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Autore: Raptor Pardus    17/01/2018    0 recensioni
Sulla terribile Piaga che infestò la galassia e riunì i Tre Imperi, e sugli sfortunati minatori di Verris che ne patirono le conseguenze.
Genere: Azione, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giorno 38
 
Tutto era pronto per la battaglia.
Gli uomini, sigillati dentro i loro scafandri sporchi di terra scavata per anni, attendevano il segnale del colonnello, pronti ad entrare in azione sotto la guida dei soldati in testa alla truppa.
Non un passo indietro, non quel giorno.
Jaco inspirò a fondo e strinse la spalla dell’uomo davanti a lui, pronto a farsi trascinare e spingere nella mischia, nel caso le sue gambe lo avessero tradito nel momento del bisogno.
Virgo, dietro di lui, appoggiò la mano sulla sua spalla, pronta a seguirlo.
Jaco strizzò gli occhi e rifiutò di guardarsi indietro, non sapeva dire se perché si sentisse tradito o perché non voleva mostrare la paura che il suo volto vomitava copiosamente.
La voce del colonnello risuonò per tutto il distretto attraverso l’interfono, un ultimo augurio di buona fortuna seguito dall’ordine di agire.
Il portellone davanti a loro si aprì con un sibilo, sollevandosi rapido, mentre alle loro spalle, dal centro di comando, ordinavano la chiusura di qualsiasi via di fuga.
Uno dei soldati in testa alla schiera alzò un pugno alto sopra le loro teste e ordinò di avanzare, e gli uomini si lanciarono insieme, come una marea, nel corridoio deserto.
Una dopo l’altra ispezionarono tutte le stanze che li separavano dal loro obbiettivo: le vie d’accesso al distretto industriale e a quello minerario.
Raggiungere l’accesso industriale, sulla loro sinistra, fu una cosa rapida e priva di intoppi.
Forzare le porte per poter sigillare di nuovo l’area fu più difficile, ma riuscirono comunque a chiudere l’unico grande accesso che impediva loro di poter togliere l’ossigeno agli edifici ormai abbandonati. Persino il generatore, nella sicurezza che tutte le creature aliene si fossero spostate nella miniera, era stato lasciato a sé stesso e alle sue macchine automatizzate, per concentrare in quell’assalto qualsiasi uomo disponibile.
Quando giunsero davanti alla grande galleria che li avrebbe condotti alla cupola una seconda compagnia, proveniente dagli edifici della mensa, si unì a loro, pronta a procedere verso il centro.
Coi fianchi assicurati, le due compagnie raggiunsero le camere di depressurizzazione alla fine di quel tunnel e con molta fatica, ricollegando i cavi giusti e ripulendo i binari di scorrimento, riuscirono a riattivare i portelloni della galleria, bloccati dall’assalto alieno ma fortunatamente non troppo danneggiati.
Sigillato il distretto amministrativo, il comando poté finalmente pompare ossigeno nella galleria, dando modo agli uomini di ricaricare le limitate bombole dei loro scafandri e delle loro corazze.
Quando furono di nuovo pronti ripresero ad avanzare, ancora tutti aggrappati al compagno davanti a loro, i ranghi serrati, le file compatte.
Superata l’anticamera, furono finalmente nella cupola, ormai ridotta a una volta semidistrutta che a malapena si reggeva in piedi. Tutt’intorno al cono di ingresso vi erano i resti della linea di difesa, sfondata in più punti, macerie, veicoli distrutti e tanto sangue, incrostato sui muri e per terra, in pozze ormai secche e vuote.
Di cadaveri, però, nemmeno l’ombra.
Quei mostri avevano divorato qualsiasi cosa fosse commestibile, non lasciando nulla, nemmeno le carcasse dei loro simili.
Le due squadre attraversarono l’anello di cinta e raggiunsero il montacarichi industriale che li attendeva all’ingresso del cono. Assicuratisi che funzionasse ancora, iniziarono la discesa verso il pozzo, dove non sapevano in realtà cosa li attendesse.
L’oscurità li inghiottì, incurante dello loro torce, e poco a poco la temperatura iniziò ad aumentare. Il ventre della bestia pulsava, loro lo avvertivano, sentivano il lieve tremore che attraversava le pareti del pozzo.
Quando raggiunsero il primo livello di tunnel fermarono il montacarichi, ispezionando rapidamente l’anello di gallerie che si aprivano intorno a loro, completamente vuote.
Il nervosismo iniziava a pervadere gli uomini, risalendo lungo le loro spine dorsali.
Sentivano qualcosa, rumori dal fondo del pozzo, clangore di artigli che cozzano sulle corazze e urla di agonia, i rumori di un combattimento, lontani, ma nitidi, amplificati dalle pareti di roccia.
Jaco rabbrividì, sentendo le gambe improvvisamente pesanti.
Virgo, ancora dietro di lui, strinse la mano intorno alla sua spalla, fino a fargli male, facendogli stringere i denti e costringendolo a guardare avanti.
“Non un passo indietro” Si ripeté Jaco, gonfiando il petto come un mantice.
Al secondo livello ancora nulla, se non la più completa desolazione.
Ormai tutti apparivano confusi e irrequieti. Perso ormai l’impeto iniziale, si erano resi conto che qualcosa non andava.
Dopo altri tre livelli finalmente trovarono i primi cadaveri, nello stupore generale.
Possibile che le bestie avessero iniziato a uccidersi tra di loro, in mancanza di altro cibo?
No, sarebbe bastato risalire il pozzo e avrebbero trovato altra carne: loro.
L’opzione rimasta era difficile da accettare, però non poteva che essere terribilmente vera.
Qualcosa di più grosso stava uccidendo quelle creature, qualcosa che le aveva attirate in quel pozzo, forzandole a dirigere in quel punto tutti i loro assalti.
La paura ora serpeggiava tra gli uomini mentre il montacarichi continuava la sua corsa, accompagnato dai rumori del combattimento, sempre più forti, sempre più vicini, sempre più terribili.
I tremori, incostanti, si facevano più violenti, come tuoni in un temporale: le pareti vibravano e gemevano, torcendosi sotto i colpi martellanti dell’incubo che li attendeva sul fondo del pozzo, flettendosi ad ogni scossa, come agitate da un terremoto.
Più scendevano, più i cadaveri delle creature aumentavano di numero e dimensione mentre, nascosti nelle ombre, con gli sguardi assassini, potevano scorgere i sopravvissuti che come spazzini saprofagi macellavano i resti dei loro compagni e ne mangiavano le carni, ignorando palesemente la minaccia che proveniva dall’elevatore.
Uno degli esseri si voltò verso di loro, richiamato dalla luce, e li guardò intensamente coi suoi sei occhi neri, immobile, finché non aprì le fauci e iniziò a sibilare, mostrando loro la lunga e sottile lingua uncinata.
I soldati diedero l’ordine di non sparare, ma mantennero le armi puntate contro la creatura, che continuò a fissarli finché non furono spariti oltre il bordo del pozzo.
Jaco deglutì, la gola secca e dolorante, e cercò di non pensare a quanto appena visto, sperando che la sua immagine non lo tormentasse nelle notti a venire.
Se ce ne fossero state.
Più scendevano, più spazzini incontravano, ma i soldati continuavano a trattenere gli uomini, attratti dai rumori della battaglia, incuriositi da cosa avrebbero trovato sul fondo.
Una bestia alta due metri, ben più grossa e imponente delle altre, apparve dall’imboccatura di una galleria.
La sua postura era molto più eretta, la cresta chitinosa del suo cranio ben più sviluppata.
Li fissò affamato, mentre scendevano, la bava che colava dai suoi denti aguzzi, poi puntò contro di loro uno dei suoi affilati artigli e fischiò, facendo schioccare la lingua rapido, producendo un suono aspro e gutturale.
Un minatore aprì il fuoco, tra le urla dei suoi compagni, mancandolo.
Dai vari anelli che costellavano il pozzo si affasciarono migliaia di teste sibilanti, pronte a massacrarli. I soldati iniziarono a sparare, mentre le prime creature sui livelli più in alto si lanciavano nel vuoto contro di loro. Gli uomini, ammassati uno addosso all’altro, urlavano e sparavano contro le creature che cadevano loro addosso, trascinandoli in fondo al pozzo in quell’attacco sucida.
Uno dei mostri atterrò proprio in mezzo alla piattaforma, spazzando con la coda l’aria intorno a sé, spingendo gli uomini oltre il bordo dell’elevatore, infilzando col suo uncino i malcapitati che trovava a tiro. Chi veniva colpito si accasciava presto al suolo, gemendo e vomitando sangue, piegato in due dagli spasmi, schiacciato dalle zampe del mostro e dai suoi stessi compagni.
Jaco era alle spalle dell’essere, sufficientemente lontano. Il compagno davanti a lui fece un passo indietro, spingendolo verso il bordo, costringendo Virgo ad affondare nuovamente con forza le unghie nel suo scafandro, fino a spezzarsele, e spingendo per non venire lanciata giù dalla piattaforma.
Con un enorme sforzo, spinse giù l’amico e puntò l’arma oltre la spalla dell’uomo davanti a loro, prese la mira e sparò.
Il proiettile colpì la spessa corazza del mostro e rimbalzò saettando contro il casco di un altro minatore, che piegò la testa e si portò le mani alla visiera forata prima che l’alieno si voltasse e gli infilzasse il cranio con uno dei suoi quattro lunghi artigli.
Un soldato puntò la sua arma contro la testa della bestia e la crivellò di colpi, finché l’essere non si accasciò a terra guaendo e schiacciando i resti delle sue vittime.
Gli uomini, ansimando, ripresero fiato e una volta ripresisi dallo shock, non senza faticare, spinsero il pesante cadavere giù dal montacarichi.
L’attacco delle creature era terminato, per loro fortuna.
Un urlo risalì lungo il pozzo, un ruggito di dolore inumano che si spense in un lamento.
Un immenso serpente sfondò la parete del pozzo, la testa corazzata e la mascella spaccata in due, sanguinante. I sei grossi artigli in cui terminavano i suoi arti sembravano atrofizzati rispetto alle dimensioni del corpo, ricoperto di sangue e viscere, lacerato in più punti da squarci profondi e mortali.
Jaco fissò sbalordito la scena, osservando la creatura cadere nel vuoto del pozzo e venire inghiottita dall’oscurità, dalla testa alla lunga coda uncinata, sparendo nelle viscere della miniera.
Per quanto differente, quella creatura aveva troppi elementi in comune con gli alieni che avevano messo a ferro e a fuoco il complesso, ma perché avessero ucciso un loro simile, Jaco probabilmente non lo avrebbe mai scoperto.
Il montacarichi si fermò bruscamente con uno scossone che rischiò di far perdere loro l’equilibrio.
I binari dovevano essere danneggiati, o forse erano i cavi elettrici, nessuno sapeva dirlo.
Scesero dall’elevatore fermo in mezzo a due livelli e con molta fatica raggiunsero l’anello poco sopra le loro teste.
I militari dissero che dovevano raggiungere il tunnel scavato da quella creatura, tre livelli più sotto, e i minatori non se lo fecero ripetere.
Facendosi strada tra i cadaveri, avanzarono di rampa in rampa fino alla galleria.
Più volte qualche creatura tentò di assaltarli, sbucando all’improvviso dai tunnel laterali, riducendo sempre più le loro file.
Jaco deglutì di nuovo quando raggiunsero l’entrata indicata dai militari, affianco alla voragine aperta dal serpente gigante.
Il tunnel 249.
Entrarono cauti, dopo aver ridistribuito armi e munizioni, e proseguirono in silenzio, superando presto la deviazione aperta dal mostro che aveva sfondato la parete ed eliminando le possenti creature corazzate che si paravano loro davanti. Ben più robuste delle altre, ben più sulla difensiva, esse sembravano proteggere qualcosa, come animali territoriali.
Forse i militari ci avevano preso, grazie al loro addestramento erano riusciti a trovare la fonte dei loro mali, se ciò fosse stato possibile.
Jaco si guardò intorno.
In quanti erano rimasti ormai?
Meno di un centinaio.
Un tempo erano migliaia.
Quanti morti si erano lasciati dietro…
Seguendo il nastro trasportatore scomposto e distrutto, avanzarono fino in fondo alla galleria, dove li attendeva l’immenso camino. Gli apparati di ventilazione risparmiavano loro il tanfo di morte e putrefazione che doveva pervadere tutta la miniera, fortunatamente, ma l’atmosfera che li circondava era comunque lugubre, come fosse il sogno di un pazzo.
La trivella, distrutta, giaceva riversa alla fine della galleria, proprio di fronte all’ingresso del camino, illuminato debolmente dalle loro torce.
L’antro in cui entrarono era ben diverso da come lo avevano lasciato un mese prima: il baratro senza fondo che dominava il centro della sala era stato riempito di resti umani e alieni, cibo semi-digerito e liquidi corporei, che traboccavano dall’immensa vasca in cui erano stati rigettati; il fondo della sala era stato scavato, creando una sorta di abside, dove alcune creature attendevano in silenzio, quasi stessero dormendo, qualcosa che si nascondeva nell’ombra della cripta.
Gli uomini puntarono le torce, col fiato sospeso, illuminando il fondo di quella sinistra cattedrale.
Un’orribile creatura, alta forse quattro metri, giaceva addormentata al centro della cripta, ferita e ricoperta ancora del sangue e delle viscere del suo avversario, accudita dalle altre creature minori, simili in tutto e per tutto a lei.
Persino i soldati trasalirono non appena il petto della creatura si mosse, mentre essa respirava lentamente nel sonno profondo.
Altre mostruosità corazzate si voltarono contro di loro, ringhiando minacciose.
Un soldato mise mano al piccolo lanciamissili che teneva a tracolla, lentamente, evitando di fare movimenti bruschi e attirare l’attenzione delle bestie.
L’essere aprì la spessa palpebra orizzontale che copriva uno dei suoi occhi neri e fissò gli uomini dall’altro lato della pozza.
Jaco sentì il sangue gelarglisi nelle vene, e improvvisamente i piedi non risposero più ai suoi comandi.
Nessuno riusciva più a muoversi, troppo spiazzato dalla vista del padre di quei mostri che ora, sveglio, li osservava, guardandoli incuriosito come un gatto che gioca con la preda appena catturata.
L’essere ruotò su stesso e lentamente si alzò, ergendosi in tutta la sua statura, allargando le zampe anteriori e mostrando le terribili lame che pendevano dai sui arti.
Aprì la bocca, allargando la mascella elastica, e, con la lingua penzoloni, espirò.
<< Io… vi… vedo… >> gorgogliò, trascinando ogni sillaba pronunciata a fatica, quasi fossero le sue prime parole.
“Parla” si disse Jaco, poco prima che la vescica lo tradisse.
Il soldato si inginocchiò e imbracciò il lanciamissili, puntandolo contro la testa del mostro.
<< Fuori di qui! >> urlò prima di premere il grilletto.
Il missile iniziò la sua corsa in una nuvola di fumo, lanciato a velocità supersonica contro il suo bersaglio, ma l’essere si abbassò fulmineo, chiudendosi a riccio, ed evitando il colpo.
Gli uomini si diedero alla fuga disordinata mentre l’essere si rialzava e avanzava verso di loro, calandosi nella vasca di liquami fino al collo, rovesciandone il contenuto all’esterno, attraversandola a grandi falcate e calando le sue grinfie sulle inermi prede in fuga.
Jaco individuò Virgo che arretrava verso l’uscita e si lanciò nella sua direzione, gettando per terra, durante la sua corsa, qualsiasi peso inutile. Afferrò la ragazza e saltò oltre la soglia di quella sala, tornando nella galleria.
L’essere era risalito sul bordo e li stava inseguendo, schiacciando coloro che finivano sotto le sue zampe. Entrato nella galleria, avanzò verso di loro ruggendo.
<< Il… mio… nido! >> urlò l’essere con rabbia, alternando ogni parola ad un rantolio.
Alcuni si fermavano sul posto, sparando e venendo uccisi rapidamente dalla creatura e dai suoi servi, altri inciampavano e cadevano, venendo lasciati indietro, ormai spacciati.
Nel caos più totale, solo alcuni riuscirono a raggiungere il pozzo dove, tre livelli più in alto, li attendeva il montacarichi.
Jaco spense la torcia dell’elmetto e si fece guidare dai fasci di luce dei compagni sparsi intorno a lui. Virgo, avvinghiata al suo braccio, fece lo stesso, lasciando che il buio li nascondesse al loro predatore.
Mentre risalivano il secondo anello un tentacolo spuntò da una galleria e afferrò uno degli uomini più avanti, trascinandolo nell’oscurità, e poi ancora, su un’altra vittima, e ancora.
Alcuni soldati si fermarono e aprirono il fuoco sull’ingresso della galleria, illuminandola con le fiammate dei loro fucili mitragliatori.
Illuminata dai lampi, Jaco vide una grossa e goffa creatura, nell’aspetto simile ad una gigantesca tartaruga terrestre, lenta nella camminata ma incredibilmente rapida nell’usare la lunga lingua uncinata che si ritrovava come tentacolo, ingerendo intere le prede che riusciva ad afferrare, assicurandosi che non fuggissero dalla sua larga bocca con le due piccole zampe ai lati della sua testa. Il carapace dorsale era rialzato, separato dal resto del corpo, e grondava una strana mucosa di un giallo malato.
Un soldato fu afferrato e rapidamente inghiottito, ma nel breve istante che ebbe ancora riuscì ad afferrare una granata dal suo cinturone e ad attivarla.
La creatura, appena chiuse l’enorme bocca, emise uno sbuffo di fumo e si accasciò al suolo, il ventre esploso.
Jaco e Virgo superarono la carcassa e proseguirono verso la loro unica salvezza, mentre il mostro alle loro spalle si fermava e ruggiva, dando sfogo alla sua rabbia.
Finalmente raggiunsero l’elevatore, dove alcuni sopravvissuti si erano già radunati, e si calarono lungo lo sperone roccioso fino a raggiungere la piattaforma.
Attesero qualche secondo, finché nel pozzo non tornò il buio.
<< Siamo tutti? Andiamo! >> urlò un soldato, facendo segno ai minatori di mettere in moto.
Non potevano sapere quanti ne stavano lasciando indietro.
La pedana non si mosse, bloccata.
<< Qualcosa deve aver bloccato i binari! >> disse un minatore, dirigendosi verso il bordo della piattaforma e guardando di sotto.
<< Corda! >> ordinò un altro, facendo segno di sbrigarsi.
Dal fondo del pozzo sentivano le creature che stavano risalendo, sibilanti.
<< Veloci! >> urlò qualcuno, mentre il primo minatore afferrava la corda e la annodava intorno ad uno dei moschettoni dello scafandro, calandosi quindi al di sotto della piattaforma.
<< Voi… non… scappate! >> urlò il mostro nascosto nell’oscurità.
La pedana si mosse verso l’alto, e gli uomini che tenevano la corda, legata ai loro scafandri, si sentirono strattonare. A fatica issarono il loro salvatore a bordo, subito prima che questi perdesse la presa urlando, trascinato giù da uno degli alieni.
Le creature si muovevano più rapidamente di loro, lungo gli anelli del pozzo, e ogni volta che li raggiungevano si lanciavano nel vuoto pur di portare con loro qualche vittima, nonostante i continui tentativi di respingere i loro assalti da parte dei sopravvissuti.
Le munizioni iniziavano a scarseggiare ormai, batterie e ossigeno andavano esaurendosi, ma la fine del pozzo era ancora lontana.
Uno di quegli esseri si lanciò verso la piattaforma, proprio davanti a Jaco, all’esterno del gruppo, ma fece un salto troppo corto. Si aggrappò alla piattaforma, cercando di issarsi su di essa, annaspando coi suoi artigli sul piano metallico.
Jaco non ebbe il tempo di allontanarsi, prima che una delle temibili lame scorresse contro la sua gamba, recidendo il tessuto rinforzato dello scafandro.
Gemendo per il dolore, il ragazzo cadde all’indietro, afferrandosi la coscia ferita, mentre Virgo imbracciava un’arma e, insieme ad altri uomini, eliminava la creatura.
Jaco iniziò a boccheggiare, preso dal panico, sentendo l’aria venirgli meno.
Virgo si chinò su di lui e lo strinse a sé, cercando di calmarlo.
Ormai erano fuori dal pozzo, nel cono di accesso, al sicuro.
Nella cupola, ad attenderli, vi erano altri uomini armati, pronti a coprire loro la ritirata.
Il colonnello, malamente infilato in uno scafandro troppo grande per lui, la pistola in pugno, ordinò ai suoi di aiutare i feriti non appena il montacarichi si fermò alla fine della sua corsa, e i pochi sopravvissuti vennero tutti trascinati via, mentre gli uomini ancora abili a combattere si prepararono a respingere la controffensiva nemica.
Le creature sbucarono qualche secondo dopo, lanciandosi sulle difese che già una volta avevano espugnato, veloci e numerose, venendo rapidamente falciate dal fuoco delle mitragliatrici.
Presero la prima linea e ne massacrarono i difensori, mentre i sopravvissuti arretravano oltre le paratie della galleria, verso la salvezza.
Jaco avanzava zoppicando, sostenuto da Virgo, gemendo per il dolore che la ferita alla gamba gli provocava. Per ogni passo che loro due facevano le creature guadagnavo metri interi di terreno, avvicinandosi sempre più paurosamente.
I portelloni erano davanti a loro, buona parte dei superstiti li aveva già superati, protetti dal fuoco dei soldati.
Lyucos li raggiunse e afferrò Jaco, aiutandolo a camminare.
Ormai erano dentro, con le creature alle loro spalle.
Il portellone calò, sigillando il corridoio, mettendoli finalmente al sicuro, mentre dall’altra parte provenivano i tonfi e i ticchettii dei mostri che si gettavano sulle pesanti paratie d’acciaio e provavano a sfondarle coi loro artigli.
<< È finita. >> commentò il colonnello togliendosi il casco, con un tono amaro nella voce.
Tutti si liberarono il volto e inspirarono a fondo l’aria artificiale del complesso, e iniziarono a prestare i primi soccorsi ai superstiti, mentre ancora le creature picchiavano contro il metallo, nel vano tentativo di entrare.
Poco dopo, improvvisamente, smisero.
Un soldato si avvicinò ad uno dei tanti spioncini che correvano lungo la spessa lastra di metallo e guardò fuori.
<< Si ritirano. >> sbottò stupito voltandosi verso i suoi compagni. << Tornano nella miniera. >>
Jaco avvertì l’improvviso bisogno di cambiarsi i pantaloni.
   
 
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