di parlare di fronte a una persona qualunque, no, lo stava facendo di fronte a quella che era la sua cotta da più di un anno!
O forse… Forse è la mia occasione per parlarci!, pensò.
Purtroppo ebbe a malapena il tempo di mettersi di nuovo dritta e aprire la bocca, perché qualcun altro intervenne.
«Sapete che stare fermi in mezzo al corridoio può essere causa di disturbo per gli altri che camminano?»
E te pareva che non compariva la testa di cazzo!
Amelia si girò lugubre, l’odio negli occhi scuri che spiccavano ancora di più grazie all’uso del mascara, e fissò professor Angelis che la fissava indifferente.
«Ci scusi, prof!»
Stefano le lasciò andare all’istante il braccio, spostandosi per farlo passare, ma Amelia non perse occasione per parlare – perché mordersi la lingua e tacere invece che parlare e far incazzare colui che avrebbe potuto interrogarla dopo dieci minuti?
«Mi pare che il corridoio sia abbastanza grande per poterci fermare a chiacchierare senza arrecarle disturbo, professore.» rispose tagliente, concentrata sul lanciargli sguardi di odio e per questo non notando l’occhiata scioccata di Stefano a quelle parole. Calcò inoltre particolarmente sulla parola “professore”, come a distinguere quel momento da quelli della sera prima.
Alessandro la fissò in silenzio, poi fece un blando sorriso.
«Forse, invece che chiacchierare, le farebbe bene ripassare. Potrei chiamarla fra poco.» disse in un tono minaccioso.
Non le diede il tempo di rispondere: superò lei e Stefano e si diresse verso la porta della classe, sparendo in un attimo.
«Sei fuori di testa.»
Amelia alzò di scatto lo sguardo verso Stefano, che si era lasciato sfuggire quella frase quasi sovrappensiero; se ne rese subito conto e spostò lo sguardo, in imbarazzo.
«Scusa, non intendevo sul serio. Stai più attenta le prossime volte, potresti farti male.» disse in fretta il ragazzo, a disagio, e dopo aver borbottato un “ciao” veloce, corse via.
Un braccio le si avvolse intorno alle spalle mentre sentiva gli occhi offuscarsi dalle lacrime.
«Dai, non è successo nulla.»
La voce confortante di Daniele la risvegliò.
«No, tranne per il fatto che il ragazzo per cui ho una cotta tremenda mi ha dato della fuori di testa e che Angelis mi sta per chiamare per un’interrogazione in cui prenderò l’ennesimo due.» rispose acida.
Sbatté un paio di volte le palpebre, cercando di ricacciare indietro le lacrime di frustrazione, e corse in aula senza attendere Daniele – che sapeva l’avrebbe seguita per cercare di consolarla, come faceva sempre.
Ignorò su tutta la linea Angelis che, seduto sulla cattedra, annotava qualcosa sul registro, e prese posto sul proprio banco scambiando giusto un cenno con Anna, l’unica con cui veramente parlava in classe ma che in quel momento era troppo presa dal ripasso di fisica.
Lei almeno ci prova, pensò abbattuta la mora.
Lei riuscì solo a prendere il libro e a sfogliarlo un paio di volte, prima di capire che non ne avrebbe cavato piedi. E la campanella arrivò come una sentenza di morte.
Dopo un primo minuto in cui il professore attese che tutti prendessero posto, alzò lo sguardo dal registro e guardò i vari studenti. Amelia non alzò la testa, troppo concentrata sulla terribile figura fatta con Stefano – non cercava più di memorizzare qualche formula all’ultimo secondo, nel vano tentativo di salvare una situazione insalvabile.
«Oggi interroghiamo.»
Sentì Angelis che firmava con quella frase la sua dipartita e il silenzio si fece ancora più pesante – Amelia sapeva che tra i suoi compagni ci si scambiava occhiate di solidarietà mista a terrore, ma a lei non importava granché quel giorno: già sapeva che sarebbe stata chiamata, quindi perché prendersi il disturbo?
«Allora, oggi è…» iniziò il professore.
Seriamente? Allora vuole proprio fare il bastardo, considerò. Era il tredici, e lei era proprio la tredicesima dell’appello.
Ci furono però alcuni secondi di silenzio di troppo.
«Ma perché usare il giorno? Troppo banale. Apriamo a caso il libro, invece.»
La ragazza non poté impedirsi di sollevare la testa di scatto: di fronte a lei, Angelis prese un libro e aprì una pagina a caso.
«Centodiciannove. Due più nove, undici, Loretti. Nove meno due, sette, Fasaro. E infine… nove per due, diciotto: Santini.» disse.
I vari compagni di classe si girarono verso i disgraziati che avevano avuto la sfortuna di uscire come risultato ai calcoli del professore. Amelia però non li guardò – anche perché conosceva bene l’espressione che avrebbe trovato sui loro visi – e guardò Angelis.
L’uomo scribacchiava qualcosa sulla propria agenda, poi per un attimo alzò gli occhi e incrociò quelli di Amelia. Fu solo un’occhiata in cui lui rimase indifferente e la giovane arrossì senza rendersene conto.
Nella sua testa, si chiese se il professore avesse apposta evitato di chiamarla – ma per quale motivo l’avrebbe dovuto fare? – poi però una voce nella sua testa le diede dell’idiota egocentrica.
Beh, meglio così, pensò solo, e spostando in fretta lo sguardo poggiò la testa sul banco, preparandosi a quella lenta ora di interrogazione.
 
«Corri via?»
Amelia alzò lo sguardo verso Daniele che la fissava.
«Sì, devo prendere il bus, vado a pranzo da Nicole.» spiegò mentre in fretta e furia rimetteva il libro di storia in borsa – in quel modo nel manuale si formò una piega ma la giovane non ci fece caso e, comunque fosse, non le importava granché.
«Oh, pensavo che avremmo fatto un pezzo assieme oggi.» disse un po’ triste il ragazzo.
«Mi spiace.» rispose la mora «Il motorino è ancora a riparare?» chiese poi.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
«Sì, è una tortura non potermi muovere come voglio.» bofonchiò.
Amelia rise.
«Dai, non mancherà molto ormai, no?»
«La prossima settimana.» disse solo l’altro.
La ragazza annuì.
«Beh, finalmente. Ero già stanca di tornare a casa a piedi.»
«Stronza approfittatrice!»
Amelia rise e sfuggì appena in tempo alla penna che le lanciò il ragazzo, per poi schioccargli un bacio sulla guancia.
«Mi adori comunque. Ci sentiamo più tardi!» gli disse e corse via dall’aula senza attendere la risposta dell’altro.
Si precipitò giù dalle scale correndo e rischiando più volte di inciampare addosso a qualcuno; riuscì però a non farsi male e, quando con un’occhiata si rese conto che se non si fosse sbrigata avrebbe perso il bus, accelerò ancora di più il passo sentendo il cuore già chiedere pietà.
Dovrei iniziare a fare un po’ di sport, pensò vaga mentre correva.
Ebbe la conferma di fare schifo alla fortuna, come aveva pensato solo poche ore prima, quando vide il bus passare di fronte a lei beffardo – sbagliava o l’autista le aveva pure riso in faccia? Bastardo!
«Brutto pezzo di merda!» urlò in direzione del mezzo, ignorando il fatto che fosse lei in ritardo – però, cavolo, ogni volta doveva stare ad aspettare come una scema alla fermata e l’unico giorno in cui arrivava un minuto dopo il bus era puntuale!
«Bonjour finesse.»
Eh no.
E invece sì. Perché si giro e di fronte a lei stava come sempre quell’idiota di Alessandro Angelis, che quel giorno proprio sembrava non volerla lasciare in pace.
«Salve.» disse solo acida, guardandolo di sfuggita e allungandosi verso il foglio degli orari.
«Quindi, oltre a essere svampita di suo, è anche ritardataria?»
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«E lei, oltre a essere uno stronzo senza cuore, è anche un rompiscatole?»
Eccola qui, la sua abilità speciale, in tutto il suo splendore.
Si voltò lentamente, per poi vedere l’uomo che la fissava impassibile.
«Scusa, è una giornataccia.» aggiunse dopo poco, cercando di giustificarsi e dandogli del tu – in fondo non erano tra le mura scolastiche, no? – cercando in quel modo di ammorbidire abbastanza l’atmosfera e far passare la sua frase come una banale battuta.
«Ho notato.» disse secco il docente.
Non sembrò aver voglia di ulteriori chiacchiere e forse, Amelia ci pensò giusto un attimo, aveva anche voglia di tornare a casa, per questo se ne andò senza rivolgerle neanche più una parola.
Ma lei aveva una domanda in testa da un paio di ore e, in quei casi, parlava senza aver prima pensato.
«Come mai non mi ha interrogato oggi?» chiese, ritornando a dargli del lei senza rendersene conto.
Appena fece quella domanda, si sentì abbastanza stupida: era una cosa nata nella sua testa soltanto perché, in quell’istante, le era parso che Angelis avesse apposta evitato un modo che l’avrebbe potuta chiamare all’interrogazione. Era una cosa stupida, lo sapeva, però ci pensava e le sembrava assurdo che lui avesse potuto evitare un’occasione del genere.
«Fuori, nel corridoio, mi era sembrato che non stessi troppo bene.» disse solo l’uomo, dandole le spalle e dopo alcuni secondi di silenzio.
Amelia però notò che l’uomo le aveva dato del tu, a differenza di lei.
Dopo poco il professore si voltò.
«Tranquilla, recupero la prossima volta, quindi ti conviene prepararti.» le disse, sul viso la solita espressione ammiccante «O magari no, sai che mi diverte sempre metterti l’insufficienza.»
«Divertente.» fece sarcastica Amelia.
Alessandro – perché in quel momento era tornato Alessandro e non Angelis, forse anche grazie a quel “tu” informale che aveva usato – scoppiò a ridere, andandosene via e lasciandola ad aspettare il bus successivo.
Idiota, pensò e quasi non si accorse di continuare a fissarlo finché non scomparve dalla vista.
 
«Ridi anche tu?»  chiese Amelia esasperata, lanciando un’occhiata a Nicole che sghignazzava senza ritegno.
La ragazza si voltò parzialmente dall’altra parte, lasciando che i lisci capelli castani le coprissero il volto; una mano sulla bocca e dei risolini trattenuti non ingannarono però Amelia.
«Grazie del sostegno, davvero.» continuò sarcastica.
«Scusa Ame, ma lasciati dire che la situazione è abbastanza divertente.» ammise alla fine Nicole e si rigirò verso l’amica, puntandole contro gli occhi verdi.
Più la guardava, più Amelia trovava che quegli occhi fossero troppo verdi per essere veri, ma d’altronde Nicole era sempre stata molto bella: alta, lunghi capelli lisci castani con riflessi dorati, occhi verdi e fisico longilineo ma con delle giuste proporzioni, tenuto in forma grazie alla passione per il fitness della ragazza – insomma, era bella ma si impegnava anche per esserlo, e di questo le si doveva far onore, anche se Amelia a volte avrebbe voluto un’amica pigra quanto lei che le potesse far compagnia nei lunghi pomeriggi di disperazione in cui l’unica compagnia era fornita dal barattolo di Nutella. Invece no, si ritrovava da ben dodici anni amica di una ragazza appassionata di esercizio fisico – per carità, cercava di coinvolgerla spesso, solo che Amelia era davvero troppo pigra.
Proprio quest’ultima ignorò volutamente l’abbreviazione del proprio nome – non le piacevano quando lo facevano, ma riconosceva che dire ogni volta “Amelia” fosse piuttosto fastidioso – e riabbassò lo sguardo sul piatto di pasta ormai vuoto.
«Sì, beh, però avrei preferito qualche frase di conforto.» commentò, per poi rialzare lo sguardo verso Nicole, questa volta colmo di desolazione «Gli ho dato dello stronzo senza cuore e anche del rompiscatole! Ma ti rendi conto?» si lamentò.
«Questo perché ti dimentichi di collegare il cervello alla bocca la maggior parte delle volte.» rispose Nicole senza pietà; si alzò e iniziò poi a sparecchiare la tavola mentre Amelia la fissava.
Quando la giovane si voltò per poggiare i piatti sul lavello, la mora osservò il suo fisico e le venne da piangere pensando al proprio: non che fosse un mostro, era solo un po’ troppo magra e poco soda, però compensava con l’altezza e il viso maturo – motivo per il quale le davano più di diciotto anni.
«Hai altra fame?» le chiese poi la castana e la riportò sulla realtà.
«No, sono a posto.»
«Neanche della frutta?» insistette Nicole, prendendo in mano una mela e facendo un cenno verso il resto del cesto della frutta. Amelia fece scorrere lo sguardo sulle varie scelte e poi fece una smorfia.
«Non posso affogare la mia tristezza nella frutta, Nicky.» rispose lamentosa.
L’amica sorrise e ripoggiò la mela tra le altre, per poi avvicinarsi al freezer e tirare fuori una vaschetta di gelato.
«Ho questo se vuoi.» propose.
Amelia si illuminò come una bambina e l’amica non ebbe bisogno di altre conferme; si piazzarono perciò nel divano di fronte alla tv, lasciandola accesa ma a basso volume giusto per fare un po’ di sottofondo, ognuna con il proprio cucchiaio – anche Nicole aveva deciso di cedere, alla fine – e la vaschetta con i tre gusti nocciola, cioccolato e stracciatella in mezzo a loro. Non avrebbero potuto farlo in teoria, la madre di Nicole non voleva che si mangiasse altrove oltre il tavolo, ma quel giorno aveva il turno prolungato all’ospedale e quindi non sarebbe tornata prima del pomeriggio.
«Comunque, sei sicura che Stefano abbia proprio detto “sei fuori di testa”?» chiese Nicole per poi infilarsi un cucchiaio di gelato al cioccolato in bocca.
Amelia annuì facendo la stessa cosa con quello alla nocciola.
«Fidati, l’ho sentito bene. Immagino si stesse riferendo alla mia frase detta ad Angelis.»
«Beh, anche perché non avrebbe altri motivi.»
«Magari mi considera direttamente fuori di testa e basta.» commentò la mora, concentrandosi per cercare di prendere insieme cioccolata e stracciatella. Non vide Nicole alzare gli occhi al cielo, ma il suo successivo tono fu chiaro.
«Sei stupida quando dici queste cose, non in altri momenti.»
«Lo so, ma sai che mi piace lamentarmi.»
«Sei solo troppo timida con lui, prova a farti un po’ più avanti. Non mi pare che con Angelis tu ti ponga così tanti problemi a parlare – e con lui avrebbe pure senso, dato che è un tuo prof.»
Amelia la fissò disperata.
«Ma come faccio? Ogni volta che lo guardo e lo vedo così alto, bello, con quei grandi occhi castani e i capelli biondi, ti giuro che mi mancano le parole.»
«E infatti non ci hai nemmeno mai parlato!»
«Che c’entra? L’amore non ha bisogno di queste piccolezze.»
«Lo stai idealizzando. Magari ha un carattere di merda!» commentò Nicole lanciandole un’occhiata. Amelia le fece la linguaccia.
«Non è vero. E di sicuro ha un bellissimo carattere.»
«Sei una bambina. Una bambina che dimostra vent’anni. E ripeto che comunque non lo puoi sapere.»
«Guarda, basta che non abbia il carattere di Angelis e mi va già bene.» rispose Amelia; al pensiero dell’uomo infilzò con forza il cucchiaio nella vaschetta di gelato, immaginando di fargli del male.
Nicole non commentò e si limitò ad osservare l’amica con che continuava a mangiare il gelato, mentre lei rimaneva con il cucchiaio pulito poggiato sulle labbra.
«Sai» iniziò all’improvviso, facendo quasi sussultare la mora «mi sembra che tu stia tirando fuori spesso questo Angelis oggi.» fece accusatoria.
In un attimo, Amelia comprese dove l’amica voleva andare a parare.
«Non sono interessata a lui. Primo, è il mio professore, secondo, è una testa di cazzo.» rispose senza alzare gli occhi dal proprio cibo. Poi le lanciò una veloce occhiata «E terzo, hai pensato che magari ne sto parlando spesso perché ieri sera me lo sono ritrovata in casa a mangiare crumble di mele con me e la mia famiglia?» terminò ironica.
«Tua madre ha fatto il suo buonissimo crumble di mele?» si distrasse sognante Nicole.
«Sì, voleva fare colpo immagino.»
«Dille di prepararlo anche per me, la prossima volta.» disse, poi ritornò rapida all’altro argomento «Lo so che è il tuo professore ed è una testa di cazzo, ma è così bello!»
Amelia le lanciò un’occhiataccia.
«Ti piace?»
«Ho solo detto che è bello. E comunque, anche volendo, potrei dato che non è un professore del mio istituto.» ovvio, dato che Nicole studiava al liceo scientifico – e sì, era pure brava in matematica.
Amelia tacque, concentrandosi di nuovo sul gelato. La castana, del canto suo, la continuò a fissare fare il broncio per poi scoppiare a ridere.
«Tranquilla Ame, non lo farei mai. Poi sai bene che sono perdutamente innamorata di Tommaso, non credo riuscirei a dimenticarlo, e comunque Angelis è roba tua.»
«Roba mia? È un mio professore, Nicole, concentrati su questo particolare. E inoltre non mi piace nemmeno!» esclamò Amelia, iniziando a irritarsi: insomma, le faceva strano anche nella sua testa pensare a una coppia formata da lei e Alessandro – oddio, no, era professor Angelis – e comunque solo perché aveva avuto l’occasione di conoscerlo fuori dalle mura scolastiche non significava che tra loro ci fosse qualcosa di più di una relazione studente/insegnante.
Ma perché ci sto anche riflettendo?, pensò scandalizzata Amelia, ma stette attenta a non pronunciare altre parole e colse al volo l’occasione che Nicole le aveva offerto per cambiare discorso.
«A proposito: con Tommaso come va?» chiese, sentendosi un po’ una merda per aver toccato quel tasto.
Nicole scrollò le spalle.
«Come al solito: ci vediamo, facciamo sesso, chiacchiere su questo e quest’altro, coccole e film insieme, poi lui se ne va e torna a cercare di conquistare quell’idiota di Giorgia che lo rifiuta di continuo.» spiegò Nicole e subito riprese a mangiare il gelato – l’argomento richiedeva qualche forma di consolazione, in fondo «Davvero, io non capisco cosa lo renda innamorato di lei.» concluse infastidita.
Dura la scopamicizia quando uno dei due è preso, considerò Amelia tra sé.
«Forse dovresti provare ad accennargli la cosa, sai? Tipo che magari potrebbe guardarsi attorno, concentrarsi su altre ragazze, su di te…» propose la mora.
Nicole abbassò lo sguardo.
«Non voglio rischiare. Preferisco averlo così che rischiare di non averlo per niente.» disse.
Dopo pochi secondi però si dovette rendere conto della cosa che ebbe detto, perché sollevo di scatto lo sguardo, gli occhi sgranati e lucidi.
«Dio santo, Amelia, senti quello che dico. Quanto sono patetica.» sussurrò con un sorriso mesto per poi cercare di scacciare via le lacrime.
Una sfuggì al suo controllo e le scivolò giù dalla guancia. Amelia si sporse verso di lei e gliela asciugò con il pollice.
«Scusa, non avrei dovuto tirare fuori l’argomento.» mormorò.
Si sentiva in colpa: sapeva perfettamente com’era la situazione e aveva comunque chiesto – anche se Nicole non le aveva mai detto che preferiva non parlarne, anzi, a volte si sfogava proprio con lei.
«Figurati.» borbottò Nicole sfregandosi gli occhi e eliminando qualsiasi eventuale traccia di pianto. Poi prese la mano della mora e le fece un sorriso «Sai come sono fatta, questo tasto è particolarmente sensibile.»
Amelia annuì.
«Tranquilla, lo so.» disse «Però ti do un consiglio – e perché ti voglio bene, Nicole, e voglio che tu non stia troppo male: anche se ora come ora ti farebbe malissimo rompere questo rapporto con lui, credi che continuando così la situazione possa migliorare? Sei già praticamente fregata, gioca in anticipo per quanto puoi ancora farlo.» disse Amelia mentre cercava lo sguardo dell’amica che, invece, tentava di evitarlo.
Infine la castana cedette e alzò gli occhi verso di lei.
«Lo so. Solo che non è una scelta facile, preferisco pensarci bene prima, dato che rischio di perderlo per sempre.»
Amelia annuì; meglio non insistere, considerò, già il fatto che Nicole avesse preso in considerazione di darle ascolto era un enorme passo avanti.
Per questo motivo allungò una mano e scompigliò completamente i capelli della castana, rubandole poi la vaschetta di gelato e mettendola fuori dalla sua portata.
«Ehi!» si lamentò Nicole presa alla sprovvista.
«Questo perché sei comunque stupida.» spiegò Amelia annuendo convinta.
Non ebbe tempo di tenere il gelato per sé: subito dopo fu troppo impegnata in un “acchiapparello” infantile che riuscì a distrarla da qualsiasi pensiero.

 
  
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