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Autore: Ayla    18/01/2018    0 recensioni
La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul forum EFP, ‘Fairy and Spirits - Raccontami una Favola.
"Molti secoli fa, grazie ai portali, la Terra era in contatto con un mondo fantastico, completamente diverso: esso rispondeva al nome di Faeria. Essa era una terra fertile, rigogliosa; ricca di foreste, campi, fiumi e laghi; punteggiata da cittadine e grandi castelli occupati da re, regine, principi e principesse. Ma un giorno la loro esistenza sarà messa in pericolo e solo una persona potrà tentare di salvarli..."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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TRE

 

Aveva un mal di testa atroce e lentamente sollevò le palpebre pesanti. 
Dalen ebbe una sorta di deja-vu, solo che stavolta non si ritrovò a fissare un soffitto bianco in cemento, ma la stoffa nocciola di una tenda.  Gradualmente mise a fuoco un alone a fianco a sé e vide Eleswin che, con un’espressione angosciata, stava vegliando su di lui. Quando si accorse che si era ripreso, sollevata, si piegò su di lui chiedendogli come si sentiva e passò una mano sulla sua fronte. Dalen si trovò a pochi centimetri i suoi occhi rossi e gialli, arrossì e quando anche la Úmarth si accorse di essere troppo vicina, si allontanò imbarazzata. 
Improvvisamente al suo fianco, il giovane sentì qualcuno bofonchiare in segno di protesta, si voltò su un fianco trovandosi molto vicino il volto di uno sconosciuto arrabbiato. Spaventato si sedette di scatto, ebbe un giramento di testa e fu prontamente soccorso dalla ragazza, poi riportò lo sguardo sul suo vicino di letto e si accorse che si trattava di un ragazzino dalla corporatura esile, un buffo naso appuntito, come le orecchie, imbavagliato e legato come un salame.
Lo sconosciuto aggrottò le sopracciglia e prese a dimenarsi come un ossesso, cercando di sciogliere le corde.
-Ah, non ti preoccupare di lui… È solo un folletto tanto sciocco da intrufolarsi in un campo Úmarth e tentare di derubarci- dopo vari tentativi la creatura riuscì a liberarsi del bavaglio.
-Voi maledetti mezzi elfi non meritate di stare qui, non meritate nulla di ciò che avete- disse con voce stridula, Dalen si avvicinò ad essa e gli pungolò il naso: -Credevo che i folletti fossero più piccoli-. Quel commento fece arrabbiare di più il faeriano: -Bassi! Il termine giusto è “bassi”! E poi da dove verresti ragazzino! Nessuno ti ha insegnato che solo perché i nostri antenati adoravano andare in giro nella loro forma minuscola, non vuol dire che di norma i folletti siano bassi?- il ragazzo non riuscì a trattenersi dal ridere, trovava comico il modo in si adirava quella piccola creatura esile, cosa che fece attirare su di sé altri rimproveri da parte del folletto.
Si girò di scatto, in cerca del libro, ogni volta temeva di perderlo e non poteva permetterselo, Eleswin lo tranquillizzò facendogli vedere che era proprio al suo fianco. 
Ci fu ancora un po’ di confusione tra il trio quando una figura sollevò un lembo della tenda, entrando e facendo zittire tutti e tre: si trattava di un anziano muscoloso e pieno di tatuaggi; i capelli e la barba canuti e lunghi; in una mano, dalle dita lunghe e affusolate, teneva un lungo bastone nodoso, ricurvo alla fine dal quale pendevano foglie, fiori essiccati ed enormi bacche; anche lui sul volto possedeva il marchio caratteristico della sua specie. Eleswin abbassò lo sguardo, portando entrambe le mani sul cuore si inchinò e solo ad un verso incomprensibile del vecchio, lei si rialzò. Il ragazzo osservò rapito la scena.
-Vedo che il nostro Hybris si è ripreso. Il mio nome è Grosjierik, sono lo sciamano e il capo di questa piccola comunità, la nostra “Piccola Lacrima” ci ha raccontato di come tu l’abbia salvata nonostante la sua natura e ti abbia ingiustamente incastrato facendoti catturare- queste ultime parole le disse con tono di rimprovero verso la faeriana, che vergognandosi abbassò gli occhi.
-Ti ringrazio, Dalen- continuò l’anziano, poi si accucciò di fianco a lui prendendogli il ciondolo tra le mani e lo guardò negli occhi -Hai proprio i lineamenti di tuo padre, gli occhi di tua madre e il coraggio di entrambi. Noiro, Gherda e Locuy hanno fatto un buon lavoro nel proteggerti- Dalen sbarrò gli occhi, come faceva a conoscere suo nonno, i suoi genitori naturali ed adottivi? Ma aveva timore nel fare quella domanda, provava soggezione per quell’uomo. Lo sciamano sorrise, prese una delle bacche che portava con sé sul bastone, la premette in una ciotola facendo uscire un succo bluastro e gliela porse consigliandogli di bere il contenuto. L’Hybris obbedì e subito dopo sembrò recuperare un po’ delle forze, chiese quanto avesse dormito e gli venne risposto che era rimasto senza sensi per ben tre giorni; nel frattempo Zerkatt era stata rasa al suolo e i suoi abitanti erano stati presi prigionieri, compreso il re.
Grosjierik prese la parola: -Dalen, sento che hai paura di farmi una domanda… Sappi che puoi chiedermi qualsiasi cosa ed io cercherò di risponderti. Qui sei al sicuro e ti puoi fidare di noi-.
Allora il giovane prese coraggio e chiese: -Come fate a sapere chi fosse la mia famiglia adottiva? Conoscete i miei veri genitori? Dove sono? Sapete dove trovare Noiro? Avete parlato con lui? E Brax? Avete idea di come poterlo sconfiggere?-.
Ridendo lo sciamano lo bloccò: -Fai tante domande ragazzo. Per ora riposati, stasera partecipa alla festa dell’accoglienza e poi domani risponderò alle tue curiosità- fece un pausa prima di uscire -Ah, Eleswin, piccola Lacrima, noto con piacere che sei riuscita a catturare un folletto ladruncolo-.
La creatura, sentendosi nominare, si mise sulla difensiva, guardando con fare di sfida il capo Úmarth; quest’ultimo si avvicinò al primo: -Per espiare le tue colpe rimarrai legato fino a quando non implorerai perdono- infine uscì dalla tenda.
Ignorando le proteste del folletto, Dalen si volse verso Eleswin: -Piccola Lacrima?-.
-Probabilmente l’ha chiamata così perché è sempre stata una piagnucolona- si intromise con tono sprezzante la creatura, ricevendo un’occhiataccia gelida da parte della ragazza.
La faeriana guardò l’Hybris con sguardo perso in un qualche ricordo: -I monti Úroth sono valicabili solo dagli elfi grazie al favore positivo di Nimrodel. Lo fanno ogni anno per raggiungere il lago magico Rhawin di Eosel dove alimentano i loro poteri, che dopo un anno rischiano di perdere se non intraprendono quel viaggio. Alcuni di loro, però, approfittano per vedere anche il resto di Eosel e una parte va contro le regole della dea innamorandosi od unendosi ai maghi. Come risultato alcuni elfi tornano indietro dopo mesi per abbandonare ai bordi delle foreste i loro figli maledetti. Quando hanno trovato me, ancora in fasce, avevo un foglietto su cui era scritto il mio nome originale, Iris, ma venne cambiato durante la festa dell’accoglienza in Eleswin. Nella lingua antica di Faeria significa “Piccola lacrima” poiché il foglio su cui era ecritto il mio nome era impregnato delle lacrime che mia madre aveva versato per me, in più chi mi ha trovato narra che si potevano udire dei singhiozzi provenire dalla foresta, ma non riuscirono a capire a chi appartenessero. Grosjierik, allora, mi ha dato quel nome perchè voleva che ricordassi quanto mia madre in realtà avesse sofferto nel non potersi prendere cura di me-.
Il giovane le posò una mano sul braccio scusandosi per averle chiesto una cosa del genere, lei gli rivolse un sorriso amaro dicendogli di non farlo, tutti quelli come lei avevano alle spalle una storia simile, per cui lei non doveva essere trattata in modo speciale e sentirono dei piccoli singhiozzi provenire dall’angolo della tenda dove era presente il folletto. Quest’ultimo tirò sul col naso sottolineando il fatto che non stava piangendo, forse c’era della polvere che gli era entrata negli occhi, facendo ridacchiare i due ragazzi.
Quella sera la gente della piccola comunità si radunò intorno ad un falò acceso nel mezzo della radura in cui abitavano; adulti, anziani, ragazzi e bambini prendevano posto intorno alle fiamme, accompagnati dai motivetti allegri provenienti dagli strumenti di un gruppetto di Úmarth.
Dalen era rapito dallo spettacolo suggestivo che si presentava fuori dalla tenda, in cui aveva passato tutta la giornata. Il cielo nero e privo di nubi metteva mostra del suo glorioso insieme di stelle, che come piccole perle disegnavano intricate immagini completamente di verse dalle costellazioni a cui il ragazzo era abituato. Quei lontani minuscoli puntini bianchi circondavano le due lune lattescenti, la prima piccola e quasi completa, la seconda più grande e sferica. La luce lattiginosa, mista a quella tremolante e più decisa del fuoco, illuminava le fronde degli alberi che delimitavano l’area della radura, guardiani silenziosi della celebrazione che si sarebbe tenuta di lì a poco.
La faeriana fece cenno a Dalen di sedersi accanto a lei e al folletto legato ed imbavagliato per bene che, imbronciato, guardava la festa a cui era stato costretto a partecipare come spettatore. La musica spensierata si tramutò in solenne, tutti i presenti si alzarono i piedi mentre, da un varco formatosi tra la gente, lo sciamano Grosjierik, intonando un canto solenne, guidava la fila di mezzi elfi con ognuno in braccio un bimbo appena nato. Si sistemarono intorno al fuoco e il capo della comunità cominciò a narrare a tutti della nascita del primo Úmarth e di come fosse ingiusto che le colpe dei padri cadessero su quelle dei figli, continuò col dire che la loro specie non avrebbe mai demorso nel tentativo di mostrare a tutti che loro non erano diversi e che avrebbero accettato coloro che invece tutti avrebbero rifiutato. La cerimonia andò avanti con canti, preghiere ed offerte ad Heturin perché vegliasse sui nuovi nati e terminò con un canto melanconico e straziante in una lingua antica, che gli venne tradotto da un mezz’elfo lì vicino, esso parlava delle peripezie e soprusi sofferti dalla loro specie prima di trovare conforto in piccole aree delle foreste. Alla fine della cerimonia i neonati e le famiglie con i piccoli si ritirarono nelle loro tende, Grosjerik si sedette su un grande tronco tagliato e ad un suo cenno i musicisti ripresero a suonare motivetti allegri ed accattivanti, mentre le persone rimaste si alzarono cercando il proprio compagnio per dare inizio alle danze. Eleswin venne invitata da un giovane e per la prima volta l’Hybris la vide sorridere senza pensieri mentre si accingeva a ballare insieme ai suoi simili; il ragazzo si andò a sedere a fianco dello sciamano, osservando come alcuni ragazzi avevano tolto il bavaglio al folletto e divertiti lo stavano facendo bere qualcosa di sicuramente alcolico.
L’anziano si mise a ridere davanti a tutta quella vita e si accorse che invece il giovane era pensieroso, gli chiese se fosse qualcosa che non andava.
Dalen guardò il folletto ubriaco mentre si univa a cantare ballate a lui sconosciute e tentava di danzare nonostante fosse ancora legato: -Non capisco… A pochi passi da qui le terre sono dilaniate dalla guerra, la gente lì fuori soffre… E voi invece fate festa. Non dovreste pensare a come affrontare Brax?-.
Il vecchio sorrise comprensivo: -Hai ragione, la guerra uccide e fa del male. Ma se lasciamo che essa oscuri i nostri cuori allora il tiranno ha già vinto. Oggi è un giorno da celebrare, abbiamo accolto nuovi bambini salvandoli da morte certa, gli abbiamo dato un’opportunità in più per sopravvivere a questo mondo duro ed ostile- fece una pausa indicando la radura e i ragazzi che danzavano -Guardati intorno quanta vita, un giorno non ci saremo più mentre invece il mondo andrà avanti. Con o senza di noi la natura esisterà ancora, noi dobbiamo cogliere il nostro attimo e viverlo a pieno, non possiamo permettere che una sola persona egoista e malvagia ci tolga l’unico nostro tempo di esistere. L’arma migliore con cui dimostrare di non avere paura è continuare a comportarci come sempre, festeggiando e portando avanti le nostre tradizioni, ovviamente stando in allerta. Quando arriverà il momento di combattere ci troveranno pronti a rispondere-.
Dalen, ammirando i pensieri dell’uomo, si zittì ed osservò i suoi coetanei mentre festeggiavano; i suoi occhi trovarono la figura aggraziata di Eleswin mentre volteggiava, ridente, tra le braccia di un giovane, si sorprese nel capire che inconsciamente stava seguendo ogni suo singolo movimento. Il vecchio sciamano se ne accorse e sorridendo gli diede una pacca sulla schiena, notando come il ragazzo fosse arrossito a quella presa di coscienza.
La giovane Úmarth si avvicinò a Dalen e con un sorriso raggiante gli chiese di danzare con lei, inizialmente egli rifiutò sostenendo di non saper danzare, ma lei lo ignorò prendendolo per mano e trascinandolo nella mischia.
Il ragazzo, visibilmente imbarazzato, si guardò intorno, poi nel suo campo visivo entrò la mezz’elfo e come ipnotizzato la seguì mentre allegra volteggiava su se stessa. I suoi occhi incontrarono quelli rossi e gialli di lei, notando come la luce del falò li mettesse in evidenza; il gioco di luce ed ombra creatosi sul suo corpo la facevano confondere con le lingue di fuoco, si muoveva in modo sinuoso come esse e lui non poteva fare a meno di guardarla. Inebriato da tutta quell’allegria si lasciò trasportare dalle danze, dimenticandosi della guerra, di Brax, dei suoi genitori naturali e adottivi. Dimenticandosi di tutto ciò che era al di fuori di quella radura.


La mattina dopo si svegliò con un grande mal di testa, ricordava di aver ballato per molto tempo e di essere crollato dal sonno da qualche parte, portò una mano davanti agli occhi per riparasi dalla luce forte del sole. Sentì il respiro leggero di qualcuno addormentato a vicino a lui, si girò sul fianco per vedere di chi si trattasse, con stupore di ritrovò davanti il volto di Eleswin e si accorse che inconsciamente si erano addormentati tenendosi per mano.
Arrossì e si sedette di scatto guardandosi intorno: la verdeggiante radura era coperta da Úmarth addormentati, alcuni ancora con una fiaschetta di qualche liquore in mano; poco lontano giaceva il folletto ronfante, il quale bofonchiava frasi senza senso.
Si alzò e tendendo l’orecchio avvertì il rumore di acqua poco lontano. Si dovette avventurare per un breve tratto nella foresta trovando un piccolo fiumiciattolo che passava per di lì.
Mise le mani a coppa per recuperare quel tanto di acqua fresca per buttarsela sul viso e ridestarsi del tutto, tenne ferme le mani sugli occhi a quel contatto rinfrescante fino a quando non sentì uno scrocchio, si mise sull’attenti e quando le tolse, liberando la vista, si trovò di fronte una creatura che lo fece saltare 
Aveva di fronte un animale più grande di un cavallo; aveva la testa di un cervo, leggermente più appiattito sul naso, con le grandi orecchie di lepre; la metà del corpo davanti assomigliava a quella di un cavallo, mentre quella dietro era costituita dalla metà posteriore di un canguro. Il manto era di un bruno scuro, pelo raso che risplendeva al contatto con la luce, disegnando muscoli forti e guizzanti; esso lo stava osservando mentre, calmo, approfittava del fiumiciattolo per abbeverarsi.
Una voce maschile dietro di lui, lo fece sussultare: -Non avere paura di lui, Hybris- disse Grosjierik divertito -È un Lecerguro, le uniche creature che non temono noi Úmarth, proprio come te. Lui è il compagno di Eleswin-.
Dalen si rivolse nuovamente verso la strana creatura, osservandola con occhi diversi: -Il compagno di Eleswin?-. 
Come se fosse stata chiamata, la ragazza sbucò da dietro gli alberi, ancora assonnata: -Secondo te come ho fatto a portarti qui? Di sicuro non mi faccio chilometri e chilometri con te in spalle privo di sensi… Ho chiamato Roth a darmi una mano- l’animale si avvicinò a lei per farsi accarezzare.
-Quindi lui sarebbe il tuo destriero?- chiese il ragazzo incuriosito.
-Roth non appartiene a nessuno, è lui che ha scelto di servire e fidarsi di Eleswin, e lo farà per tutto l’arco della sua vita- spiegò lo sciamano e capo degli Úmarth.
Passarono il resto del tempo a parlare della celebrazione della sera prima, mentre la mezz’elfo accarezzava e coccolava il lecerguro Roth. Dopo un po’ l’anziano propose ai due giovani di tornare all’accampamento, il lecerguro li accompagnò fino al confine tra alberi e radura, poi dopo averli osservati per un po’ si riemerse nella natura. L’Hybris chiese perché non li avesse seguiti oltre e la ragazza gli spiegò che la loro specie non ama essere circondati da molta gente, lo sopportano solo in casi di necessità ed inevitabili.
-Capo Grosjierik, ieri mi avevate detto che avreste risposto alle mie domande…- iniziò Dalen, ma venne subito bloccato da un cenno dell’interpellato.
-Ogni cosa a suo tempo… E ora è tempo di mangiare- rispose lui e il ragazzo chiese se davvero avessero dormito così tanto, allora il vecchio gli fece notare il sole alto e continuò: -Dopo quel genere di feste il corpo richiede molto per riposare e riprendere le attività importanti come il lavoro e gli allenamenti, e poi a stomaco pieno si ragiona meglio- fece l’occhiolino mentre gli abitanti del campo preparavano per il pranzo. Alcuni uomini stavano arrostendo la cacciagione, mentre alcune donne mischiavano in un grosso pentolone verdure e fiori sconosciuti a Dalen.
Lo sciamano si sedette accanto al folletto, arreso all’idea di dover rimanere legato, e fece accomodare a fianco a sé l’Hybris e la giovane Úmarth. Consumarono il pasto e Dalen rimase affascinato della grande ospitalità ricevuta, nessuno aveva fatto domande e lo avevano accolto sin da subito come uno di loro; aveva persino dimenticato e superato il tiro basso giocatogli dalla mezz’elfo solo qualche giorno prima.
Il capo sembrò avergli letto nel pensiero: -Noi siamo sempre ospitali con chi ne ha bisogno. Tu però sei un ospite ancor più benvoluto- il giovane non capiva -Hai salvato uno di noi, senza farti scrupoli su quale fosse la sua natura… In più non sei un Hybris qualunque, ma quell’Hybris che tutti aspettavano. Tu sei l’unica speranza di Faeria-.
Dalen continuava a non capire, cosa aveva lui di così speciale da essere addirittura considerato come unica speranza? Un bagliore fioco attirò l’attenzione di tutto il campo e da esso apparve l’alce bianco in tutta la sua gloriosità. Perché apparire ora? Cosa doveva fare? La gente esultò alla sua vista, si avvicinarono timorosi e quasi in venerazione; tutti tranne i bambini i quali subito corsero da lui per accarezzarlo e l’animale li lasciava fare. Improvvisamente uno scoppio in lontananza mise in allerta tutti i presenti, l’alce indirizzò il muso verso la fonte del rumore e poco dopo si levò in lontananza una colonna di fumo: un’altra cittadina era caduta nelle mani di Brax.
Per sciogliere la tensione e riportare la tranquillità nel campo, l’alce prese a giocare coi bambini, facendoli montare in groppa o saltando allegramente da una parte all’altra; riuscendo maestosamente nel suo intendo.
Grosjierik capì l’intento dello spirito guida: -Dalen, ragazzo questo vuol dire che è arrivato il momento che tu sappia da dove vieni- ottenne l’attenzione sua, della ragazza e persino del folletto, incuriosito da quella faccenda.
-Da dove iniziare…- l’uomo si fece pensieroso -Ecco. Le ninfe sono creature aggraziate che festose vivono nelle foreste o vicino alle acque, incapaci di comprendere un sentimento forte come l’amore verso un uomo. La loro madre è un’amadriade e nessuna di loro può allontanarsi dal luogo in cui sono nate, pena la morte; ma ci sono delle eccezioni in cui ciò è permesso. In rari casi nasce un bambino dal cuore nobile e puro, a cui il futuro prevede grandi cose e da adulto avrebbe ricevuto una moglie adatta a lui, ovvero una ninfa scelta dall’amadriade-.
-Ma è una cosa crudele. Come si fa a costringere una persona ad amare qualcuno?- interruppe Eleswin.
-Sciocca e piccola Úmarth- rispose il folletto -Nessuno lì fuori è libero di amare chi vuole, né l’umile contadino né i grandi regnanti che regolano le città di Eosel-.
Lo sciamano zittì entrambi, riprendendo il suo racconto: -Questo è un caso diverso. Un tempo lontano nacquero da una famiglia nobile due gemelli e venne interpellato un grande indovino riguardo il loro futuro. Egli riconobbe in uno dei due un gran cuore nobile e puro, con un futuro ridente davanti a sé, ma non disse quale possedesse quella singolare caratteristica. I genitori riconobbero il primogenito come il destinato. I due gemelli crebbero divenendo due uomini dall’aspetto amabile, ma diversi tra loro sia esteriormente che interiormente; il primogenito era amato dai nobili genitori, mentre al secondogenito rivolgevano meno attenzioni, quest’ultimo subiva silenziosamente ma ne approfittava per sgusciare dalla loro tenuta e vedere il mondo esterno. Arrivò il momento di cercar moglie per i figli e i due nobili, ricordando ciò che aveva detto l’indovino, partirono per la foresta lì vicino lasciando i poderi in mano ad essi. Questi si fidavano ciecamente l’uno dell’altra e riuscirono a gestire magistralmente le terre dei genitori, durante la loro assenza. Nel frattempo i due nobili raggiunsero il luogo abitato dalle ninfe e quando l’amadriade seppe della profezia dell’indovino, lusingata, promise di scegliere la ninfa più adatta a quel figlio dotato di tal rarità. Soddisfatti i due nobili tornarono a casa a proferire la lieta notizia. L’amadriade mantenne la sua promessa ed optò per una delle sue più giovani e belle figlie: una lunga e folta chioma accarezzava la pelle pallida della creatura, ondulati capelli fini raggiungevano la fine della schiena come un fiume nero lucente, lasciati sciolti ed adornati da semplici foglie e pochi fiori colorati; gli occhi azzurri come il cielo d’estate arricchiti da pagliuzze rosse e dorate scrutavano la foresta in cui viveva, attenti a scovare ogni suo segreto; le labbra rosse e carnose sempre piegate in un dolce sorriso pronto ad essere regalato ai viandanti. L’amadriade amava molto quella figlia, e per questo scelse proprio lei; la affidò ad una coppia di potenti maghi di cui si fidava, in quanto sempre rispettosi e gentili nei confronti delle ninfe, per accompagnarla dalla nobile famiglia. I nomi di quei due maghi erano Gherda e Locuy e il loro compito era anche quello di prendersi cura di lei, fino a quando non avrebbe imparato a vivere indipendentemente in quel mondo a lei nuovo-.
Dalen prestò ancora più attenzione al racconto: loro due erano i suoi genitori adottivi e forse stava cominciando a capire.
-Con l’intervento di Adasser, dio dell’Amore, il cuore della giovane ninfa venne reso capace di provare e comprendere un sentimento tanto nobile come l’amore vero; tuttavia nonostante egli fosse una divinità, ci sono occasioni in cui anche lui non è in grado di controllare il procedere degli eventi. La giovane ninfa venne così accompagnata alla tenuta della nobile famiglia. Venne presentata al primogenito il quale si innamorò perdutamente di lei a prima vista, mentre la fanciulla, invece, era attratta da tutto ciò che la circondava e che vedeva la prima volta. Il mago volle mostrarle i propri possedimenti e ricchezze per poter fare colpo su di lei, non riuscendoci, ma non demorse, riempiendola di abiti e gioielli, sperando di essere ricambiato in futuro. Un giorno la ninfa decise di uscire dal castello per poter vedere con i suoi occhi come si svolgeva la vita al di fuori di esso, si fece accompagnare da Gherda, ma raggiunto il mercato della piccola cittadina in cui abitavano vennero presi di mira da dei banditi. Nel frattempo il secondogenito tornò da un lungo viaggio e passando per quello stesso mercato accorse a salvare le due damigelle in pericolo, ma la ninfa non era una completa sprovveduta e sotto gli occhi stupefatti del giovane nobile e dei banditi, riuscì a farsi valere, aiutando la maga a metterli in fuga. Colpito da così tanto coraggio e forza egli si propose di accompagnare le due donne a visitare il mercato. Grazie a lui, la ninfa scoprì le piccole cose che rendevano speciale quel territorio, come i prodotti delle terre, le persone e le tradizioni; e senza accorgersene cominciò a provare un sentimento nuovo. Dal canto suo il ragazzo venne rapito anche dalla dolcezza della sconosciuta, oltre che dalla sua bellezza, e in breve si rese conto di essersi invaghito di lei-.
-Aspetta- interruppe Dalen -Adesser riuscì a far innamorare Eöl di quell’elfo, perché non convinse la ninfa ad innamorarsi del primogenito?-.
-Il dio dell’amore non costringe mai nessuno ad amare, lui pianta il seme di quel sentimento all’interno del cuore delle persone, terreno fertile che farà sbocciare il fiore solo nel momento giusto. Quella volta venne aiutato dalla dea dell’illusione e il dio delle acque si invaghì del bell’aspetto donato alla giovane elfo. Ma ora concentrati sulla storia se vuoi avere risposte alle tue domande- lo ammonì il vecchio -Quel giorno, però, i due scoprirono la vera identità dell’altro: lei era la promessa sposa del gemello del giovane che era accorso per salvarla. Il ragazzo si disperò, non voleva fare un torto al fratello innamorandosi della donna con cui avrebbe dovuto passare il resto della vita e decise di partire per un viaggio alla ricerca dell’indovino per sapere come comportarsi di lì in futuro. Dal canto suo, la giovane si chiese come potesse essersi innamorata di quel ragazzo, quando il cuore di una ninfa poteva battere solo per uno puro e nobile, per cui decise di provare a mettere da parte quei sentimenti, credendo di essersi sbagliata. Passarono mesi e la ragazza non si riteneva ancora pronta per un matrimonio, il giovane mago pazientemente aspettava, cosa che non erano disposti a fare invece i due genitori e premevano sulla fanciulla. Fecero così tante pressioni che ella alla fine cedette e il matrimonio venne fissato due settimane dopo a partire da quel giorno. In quegli stessi mesi il fratello gemello raggiunse l’indovino, gli spiegò la situazione e costui meravigliato, constatò che i due genitori fossero ciechi poiché il ragazzo dal cuore nobile e puro era lui e non l’altro fratello. Pochi giorni dopo arrivò all’indovino l’invito al matrimonio e il nobile mago decise di tornare di corsa a casa per fermare le nozze. Giunse in tempo dichiarando il suo amore alla ninfa, che confessò davanti a tutti di ricambiarlo; ci fu sgomento e confusione tra gli invitati, palesemente scandalizzati. Increduli i genitori dei gemelli cercarono di riportare l’ordine nella sala dei ricevimenti, chiedendo spiegazioni all’indovino, il quale rispose che il ragazzo adatto a lei non era il loro primogenito ma il secondo. Spiazzati, guardarono la nuova coppia ricongiungersi, felici. Il mago primogenito, però, si sentì preso in giro e con profonda delusione si sentì tradito da quel fratello che tanto adorava. Proprio da lui si era visto portar via l’amore più grande che avesse mai provato, avvertì ammontare dentro di sé la rabbia e si lasciò guidare da essa, distruggendo e uccidendo chiunque cercasse di mettersi tra lui e la giovane coppia. Ai due anziani genitori si spezzò il cuore nel vedere il proprio figlio agire in quel modo e dal dolore morirono. Gherda e Locuy presero con sé la ninfa ed il mago portandoli lontano da lì, nascondendoli tra noi Úmarth; fu così che conobbi i tuoi futuri genitori adottivi. Essi proteggerono la coppia dal fratello malvagio che aveva giurato vendetta contro di loro, contro tutti quelli che gli avevano promesso un futuro radioso. Dopo nove mesi, la ninfa perse i suoi poteri e la sua natura dando alla luce un bambino molto speciale… Tu, Dalen. Tuo padre era il fratello gemello di quell’uomo malvagio di nome Brax-.
All’Hybris mancò il terreno sotto i piedi, la testa gli vorticava come le prime volte in cui vedeva l’alce, lo stesso alce che ora si stava avvicinando cautamente a lui, ma si bloccò dopo pochi passi. Non ci poteva credere, ora che sapeva da dove veniva non voleva accettarlo. Il mostro che stava mettendo a ferro e fuoco quel mondo meraviglioso era suo zio… Gli si chiuse lo stomaco, un senso di nausea stava prendendo possesso del suo corpo. La voce ovattata e distante di Eleswin, che tentava di chiamarlo e farlo rinsavire, non riusciva a penetrare il muro che si stava creando attorno. Oltre alla nausea sentiva anche accrescere la rabbia, urgeva scaricare l’ira che lo opprimeva.
Il vento cominciò a turbinare in mezzo alla radura sempre più forte, non poteva accadere, non lì. Guardò disperato il suo spirito guida in cerca di aiuto, l’animale capì e galoppò verso di lui fermandosi volgendogli il fianco, il tutto sotto gli occhi spaventati e sgomenti della comunità.
Dalen porse in avanti una mano, temeva che al contatto con il manto candido sarebbe passato attraverso; invece trovò il pelo morbido dell’alce, saltò in groppa all’animale e si lasciò guidare in mezzo alla foresta, lontano da tutti e tutto.
Eleswin, urlò il suo nome, emise due brevi fischi acuti richiamando il suo lecerguro Roth, montò in groppa dando due leggeri colpi con la mano sul collo dell’animale, ma venne bloccata dal suo capo che le consigliò di non seguirlo, di lasciare che affrontasse da solo il suo passato e se stesso. La ragazza, impotente, osservò la figura del giovane Hybris sparire in mezzo agli alberi.

 

Dalen si fece guidare dall’alce, chiuse gli occhi e lasciò che gli unici suoni che entrassero nelle sue orecchie fossero il rumore degli zoccoli sul terreno e il fruscio delle piante che urtavano lui e l’animale. Non seppe per quanto tempo avessero galoppato né quanto lontani fossero dall’accampamento Úmarth, sapeva solo che si erano addentrati parecchio nella foresta: la vegetazione era fitta e solo pochi raggi solari oltrepassavano le folte chiome degli alberi. Il ragazzo scese dall’alce, procedendo silenzioso al suo fianco; era ancora arrabbiato, ma la galoppata furiosa lo aveva calmato leggermente. Camminando raggiunsero un piccolo specchio d’acqua, l’alce ne approfittò per accoccolarsi sulla riva; Dalen si sporse per prendere un po’ d’acqua e rinfrescarsi il viso, sperando che così facendo si calmasse. Appena la superficie d’acqua mostrò il suo riflesso egli ripensò alle parole di Grosjielik, cioè come assomigliasse ai suoi genitori, gli tornò in mente la storia di poco prima, dello sguardo di Brax quando l’aveva visto e di come la sua espressione cambiò per un secondo in una di chi gli sembrava aver riconosciuto una persona. Il ragazzo afferrò un sasso e lo gettò in acqua: ovvio che gli sembrasse di averlo già visto, aveva i lineamenti del gemello… Già, gemello… Si riguardò nuovamente nel piccolo stagno lucente e notò che effettivamente aveva una certa somiglianza con quello zio che non aveva scelto lui.
Continuando a fissare quel volto riflesso gli tornò in mente il sorriso sinistro di Brax, riemerse la rabbia e non cercò di domarla, lentamente si levò di nuovo il vento, divenne più forte, poi ancora più forte fino a vorticare all’impazzata nel mezzo dello stagno sollevando con sé anche acqua: stava creando una piccola tromba d’aria. Essa si ingrandiva ad ogni ondata di rabbia, ad ogni ricordo accumulati nei suoi diciotto anni, non tentò di ridimensionarla; stava pericolosamente raggiungendo l’altezza degli alberi, rischiando di rivelare a Brax la sua posizione. Non gli importava, gli alberi iniziarono a piegarsi verso la piccola tromba d’acqua, continuava a non volersi fermare.
L’alce si accorse che il suo protetto stava per perdere il controllo dei suoi poteri, lanciò un potente bramito per farlo desistere, senza successo; allora decise di caricarlo e lo colpì facendolo cadere in terra, lo vide raggomitolarsi su se stesso per poi scoppiare a piangere.
Dalen lasciò che le lacrime salate uscissero copiose, era un pianto liberatorio, singhiozzò sonoramente; avvertì l’animale accovacciarsi a fianco a lui, si aggrappò a lui continuando a piangere ed urlare che non era giusto, che avrebbe preferito non nascere se era colpa sua. Poi si addormentò sfinito. 
Si risvegliò quando il sole aveva già varcato buona parte della volta celeste. Si accorse di come l’alce fosse sempre rimasto accanto a lui, vegliandolo nel sonno; lo ringraziò e gli disse che era pronto a tornare nel campo Úmarth.
Lentamente l’animale lo guidò nella radura e trovò ad aspettarlo un intero villaggio in apprensione, appena lo videro tutti gli corsero incontro, sollevati nel vederlo sano e salvo; tra tutti si levò una voce angosciata che chiamò il suo nome: era Eleswin che rincuorata si fece strada tra i suoi simili, giunta davanti a lui gli si gettò al collo, abbracciandolo forte; tra la gente si sollevarono risatine imbarazzate e la ragazza, rendendosi conto del suo gesto, si allontanò repentinamente dal giovane, arrossendo ed alzando le braccia.
Dopo un po’ ci ripensò e gli mollò un pugno sulla spalla: -Questo per avermi fatto stare in pensiero per uno stupido come te- poi sbuffando si allontanò.
Lentamente si avvicinò il capo e sciamano Grosjielik e il ragazzo subito si inchinò come tutti gli altri, scusandosi per il suo comportamento: -Alzati- gli disse -L’importante è che tu impari ad accertarti per quello che sei. Non importa da dove vieni o che legami di sangue ti abbia, ciò che è importante è distinguersi da essi-.
Il ragazzo annuì promettendo di provarci con tutto se stesso, poi chiese: -Avete conosciuto Noiro?-.
Il vecchio sorrise: -Certo. Dopo la tua nascita, i tuoi genitori sono partiti da qui per una meta sconosciuta. Non volevano mettere ulteriormente a repentaglio la nostra vita rimanendo ancora qui. Insieme a loro partirono anche Gherda e Locuy. Da allora non li vidi mai più. Qualche anno dopo arrivò un uomo avanti con gli anni di nome Noiro, mi disse che i due maghi che si presero cura della ninfa ti avevano portato sulla Terra per salvarti da Brax. Non mi riferì altro, a parte che doveva andare dalle ninfe per scoprire un tassello che gli mancava-.
-E perché io sono così speciale?- incalzò il ragazzo.
-Non posso dirti tutto io… Vedrai che le ninfe sapranno darti più risposte- disse lui sorridendo.
All’improvviso un fischio acuto alle sue spalle lo fece votare.
-Allora! Sei pronto ad andare a trovare le tue care parenti ninfe?- esclamò Eleswin già in groppa di Roth, due borsoni legati alla sella e stava aspettando la sua risposta.
Dalen si avvicinò stupito: -Mi accompagneresti? Non temi di essere catturata per essere una Úmarth?- notò le labbra della ragazza incresparsi in un sorriso di sfida.
-Una volta qualcuno mi ha detto che non si sarebbe fermato davanti a nulla. Ebbene, mi ha inseg
nato che devo abbattere gli ostacoli davanti per ottenere ciò che voglio, no? E quello che voglio è far capire alla gente di Faeria che si sbagliano su noi Úmarth, salvandole- rispose lei. 
L’alce si avvicinò a Dalen per farlo salire in groppa.
-Aspettate! Ed io cosa farò qui, in mezzo al nulla?- urlò il folletto saltellando, per il fatto di essere ancora legato.
-Tu rimarrai qui ad espiare le tue colpe, legato come un salame- disse alzando un sopracciglio il capo.
Sul volto della creatura si dipinse un’espressione impaurita: -No vi prego! D’accordo! Imploro perdono! Ho sbagliato, adoro tutti voi Úmarth e non ruberò mai più in un vostro campo! Per favore, liberatemi, non voglio passare un altro minuto con queste corde! Non mi sento più le braccia e le gambe- piagnucolò lui.
Con un sorrisetto furbo il vecchio capo si rivolse ai due giovani e l’Hybris capì al volo: -Ci sarebbe un modo alternativo per espiare le tue colpe…- guardò la mezz’elfo.
-Nonono… So dove vuoi arrivare…- disse lei cercando si frenare le intenzioni del suo compagno di viaggio, ma alla sua muta richiesta rispose con un -E va bene… Se vuoi ottenere il nostro perdono dovrai venire con noi. Non sarai più legato a patto che ci aiuterai e non tenterai di scappare-.
Il folletto sorrise, poi però si rese conto di cosa volesse dire e la gioia scomparve dal suo viso: -Erm… Ripensandoci… Qui non sto tanto male… Di sicuro non devo arrivare praticamente nelle fauci del nemico- tentò di giustificare.
Grosjierik gli diede una spinta dietro la schiena facendogli quasi perdere l’equilibrio: -Troppo tardi, ordino che tu aiuti l’Hybris e Piccola Lacrima nel loro intento di fermare la guerra. Se ci riuscirai potrai considerarti libero-.
-Non sforzarlo troppo- disse Dalen -Si sa che i folletti sono tante parole e niente fatti, sono dei codardi di prima categoria- si ricordò di ciò che aveva letto nel suo inseparabile amico libro e decise di usarlo a suo favore per provocarlo, riuscendoci.
-Ragazzino impertinente! Lo hai letto in quel libro, vero? Ti dimostrerò che il tuo caro nonnino si sbagliava! Non sono un codardo!- sbraitò la creatura che a malapena arrivava al fianco del capo Úmarth, si avvicinò all’alce ma questo indietreggiò.
-Eh, no! Non sul mio lecerguro! Roth non si lascia cavalcare da qualcuno che non sia io! Perché non lo fai montare sul tuo candido alce?- disse infastidita Eleswin.
-Questo è il mio spirito guida e come hai visto non accetta nessun altro- ribattè lui.
Entrambi si voltarono verso il folletto. 
Alla fine lo slegarono e lo fecero montare su una specie di piccolo montone, legato alla sella del lecerguro, col pelo molto più lungo e la lingua che fuoriusciva arrivando a toccare quasi terra, l’andatura era un continuo ondulare che il folletto non gradiva di certo.
Ad ogni passo era un continuo lamento da parte della creatura.
-Oh povero piccolo folletto… Il mezzo non è di suo gradimento? Chi è il piagnucolone ora?- lo canzonò Eleswin, il ragazzo la riprese dicendole di non essere così aggressiva.
-Ecco… Ascolta il ragazzo… In fin dei conti ti piace, no? Eri così preoccupata quando… Ouch!- non riuscì a finire la frase perché la mezz’elfo aveva materializzato un ciottolo lanciandoglielo sul naso lungo ed appuntito.
-Ahia! Cosa fai? Il mio bellissimo naso! Mi ha fatto vincere molti premi per il più bel naso della mia cittadina!- reagì lui, massaggiandosi il naso.
-Taci folletto- lo liquidò lapidaria la ragazza.
La creatura si offese controbattendo: -Il folletto ha un nome… Seamsoors… Cara Piccola Lacrima-.
La Úmarth sbuffò per tutta risposta mentre Dalen si voltò verso di lui sorridendo: -Beh, benvenuto a bordo Seamsoors-.

  
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