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Autore: Raptor Pardus    16/01/2018    0 recensioni
Sulla terribile Piaga che infestò la galassia e riunì i Tre Imperi, e sugli sfortunati minatori di Verris che ne patirono le conseguenze.
Genere: Azione, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giorno 37
 
I soldati attendevano dietro alla barricata improvvisata che bloccava la porta, in mezzo ad una delle due larghe e brevi gallerie che collegavano il distretto produttivo a quello amministrativo.
<< Arrivano? >> chiese un minatore, stringendo tra le mani il suo improvvisato fucile mitragliatore e sbirciando nervoso oltre le casse e i barili che componevano il loro raffazzonato riparo.
<< Non ancora, saranno qui a momenti. >>
Iniziare a produrre armi si era rivelato più facile del previsto, avendo tutti quei macchinari a disposizione.
Il problema era la scarsità di materie prime, specie per la polvere da sparo, e così avevano ottenuto un impeccabile linea di sparachiodi ad aria compressa, ben lontane da essere veri fucili. I minatori in compenso si erano rivelati combattenti capaci e resistenti, e incredibilmente non erano andati troppo nel panico una volta messi al corrente della situazione.
Nonostante tutto, poteva andare peggio.
Il rumore di passi li mise in allerta.
Puntarono le armi e attesero.
Da dietro un angolo sbucarono due uomini che correndo venivano verso la loro direzione.
I sei uomini a difesa del varco si fecero da parte, lasciando che i due fuggiaschi saltassero oltre la barricata e si mettessero al riparo, permettendo loro di sigillare il portellone al termine della galleria.
<< E gli altri? >> chiese il minatore tornando al suo posto.
<< Morti. >> rispose Jaco, riprendendo fiato dopo la corsa.
L’altro uomo che era fuggito con lui, un militare, si tolse l’elmetto e fissò il suo commilitone.
<< Abbiamo perso il magazzino, c’è un varco nel perimetro. >>
<< Già noto, gli altri hanno ripiegato sulle posizioni della centrale. >>
<< Non resisteremo ancora a lungo di questo passo. >> disse Jaco, nascondendo il volto tra le mani.
<< Torniamo al comando, noi. >> continuò il soldato afferrando il ragazzo per un braccio e trascinandolo via dal fronte.
<< Non crollare, ragazzo, ci servi vigile. >> gli disse mentre camminavano nel corridoio buio.
Per risparmiare energia avevano disattivato tutti i servizi non necessari, sperando che gli alieni non tagliassero le condutture di rifornimento.
Più volte avevano dovuto respingere assalti lungo il precario fronte che erano riusciti a stabilire tra i macchinari e i forni, perdendo ogni volta molte vite.
Jaco ricordava ancora il primo scontro, con immenso orrore, quando il tremore delle loro falcate aveva annunciato il loro arrivo sugli inermi uomini a difesa dell’ingresso meridionale.
Ricordava l’essere orribile che gli si era parato davanti, un grottesco rettile alto almeno un metro, ricoperto da una spessa corazza di chitina lucida e scura, dal collo sottile e dal cranio allungato sotto la cui placca frontale trovavano posto sei minuscoli occhi neri e due file di affilatissimi denti posti su una mandibola paurosamente elastica, grondanti saliva infetta e sangue. La bestia si reggeva su due zampe artigliate, bilanciandosi con la lunga coda uncinata, terminante in un letale arpione avvelenato. Altre due paia di zampe terminavano invece in due coppie di artigli a falce, dannatamente affilati, un paio ben più sviluppato dell’altro che, quasi atrofizzato, era spesso ritirato al petto dalla creatura, per difesa.
Jaco ne aveva contati a decine, centinaia, forse anche migliaia durante i terribili scontri, e più loro diminuivano, più le creature aumentavano di numero.
Persino i soldati tremavano quando udivano gli schiocchi che quei mostri generavano con le fauci e con la lingua, o i loro gorgoglii innaturali, o anche il semplice graffiare degli artigli sul vibrante metallo del pavimento e delle pareti, quando correvano veloci e agili tra i macchinari a caccia di prede.
In branchi letali e affamati si muovevano per la struttura, cacciando con malizioso piacere gli sfortunati che perdevano la strada.
Come potevano sperare di sopravvivere contro una tale forza della natura, da soli?
Sarebbero stati spazzati via, e nessuno si sarebbe mai interrogato sulla loro scomparsa.
La disperazione serpeggiava sempre più tra gli uomini, anche se non volevano darlo a vedere.
La loro debole roccaforte era lugubre, un letamaio dove gli operai attendevano ammassati il loro turno per morire al fronte, mangiando razioni misere e dormendo uno sopra l’altro.
Come avevano potuto accettare le condizioni di Haacto Lyucos, che ora col pugno di ferro li comandava, senza niente e nessuno a ostacolarlo?
Degli altri complessi industriali sparsi sulla superficie del piccolo pianeta ancora nessuna notizia, nonostante fosse ormai un mese che provavano vanamente a contattarli.
Erano soli.
Jaco fu accompagnato in infermeria, dove controllarono il suo corpo e attesero che la sua mente si riprendesse, poi fu spedito all’ingresso della miniera, da solo, mentre il soldato che lo aveva portato fin lì era già sparito, tornato probabilmente sui suoi passi.
L’ingresso della miniera era stato fortificato ben diversamente da qualsiasi altra difesa costruita all’interno del complesso: una palizzata metallica era stata innalzata tutt’intorno al cono d’ingresso, praticandovi poi numerose feritoie e anche diverse postazioni rialzate, oltre a un cammino di ronda discontinuo e traballante. Altre due linee trincerate erano state create nella spaziosa galleria che collegava la cupola della miniera al complesso, e anche la fermata dalla monorotaia, posta sopra l’ingresso della cupola, era stata fortificata.
In realtà tutto quel dispiegamento di forze pareva eccessivo a Jaco, considerando che finora nulla era uscito dal pozzo e che tutte quelle difese sottraevano uomini e risorse alle difese della zona industriale, costantemente sotto attacco. I soldati erano scesi là subito prima che lo spazioporto cadesse, ma non avevano avuto il tempo di verificare quale tipo di minaccia si nascondesse là sotto, anche se il colonnello continuava a ripetere che una minaccia c’era, e Jaco non poteva che dargli ragione.
Mentre attendeva la fine del turno, nascosto all’interno della piccola stazione tranviaria, da dove doveva sorvegliare tutta la piana rocciosa e costellata di piatte colline e vasti avvallamenti, fu colto dal sonno, un sonno segnato dagli incubi e dall’irrequietezza.
Molte notti era rimasto sveglio, torturato dalla paura e, quando finalmente trovava un po’ di pace, la sua mente non smetteva di tormentarlo, neppure nel mondo dei sogni.
In quel momento, all’interno della sua mente, un’ombra lo inseguiva per la miniera, un demone che lo perseguitava di luogo in luogo, man mano che il sogno evolveva.
Mentre galleggiava su una immensa, piatta distesa d’acqua, attendendo che l’ombra lo afferrasse e lo trascinasse nelle profondità oceaniche annegandolo, una mano toccò la sua spalla, scuotendolo.
Strizzando gli occhi, Jaco tornò alla realtà, faticando a mettere a fuoco il volto che gli si parò davanti.
<< Ci sei? Ringrazia che ti abbia trovato io e non qualche militare. >> disse Virgo con un’occhiata di rimprovero, le braccia incrociate, il fucile a tracolla.
<< Ehi, Virgo… come va? Stai meglio? >>
<< Sì, ha smesso di sanguinare. >> disse lei sorridendo amaramente.
<< Bene. Anche tu spedita qui a passare il tempo? >>
<< A quanto pare… >> rispose, avvicinandosi alla vetrata che dava sull’esterno della cupola e appoggiandosi coi gomiti allo stretto davanzale, fissando il cielo ocra là fuori.
Sbuffò, trascinando i piedi, poi si voltò.
<< Non possiamo restare qui senza far niente, attendendo che qualcuno ci venga a salvare. >>
<< E cosa dovremmo fare? Uscire dalla porta principale? >> chiese Jaco mettendosi in piedi, la mente ancora un po’ annebbiata dal sonno.
<< No… parlavi di rover un tempo, o sbaglio? >>
<< Sì, ma li avranno fatti a pezzi per riciclarne i componenti. >>
<< Dannazione. >> sbottò Virgo sbattendo un pugno sul davanzale metallico. << Siamo condannati. >>
<< Virgo… >>
<< Ho detto che sto bene. >> rispose lei brusca.
Jaco rimase in un angolo, a fissarla, in attesa che accadesse qualcosa.
<< Hanno ucciso metà dei soldati, hanno ucciso il mio equipaggio, hanno ucciso… quante persone? >> chiese lei dopo un po’.
<< Non lo so. Il tuo capitano… non era sopravvissuto? >>
<< Si è sparato in bocca oggi. >> rispose lei mordendosi le labbra e guardando altrove, evitando gli occhi dell’amico. << E pensare che io dovevo essere lì con loro. >>
<< Non ringrazi di essere ancora viva? >> chiese lui sfrontato, cercando di stuzzicarne l’ira, come sempre aveva stupidamente fatto da quando era ragazzino.
Preferiva vederla arrabbiata che triste.
<< Dovrei ringraziare che loro siano morti? >>
Virgo scosse la testa e si tolse il fucile di dosso.
<< Sono stanca di tutto questo. >>
Jaco le si avvicinò lentamente, cercando le parole giuste.
<< Sai, credo che avrei dovuto accettare la tua offerta, un mese fa. Avrei potuto lasciare questo lavoro e andarmene con te altrove. Magari ora saremmo al sicuro… >>
<< O forse saremmo stati solo in pericolo da qualche altra parte, non è un problema solo nostro, questo. >> rispose lei, fissandolo provocatoria.
Lui sentì il cuore accelerare, pompando sangue carico d’adrenalina in circolo.
Sentiva le orecchie avvampare, e le mani gli tremavano, ma cercò di nascondere l’agitazione.
<< Non hai paura di sprecare tempo, sapendo cosa ci aspetta? >>
<< No. >>
Lui si avvicinò, cercando di rimanere lucido, eppure la testa gli diceva solo “lanciati o muori” ripetuto come un mantra, e lui sapeva che aveva ragione, perché non gli rimaneva che una sola possibilità, e perderla adesso sarebbe stato uguale a morire, nessuna differenza.
<< Virgo… >>
Ormai le era di fronte.
<< Dimmi. >> disse lei.
“Fallo” gli disse il cervello.
Jaco afferrò la testa della ragazza e si avvicinò repentino, poggiando le sue labbra su quelle di lei.
Lei non si ritrasse, ma al contrario schiuse la bocca e insinuò la lingua nella sua, ricambiando dolcemente il gesto.
Lui mantenne il contatto e, vedendo le difese dell’amata abbassarsi, si lanciò di nuovo, facendo scorrere la sua lingua verso le morbide labbra scure della donna, che ancora sostenne il bacio, e poi si scostò gentilmente.
Jaco fissò Virgo negli occhi, in quei chiari occhi dolci che trovava così belli.
Lei gli mise una mano sulla bocca, quasi una carezza.
<< Non ora. >> disse, lasciandosi scappare un riso leggero, lieve.
La mano passò dolcemente dalle labbra ai capelli castani del ragazzo, prendendo a giocare con un dito coi suoi ricci ribelli.
<< No. >> continuò Virgo, abbassando la mano e volgendo lo sguardo altrove, sottraendosi al contatto ma continuando a sorridere debolmente.
Lui rimase fermo dove l’aveva baciata, ipnotizzato dall’odore della ragazza che ancora si sentiva addosso.
<< Capita a tutti, tranquillo. >> concluse lei, recuperando la sua arma e avviandosi sulle scale di metallo che collegavano la fermata all’ingresso della cupola sotto di loro.
L’allarme risuonò per tutto il complesso, rompendo la bolla in cui i due si erano isolati.
<< Che significa? >> chiese lei tornando indietro.
<< Non lo so, ma è quello della miniera. >> rispose Jaco scuotendo la testa, risvegliandosi dalle sue fantasie erotiche.
Virgo imbracciò il suo fucile, attivando il piccolo compressore che lo alimentava.
Jaco sentì la terra tremare mentre si voltava per attivare l’interfono della stazione.
<< Guarda! >> urlò puntando il dito oltre il vetro.
Virgo si voltò, sbarrando gli occhi.
<< Che fanno? >> disse, la voce strozzata dal terrore.
Le bestie erano uscite dallo spazioporto e ora sciamavano per la superficie del pianeta, libere.
<< Come cazzo fanno a respirare? >> squittì Jaco con voce stridula, dimenticando che lo spazioporto era scollegato da un mese.
Gli alieni avevano raggiunto la cupola e si stavano lanciando sulle sue pareti, cercando di scalarle.
O forse sfondarle.
Jaco trasalì.
<< Dobbiamo andarcene di qui! >> urlò, lanciandosi verso le scale.
Rumore di spari arrivò dal corridoio, insieme al rumore di artigli sul metallo e ai sibili inquietanti di quelle creature.
<< Merda! >> si lasciò sfuggire Virgo non appena sentì le urla delle sfortunate vittime risalire le scale. <<  Sono sotto di noi! >>
Jaco scese qualche gradino e guardò in basso, verso le altre quattro rampe di scale che li separavano dalle trincee alleate.
Ombre si stavano muovendo verso di loro.
<< Sul vagone, ora! >> urlò Jaco risalendo rapidamente fino al pianerottolo.
Virgo raggiunse la consolle di comando e abbassò una leva, aprendo meccanicamente le porte dei due connettori che collegavano vagone e stazione.
Jaco si lanciò nello stretto corridoio e chiuse i portelli non appena la ragazza fu accanto a lui.
<< E ora? >> chiese lei, nascondendosi dietro le paratie del mezzo.
Jaco alzò la testa, spiando cosa stava accadendo ancora nell’edificio.
<< Virgo, guarda verso la cupola. >>
Lei si voltò, sbriciando verso l’esterno.
<< Jaco… sono entrati. >> disse, la voce scossa da un singhiozzo.
Jaco si alzò e si voltò nella sua direzione, guardando fuori.
Gli alieni avevano sfondato gli spessi pannelli metallici della cupola e si stavano riversando a frotte nei fori così creati, sparendo all’interno della miniera, calpestandosi a vicenda pur di lanciarsi nelle molteplici brecce.
Numerose come cavallette, si ammassavano alla base della struttura e ne scavavano le fondamenta, cercando sempre più percorsi per penetrarla.
Il vagone ebbe un violento scossone, e un ruggito li fece voltare, urlando spaventati.
Una di quelle bestie era là, aveva sfondato il vetro della stazione, e tentava con i suoi artigli a rasoio di rompere i vetri della cabina.
<< Portaci via di qui! >> urlò Virgo puntando il fucile contro il portellone che il mostro rischiava di sfondare.
Jaco raggiunse la consolle e azionò i comandi manuali, e il vagone iniziò lentamente a muoversi, scivolando lungo il suo binario verso gli alloggi.
Virgo abbassò l’arma e inspirò a fondo.
Jaco rimase in silenzio.
Si sentiva le mani ancora sporche di sangue, avvertiva ancora il terrore che era serpeggiato tra lui e i suoi compagni quando le creature li avevano attaccati nei magazzini, abbattendoli uno dopo l’altro.
Lui era fuggito, insieme ad altri pochi, e si era messo in salvo, mentre altri erano rimasti ed erano morti.
Era un codardo.
Arrivarono alla stazione degli alloggiamenti in silenzio, gli sguardi bassi, abbattuti.
Furono accolti da alcuni minatori di guardia lì, e furono spediti nei loro alloggi.
Si erano salvati solo perché la corrente non era stata tolta alla monorotaia, proprio in previsione di simili necessità e, ancora una volta, entrambi avevano agito da vigliacchi.
Non ci volle molto per scoprire che la cupola era caduta, e i mostri si erano riversati nel pozzo come una marea.
Qualche ora più tardi il colonnello radunò gli uomini nell’edificio della mensa e tenne un discorso.
<< Quest’oggi gli alieni hanno superato le nostre difese dell’area di immagazzinamento, e in seguito hanno lanciato un attacco sul collegamento settentrionale. >> cominciò, in piedi sopra un tavolo. << Le continue ondate nemiche hanno sfondato le nostre linee e hanno fatto breccia nella zona mineraria, attaccandola sia dall’interno del complesso che dall’esterno. >>
Il colonnello fece una pausa, valutando in silenzio la reazione della folla.
I pochi militari ancora in grado di combattere rimasero impassibili, mentre gli operai iniziarono a borbottare, irrequieti.
<< La fornitura di ossigeno alla zona di immagazzinamento è stata sospesa, mentre la zona di produzione rimane rifornita, in quanto controlliamo ancora la centrale energetica e gli stabilimenti annessi. Purtroppo, la produzione di armi è destinata a cessare, poiché mancano ormai le materie prime, e le razioni sono ormai al minimo. >>
I borbottii all’interno della sala si spensero uno dopo l’altro.
<< Perciò, miei compagni in armi, vi chiedo un immenso sacrificio: riprendiamo la miniera e sterminiamo i bastardi che ci hanno ridotto così. Sono con le spalle al muro, chiusi in una trappola che si sono creati da soli. >>
<< Ma ci servono scafandri! >> urlò un minatore.
<< Stiamo recuperando tutti gli scafandri disponibili dal distretto industriale, altri verranno recuperati quando l’anticamera della cupola sarà riconquistata. >> rispose il colonnello. << So di chiedervi molto, ma situazioni disperate richiedono scelte drastiche. >>
<< Più che drastiche, disperate. >> mormorò Virgo.
Jaco non rispose, rimanendo assorto nei suoi pensieri.
<< È inutile aspettare la morte nella speranza che qualcuno venga a salvarci, è il momento di attaccare ed estirpare questo cancro! Sono chiusi, non conoscono un terreno che voi stessi avete plasmato! Non hanno speranza, la vittoria sarà nostra! Chi è con me? >> concluse eccitato il colonnello, cercando di toccare i suoi ascoltatori nell’orgoglio.
La folla si lanciò in un boato di esultanza.
Jaco alzò la testa e rallentò il respiro che andava accelerando.
Sì, anche lui avrebbe combattuto, anche lui avrebbe finalmente fatto la sua parte.
   
 
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